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Cina

Spionaggio e segreti militari: la guerra sui visti agli studenti fra Pechino e Occidente

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Il conflitto geopolitico fra Stati Uniti e Cina ha causato pesanti contraccolpi sulla ricerca accademica. Il numero di studenti cinesi iscritti negli atenei USA in declino per il quarto anno consecutivo. Molti progetti nel campo dell’intelligenza artificiale e dell’informatica quantistica sono a doppio uso e possono essere applicati in ambito militare.

 

Stati Uniti, Canada e alcune nazioni europee hanno rafforzato i controlli in materia di sicurezza agli ingressi di studenti cinesi sul proprio territorio, per prevenire le crescenti minacce legate ad attività di spionaggio per conto di Pechino.

 

Di recente decine di alunni di college e università si sono visti negare il permesso di studio, e il relativo accesso sul suolo americano, ai varchi negli aeroporti per poi essere successivamente rimpatriati in Cina, per sospetti legami con l’apparato militare del dragone. Intanto il numero di studenti cinesi iscritti negli atenei statunitensi è in declino per il quarto anno consecutivo secondo le statistiche ufficiali, a conferma di una situazione di tensione nemmeno troppo latente.

 

Il conflitto geopolitico fra Stati Uniti e Cina ha avuto pesanti contraccolpi sulla ricerca accademica. Il 28 gennaio scorso l’ambasciatore di Pechino negli Usa Xie Feng ha confermato nel discorso in occasione delle celebrazioni per il Nuovo anno lunare che, negli ultimi tempi, molti studenti cinesi sono stati sottoposti a interrogatorio alla dogana aeroportuale, e di questi alcuni sono stati respinti.

 

I visti degli studenti sono stati annullati e gli interessati dal provvedimento rimpatriati in Cina. Xie ha anche ricordato il caso della Florida, dove i vertici del governo locale hanno approvato una nuova legge che vieta agli studenti cinesi di lavorare per laboratori universitari che ricevono finanziamenti pubblici.

 

Il diplomatico ha incolpato gli Stati Uniti di aver politicizzato lo scambio educativo, bloccando di fatto il percorso di studi dei giovani e stravolgendo i loro piani scolastici e di vita. A questo aggiunge la “barriera all’ingresso di cervelli” che si è venuta a creare nel Paese.

 

La nuova legge adottata in Florida volta a impedire programmi di ricerca congiunti con sette Paesi – tra cui Cina, Russia e Iran – in università finanziate da fondi pubblici ha creato confusione tra i candidati cinesi e ha attirato alcune critiche all’interno di alcuni atenei dello Stato. La Cina, infatti, è il principale Paese di origine degli studenti internazionali dell’Università della Florida. Nel 2020, vi erano più di mille cinesi nei corsi post-laurea e dottorato. Sebbene la legge non vieti ai giovani cinesi che si auto-finanziano gli studi di iscriversi alle università pubbliche, le norme finiscono per riguardare molte posizioni all’interno di programmi di studio per le posizioni di assistente all’insegnamento o alla ricerca.

 

Gli Stati Uniti hanno rafforzato i controlli in materia di sicurezza per studenti cinesi nelle aree cosiddette Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), per far fronte alle crescenti minacce di spionaggio di Pechino. Il visto di alcuni di essi è stato annullato per aver nascosto il loro passato nella sfera militare o la loro esperienza in istituzioni affiliate all’esercito.

 

Questa settimana, diversi media ufficiali cinesi hanno riferito che uno studente di dottorato cinese è stato interrogato per ore dal controllo di frontiera all’aeroporto e gli è stato chiesto se i suoi familiari fossero membri del Partito comunista cinese. Il personale ha anche controllato i suoi dispositivi elettronici, tra cui il telefono cellulare e il computer portatile, e ha respinto la domanda di ingresso.

 

I media ufficiali cinesi hanno sottolineato di recente la retorica discriminatoria degli Stati Uniti. Il ministero cinese degli Esteri ha anche accusato Washington di aver respinto o limitato le richieste di visto a studenti con la scusa della sicurezza nazionale. In realtà, il loro numero in territorio americano è in calo da quattro anni consecutivi.

 

Secondo il rapporto Open Doors 2023 pubblicato dall’Institute of International Education, il totale è sceso da 372.500 nell’anno accademico 2019/20 a 289.500 nell’anno accademico 2022/23, mentre gli studenti provenienti dall’India sono aumentati rapidamente in questi anni.

