Animali
Scienziati cinesi fanno crescere reni in maiali umanizzati
Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.
Scienziati cinesi sono riusciti a creare con successo embrioni chimerici contenenti una combinazione di cellule umane e di maiale. Quando sono stati trasferiti in scrofe surrogate, i reni umanizzati in via di sviluppo avevano una struttura normale e una formazione di tubuli dopo 28 giorni.
Questa è la prima volta che gli scienziati sono riusciti a far crescere un organo solido umanizzato all’interno di un’altra specie. Un articolo che riportava il loro lavoro è apparso all’inizio di questo mese sulla rivista Cell Stem Cell.
I ricercatori del Guangzhou Institutes of Biomedicine and Health si sono concentrati sui reni perché sono uno dei primi organi a svilupparsi e sono anche l’organo più comunemente trapiantato nella medicina umana.
«Organi di ratto sono stati prodotti nei topi e organi di topo sono stati prodotti nei ratti, ma i precedenti tentativi di far crescere organi umani nei maiali non hanno avuto successo», afferma l’autore senior Liangxue.
L’integrazione delle cellule staminali umane negli embrioni di maiale è stata una sfida perché le cellule suine competono con quelle umane e le cellule suine e umane hanno esigenze fisiologiche diverse.
La tecnica del team dipende da tre componenti chiave:
- In primo luogo, hanno creato una nicchia all’interno dell’embrione di maiale in modo che le cellule umane non dovessero competere con le cellule di maiale, utilizzando CRISPR per ingegnerizzare geneticamente un embrione di maiale unicellulare in modo che mancassero due geni necessari per lo sviluppo dei reni.
- In secondo luogo, i ricercatori hanno progettato cellule staminali pluripotenti umane – cellule che hanno il potenziale per svilupparsi in qualsiasi tipo di cellula – per renderle più suscettibili all’integrazione e meno probabilità di autodistruggersi bloccando temporaneamente l’apoptosi. Quindi, hanno convertito queste cellule in cellule «ingenue» simili alle prime cellule embrionali umane coltivandole in un mezzo speciale.
- In terzo luogo, prima di impiantare gli embrioni in via di sviluppo in scrofe surrogate, i ricercatori hanno coltivato le chimere in condizioni ottimizzate per fornire nutrienti e segnali unici sia alle cellule umane che a quelle suine, poiché queste cellule di solito hanno esigenze disparate.
Complessivamente i ricercatori hanno trasferito 1.820 embrioni a 13 madri surrogate. Dopo 25 o 28 giorni, hanno interrotto la gestazione ed estratto gli embrioni per valutare se le chimere avessero prodotto con successo reni umanizzati.
I ricercatori hanno raccolto cinque embrioni chimerici per l’analisi (due a 25 giorni e tre a 28 giorni dopo l’impianto) e hanno scoperto che avevano reni strutturalmente normali per il loro stadio di sviluppo ed erano composti per il 50-60% da cellule umane. A 25-28 giorni, i reni erano nello stadio mesonefro (il secondo stadio dello sviluppo renale); avevano formato tubuli e gemme di cellule che sarebbero poi diventate ureteri che collegavano il rene alla vescica.
Il team ha anche studiato se le cellule umane contribuissero ad altri tessuti negli embrioni, il che potrebbe avere gravi implicazioni etiche, soprattutto se si trovassero abbondanti cellule umane nei tessuti neurali o germinali e i maiali fossero portati a termine. Hanno dimostrato che le cellule umane erano per lo più localizzate nei reni, mentre il resto dell’embrione era composto da cellule di maiale.
«Abbiamo scoperto che se si crea una nicchia nell’embrione di maiale, le cellule umane entrano naturalmente in questi spazi», afferma l’autore senior Zhen Dai del Guangzhou Institutes of Biomedicine and Health.
«Abbiamo visto solo pochissime cellule neurali umane nel cervello e nel midollo spinale e nessuna cellula umana nella cresta genitale, indicando che le cellule staminali umane pluripotenti non si differenziavano in cellule germinali».
Michael Cook
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Animali
Nuova York darà ai suoi topi la pillola anticoncezionale, inquinando drammaticamente l’ambiente
La città di Nuova York ha approvato un programma sperimentale per ridurre la popolazione di ratti della città senza usare veleno. A partire dall’anno prossimo, i pellet contraccettivi saranno collocati in contenitori speciali accessibili ai ratti in diversi quartieri della città.
