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Politica

Steve Bannon riceve una benedizione da un sacerdote FSSPX prima di entrare in galera

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Un sacerdote cattolico tradizionalista, padre Kevin Robinson della Fraternità San Pio X, è apparso a un comizio per l’ex consigliere di Trump Steve Bannon per impartire una benedizione, pochi istanti prima che l’uomo si consegnasse alle autorità per iniziare a scontare la sua condanna al carcere per essersi rifiutato di conformarsi alla corrotta Commissione Parlamentare riguardo i moti del Campidoglio del 6 gennaio 2021.

 

Bannon si trovava a Danbury, Connecticut, lunedì mattina, per essere poi portato in una prigione federale lì vicino per scontare una pena di quattro mesi per aver sfidato un ordine di comparizione del Congresso nel 2022.

 

Il Bannon aveva tentato più volte di appellarsi alla sentenza in precedenza, invocando il «privilegio presidenziale», ossia l’uso di considerare i rapporti tra il presidente e i loro consiglieri come secretati. Lo stratega della vittoria di Trump nel 2016 era stato quindi trovato «in contempt of Congress», ovvero «in mancanza di ossequio nei confronti del Congresso», e quindi condannato.

 

Vale la pena di ricordare che in altri casi, come in quello dell’ex segretario di Giustizia di Obama Eric Holder – controversa figura appartenente al Partito Democratico – tale «reato» non era mai stato perseguito e men che meno punito.

 

Come riportato da Renovatio 21, con i collaboratori di Trump – nei confronti dei quali le agenzie federali come l’FBI hanno eseguito diecine di raid – le cose vanno molto diversamente: l’ex vice-assistente del presidente Trump Peter Navarro (noto peraltro per le sue posizioni economiche contrarie alla Cina Popolare) sta già scontando in carcere una pena di quattro mesi, la stessa inflitta al Bannon.

 


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Bannon ha iniziato la conferenza stampa dichiarando di essere un «prigioniero politico» di Nancy Pelosi, del procuratore generale Merrick Garland e di Joe Biden, che ha accusato di aver mentito sul COVID e sulle elezioni del 2020. Ha anche osservato di non avere «alcun rimpianto» per essersi rifiutato di testimoniare davanti al comitato del 6 gennaio «completamente illegittimo».

 

Padre Robinson è stato presentato a Bannon dopo che questi ha pronunciato il suo discorso di apertura dalla deputata repubblicana Marjorie Taylor-Green, ex cattolica. Bannon, che è cattolico, ha chiesto a Robinson di «dire qualche parola», al che Robinson ha risposto, «Non sono autorizzato a parlare con i media», ma ha aggiunto «Sono d’accordo con le tue posizioni e pregherò per te. Sono nella casa di ritiro di Sant’Ignazio a 15 minuti di distanza. Ti farò avere tutto ciò di cui hai bisogno».

 

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La Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX) gestisce un centro di ritiro di 13 acri nella vicina Ridgefield, Connecticut. Originariamente sede del secondo seminario della Società negli Stati Uniti (il primo ad Armada, Michigan), l’ampio spazio ora ospita ritiri ignaziani di cinque giorni secondo i metodi tradizionali di Sant’Ignazio di Loyola. C’è anche una scuola in loco.

 

Padre Steven Webber, che serve una cappella della messa latina a Philadelphia, è tra gli otto sacerdoti che vivono nella residenza con Robinson, che supervisiona la cappella di Sant’Antonio da Padova a North Caldwell, New Jersey.

 

Bannon ha risposto a Don Robinson dicendo: «Padre, non pregare per me, prega per i nostri nemici. Sono loro che avranno bisogno delle preghiere!». Il sacerdote ha quindi il gruppo nella preghiera di San Michele, riporta LifeSite.

 

Bannon ha continuato a rispondere alle domande dei media, dichiarando che il «movimento MAGA» non andrà da nessuna parte e che altri si faranno avanti per prendere il suo posto. Ha descritto Biden come un «cadavere» e ha detto che la sua recente performance nel dibattito ha ulteriormente messo in luce la sua incompetenza.

 

In un’intervista di pochi giorni con Tucker Carlson il mese scorso, Bannon ha detto che ha intenzione di fare gli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola per aiutarlo a superare il periodo di lontananza. La struttura in cui è stato mandato ospita principalmente criminali dei colletti bianchi.

 

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Al termine del comizio, durato poco meno di 30 minuti, Robinson ha detto a Bannon che voleva impartirgli una benedizione, e Bannon ha chinato il capo in segno di assenso.

 

«Et Benedictio Deo Omnipotentis, Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Descendant super vos et maneat semper», ha proferito padre Robinson in latino: «e possa la benedizione di Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo, scendere su di voi e rimanere con voi per sempre». Il prete ha concluso dicendo: «sono al suo servizio, in qualsiasi momento. Mi chiami».

