Eugenetica

Vaccini e ricerca su tessuti fetali, viaggio in un mondo oscuro

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Renovatio 21 pubblica la traduzione di questo articolo su gentile permesso dell’autrice e di Catholic News Report

 

 

Prima parte: le prove circostanziali

«I bambini sono ancora vivi nel momento in cui i ricercatori cominciano ad estrarre i tessuti».

 

Questa scioccante affermazione di Pamela Acker, autrice ed ex ricercatrice nel campo dei vaccini, ha suscitato un’enorme impressione. La sua intervista su LifesiteNews, una discussione sulla ricerca sui tessuti fetali e lo sviluppo dei vaccini, ha rapidamente generato un’ondata di reazioni e di articoli.

 

Il podcast della conversazione con il direttore di LifesiteNews John-Henry Westen affronta la storia delle linee cellulari fetali HEK 293 e PER.C6, entrambe coinvolte a diverso titolo nello sviluppo di tutti i vaccini anti COVID-19 attualmente disponibili negli Stati Uniti.

 

Ma con il passare delle settimane, mano a mano che ondate di discussioni successive si richiudevano su di essa, l’intervista è scomparsa nelle acque profonde di internet. Sull’argomento dei vaccini anti-COVID, teologi e bioeticisti hanno continuato ad operare sottili distinzioni tra produzione e test, e a discutere di gradi di cooperazione con il male, senza alcun riferimento alle dichiarazioni della Acker, che sono state in gran parte ignorate, come si farebbe con un’osservazione di pessimo gusto sfuggita in compagnia di gente ben educata.

 

Credo che sia arrivato il momento di esaminare da vicino la brutale affermazione che ha messo l’uditorio tanto a disagio. Una riflessione si impone: è evidente che non c’è bisogno di chiederci perché una tale affermazione risulti così sconvolgente. Ma allora perché non le è stata data più attenzione?

 

C’è stato chi ha pensato che concentrarsi sulle piccole vittime della testimonianza della Acker potesse distogliere la discussione dal principio secondo il quale ogni vita umana è sacra. Un bambino è un bambino indipendentemente dallo stadio in cui le sue cellule o i suoi organi possono essere prelevati: in utero o ex utero, viabile o non-viabile, prima o dopo la morte.

 

Ci possono essere ragioni ancora più profonde dietro al rifiuto di affermazioni che ci parlano di bambini vivisezionati. Perché, se sono vere, possono sconvolgere il delicato equilibrio dei nostri calcoli morali

D’altra parte, molti erano restii a citare le dichiarazioni della Acker senza ulteriori indagini. Affermazioni esagerate possono danneggiare la propria credibilità. E quando si vuol assumere una posizione di superiorità morale, essere credibili è essenziale.

 

Ma ci possono essere ragioni ancora più profonde dietro al rifiuto di affermazioni che ci parlano di bambini vivisezionati. Perché, se sono vere, possono sconvolgere il delicato equilibrio dei nostri calcoli morali.

 

Dopo tutto, ormai l’argomento è stato risolto, in un modo perfettamente chiaro, che ci rassicura, e che tranquillizza le nostre coscienze.

 

 

Sensazionalista o testimone credibile?

Le linee cellulari sono create coltivando le cellule in modo tale che continuino a crescere e moltiplicarsi in provette da laboratorio, a volte per lunghi periodi di tempo.

 

Ammetto di essermi sentita molto meglio quando ho letto che anche se alcuni vaccini sono sviluppati utilizzando linee cellulari fetali, esse risalgono a molto tempo fa.

 

Create negli anni ’70 e ’80, esse hanno ormai una connessione molto remota con i bambini che hanno fornito le cellule da cui provengono. Ci è stato detto che le linee cellulari fetali umane HEK 293 e PER.C6 hanno richiesto solo due aborti. Inoltre, poiché queste due linee cellulari sono immortalizzate, ci viene ripetuto che tale infelice evento non dovrà mai più ripetersi.

 

È tutto molto ben presentato. Come ci si può agitare tanto per due aborti avvenuti decenni fa, di fronte alla possibilità di salvare milioni di vite?

 

Così, anche se in linea di principio ero fortemente contraria ai vaccini non etici, tale questione non suscitava in me una forte risposta emotiva. Di certo, non il terremoto interiore  che provai quando lessi per la prima volta il titolo: «I bambini non nati usati per lo sviluppo dei vaccini erano vivi al momento dell’estrazione dei tessuti». Il mio primo pensiero fu che un titolo così sensazionalista aveva interesse a basarsi su fonti molto solide. Alla ricerca di tali fonti, lessi la trascrizione del podcast della Acker dell’11 gennaio 2021, così come gli articoli successivi in cui affrontava le critiche e le ulteriori domande generate dall’intervista. In seguito, parlai con lei per discuterne più in dettaglio.

 

Volevo andare a fondo di quella sola, scioccante, affermazione; premere «pausa» e zoomare, per così dire. E poi porsi la domanda: si tratta di qualcosa che dovremmo ignorare con un’alzata di spalle? Ha un’attinenza morale con il problema in questione? Si tratta solo di retorica sensazionalista? Nell’esaminare questa eventualità, non ci stiamo forse solo infliggendo un inutile disagio su un argomento che è già stato chiarito in modo per noi perfettamente soddisfacente?