I sostenitori di questo approccio sostengono che ridurrà in modo umano il numero di ratti senza mettere in pericolo altri animali o l’ambiente. Se tutto va come previsto, i ratti ingeriranno il contraccettivo, diventeranno sterilizzati e in questo modo non potranno riprodursi.
L’iniziativa è stata soprannominata «Legge Flaco», dal nome del gufo omonimo fuggito da uno zoo cittadino l’anno scorso e poi trovato morto con del veleno per muridi in circolo, secondo quanto riportato dai media locali.
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«Non possiamo uscire da questa situazione avvelenandoci, non possiamo uscire da questa situazione uccidendoci», ha affermato il membro del consiglio comunale Shaun Abreu ad aprile, quando ha presentato per la prima volta il disegno di legge.
Nel corso di un programma pilota di 12 mesi, gli ispettori effettueranno controlli mensili per verificare quanti pellet sono stati consumati nei diversi quartieri.
«Durante tali ispezioni mensili delle aree del programma pilota, il dipartimento dovrà monitorare la quantità di contraccettivo per ratti in ogni distributore di contraccettivi per ratti», si legge nelle disposizioni del disegno di legge.
Senestech, l’azienda che produce il prodotto di origine vegetale denominato Contrapest, sostiene che ogni dose impedisce ai ratti di riprodursi per 45 giorni, riducendone così la popolazione in modo umano senza mettere in pericolo altri animali o l’ambiente.
Nuova York è da tempo famosa per il suo problema con i ratti. Si stima che tre milioni di roditori vivano nella Grande Mela, secondo la società di disinfestazione MMPC, che ha basato la cifra su uno studio del 2014 di Jonathan Auerbach.
Il gruppo animalista PETA ha accolto con favore quello che ha definito un «approccio innovativo» al problema, elogiando la città per aver scelto «il controllo delle nascite invece di metodi crudeli e letali come il veleno e il soffocamento».
L’uso di anticoncezionali per il controllo della popolazione animale è comune, in ispecie per quanto riguarda i piccioni delle piazze cittadine. Nel 2006 gli animalisti chiesero all’allora sindaco della laguna Massimo Cacciari che sui banchetti in Piazza San Marco fosse venduto mangime anticoncezionale.
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La contraccezione, e forse non solo quella, viene praticata in Sud Africa anche con gli elefanti. Un articolo di domenica 8 ottobre 1995 si intitolava «aborto e pillola per gli elefanti, avanzata sconcertante proposta». Eppure un articolo di tre anni prima «Pillola per elefanti africani, sono diventati troppi» lodava il metodo chimico anticoncezionale come alternativo al culling, ossia all’abbattimento selettivo di alcuni branchi.
Tutte queste soluzioni non tengono presente di un aspetto agghiacciante della chimica contraccettiva: l’inquinamento ambientale.
Come riportato da Renovatio 21, secondo studi, l’inquinamento da pillola anticoncezionale, che ricordiamo è un ormone sessuale steroideo sintetico, starebbe facendo diventare i pesci transessuali, e vi sono stati recenti allarmi sull’inquinamento dei fiumi da parte della pillola abortiva RU486, detta anche «pesticida umano».
È interessante come ambientalisti ed animalisti vari di questo tipo di inquinamento – sterilizzante, transessualizzante, lesivo della biologia animale ed umana – non si siano mai occupati.
La sua cifra antiumana lo fa ritenere forse accettabile?
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Alimentazione
La Corea del Sud risarcirà gli allevatori per la fine della carne di cane
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Trump breaks internet with viral “They’re eating the dogs. They’re eating the cats” remix trend taking over TikTok 🤣
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Animali
Malvagia gang di orche assassine caccia e divora in gruppo un delfino
Un team di biologi marini che lavora nella corrente di Humboldt al largo della costa del Cile ha osservato un gruppo di orche che hanno sviluppato una predilezione per i lagenorinci scuri (Sagmatias obscurus), una specie di delfino piccola e acrobatica diffusa tra gli oceani dell’emisfero australe.
Non si erano mai viste prima le balene assassine cacciare queste creature, a loro imparentate in quanto cetacei.