 

Inoltre, la politica di immigrazione più rigida nei Paesi occidentali e il mercato del lavoro debole in Cina stanno scoraggiando gli studenti intenzionati a recarsi all’estero, anche perché le stesse aziende cinesi sembrano oggi prediligere sempre meno candidati con esperienze di studio al di fuori dei confini nazionali. Anche la percentuale di studenti delle migliori università cinesi che scelgono di studiare all’estero è in calo e un numero maggiore preferisce posizioni stabili nel governo o in aziende statali.

 

Di recente il Canada ha seguito i passi degli Stati Uniti limitando l’accesso alle università con background militare. A gennaio Ottawa ha pubblicato un elenco di 11 tecnologie sensibili, tra cui la sicurezza di internet, le armi avanzate e l’informatica quantistica, nonché una lista di 103 istituti di ricerca stranieri che potrebbero rappresentare una minaccia per la sicurezza nazionale. Di questi, ben 85 si trovano in Cina. Il Canada non finanzierà più i progetti di ricerca che coinvolgono le istituzioni straniere elencate, decisione che non ha mancato di suscitare il malcontento di Pechino.

 

Al contempo, sempre più Paesi europei sono consapevoli delle minacce militari cinesi nella ricerca accademica e nello spionaggio. Il sito web investigativo tedesco CorrectIv ha scoperto che studiosi cinesi con background militare hanno partecipato a circa 3mila progetti con università europee. E di questi una buona parte era indirizzata verso l’Università nazionale cinese di tecnologia di difesa, il principale istituto di ricerca militare.

 

Molti progetti nel campo dell’Intelligenza Artificiale e dell’informatica quantistica sono a doppio uso e possono essere applicati anche in ambito militare. Le autorità europee stanno valutando i rischi e alcune università hanno rifiutato di accogliere dottorandi cinesi in progetti sensibili.

 

Il rischio di minacce non tradizionali è in aumento e alcuni studenti cinesi diventano più aggressivi nei confronti di opinioni diverse. Dallo scoppio delle proteste pro-democrazia a Hong Kong nel 2019, molti casi hanno dimostrato che studenti cinesi filogovernativi hanno partecipato a minacce contro attivisti pro-democrazia in molti Paesi.

 

L’ultimo episodio è avvenuto negli Stati Uniti, dove lo studente cinese Wu Xiaolei, del Berklee College of Music, è stato condannato da un tribunale di Boston per stalking e minacce nei confronti di una studentessa cinese. Alla fine del 2022, la giovane aveva affisso dei volantini in risposta alla serie di proteste contro i lockdown per il COVID-19 in Cina. Wu ha minacciato di tagliarle le mani e di informare le autorità di sicurezza cinesi.

 

Pechino non si è ancora pronunciata sul caso di Wu, ma gli analisti ritengono che possa sfruttare il sentimento patriottico per reprimere il dissenso all’estero.

 

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Cina

La Cina accusa: la NATO trae profitto dal conflitto in Ucraina

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I Paesi della NATO stanno traendo profitto dal conflitto in Ucraina, ha dichiarato giovedì ai giornalisti il ​​portavoce del ministero della Difesa cinese Zhang Xiaogang.   A Zhang è stato chiesto di commentare la dichiarazione adottata all’inizio di questo mese in un summit della NATO a Washington, che ha etichettato Pechino come «un decisivo facilitatore della guerra della Russia contro l’Ucraina», liquidando il documento come «pieno di bugie e pregiudizi».   «Gli alleati della NATO guidati dagli USA continuano ad alimentare il fuoco e a trarre profitto dalla guerra. La NATO deve riflettere su se stessa, invece di scaricare la colpa sulla Cina», ha detto il Zhang, che ha continuato accusando il blocco atlantico di istigare conflitti in tutto il mondo.   «Dall’Ucraina all’Afghanistan, dall’Iraq alla Libia, ha portato guerra e disastri in queste regioni e nei loro popoli», ha affermato il Zhango, ribadendo che Pechino «promuove attivamente i colloqui di pace» tra Mosca e Kiev.