 

Biologa ed ex ricercatrice nel campo dei vaccini, la pacata Pamela Acker è una candidata improbabile al ruolo di sensazionalista. Non è nemmeno un’anti-vax per partito preso. Al contrario, alla base della sua carriera scientifica ci fu il desiderio di creare vaccini di origine etica. A tal fine, ha conseguito una laurea in biologia, è stata coinvolta in ricerche di biologia presso la Washington University di St. Louis, ha brevemente lavorato allo sviluppo di farmaci presso la Pfizer, e ha ottenuto un master in biologia presso la Catholic University of America.

 

Fu durante il suo dottorato alla Catholic University che la Acker si trovò faccia a faccia con la realtà della ricerca sulle cellule fetali. Con sua grande costernazione, apprese che il progetto di ricerca a cui stava lavorando come parte dei suoi studi di dottorato utilizzava la HEK 293.

 

La linea cellulare fetale HEK 293 è derivata dalle cellule renali di un bambino abortito nei Paesi Bassi nel 1972. Questa linea cellulare è definita immortalizzata perché le cellule possono dividersi apparentemente indefinitamente. È stata creata dal biologo Frank Graham a partire da cellule coltivate dal suo socio di ricerca, Alex Van der Eb. Al giorno d’oggi HEK 293 è praticamente onnipresente, usata in fase di sviluppo o test di numerosi prodotti farmaceutici e anche di prodotti più banali come additivi alimentari.

 

Tuttavia, la maggior parte delle persone probabilmente riconosce questa sigla a causa delle controversie etiche che circondano i vaccini COVID-19 prodotti da Pfizer, AstraZeneca e Moderna.

 

Discutendo l’origine della HEK 293 in una testimonianza del 2001, Van der Eb dichiarò:

 

«Il rene del feto, la cui storia familiare è sconosciuta, è stato ottenuto probabilmente nel 1972. La data precisa non è più nota. Per quanto posso ricordare il feto era completamente normale. Non aveva niente di anomalo. Le ragioni dell’aborto mi erano sconosciute. Probabilmente all’epoca le conoscevo, ma tutte queste informazioni sono andate perdute». (1)

 

Dopo aver letto l’articolo del 2006 di Alvin Wong «The Ethics of HEK 293» (2), Acker giunse alla conclusione che la sua coscienza non le avrebbe permesso di partecipare a delle ricerche che facessero uso della linea cellulare fetale HEK 293. Il suo direttore di ricerca non era disposto a venire incontro alle sue convinzioni, e così i suoi studi di dottorato furono interrotti. L’incidente fu all’origine di periodo di riflessione da parte della Catholic University, che emise una moratoria temporanea sugli studi che coinvolgevano linee cellulari fetali, e la Acker divenne persona non grata presso i suoi colleghi del programma di dottorato che furono costretti ad interrompere temporaneamente le loro ricerche.

 

Oggi la Acker è insegnante e autrice di Vaccination: a Catholic Perspective (Kolbe Center for the Study of Creation, 2020) [a breve in uscita di italiano presso la casa Fede & Cultura, ndr]. Il libro è descritto come una risorsa che «affronta tutti i possibili aspetti controversi sui vaccini, qualcosa che un qualsiasi genitore cattolico potrebbe mettere in mano al proprio medico curante per sapere cosa ne pensa».

 

Il background della Acker le conferisce un punto di vista prezioso, persino unico, sull’etica dello sviluppo dei vaccini. Conosce il suo argomento dall’interno, aggiungendo la prospettiva di una scienziata a quella di una cattolica fervente.

 

Nel podcast di un’ora dell’11 gennaio 2021, John-Henry Westen e Pamela Acker hanno discusso una varietà di argomenti legati ai vaccini. Ma è la dichiarazione della Acker che interviene a circa metà dell’intervista che ha eclissato il resto della discussione. Questo, ha detto, è quello che è successo per procurarsi le cellule per le linee cellulari come HEK 293:

 

«Questi bambini vengono fatti nascere con parto cesareo. I bambini sono ancora vivi quando i ricercatori iniziano ad estrarre i tessuti; al punto che il loro cuore sta ancora battendo, e generalmente non viene somministrato loro alcun anestetico, perché questo altererebbe le cellule che i ricercatori stanno cercando di estrarre. Quindi, prelevano questo tessuto, mentre il bambino è ancora in vita e soffre orribilmente… tutto ciò rende il procedimento ancora più sadico»

«Questi bambini vengono fatti nascere con parto cesareo. I bambini sono ancora vivi quando i ricercatori iniziano ad estrarre i tessuti; al punto che il loro cuore sta ancora battendo, e generalmente non viene somministrato loro alcun anestetico, perché questo altererebbe le cellule che i ricercatori stanno cercando di estrarre. Quindi, prelevano questo tessuto, mentre il bambino è ancora in vita e soffre orribilmente… tutto ciò rende il procedimento ancora più sadico».