 

Robinson è australiano ma ha la doppia cittadinanza statunitense. Non è estraneo ai riflettori del pubblico. Durante il COVID, ha avvertito il suo gregge di stare lontano dal vaccino contaminato dall’aborto e ha scritto lettere di esenzione e si è unito alle proteste contro le politiche restrittive. Ha anche eseguito un esorcismo fuori dal palazzo del Campidoglio dello stato del Connecticut.

 

Nel 2020, Robinson ha intentato una causa contro lo stato del New Jersey per le sue politiche draconiane che chiudevano le chiese, decreti che lui si è rifiutato di accettare. È apparso due volte quell’anno nel programma Fox News di Tucker Carlson per discutere dei suoi sforzi.

 

 

Per una succulenta coincidenza, la pena detentiva di Bannon termina venerdì 1 novembre. Le elezioni del 2024 si terranno martedì 5 novembre: in pratica uno dei principali architetti della vittoria di Trump nel 2016 è stato tagliato fuori dagli ultimi mesi di questa campagna elettorale.

 

La popolare giornalista TV Megyn Kelly, che si era scontrata duramente con Bannon nel 2016 accusandolo di aizzare le truppe MAGA contro di lei e la sua famiglia, ha avuto ospite Bannon in un suo recente programma, seppellendo l’ascia e addirittura dicendogli che ha capito non solo di essere d’accordo con quello che diceva riguardo lo stato della politica USA ma pure di essere finita col comprendere e approvare i suoi metodi.

 

 

Pochi giorni prima, la Kelly aveva dichiarato, presente in trasmissione il principe del foro USA Alan Dershowitz, che era giunto il momento di rispondere ai Democratici con la loro stessa medicina, e iniziare, una volta tornato Trump alla Casa Bianca, una campagna di indagini su tutti i papaveri democratici dietro a quella che chiamano lawafare, ossia «guerra giudiziaria», una situazione che in realtà in Italia, dopo il ventennio di tentativi legali e mediatici di abbattere Silvio Berlusconi, comprendiamo bene. La Kelly terminava il discorso dicendo che c’era bisogno di qualcuno che sapesse giocare sporco per portare a casa un’operazione del genere: «riportate in pista Steve Bannon» aveva detto, a poche ore da quando la condanna dell’uomo sarebbe stata confermata.

 

Bannon ha dichiarato a Carlson, e in altre occasioni, che una delle messe tradizionaliste della Virginia dove l’FBI, secondo quanto trapelato e confermato, voleva iniziare la sua operazione di controllo infiltrazione delle Messe in Latino alla cerca di «terroristi domestici» era stata messa in piedi dai suoi genitori negli anni Settanta, raccontando che il padre e la madre andarono in un vicino monastero per trovare un religioso che potesse ancora celebrare in rito antico.

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Politica

Costantinopoli, per il sindaco (incarcerato) Imamoglu anche l’accusa di spionaggio

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Dalla cella il leader dell’opposizione definisce il nuovo procedimento è un «complotto» per estrometterlo dalla scena politica. Per analisti e oppositori è un tentativo di governo e AKP – sconfitti alle urne – di assumere il controllo della metropoli. I due volti della Turchia di Erdogan: repressione e carcere per gli oppositori e critici sul fronte interno, mediatore per la pace a Gaza (e in Siria).   Dopo le imputazioni per corruzione e legami con organizzazioni terroristiche, per il sindaco di Istanbul e leader dell’opposizione Ekrem Imamoglu – in carcere dal marzo scorso ma pur sempre il principale rivale del presidente Recep Tayyip Erdogan – arriva anche quella di «spionaggio politico».   Un tribunale turco ha emanato un ordine di arresto – emettere un mandato per una persona già in cella è una pratica tutt’altro che inusuale per il Paese – per il primo cittadino della capitale economica e commerciale, segnando un’ulteriore escalation in un’ottica di repressione. Per critici e cittadini scesi in piazza anche oggi a manifestare sfidando i divieti, il nuovo procedimento è un segnale della «politicizzazione» dei tribunali e l’uso ad orologeria della giustizia, accuse respinte dal governo di Ankara che rivendica l’indipendenza dei giudici.   Il sindaco è apparso ieri in tarda mattinata davanti ai giudici del tribunale di Caglayan, per rispondere dei nuovi capi di imputazione a suo carico in un crescendo di attacchi e incriminazioni, mentre all’esterno un migliaio di sostenitori si sono riuniti per manifestare. Dopo diverse ore l’entourage di Imamoglu ha diffuso una nota, ripresa dalla stampa turca, in cui egli respinge le accuse: «non ho assolutamente alcuna conoscenza o connessione con le agenzie di intelligence o i loro dipendenti» bollandole come «assurde» e collegate a una «complotto» per estrometterlo dalla scena politica.   «Sarebbe più realistico dire» ha concluso «che ho incendiato Roma».