«La scoperta suggerisce che questo gruppo di orche appartiene a un sottoinsieme di animali che preferisce mangiare mammiferi marini piuttosto che pesci» scrive BBC Science Focus, che ovviamente non ha il coraggio di scrivere la parola «cannibalismo».
«È interessante notare che le orche sono state viste dividere il bottino di caccia tra i membri del gruppo, lasciando che fossero i membri della famiglia a mangiare per primi, compresi i cuccioli appena nati» continua il notiziario statale britannico.
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Secondo quanto riportato, la gang di cetacei violenti – chiamato dagli scienziati come «gruppo Mechado» – avrebbe una matriarca, cui è stato dato per qualche ragione il nome di «Dakota», che davanti alle telecamere degli umani avrebbe trattenuto il fiero pasto per permettere al cucciolo e al parentado di addentarlo.
Interessante il modo in cui riporta la faccenda il noto sito napoletano Fanpage: «una condivisione che gli scienziati hanno accostato a quella umana. Del resto, anche noi serviamo prima i bambini».
Eccoci: davanti all’ennesimo film horror servitoci dalla malvagia popolazione orcina, ecco scatta – incredibile – l’antropizzazione: sono come noi, sono come gli esseri umani. Qualcuno magari vuole anche dire: «sono meglio!». Eccerto, quante mamme italiane, durante il pranzo della domenica, aggrediscono un parente lontano per offrirlo, magari ancora vivo, al parentado stretto?
Il team di ricerca ha documentato il comportamento combinando le proprie indagini scientifiche, effettuate tramite telecamere montate su droni, con i dati raccolti da citizen-scientist che hanno filmato le orche durante le battute di pesca o di osservazione delle balene.
«Studiare le orche nel loro ambiente naturale è molto impegnativo perché sono predatori marini di punta, che percorrono lunghe distanze e vivono in mare aperto, il che rende difficile l’osservazione», ha affermato la dottoressa Ana Garcia Cegarra, biologa marina presso l’Universidad de Antofagasta, autrice principale dello studio.
«Il fatto che abbiamo osservato cuccioli appena nati è importante perché indica che stanno avendo prole, ma non conosciamo il loro tasso di sopravvivenza» ha dichiarato la ricercatrice, e non sappiamo se dobbiamo pensare che il tasso di sopravvivenza dei cuccioli potrebbe essere basso a causa del fatto che questa nuova passione delle orche per la carne di cetaceo include anche il divoramento dei figli.
E non si tratta della prima volta che un esemplare della feroce specie si esibisce dinanzi alle telecamere dei ricercatori in atti di violenza alimentare: come riportato da Renovatio 21, sette mesi fa a Mossel Bay, in Sud Africa, un’orca si mostrò alle telecamere di ricercatori e turisti mentre divorava oscenamente il fegato di uno squalo bianco, il quale, ricordiamo en passant, è attualmente minacciato e rientra tra le specie protette dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES).
Renovatio 21 vuole rammentare che non si tratta nemmeno del primo atto di boriosa aggressione che le killer whale praticano contro i loro cugini delfini. A inizio anno venne pubblicato su Instagram un drammatico filmato in cui, in un atto di barbaro e vile teppismo marino, un’orca attaccava un delfino scagliandolo per aria neanche fosse un birillo.
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La nequizia delle dentate balene bianconere sembra davvero non avere confine.
Alla minaccia del gruppo Mechado si aggiunge quella, sempre più intollerabile, della mafia delle orche di Gibilterra, che oramai da armi terrorizzano le imbarcazioni al largo dello Stretto, divertendosi ad attaccare le barche a vela e a staccarne il timone, producendo qualcosa come un attacco al giorno.
Come sempre, Renovatio 21, si chiede: quousque tandem. Fino a quando dovremo sopportare la gratuita cattiveria di questi bestioni marini? Quanto ancora tollerare la ferale crudeltà di queste grottesche creature pinnate?
Che sia il caso, una volta per tutte, di chiedere una consulenza al Giappone, che non solo con le balene in generale ci ha un certo rapporto, ma che sembra – secondo una testimonianza che Renovatio 21 ha pubblicato senza poterne confermare la veridicità – addirittura in grado di portare le orche in tavola, e non per condividere con loro il pasto?
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