 

Date le credenziali di Acker, sapevo che non potevo semplicemente liquidare tutto ciò come una semplice congettura. Ma volevo esaminare le sue fonti di prima mano. Nulla di ciò che avevo letto fino ad allora sulle implicazioni morali delle linee cellulari fetali e del vaccino COVID faceva menzione di qualcosa del genere riguardo all’origine di queste linee cellulari. In effetti, la maggior parte dei resoconti sembrava deliberatamente distaccata, e tutti concordavano sul fatto che se ne sapeva molto poco, al di là dei semplici fatti.

 

Qualsiasi aborto è un crimine orribile, non importa quale sia lo stadio di sviluppo del feto, non importa quali siano le circostanze. Tuttavia, c’era qualcosa di particolarmente atroce in quello che veniva descritto questa volta, e il termine «sadico» impiegato dalla Acker sembrava il più adatto a descriverlo.

 

 

Vaccini, aborto ed eugenismo

La Acker mi assicurò che, lungi dall’essere semplici illazioni, le sue affermazioni si basavano su una solida conoscenza della scienza, dell’industria dei vaccini e della storia di tale industria. Nel corso di una cupa conversazione telefonica, passammo in rivista le sue fonti. Molte erano citazioni di prima mano provenienti dalla letteratura medica e scientifica. Gran parte delle sue ricerche storiche, la Acker le deve all’associazione Children of God for Life, che dal 1999 raccoglie informazioni sui vaccini che usano linee cellulari fetali.

 

Insieme, abbiamo esplorato il lato oscuro e disturbante della ricerca sui vaccini, iniziando negli anni ’30 e concentrandoci sul capolavoro della storia della vaccinazione: il vaccino antipolio di Salk e Sabin.

 

La letteratura medica dall’inizio alla metà del 20° secolo era sorprendentemente schietta e trasparente sui propri metodi. La Acker iniziò con una citazione che proveniva direttamente da un documento di Albert Sabin (1906-93), uno dei pionieri della vaccinazione. Sabin, e con lui tutti gli scienziati impegnati nella ricerca di vaccini virali dovevano affrontare una sfida: a differenza dei batteri, i virus non possono riprodursi da soli e richiedono cellule viventi da infettare. L’uso di soggetti animali come le scimmie comportava il rischio di contaminazione; perciò i ricercatori si orientarono verso il tessuto fetale umano.

 

Sabin, e con lui tutti gli scienziati impegnati nella ricerca di vaccini virali dovevano affrontare una sfida: a differenza dei batteri, i virus non possono riprodursi da soli e richiedono cellule viventi da infettare. L’uso di soggetti animali come le scimmie comportava il rischio di contaminazione; perciò i ricercatori si orientarono verso il tessuto fetale umano

Sabin  descrive così le prime, critiche fasi della sua ricerca sul vaccino antipolio:

 

«Si tentò un nuovo approccio con l’uso di embrioni umani di 3 o 4 mesi, ottenuti in condizioni sterili via parto cesareo (gli autori sono grati al Dr. Lance Monroe, del Bellevue Hospital, per i 2 embrioni umani usati in questa indagine). Il cervello e il cordone ombelicale, i polmoni, i reni, il fegato e la milza sono stati conservati in frigorifero, e frammenti di questi tessuti sono stati prelevati per la preparazione del mezzo ad intervalli di 3 giorni». (3)

 

Espressi sorpresa per questa citazione del 1936, ovvero molto prima che l’aborto fosse legale negli Stati Uniti. Acker mi fece notare che il riferimento al Bellevue Hospital, una struttura di New York per «donne pazze e deboli di mente», era significativo. Questo, insieme al riferimento al parto cesareo (pudicamente chiamato anche «isterectomia addominale» nella letteratura medica) rendeva chiaro che «tutto ciò era legato al movimento eugenetico».

 

Già nel 1931, 38 stati americani avevano adottato il modello di legge sulla sterilizzazione eugenetica, rendendo obbligatoria la sterilizzazione di coloro che erano ritenuti inadatti a procreare. Sebbene all’epoca l’aborto fosse illegale negli Stati Uniti, esisteva un doppio standard legale per coloro che il movimento eugenetico considerava «deboli di mente», e per tali donne spesso gli aborti erano praticati contemporaneamente alla sterilizzazione.

 

Acker aggiunse poi sommessamente: «Stavolta spero di non mettermi a piangere mentre leggo»”. Da un rapporto del Canadian Journal of Medical Science, questa citazione risale al 1952:

 

Sabin, 1936: «Si tentò un nuovo approccio con l’uso di embrioni umani di 3 o 4 mesi, ottenuti in condizioni sterili via parto cesareo (gli autori sono grati al Dr. Lance Monroe, del Bellevue Hospital, per i 2 embrioni umani usati in questa indagine). Il cervello e il cordone ombelicale, i polmoni, i reni, il fegato e la milza sono stati conservati in frigorifero, e frammenti di questi tessuti sono stati prelevati per la preparazione del mezzo ad intervalli di 3 giorni»

