Geopolitica
Unità cecena combatte in Donbass

Le forze russe stanno conducendo operazioni offensive contro le truppe ucraine nell’area fuori Donetsk nel Donbass, ha detto mercoledì il ministero della Difesa di Mosca. Lo riporta RT.
In una dichiarazione, il ministero russo ha annunciato che i distaccamenti d’assalto della 5ª brigata di fucili a motore russa e un’unità delle forze speciali Akhmat stanno attaccando le truppe ucraine vicino alla città di Maryinka, a circa 30 km a ovest della capitale della Repubblica popolare russa di Donetsk (DPR).
L’unità Akhmat fa parte della Guardia nazionale russa e ha sede nella Repubblica cecena. Prende il nome da Akhmad Kadyrov, primo presidente della regione e padre dell’attuale leader, Ramzan Kadyrov. Negli anni della guerra cecena di fini anni Novanta i Kadyrov furono riportati sotto Mosca dall’azione del premier appena insediatosi Vladimir Putin.
Kadyrov padre fu ucciso nel 2004 in un attentato allo stadio di Grozny rivendicato dai separatisti islamisti ceceni di Shamil Basaev. Il figlio Ramzam ha preso il suo posto e non ha mai fatto venire meno la sua lealtà al presidente, fatta professare pubblicamente anche a tutti i suoi combattenti riuniti in piazza a gridare «Allah akbar, viva il presidente Putin». Ramzam Kadyrov ritiene la NATO come nemico dei musulmani.
La notizia degli attacchi riusciti arriva dopo che Kadyrov ha dichiarato martedì che le unità cecene avrebbero dovuto affrontare un combattimento nella DPR, aggiungendo che le truppe «si stanno preparando per un’azione d’assalto».
Il ministero russo ha anche affermato che l’Ucraina avrebbe perso 200 soldati nell’area di Donetsk, oltre a tre veicoli corazzati e 12 da trasporto, un pezzo di artiglieria e due sistemi di razzi a lancio multiplo.
Le forze russe hanno anche distrutto l’ultima nave da guerra della marina ucraina, la Yury Olefirenko, secondo la dichiarazione. La nave da sbarco dell’era sovietica è stata affondata da un attacco ad alta precisione nella città portuale di Odessa, ha affermato il ministero.
Dall’inizio delle ostilità nel Donbass nel 2014, innescate da un colpo di stato sostenuto dall’Occidente a Kiev, la città di Maryinka è diventata una città in prima linea che ospita forti fortificazioni ucraine. L’area è stata anche utilizzata dalle truppe di Kiev per bombardare ripetutamente i civili a Donetsk.
I ceceni erano stati l’oggetto di un insulto di Bergoglio, che aveva definito il loro popolo e quello dei buriati come «violenti». A seguito dell’indignazione scatenata in Russia (con Lavrov che parlò di «parole non cristiane»), il Vaticano – fatto rarissimo – aveva posto le sue scuse.
Immagine di Gennadiy Dubovoy via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported (CC BY 3.0)
Geopolitica
La Von der Leyen lancia un ultimatum alla Serbia