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All’esterno del tribunale, il leader del Partito popolare repubblicano (CHP) Ozgul Ozel ha parlato a una folla di sostenitori e simpatizzanti riunita per protestare contro il nuovo procedimento a carico del sindaco, sorvegliati a vista da poliziotti in tenuta antisommossa. «Lo hanno chiamato ladro, non ha funzionato; lo hanno chiamato corrotto, non ha funzionato; lo hanno accusato di sostenere il terrorismo, non ha funzionato» ha detto di Imamoglu il presidente del CHP. «Ora, come ultima risorsa, hanno cercato di chiamarlo spia. Vergogna su di loro!» ha gridato Ozel, anch’egli finito nel mirino della magistratura.   Il 24 ottobre scorso, infatti, il tribunale ha respinto il processo intentato dal governo a carico del principale partito di opposizione (il Partito Popolare Repubblicano, CHP), che mirava all’annullamento del congresso 2023 e all’elezione del suo leader. Una decisione che sembrava aver allentato la morsa voluta dal presidente Recep Tayyip Erdogan contro il principale schieramento rivale, con decine di sindaci e alte personalità del partito finite sotto processo o già condannate.   Per la Corte le (presunte) irregolarità non hanno alcuna rilevanza giuridica. In realtà, a distanza di pochi giorni è giunta la notizia delle nuove accuse contro Imamoglu in un quadro di continua repressione.   Analisti ed esperti sottolineano che il nuovo attacco al primo cittadino sia un tentativo del governo e del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) – sconfitto alle urne – di assumere il controllo di Istanbul, una metropoli dall’importanza strategica. Imamoglu parla di «calunnie, bugie e cospirazioni», ma resta il fatto che le accuse potrebbero consentire al governatore nominato dallo Stato di assumere per via giudiziale la guida della città. Secondo l’analista di GlobalSource Partners Atilla Yesilada il ministero turco degli Interni ha infatti l’autorità di licenziare Imamoglu e sostituirlo con un fiduciario, assestando un colpo durissimo al partito di opposizione.   Del resto già nel settembre scorso, e nel silenzio internazionale, la magistratura – col benestare del governo – ha di fatto azzerato – e commissariato – i capi del Partito Popolare Repubblicano (CHP), principale movimento di opposizione del Paese, a Istanbul.   Inoltre si sono registrati diversi arresti fra quanti sono scesi in piazza a dimostrare, oltre al blocco di internet e il divieto di manifestazioni nel tentativo di «oscurare» dissenso e malcontento fra la popolazione contraria alla deriva autoritaria impressa dal presidente Recep Tayyip Erdogan. Il giro di vite è parte di una più ampia campagna che si è intensificata dopo le schiaccianti vittorie dell’opposizione nelle elezioni locali del marzo 2024.

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Dall’ottobre dello scorso anno i pubblici ministeri e la polizia hanno condotto indagini su corruzione e terrorismo che hanno portato a centinaia di arresti, tra cui quello, avvenuto a marzo, del sindaco di Istanbul, la personalità più importante finita in cella. Decine di sindaci e amministratori CHP sono stati incarcerati in attesa di processo, con ripercussioni anche economiche per turbolenze sui mercati e preoccupazione di investitori stranieri, mentre il partito ha trasferito la sede provinciale a Istanbul per sfuggire alla morsa della magistratura.   Se, sul fronte interno, il governo di Ankara e il presidente Erdogan alimentano la repressione contro oppositori e critici, a livello internazionale cercano di capitalizzare il ruolo di attore regionale sul fronte mediorientale e un ruolo nella tregua a Gaza e sulla nascitura forza di stabilizzazione. Un tentativo di rafforzare la propria immagine, ben rappresentato dalla foto a Sharm el-Sheikh in cui Erdogan si ergeva in prima fila accanto al padrone di casa Abdel Fattah al-Sisi e al presidente USA Donald Trump, artefice del piano di pace per la Striscia.   Anche in queste ore Erdogan ha insistito per garantire ad Ankara un ruolo nella risoluzione dei vari scenari di crisi dalla Siria all’Ucraina fino alla Striscia. «Ora vi è una Turchia nella regione e nel mondo» ha affermato il presidente «che è rinomata per la sua promessa di esportare pace e stabilità» in quanto «potenza globale» in una prospettiva di «pace, armonia e stabilità».   Un tentativo di leadership, quello turco, che parla di pace ma non disdegna di mostrare i muscoli: è attesa la visita in Turchia del premier Keir Starmer per discutere della vendita, attualmente in sospeso, di 40 jet Eurofighter Typhoon, che secondo le intenzioni di Erdogan dovrebbero rafforzare la pattuglia dei caccia assieme agli F-16 ed F-35 USA.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Politica

La nuova presidente irlandese è NATO-scettica e contraria alla militarizzazione dell’UE

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Catherine Connolly, candidata indipendente e storica sostenitrice della neutralità militare irlandese, nota per le sue critiche all’espansione della NATO e alla militarizzazione dell’UE, ha trionfato nelle elezioni presidenziali irlandesi con una vittoria schiacciante.