«Embrioni umani di età compresa tra i due mesi e mezzo a cinque mesi di gestazione sono stati ottenuti dal dipartimento ginecologico del Toronto General Hospital. Sono stati posti in un contenitore sterile e prontamente trasportati al laboratorio di virologia dell’adiacente Hospital for Sick Children. Non sono stati utilizzati campioni macerati e in molti degli embrioni il cuore batteva ancora al momento della consegna al laboratorio». (4)

 

Anche qui, un legame con l’eugenetica: il reparto maternità del Toronto General Hospital era un tempo diretto dalla rinomata eugenista Dr. Helen MacMurchy (1862-1953), che definì la politica eugenetica canadese che sarebbe continuata per decenni. Era un luogo dove le donne considerate inadatte ad essere madri venivano sterilizzate e i loro bambini abortiti, al fine di prevenire un’altra generazione di «deboli di mente».

 

Proseguendo il nostro excursus, Acker citò un articolo del 1952 sulla propagazione dei virus della mielite polmonare:

 

«[I tessuti] sono stati ottenuti in condizioni sterili al momento di un’isterectomia addominale praticata per ragioni terapeutiche. Sono stati utilizzati embrioni di 12-18 settimane di gestazione. Raramente i tessuti sono stati ottenuti da feti nati morti o da neonati prematuri durante l’autopsia… Negli esperimenti sulla propagazione prolungata del virus sono stati utilizzati tre tipi di materiali embrionali: elementi di pelle, tessuto connettivo e muscolare; tessuto intestinale; tessuto cerebrale. I tessuti embrionali sono stati preparati nel modo seguente. Quando possibile, l’embrione è stato rimosso dal sacco amniotico in condizioni sterili, trasferito su un telo sterile e mantenuto a 5° C fino alla dissezione». (5)

 

La terminologia medica può occultare la cruda realtà. «Sta forse dicendo – chiesi con orrore – che questi bambini tra i 3 e i 4 mesi e mezzo di gestazione sono nati vivi, ed erano ancora vivi quando sono stati mandati al laboratorio, e…?» Acker finì la mia frase: «… e sono stati messi in un contenitore sterile e spediti in un laboratorio. E poi sono stati sezionati».

 

Poi precisò: «La rimozione dei loro organi è stata probabilmente la causa immediata della morte, anche se probabilmente, data la loro età gestazionale, sarebbero morti comunque». Alla mia domanda: «Come si puo’ parlare di aborto? Questo è infanticidio. O peggio: vivisezione», rispose: «È un eufemismo. Un termine che non deve evocare l’idea della brutalità di quello che sta succedendo».

 

«Proprio come non si può trapiantare un organo morto in un corpo vivo, non si può creare una linea cellulare a partire da tessuto morto. Questo bambino non era morto quando l’hanno messo nel frigorifero».

La Acker proseguì: «Proprio come non si può trapiantare un organo morto in un corpo vivo, non si può creare una linea cellulare a partire da tessuto morto. Questo bambino non era morto quando l’hanno messo nel frigorifero». Il processo di approvvigionamento di tessuto fetale umano«“deve essere fatto in modo metodico per ottenere il tipo di tessuto –- tessuto vivo – che si rivelerà efficace per questo tipo di ricerca». Non si trattava di casi isolati, ma di «parte integrante della ricerca medica portata avanti negli anni ’50 e ’60».

 

Generalmente, gli aborti spontanei non sono una buona fonte di tessuto fetale, spiegò la Acker, perché il bambino spesso muore in un momento imprecisato prima del parto. Quindi è altamente improbabile che un aborto spontaneo possa fornire il tessuto fresco necessario per una coltura cellulare di successo, e «se anche le altre condizioni fossero riunite, è assolutamente inconcepibile pensare di ottenere il consenso della madre in un tale frangente». È altresì probabile che un’anomalia genetica, una malattia o una contaminazione batterica rendano inadatto il tessuto fetale proveniente da un aborto spontaneo.

 

Per il loro lavoro pionieristico sul metodo della coltura dei tessuti nella ricerca sui vaccini, questi scienziati ricevettero il premio Nobel nel 1954. Nel suo discorso di accettazione, Thomas Weller ammise di «pescare nel torbido», usando «intestino, fegato, reni, surrene, cervello, cuore, milza e polmoni» fetali per coltivare il virus della polio.

 

Non c’era bisogno che la Acker continuasse ad elencare altri cruenti dettagli. Decisi di andare a cercarli io stessa, e li trovai senza troppe difficoltà.

