Terrorismo
Strage in Kashmir, il vescovo di Srinagar: «attacco vile contro persone innocenti»

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Nell’assalto compiuto ieri da un gruppo terroristico pakistano sono morte 26 persone, perlopiù turisti e pellegrini indù. La regione è da tempo contesa tra India e Pakistan e segnata dalla violenza. Dopo aver revocato lo status speciale al Kashmir, il primo ministro indiano Narendra Modi negli ultimi anni ha promosso le visite turistiche e i viaggi religiosi.
Nel pomeriggio di ieri, 22 aprile, un attacco terroristico nella valle di Baisaran, a pochi chilometri da Pahalgam, nel sud del Kashmir amministrato dall’India, ha causato la morte di 26 persone, tra cui numerosi turisti. La responsabilità dell’attacco è stata rivendicata da The Resistance Front (TRF), una fazione legata al gruppo terroristico pakistano Lashkar-e-Taiba che si oppone al «cambiamento demografico» della regione favorito dalle autorità indiane.
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Baisaran, situata a circa tre chilometri dalla rinomata località turistica di Pahalgam, punto di partenza del pellegrinaggio indù Amarnath Yatra, è diventata negli ultimi anni una meta sempre più frequentata dai turisti indiani, attratti dagli idialliaci paesaggi naturali. L’Amarnath Yatra, per cui è possibile registrarsi da pochi giorni, è prevista nei mesi di luglio e agosto 2025. Secondo alcune fonti, l’obiettivo dell’attacco sarebbe stato proprio quello di seminare il panico tra turisti e pellegrini.
La tragedia di Pahalgam rappresenta l’attacco più sanguinoso contro civili nella regione del Kashmir dopo il massacro di Nadimarg del 2003, in cui persero la vita 24 persone. Negli ultimi anni, episodi contro i civili si sono verificati raramente: l’ultimo risale al giugno scorso, quando uomini armati attaccarono un autobus di pellegrini indù, uccidendo nove persone.
«La maggior parte dei turisti uccisi proveniva da diverse parti dell’India, tra cui Maharashtra, Karnataka, Haryana, UP, Gujarat, Tamil Nadu, Odisha, Emirati Arabi Uniti, Nepal e Kashmir. Si tratta di un attacco vile contro turisti innocenti e indifesi. Condanniamo questo attacco con la massima fermezza. Ed esprimiamo le nostre più sentite condoglianze ai familiari che hanno perso i loro cari e preghiamo per il riposo della loro anima. Che Dio conceda una pronta guarigione ai feriti», ha commentato ad AsiaNews Mons. Ivan Pereira, vescovo di Jammu-Srinagar.
Anche i vescovi indiani hanno condannato l’attacco: «la Conferenza episcopale cattolica dell’’India è scioccata e indignata per il vile attacco terroristico contro i turisti a Pahalgam, che ha causato la perdita di vite preziose e il ferimento di molti», si legge in un comunicato stampa rilasciato ieri. «Questo atto brutale è un grave affronto alla dignità e ai valori umani. Chiediamo che i responsabili di questa atrocità siano assicurati alla giustizia. Facciamo appello a tutti coloro che sono coinvolti nella violenza affinché depongano le armi e abbraccino la via della pace. La violenza non fa altro che generare altra violenza, ed è giunto il momento di scegliere la via dell’amore, della compassione e della comprensione».
La regione del Kashmir, a maggioranza musulmana, è contesa tra India e Pakistan sin dall’indipendenza dell’India dal colonialismo britannico nel 1947. A partire dagli anni ’90, una violenta insurrezione separatista armata contro il dominio indiano ha causato decine di migliaia di morti, coinvolgendo civili e forze di sicurezza. L’India accusa il vicino Pakistan di sostenere e finanziare i ribelli nel tentativo di annettere la regione, accusa che Islamabad respinge, affermando che le rivolte riflettono il desiderio della popolazione locale di unirsi al Pakistan o ottenere l’indipendenza.
Nel 2019, il Primo Ministro indiano Narendra Modi ha revocato lo status speciale del Kashmir, dividendo lo Stato in due territori amministrati dal governo centrale: il Jammu e Kashmir, e il Ladakh. Da allora, il governo di Delhi ha esercitato una dura repressione militare, nel contesto della quale si sono moltiplicati gli attacchi terroristici, ai quali l’India ha risposto con misure di ritorsione.
Dopo l’attacco di Pulwama nel febbraio 2019, in cui un convoglio della polizia (CRPF) fu colpito causando 40 morti, le forze armate indiane hanno oltrepassato la Linea di controllo nel Kashmir pakistano, distruggendo basi terroristiche.
Il primo ministro indiano Narendra Modi, che si trovava in visita in Arabia Saudita, è tornato oggi a New Delhi, e anche la ministra delle Finanze, Nirmala Sitharaman, ha terminato in anticipo il proprio viaggio negli Stati Uniti e in Perù «per stare accanto al nostro popolo in questo momento difficile e tragico», ha affermato. Diversi partiti politici del Kashmir hanno chiesto di indire uno sciopero in risposta all’attentato. Anche molte scuole hanno sospeso le lezioni oggi.
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Negli ultimi anni, il governo Modi ha cercato di ridefinire l’immagine del Kashmir, da area ad alto rischio a destinazione turistica emergente, dichiarandone lo stato di «normalità».
In questa ottica, nel 2023 l’India ha ospitato a Srinagar, capitale del territorio amministrato da Nuova Delhi, un incontro del G20, volto a valorizzare il patrimonio culturale della regione e promuoverne l’attrattiva turistica.
Tuttavia, anche Fernand de Varennes, relatore speciale delle Nazioni unite per le minoranze, aveva criticato l’iniziativa, affermando che il G20 stava «inconsapevolmente fornendo una parvenza di sostegno a una facciata di normalità», mentre in realtà aumentavano le violazioni dei diritti umani, le persecuzioni politiche e gli arresti arbitrari nella regione.
Come suggerito da de Varennes, la strage di Pahalgam dimostra che la normalizzazione del Kashmir è ancora lontana dall’essere raggiunta.
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Terrorismo
Gli USA designano le bande haitiane come organizzazioni terroristiche