 

Mentre lo spoglio dei voti era ancora in corso, la principale avversaria, Heather Humphreys, ha riconosciuto la sconfitta, vedendosi superata con un ampio margine. I risultati preliminari indicavano Connolly al 63% dei voti contro il 29% di Humphreys. «Catherine sarà una presidente per tutti e sarà anche la mia presidente», ha dichiarato Humphreys ai media.

 

Il primo ministro irlandese Micheal Martin ha formalmente congratulato Connolly, definendo la sua vittoria «molto netta».

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Pur essendo indipendente, Connolly, 68 anni ed ex sindaco di Galway, ha ricevuto il sostegno dei principali partiti di sinistra, tra cui Sinn Féin e Labour. Il suo successo è stato attribuito in gran parte alla capacità di attrarre il voto dei giovani, grazie a un’efficace campagna sui social media e a una forte risonanza in un contesto di crescente malcontento per la crisi abitativa e il costo della vita in Irlanda.

 

Durante la campagna, Connolly ha ribadito l’importanza della neutralità irlandese, criticando l’UE per il suo orientamento verso la militarizzazione a discapito del welfare. Pur esprimendo critiche alla Russia per il conflitto ucraino, ha sostenuto che il ruolo «bellicoso» della NATO abbia contribuito alla crisi.

 

Il mese scorso, durante un dibattito all’University College di Dublino, Connolly ha paragonato l’attuale impegno della Germania nel rilanciare la propria economia attraverso il «complesso militare-industriale» al riarmo degli anni Trenta sotto il nazismo, affermando: «Vedo alcuni parallelismi con gli anni Trenta».

 

Sebbene il ruolo del presidente in Irlanda, una democrazia parlamentare, sia principalmente simbolico, esso comporta poteri significativi, come la possibilità di deferire leggi alla Corte Suprema per verificarne la costituzionalità e di sciogliere la Camera Bassa del Parlamento, convocando nuove elezioni in caso di perdita della fiducia da parte di un primo ministro.

 

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Politica

Il presidente romeno fischiato per il sostegno all’Ucraina

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Il presidente rumeno Nicusor Dan è stato contestato per il suo sostegno all’Ucraina durante un evento commemorativo tenutosi venerdì.   Decine di manifestanti hanno espresso il loro dissenso quando Dan è giunto al Teatro Nazionale di Iasi per partecipare a una celebrazione storica, come riportato dall’emittente locale Digi24.   Un video mostra Dan scendere dall’auto e salutare i manifestanti, che gridavano «Vergogna!» e «Vai in Ucraina!».  

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Secondo il quanto riportato, le proteste sono continuate anche dopo l’evento, al momento dell’uscita del presidente dal teatro.   Come riportato da Renovatio 21i, Dan, politico favorevole all’UE, è salito al potere quest’anno dopo una controversa ripetizione delle elezioni, in seguito all’annullamento della vittoria iniziale del candidato conservatore Calin Georgescu, critico esplicito della NATO e delle forniture di armi occidentali all’Ucraina. Georgescu è stato successivamente escluso dalla competizione elettorale e affronta accuse di aver pianificato un colpo di Stato, tanto da essere arrestato.   Georgescu, che ha sempre avuto il favore di migliaia e migliaia di manifestanti pronti a scendere in piazza, ha definito la UE «una dittatura». Di contro, Bruxelles ha rifiutato di commentare l’esclusione del candidato dalle elezioni rumene. A inizio anno Georgescu aveva chiesto aiuto al presidente americano Donaldo Trump.   Georgescu aveva definito Zelens’kyj come un «semi-dittatore», accusando quindi la NATO di voler utilizzare la Romania come «porta della guerra».   Il CEO di Telegram Pavel Durov aveva parlato di pressioni su di lui da parte della Francia per influenzare le elezioni presidenziali in Romania.   Il Dan ha ribadito il suo impegno a sostenere l’Ucraina. La Romania ha già destinato 487 milioni di euro a Kiev, principalmente in aiuti militari, dall’intensificarsi del conflitto nel 2022, secondo i dati del Kiel Institute tedesco.  

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