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Pechino ha ripetutamente respinto le accuse secondo cui sta aiutando Mosca a eludere le sanzioni e sta aiutando l’industria della difesa russa. Nel febbraio 2023, la Cina ha proposto una tabella di marcia in 12 punti per la pace e da allora ha compiuto sforzi per mediare il conflitto durante i successivi incontri con funzionari russi e ucraini.   La Russia ha citato la continua espansione della NATO verso est e la sua cooperazione militare con Kiev come una delle cause profonde del conflitto. Il presidente russo Vladimir Putin ha sottolineato che l’Ucraina deve diventare un paese neutrale e abbandonare il suo piano di entrare nella NATO affinché qualsiasi potenziale negoziato di pace abbia successo.   Il Cremlino ha anche affermato che «inondare» l’Ucraina di armi occidentali porterà solo a un’ulteriore escalation, ma alla fine non fermerà l’esercito russo.   Già poche settimane fa il portavoce del Ministero degli Esteri cinese Lin Jian aveva ribadito che NATO è una minaccia per la pace e la stabilità globali a causa della sua «radicata mentalità da Guerra Fredda e dei suoi pregiudizi ideologici», affermando che la NATO è un «prodotto della Guerra Fredda e la più grande alleanza militare del mondo».   Nonostante sostenga  di essere un’organizzazione regionale e difensiva, il blocco ha continuato a «espandere il suo potere oltre i confini, sfondare le zone di difesa e provocare scontri», aveva quindi aggiunto il Lin in un incontro con la stampa.   Come riportato da Renovatio 21, la NATO per bocca del suo segretario Jens Stoltenberg aveva dichiarato la Cina come il futuro nemico principale dell’Alleanza Atlantica in quanto minaccia alla sua sicurezza e ai suoi valori, qualsiasi cosa queste parole significhino.   La Cina ha ricambiato attaccando apertis verbis la NATO come fonte delle tensioni in Kosovo e mostrando insofferenza per l’inclusione di Giappone e Corea del Sud nella Difesa Cibernetica NATO.   Come riportato da Renovatio 21, la Cina di recente ha attaccato anche il G7, trasformato, secondo il portavoce degli Esteri cinesi Lin, in uno strumento dell’egemonia globale USA.

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Cina

Pechino dà più autonomia fiscale agli enti locali in piena crisi finanziaria

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Tra le decisioni adottate del terzo Plenum del Partito tenutosi nei giorni scorsi, il via libera a una «maggiore capacità fiscale autonoma» per far fronte al pesante squilibrio tra entrate e uscite. Su prefetture e contee gravano debiti ingenti che l’esplosione della bolla immobiliare in Cina ha reso ancora più insostenibili. Intanto la Banca centrale ha ritoccato nuovamente al ribasso i tassi per stimolare la crescita al di sotto delle attese.

 

Di fronte all’ammontare del debito delle amministrazioni locali in Cina – che secondi i dati ufficiali (da molti analisti indipendenti ritenuti addirittura sottostimati) ammonta a ben 5.600 miliardi dollari – il Partito Comunista Cinese intende dare più poteri ai governi locali nell’imposizione e nella gestione delle entrate fiscali.

 

È la decisone più significativa che compare tra le risoluzioni adottate dall’atteso terzo Plenum del Comitato centrale del Partito comunista cinese, tenutosi la scorsa settimana e ce aveva al centro proprio il rallentamento della crescita economica cinese che continua anche ormai finita la fase della pandemia.

 

Nelle oltre quaranta pagine del comunicato pubblicato domenica 21 luglio dall’agenzia statale Xinhua – nel quadro di una «chiara divisione delle responsabilità», si dice verrà concessa ai governi locali una maggiore «capacità fiscale autonoma», consentendo loro di aumentare le fonti fiscali e di espandere «in modo appropriato» la loro autorità di gestione in materia di tasse.

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La crisi finanziaria degli enti locali è uno dei problemi principali che gravano oggi sull’economia cinese. Da questi enti dipendono i servizi pubblici ai cittadini, come l’istruzione e la sanità, e dunque le loro difficoltà finanziarie possono portare a tagli che indirettamente riducono la capacità di spesa delle famiglie, rallentando così anche i consumi interni.

 

Da quando Pechino ha avviato le riforme del mercato, oltre quarant’anni fa, la tassazione e le riforme dei rapporti tra centro e territori sono state costantemente uno degli elementi più spinosi.

 

La riforma della ripartizione fiscale del 1994, lanciata dall’allora premier Zhu Rongji, ha alleviato il deficit di entrate del governo centrale, ma è stata accusata di aver causato l’aumento degli oneri per i governi locali. Di conseguenza, le amministrazioni locali si sono rivolte alla vendita all’asta dei diritti di utilizzo dei terreni per ottenere maggiori entrate. Ma l’esplosione della bolla immobiliare in questi ultimi anni gli si è ritorta contro.

 

Secondo i dati ufficiali del ministero delle Finanze, l’anno scorso le entrate fiscali dei governi locali hanno rappresentato il 54% del totale nazionale, a fronte di una spesa che è pari all’86% del totale. Uno squilibrio dovuto al rallentamento economico post-pandemia che ha aumentato le preoccupazioni per i rischi di stabilità finanziaria delle oltre 300 prefetture e delle circa 3.000 contee della Cina, alcune delle quali si trovano impantanate in un debito gravoso.