La Serbia non potrà entrare nell’UE senza un pieno allineamento alla politica estera del blocco, incluse tutte le sanzioni contro la Russia, ha dichiarato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
La Serbia, che ha richiesto l’adesione all’UE nel 2009 e ha ottenuto lo status di paese candidato nel 2012, è tra i pochi stati europei a non aver imposto restrizioni a Mosca. Belgrado ha sottolineato i suoi storici legami con la Russia e la dipendenza dalle sue forniture energetiche.
Mercoledì, durante una conferenza stampa a Belgrado accanto al presidente serbo Aleksandar Vucic, von der Leyen ha ribadito che la Serbia deve compiere «passi concreti» verso l’adesione e mostrare un «maggiore allineamento» con le posizioni dell’UE, incluse le sanzioni, evidenziando che l’attuale livello di conformità della Serbia alla politica estera dell’UE è del 61%, ma ha insistito che «serve fare di più», sottolineando il desiderio di Bruxelles di vedere Belgrado come un «partner affidabile».
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Vucic ha più volte dichiarato che la Serbia non imporrà sanzioni alla Russia, definendo la sua posizione «indipendente e sovrana». Tuttavia, il rifiuto di Belgrado ha attirato crescenti pressioni da parte di Bruxelles e Washington.
La settimana scorsa, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni alla Petroleum Industry of Serbia (NIS), parzialmente controllata dalla russa Gazprom Neft, spingendo la Croazia a interrompere le forniture di greggio. Vucic ha avvertito che tali misure potrebbero portare alla chiusura dell’unica raffineria petrolifera serba entro novembre, mettendo a rischio l’approvvigionamento di benzina e carburante per aerei.
Come riportato da Renovatio 21, proteste sempre più violente si susseguono nel Paese, che Belgrado attribuisce a influenze occidentali volte a destabilizzare il governo.
Le proteste hanno già portato alle dimissioni del primo ministro Milos Vucevic e all’arresto di diversi funzionari, tra cui un ex ministro del Commercio, con l’accusa di corruzione.
Il presidente Aleksandar Vucic ha affermato che i disordini sono stati fomentati dall’estero e ha denunciato quella che ha definito «violenza mascherata da attivismo»: «mancano pochi giorni prima che inizino a uccidere per le strade» aveva detto lo scorso agosto davanti all’ennesima ondata di proteste violente.
Come riportato da Renovatio 21, le grandi manifestazioni contro Vucic di marzo erano seguite la visita pubblica del figlio del presidente USA Don Trump jr. al premier di Belgrado.
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Come riportato da Renovatio 21, lo scorso mese il servizio di Intelligence estero russo (SVR) ha sostenuto che l’UE starebbe cercando di orchestrare un «Maidan serbo» per insediare un governo filo-Bruxelles. Belgrado nel dicembre 2023 produsse evidenti segni di «maidanizzazione» in corso. Già allora presidente serbo accusò le potenze occidentali di tentare di «ricattare» la Serbia affinché sostenga le sanzioni e di tentare di orchestrare una «rivoluzione colorata» – una sorta di Maidan belgradese –contro il suo governo a dicembre.
Vucic giorni fa ha accusato le potenze occidentali di aver cercato di orchestrare il suo rovesciamento. In un’intervista su Pink TV trasmessa lunedì, il presidente serbo aveva affermato che le «potenze straniere» hanno speso circa 3 miliardi di euro nell’ultimo decennio nel tentativo di estrometterlo dal potere.
Come riportato da Renovatio 21, il ministro degli Esteri Pietro Szijjarto ha dichiarato che l’Unione Europea sta tentando di rovesciare i governi di Ungheria, Slovacchia e Serbia perché danno priorità agli interessi nazionali rispetto all’allineamento con Bruxelles.
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Immagine di © European Union, 2025 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
Geopolitica
Pakistan e Afghanistan concordano il cessate il fuoco

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Geopolitica
Israele accusa Hamas di aver restituito il corpo sbagliato

Uno dei corpi restituiti martedì da Hamas non appartiene a nessuno degli ostaggi tenuti prigionieri dal gruppo armato palestinese a Gaza, hanno affermato le Forze di difesa israeliane (IDF).
Lunedì Hamas ha liberato gli ultimi 20 ostaggi israeliani ancora in vita in cambio del rilascio di quasi 2.000 prigionieri palestinesi, nell’ambito di un accordo mediato da Stati Uniti, Qatar, Egitto e Turchia. Martedì, il gruppo ha iniziato a consegnare i cadaveri dei prigionieri deceduti a Israele, restituendone sette in due lotti tramite la Croce Rossa.
Tuttavia, le IDF hanno dichiarato mercoledì in una dichiarazione su X che un esame presso l’istituto forense Abu Kabir ha rivelato che uno dei quattro corpi del secondo lotto «non appartiene a nessuno degli ostaggi». Si ritiene che i resti appartengano a un palestinese, hanno aggiunto.
🟡Following the completion of examinations at the National Institute of Forensic Medicine, the fourth body handed over to Israel by Hamas does not match any of the hostages.
Hamas is required to make all necessary efforts to return the deceased hostages.
— Israel Defense Forces (@IDF) October 15, 2025
Gli altri tre corpi sono stati confermati come appartenenti ai prigionieri. Sono stati identificati come il sergente maggiore Tamir Nimrodi, 18 anni, Uriel Baruch, 35 anni, ed Eitan Levy, 53 anni, si legge nel comunicato.
Il capo di stato maggiore delle IDF, tenente generale Eyal Zamir, ha dichiarato in precedenza che Israele «non avrà pace finché non restituiremo tutti [gli ostaggi]. Questo è il nostro dovere morale, nazionale ed ebraico». Hamas detiene ancora i corpi di 21 prigionieri deceduti.
Questa settimana, rifugiati palestinesi e combattenti di Hamas sono tornati a Gaza City e in altre aree dell’enclave, dopo il ritiro parziale delle forze dell’IDF, in linea con l’accordo. A Gaza sono stati segnalati scontri sporadici tra Hamas e fazioni rivali.
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Immagine di Chenspec via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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