 

Il primo era del 1969, da un rapporto sullo sviluppo del vaccino contro la rosolia di Stanley Plotkin e colleghi:

 

«Le colture da espianto sono state realizzate a partire dagli organi sezionati di un particolare feto abortito a causa della rosolia, il 27° nella nostra serie di feti abortiti… Il feto è stato abortito chirurgicamente 17 giorni dopo la malattia materna [rosolia] ed immediatamente sezionato». (6)

 

Lo stesso articolo notava che il vaccino contro la rosolia risultante «fu testato sugli orfani di Philadelphia». Uno sfacciato legame con l’eugenetica è il filo rosso che percorre tutta la ricerca sui vaccini del 20° secolo. Plotkin, noto come il «padrino dei vaccini» per il suo lavoro sul vaccino contro la rosolia, espresse la sua filosofia in una lettera del 1973 al New England Journal of Medicine:

 

Stanley Plotkin: «La questione è se dobbiamo far eseguire esperimenti su adulti pienamente funzionanti, e su bambini che hanno il potenziale di fornire un vero contributo alla società, o se dobbiamo eseguire studi iniziali su bambini e adulti che sono umani solo nella forma esterna, ma non nel potenziale sociale»

«La questione è se dobbiamo far eseguire esperimenti su adulti pienamente funzionanti, e su bambini che hanno il potenziale di fornire un vero contributo alla società, o se dobbiamo eseguire studi iniziali su bambini e adulti che sono umani solo nella forma esterna, ma non nel potenziale sociale». (7)

 

In linea con questa filosofia, la domanda di brevetto di Plotkin per il vaccino intranasale contro la rosolia rivela che egli lo testò su bambini handicappati mentali, handicappati  “ortopedici”, orfani e sordi, prima di testarlo su bambini in età scolare. (8)

 

Almeno 99 aborti volontari sono riportati per la ricerca e produzione del vaccino contro la rosolia di Plotkin: 32 da linee di cellule fetali che fallirono, e 67 da tentativi di isolare il virus della rosolia (9). Il ceppo del virus risultante prese il nome dalla serie di tentativi: «RA 27/3» sta per «rubella abortus, ventisettesimo feto, terzo estratto di tessuto». (10)

 

Se Plotkin dettagliava metodicamente gli aborti coinvolti nel suo lavoro, le fonti successive erano meno esplicite, «piene di opacità», nelle parole della Acker. Dopo la sentenza del 1973 Roe v. Wade [la sentenza della Corte Suprema USA che diede il via libera all’aborto nel Paese, ndr), non c’era motivo di supporre che l’establishment scientifico avrebbe improvvisamente sviluppato un rispetto per la vita umana che era totalmente assente fino a poco prima.

 

Tuttavia, dopo decenni di ricerca fetale finanziata a livello federale, all’inizio degli anni ’70 alcuni orribili rapporti giunsero all’attenzione del pubblico: ricerche su bambini abortiti vivi in Svezia; bambini che si muovevano ancora messi sotto ghiaccio a Pittsburgh per essere spediti al laboratorio; dissezione di un bambino vivo a fini sperimentali a Yale.

 

Il clamore suscitato condusse ad una moratoria sulla ricerca sui tessuti fetali per i trapianti che  rimase in vigore per oltre quindici anni; tuttavia, altre aree di ricerca sui tessuti fetali continuarono indisturbate. (11)

 

 

Nella tana del coniglio

Mi restavano ancora molte domande, e così mi sono infilata nella tana del web-coniglio. E proprio di una tana si trattava, un mondo oscuro che mi lasciava esausta dopo ogni sconvolgente incursione. Un rapporto di ricerca portava ad un altro. Mi divenne chiaro quanto poco sapessi in realtà sull’industria dell’aborto.

 

Mi trovai a girovagare tra realtà che semplicemente non volevo conoscere, che non volevo vedere e che poi avrei voluto dimenticare. Alcuni corridoi si diramavano nel triste catalogo dei metodi e dei protocolli di aborto e di approvvigionamento di tessuti; parecchi si aprivano sul mondo della donazione di organi e dei trapianti. Spesso, svoltando un angolo scoprivo che qualcuno era passato di là prima di me; infatti era chiaro che altri per molti anni avevano fatto ricerche e scritto con dovizia di particolari sul tema della ricerca sui tessuti fetali e sull’industria dei vaccini.

 

Ciò che non capivo era la ragione per la quale le loro ricerche (ben documentate, basate sui resoconti dell’industria stessa, non su congetture o vaghe dicerie) non fossero più conosciute, anche tra persone ardentemente pro-vita e per altro ben informate.

 

La brutale franchezza di certi rapporti di ricerca sui tessuti fetali, anche quando l’establishment scientifico agli inizi degli anni ‘70 si fece più reticente sull’argomento, era spesso surreale. Non tutti i casi che ho trovato riguardavano la ricerca sui vaccini, ma tutti avevano un filo conduttore comune: pratiche mediche estremamente dolorose effettuate su bambini vivi sopravvissuti all’aborto.

 

In questo universo parallelo, i giornali riportavano in termini espliciti la vivisezione fetale, come in questo articolo del San Francisco Chronicle, del 19 aprile 1973, intitolato «Operazioni su feti vivi»: 

 

«Il dottor Jerald Gaull, durante i suoi periodici viaggi in Finlandia, inietta una sostanza chimica radioattiva nei fragili cordoni ombelicali dei feti appena rimossi dal ventre delle loro madri durante gli aborti. Il feto in ogni caso è troppo prematuro per poter sopravvivere, ma nel breve periodo in cui il suo cuore batte ancora, Gaull, capo della ricerca pediatrica al New York State Institute for Basic Research in Mental Retardation a Staten Island, li opera per rimuovere il cervello, i polmoni, il fegato e i reni per esaminarli»

«Il dottor Jerald Gaull, durante i suoi periodici viaggi in Finlandia, inietta una sostanza chimica radioattiva nei fragili cordoni ombelicali dei feti appena rimossi dal ventre delle loro madri durante gli aborti. Il feto in ogni caso è troppo prematuro per poter sopravvivere, ma nel breve periodo in cui il suo cuore batte ancora, Gaull, capo della ricerca pediatrica al New York State Institute for Basic Research in Mental Retardation a Staten Island, li opera per rimuovere il cervello, i polmoni, il fegato e i reni per esaminarli».