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Geopolitica
Il Messico rifiuta l’offerta di Trump di inviare truppe USA al confine contro i narcocartelli

La presidente messicana Claudia Sheinbaum ha respinto l’offerta del presidente statunitense Donald Trump di inviare truppe per combattere i cartelli della droga. Ha insistito sul fatto che, sebbene il Messico sia aperto alla cooperazione, non accetterà mai la «subordinazione» a Washington.
I commenti della Sheinbaum sono arrivati dopo che un articolo del Wall Street Journal di sabato affermava che Trump l’aveva pressata affinché consentisse le operazioni militari statunitensi in Messico.
L’articolo si concentrava su una telefonata di metà aprile in cui Trump avrebbe insistito affinché le truppe fossero schierate per combattere i cartelli del contrabbando di fentanyl. Secondo alcune fonti, Sheinbaum avrebbe respinto l’idea, scatenando un acceso dibattito.
Intervenendo all’inaugurazione di un’università sabato, Sheinbaum ha confermato quanto riferito e ha delineato la sua posizione.
«È vero… ha detto: “propongo che l’esercito americano intervenga per dare una mano”. E sa cosa gli ho risposto? No, Presidente Trump, il nostro territorio è inalienabile, la nostra sovranità è inalienabile, la nostra sovranità non è in vendita!», ha detto, aggiungendo che se Trump vuole dare il suo contributo, dovrebbe concentrarsi sull’interruzione del flusso di armi dagli Stati Uniti al Messico.
In una dichiarazione rilasciata sabato dalla Casa Bianca si afferma che Sheinbaum e Trump hanno lavorato a stretto contatto «per realizzare il confine sud-occidentale più sicuro della storia», ma non si è parlato della presunta offerta di truppe.
«Il presidente è stato chiarissimo sul fatto che il Messico deve fare di più per combattere queste bande e questi cartelli, e gli Stati Uniti sono pronti a fornire assistenza e ad ampliare la già stretta cooperazione tra i nostri due Paesi», si legge nella dichiarazione.
Trump accusa da tempo il Messico di non essere riuscito a impedire ai cartelli della droga di contrabbandare fentanyl negli Stati Uniti. Durante la campagna presidenziale dello scorso anno, si è impegnato a reprimere l’immigrazione clandestina e il traffico di droga. In seguito ha affermato che il Messico è «essenzialmente gestito dai cartelli» e ha suggerito che gli Stati Uniti dovrebbero «muovere guerra» contro di loro.
Come riportato da Renovatio 21, mesi fa si era diffusa la voce secondo cui Trump voleva «scatenare» le forze speciali americane contro i narcocartelli messicani, responsabili in parte della continua strage degli oppioidi che uccide più di 100 mila cittadini statunitensi all’anno. Trump aveva quindi mantenuto la promessa di designare i cartelli come entità terroriste.
Per esercitare pressione sul Paese, Trump ha imposto dazi del 25% su tutte le importazioni messicane. Successivamente, i dazi sono stati sospesi per i beni coperti dall’accordo tra Stati Uniti, Messico e Canada, tra cui cibo, dispositivi medici, abbigliamento, prodotti chimici e macchinari. Rimane in vigore un dazio separato del 25% sulle importazioni di automobili messicane. Oltre ai dazi, gli Stati Uniti hanno sanzionato i membri e gli affiliati del cartello.
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A febbraio, la Sheinbaum aveva accettato di schierare 10.000 soldati per contrastare il contrabbando di fentanyl e contribuire a contenere gli attraversamenti illegali delle frontiere. Nello stesso mese, il Messico ha estradato negli Stati Uniti 29 sospettati di appartenere al cartello.
La presidente, nominata incontinuità con il predecessore Lopez-Obrador, è una scienziata del clima ebrea, in passato accusata di aver demolito una chiesa. Particolare attenzione ha destato la cerimonia pagana per l’entrata in carica a Città del Messico.
Come riportato da Renovatio 21, il caos messicano è tale che il sindaco della città di Tijuana, proprio sotto il confine americano, l’anno passato ha dovuto rifugiarsi in una base militare. Pochi giorni fa un allarme sulla sicurezza del Paese era stato lanciato anche dal vescovo di San Cristobal de Las Casas, monsignor Rodrigo Aguilar.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Terrorismo
Trump: «Molte persone sanno» chi ha fatto saltare in aria il Nord Stream

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