 

In questo quadro il Plenum del Partito ha deciso di istituire un «meccanismo a lungo termine» per disinnescare il rischio di debito nascosto e un’espansione «ragionevole» del denaro raccolto attraverso obbligazioni speciali emesse dai governi locali. Tra le misure in cantiere figurano anche l’aumento dei trasferimenti generali dal governo centrale alle autorità locali, il passaggio della riscossione dell’imposta sui consumi ai governi locali e il miglioramento della ripartizione delle entrate fiscali condivise, come l’imposta sul valore aggiunto.

 

Nel frattempo oggi la banca centrale cinese ha nuovamente ritoccato oggi due tassi di interesse di riferimento che erano già ai minimi storici per il Paese, nel tentativo di rilanciare la crescita economica che resta al di sotto del 5% indicato come obiettivo.

 

Il tasso prime sui prestiti a un anno, che costituisce il parametro di riferimento per i tassi più vantaggiosi che le banche possono offrire a imprese e famiglie, è stato ridotto dal 3,45% al 3,35%, dopo essere stato abbassato l’ultima volta in agosto.

 

Il tasso a cinque anni, il parametro di riferimento per i prestiti ipotecari, è stato ridotto dal 3,95% al 3,85%, dopo la riduzione di febbraio.

 

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Immagine di edward stojakovic via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0
 

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Cina

Test di gravidanza obbligatori nelle aziende cinesi

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Più di una dozzina di aziende in Cina sono state citate in giudizio per aver presumibilmente obbligato le candidate a sottoporsi a test di gravidanza, un’azione illegale secondo la legge cinese, ha riferito lunedì il Procuratorate Daily, un organo di informazione ufficiale del Paese.   Secondo il rapporto, la procura distrettuale di Tongzhou a Nantong, nella provincia orientale di Jiangsu, ha avviato un’indagine sulla questione a gennaio, dopo aver ricevuto la segnalazione da un gruppo locale di volontari dell’assistenza pubblica.   Dopo aver esaminato i registri di due importanti ospedali pubblici e di un centro di esami medici, gli investigatori hanno scoperto che 168 donne in cerca di lavoro presso 16 diverse aziende avevano effettuato test di gravidanza come parte dei loro controlli sanitari pre-assunzione. Hanno anche affermato che i registri di reclutamento e assicurazione del personale delle aziende indicavano che alle donne era stato chiesto di effettuare questi test, sebbene nella maggior parte dei casi le richieste non facessero parte dei requisiti ufficialmente documentati, ma fossero fornite verbalmente durante i colloqui di lavoro.   Il motivo addotto dai potenziali datori di lavoro per questa pratica e la loro riluttanza ad assumere donne incinte era l’indennità di maternità eccessivamente elevata che avrebbero dovuto versare dopo che la nuova dipendente avesse iniziato il congedo di maternità.

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L’indagine ha rivelato che almeno una donna che è stata trovata incinta al momento del controllo sanitario non è stata assunta. In seguito all’indagine, i procuratori hanno intentato una causa ufficiale contro le aziende, affermando che la pratica «aveva violato i diritti delle donne alle pari opportunità di lavoro».   Il rapporto non ha nominato nessuna delle aziende citate in giudizio, né ha detto se qualcuna di loro abbia affrontato misure punitive per le proprie azioni. Secondo la legge cinese, le aziende che violano le normative sulla parità di genere possono essere multate fino a 50.000 yuan (6.330 euro circa).   Il rapporto ha tuttavia rilevato che a quattro delle 16 aziende indagate era stato ordinato ufficialmente di rettificare le violazioni, mentre alle tre istituzioni mediche collegate al caso era stato «raccomandato» di rifiutarsi di includere test di gravidanza negli esami sanitari pre-assunzione quando richiesto dai potenziali datori di lavoro.   La donna che non era stata assunta dopo essere risultata positiva alla gravidanza ha poi ottenuto il lavoro e le è stato offerto un compenso.   La legge cinese proibisce ai datori di lavoro di includere test di gravidanza nei controlli fisici pre-assunzione, insieme ad altre forme di discriminazione di genere, come chiedere alle candidate donne informazioni sul loro stato civile o sui piani di avere figli.   Tuttavia, secondo una ricerca condotta lo scorso anno dall’Inspection Squad for Workplace Gender Discrimination watchdog, i candidati uomini hanno ancora un vantaggio sulle donne in alcuni ambiti, compresi i lavori governativi.   La ricerca ha scoperto che su quasi 40.000 lavori nel servizio civile nazionale, 10.981 erano contrassegnati come riservati agli uomini rispetto ai 7.550 riservati alle donne.

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