 

L’articolo proseguiva:

 

«Il dottor Robert Schwartz, capo del reparto di pediatria al Cleveland Metropolitan General Hospital, si reca in Finlandia per uno scopo simile. Dopo il parto di un feto, mentre è ancora collegato alla madre dal cordone ombelicale, preleva un campione di sangue. Poi, dopo aver tagliato il cordone, “il più rapidamente possibile”, il dottore opera su questo essere abortito per rimuovere altri tessuti e organi».

 

Così argomentava Gaull: «Più che essere immorale fare quello che cerchiamo di fare, è immorale, ed è una terribile perversione dell’etica, gettare questi feti nell’inceneritore come si fa di solito, invece di trarne qualche informazione utile».

 

L’articolo, che discuteva le potenziali restrizioni di finanziamento per tali ricerche, era adamantino sulla realtà che descriveva e sulla mancanza di una giustificazione morale.

 

L’argomento delle potenziali restrizioni sui finanziamenti richiese un viaggio attraverso un altro lungo corridoio, fiancheggiato da articoli, paper accademici e testimonianze al Congresso sulla ricerca sui tessuti fetali e sui problemi etici che ne derivano. Mi parvero rivelatrici le discussioni sulle restrizioni federali proposte.

 

Un articolo del 1988 sull’Hastings Journal partiva dall’assunto che il prelievo di tessuti da feti vivi e non-viabili fosse già praticato:

 

«Forse la restrizione federale più pertinente è il divieto di qualsiasi tipo di ricerca su un feto vivo non-viabile ex utero che interromperebbe prematuramente la vita del feto. Questo divieto può essere significativo perché la procedura richiesta per rimuovere il tessuto cerebrale fetale da espiantare accelererebbe la morte di un feto vivo. Quindi, se una simile restrizione fosse imposta agli espianti di tessuto fetale, proibirebbe la rimozione di tessuto cerebrale fetale e, potenzialmente, di altri tipi di tessuto, da feti vivi non-viable». (12)

 

Un rapporto del 1976 della casa farmaceutica Batelle-Columbus Laboratories riconobbe il ruolo della ricerca su feti vivi in quattro processi medici: amniocentesi, sindrome da stress respiratorio e (ciò che è significativo per questo articolo) i vaccini contro la rosolia e l’Rh: «È evidente da uno studio dello sviluppo dei quattro casi selezionati… che la ricerca su feti umani vivi ha giocato un ruolo significativo in ognuno di essi» (13). Il rapporto raccomandava di non imporre restrizioni a tale ricerca.

 

A questo punto del mio vagabondaggio nella tana del coniglio, lottavo ancora con uno straniante senso di irrealtà. Forse stavo fraintendendo qualcosa. Ricerca su feti umani viventi? Non ci sono leggi su questo genere di cose?

 

Si fa un gran parlare delle restrizioni sull’uso e la ricerca sui feti negli Stati Uniti. Tuttavia, mentre le restrizioni federali negli Stati Uniti vanno e vengono a seconda di chi occupa la Casa Bianca, è chiaro che la ricerca su feti vivi non-viabili continua, con lo scopo di ottenere campioni di tessuto più freschi possibile, per trapianti o ricerche. Ciò può avvenire senza finanziamenti federali, andando all’estero, o semplicemente facendo calare il silenzio su quei pochi minuti critici tra il parto del bambino e il momento in cui il tessuto viene inviato al laboratorio. Come dice la giornalista Suzanne Rini nel suo libro del 1993 Beyond Abortion: A Chronicle of Fetal Experimentation,

 

«I ricercatori… che ricevono tessuti dall’isterectomia e dagli aborti al secondo trimestre con metodi noti per far partorire bambini in vita, dichiarano troppo sbrigativamente che i loro tessuti provengono da “feti morti”. Esiste uno stadio intermedio di cui sono pochi a parlare». (14)

 

La sociologa britannica Julie Kent, discutendo la ricerca sui tessuti fetali nel Regno Unito, dice che una «non-conformità autorizzata caratterizza le pratiche attuali…» (15). Questa sembra essere la situazione anche negli Stati Uniti.

 

Tale non-conformità autorizzata può arrivare fino ai vertici, come evidenziato da un’indagine sul traffico di feti umani che ha coinvolto la Food and Drug Administration. Tra il 2012 e il 2018 la FDA ha speso migliaia di dollari per ottenere tessuto di fegato e timo per la ricerca sui topi umanizzati. Centinaia di pagine di email, ottenute dal gruppo di responsabilità legale Judicial Watch, documentano accordi per procurarsi tessuto fetale umano, di età gestazionale da 16 a 24 settimane, da consegnare «fresco, spedito sotto ghiaccio». (16)

 

D’altra parte, esistono indubbiamente degli standard industriali: standard di «buona pratica clinica», «buone pratiche di fabbricazione» (GMP) e simili.

 

Ma mi sono presto resa conto che queste hanno unicamente lo scopo di proteggere il consumatore e assicurare la purezza del prodotto finale; non hanno nulla a che fare con la protezione del feto. Le parole «immediatamente sezionato» e «fresco» apparivano frequentemente, di solito alla voce «materiali e metodi». Di nuovo, l’intento era quello di rassicurare il consumatore che il prodotto non fosse contaminato.

 

 

Il linguaggio del Cappellaio Matto

«Non comprendo che vuoi dire” disse Alice. “Certo che non lo comprendi!” — disse il Cappellaio, scuotendo il capo con aria di disprezzo. (17)

 

Il vocabolario della ricerca scientifica e medica è a dir poco eufemistico. Come Alice quando tenta di capire il Cappellaio Matto, può succedere che il profano legga i resoconti di ricerca e non si renda conto di ciò che viene veramente descritto. Per esempio, isolare significa tagliare, così come dissociare. Anche quando si tratta di non umani, la letteratura è riluttante ad usare certi termini. Perciò un ratto femmina incinta, dopo aver subito la rimozione dell’utero sotto anestesia, viene sacrificata, non uccisa.

 

Il vocabolario della ricerca scientifica e medica è a dir poco eufemistico… Per esempio, isolare significa tagliare, così come dissociare. Anche quando si tratta di non umani, la letteratura è riluttante ad usare certi termini. Perciò un ratto femmina incinta, dopo aver subito la rimozione dell’utero sotto anestesia, viene sacrificata, non uccisa.

Così, rimasi perplessa da un rapporto della rivista Liver Transplantation («Trapianto di fegato», ndr) che dettagliava una tecnica per ottenere cellule epatiche fetali. Lo studio in questione «è stato eseguito con tessuti donati da 15 aborti medicalmente selezionati». L’articolo descriveva «l’incannulamento della vena porta fetale con tecniche di microchirurgia e la successiva perfusione vascolare in situ di FF [fegati fetali] umani a 18 settimane di gestazione e oltre» (18). Quindi proseguiva nella descrizione dettagliata della procedura di dissociazione dei tessuti e la successiva rimozione del fegato.

 

I miei sospetti furono confermati da una voce in un libro di testo, che descriveva più accuratamente la procedura come un «metodo di perfusione in vivo in cinque fasi mediante incannulazione della vena ombelicale per isolare cellule epatiche da feti alla fine del secondo trimestre». (19)

 

Tradotto: dopo l’aborto, il tessuto epatico è stato rimosso da 15 bambini vivi. La locuzione in vivo («sul vivente») permette di confermare che la microchirurgia e il prelievo di tessuto epatico sono eseguiti su bambini vivi.

 

Sebbene la procedura sia stata eseguita per ottenere cellule per il trapianto di cellule epatiche, e non per la coltura cellulare, la logica era esattamente la stessa: ottenere il tessuto più fresco possibile.

 

A questo punto della mia ricerca, l’incredulità prese il sopravvento. Semplicemente, non potevo credere a quello che stavo leggendo online. Pochi click, e possedevo la mia copia di Hepatocyte Transplantation, dove a pagina 283 trovai la descrizione della procedura in vivo, con foto a colori a pagina 288.

 

Per i non-scienziati, leggere le ricerche su non umani può essere illuminante. Così, leggendo un rapporto di ricerca sulle cellule staminali cardiache in cui cuori fetali umani sono stati collegati a un dispositivo Lagendorff (che può mantenere artificialmente in funzione un cuore al di fuori del corpo) non capii da subito che questi cuori devono provenire da soggetti vivi. Dopo aver letto di cuori estratti da ratti vivi e anestetizzati per una procedura simile, è diventato chiaro che i ratti ricevono l’eutanasia dopo, e non prima, della procedura. (20)

 

I rapporti sull’estrazione di tessuti da animali da laboratorio generalmente riportano la morte dell’animale, e se questa è avvenuta prima o dopo l’estrazione dell’organo. A volte forniscono i dettagli di come l’animale è stato ucciso. I rapporti sui neonati umani non menzionano i segni di vita nel feto abortito, né descrivono la sua morte. Ci si potrebbe chiedere perché la morte del feto non sia registrata, specialmente dal momento che un aborto è stato organizzato per consegnare un feto intatto.

 

Eppure gli studi sui neonati al secondo trimestre indicano che la durata mediana della sopravvivenza fuori dall’utero, senza intervento, è di circa un’ora. Uno studio britannico su 1306 nati vivi tra le 20 e le 23 settimane di gestazione riportava che mentre «molti sono morti entro pochi minuti dal parto», a 20 settimane il tempo mediano di sopravvivenza era di 80 minuti; a 23 settimane, era di 6 ore (questo studio ha escluso 437 bambini che sono sopravvissuti all’interruzione della gravidanza). (21)

 

L’industria dei vaccini intrattiene da lunga data una sconvolgente connessione con l’industria dell’aborto, e a tutt’oggi questa connessione resta profonda

Per riassumere: l’industria dei vaccini intrattiene da lunga data una sconvolgente connessione con l’industria dell’aborto, e a tutt’oggi questa connessione resta profonda.

 

Al pubblico vengono spesso ammannite confortanti mezze verità, o viene coscientemente indotto a credere a torto che gli aborti che ci hanno dato i nostri vaccini attuali non fossero che un’aberrazione, o un modo per trarre un motivo di speranza a partire da una tragedia inevitabile.

 

Eppure, alcune voci insistenti si ostinano a ripetere che la realtà è molto più cupa. Si tratta forse di affermazioni esagerate?

 

Il fatto che dei bambini siano deliberatamente abortiti in modo da produrre un feto intatto e vivo è indiscutibile, e supportato dalla letteratura medica dagli anni ’30 ad oggi.

 

Il fatto che gli scienziati non abbiano avuto scrupoli a sezionare  bambini ancora vivi per scopi di ricerca è anche documentato.

 

È probabile o addirittura indiscutibile che questa azione brutale abbia portato alla creazione delle linee cellulari usate per gli attuali vaccini? La Acker ed altri esperti sostengono di sì, basandosi sul semplice principio secondo il quale le cellule vive per le linee cellulari non possono essere derivate da un corpo morto.

 

Posso provarlo? Non senza alcuna ombra di dubbio.

 

Eppure è chiaro che la ricerca su bambini vivi non desiderati – «non-persone umane» – è andata avanti per molti anni e continua ancora oggi.

 

Le prove sono lì per chi vuole vederle.

 

 

Monica Seeley

 

 

Traduzione di Roberto Bonato

 

 

NOTE

1) Alex van der Eb, Testimonianza davanti al comitato consultivo sui vaccini e sui prodotti biologici correlati, 16 maggio 2001

2) Alvin Wong, MD, «The Ethics of HEK 293», The National Catholic Bioethics Quarterly, Volume 6, numero 3, autunno 2006

3) Albert B Sabin, Peter K. Olitsky, «Cultivation of Poliomyelitis Virus in vitro in human embryonic tissue» Proceedings of the Society for Experimental Biology and medicine, 1936, 34:357-359)

4) Joan C. Thicke, Darline Duncan, William Wood, A. E. Franklin and A. J. Rhodes; «Cultivation of Poliomyelitis Virus in Tissue Culture; Growth of the Lansing Strain in Human Embryonic Tissue», Canadian Journal of Medical Science, Vol. 30, pp 231-245, 1952

5) Thomas H. Weller, John F. Enders, Frederick C. Robbins and Marguerite B. Stoddard; «Studies on the Cultivation of Poliomyelitis Viruses in Tissue Culture : I. The Propagation of Poliomyelitis Viruses in Suspended Cell Cultures of Various Human Tissue», Journal of Immunology, 1952

6) «G. Sven, S. Plotkin, K. McCarthy, «Gamma Globulin Prophylaxis; Inactivated Rubella Virus; Production and Biological Control of Live Attenuated Rubella Virus Vaccines», American Journal of Diseases of Children Vol. 118, agosto 1969

7) Lettera al direttore, «Ethics of Human Experimentation», Dr. Stanley Plotkin, New England Journal of Medicine, #593,1973

8) U.S. Patent Application, «Intranasal immunization against rubella», 1968

9) «Aborted Fetal Cell Line Vaccines And The Catholic Family,A Moral and Historical Perspective», Children of God for Life

10) S.A. Plotkin et al., «Attenuation of RA 27/3 Rubella Virus in WI-38 Human Diploid Cells», American Journal of Disabilities of Children 110.4 (ottobre 1965): pp 381-382.

11) Dal brief amici curiae a sostegno della causa della National Abortion Federation contro David Daleiden, Center for Medical Progress, Biomax Procurement Services, LLC, e Troy Newman e il Center for Medical Progress, 7 giugno 2016

12) Mark W. Danis, «Fetal Tissue Transplants: Restricting Recipient Designation», Hastings Law Journal, 7-1988

13) Batelle-Columbus Report. Appendice a «Research on the Fetus»

14) Suzanne Rini, Beyond Abortion: A Chronicle of Fetal Experimentation, TAN Books, 1993.

15) «Julie Kent et al, Forgotten Fetuses – A Sociocultural Analysis of the Use of Fetal Stem Cells». https://www.york.ac.uk/res/sci/projects/res340250002kent.htm#abstract

17) Lewis Carroll, Alice’s Adventures in Wonderland, capitolo 7, «A Mad Tea Party»

19) Hepatocyte Transplantation, parte di  Methods in Molecular Biology series, n. 1506, novembre 2016.

21) PI McFarlane, S Wood, J Bennett, «Non-viable delivery at 20–23 weeks gestation: observations and signs of life after birth» BMJ Journals, ADC Fetal and Neonatal Edition, Vol. 88, n.3

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