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Protesta

Rivolte contro la corruzione nelle Filippine

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Circa 50.000 persone hanno manifestato domenica a Manila, capitale delle Filippine, per denunciare la corruzione, in una protesta segnata da scontri tra dimostranti e polizia.

 

L’indignazione popolare deriva dalla gestione scorretta di migliaia di progetti per il controllo delle inondazioni, costati oltre 9,5 miliardi di dollari. A luglio, il presidente Ferdinand Marcos Jr. ha creato una commissione indipendente per indagare su quelle che ha definito «irregolarità» nella loro realizzazione.

 

Al Luneta Park, i manifestanti sventolavano bandiere nazionali e gridavano «Metteteli in carcere!», chiedendo giustizia contro funzionari e imprenditori coinvolti in presunti casi di corruzione.

 

 

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La protesta è degenerata in violenza quando alcuni dimostranti hanno lanciato pietre contro gli agenti e dato fuoco a pneumatici. La polizia ha risposto usando cannoni ad acqua per disperdere la folla.

 

Secondo il sindaco di Manila, diversi agenti sono rimasti feriti negli scontri e hanno richiesto cure ospedaliere. Più di una dozzina di manifestanti sono stati arrestati.

 

La protesta violenta non sembra dissimile da quella che si sta consumando da mesi in Serbia per il crollo di una pensilina a Novi Sad. A Belgrado vi è certezza che vi sia sotto un tentativo di cambio di regime da parte delle forze occidentali neanche tanto occulte.

 

Le Filippine sono oggi un crocevia politico di estrema importanza, considerando la loro prossimità alla Cina e il loro ruolo di storico alleato USA.

 

Il presidente «Bongbong» Marcos, figlio di Ferdinando Marcos, è stato alla Casa Bianca di recente. L’ex presidente, il notissimo Rodrigo Duterte, è stato invece arrestato e portato all’Aia per un processo alla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità inerenti alla sua guerra alla droga durante il suo mandato.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Duterte è comunque riuscito a vincere, dal carcere olandese, le elezioni a sindaco della sua città natale Davao.

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Immigrazione

Scontri tra polizia e protesta anti-immigrazione all’Aia

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Nel fine settimana, una protesta contro l’immigrazione all’Aia si è trasformata in scontri violenti, con i manifestanti che hanno affrontato la polizia e incendiato un’auto. Le autorità locali hanno riferito che almeno 30 persone sono state arrestate e due agenti sono rimasti feriti.   Dalla fine dell’estate, nei Paesi Bassi si sono susseguite proteste di massa contro le politiche migratorie del governo.   I disordini sono stati scatenati dall’omicidio di Lisa, una ragazza di 17 anni il cui corpo è stato ritrovato in un fosso vicino ad Amsterdam. Un richiedente asilo di 22 anni è stato arrestato con l’accusa di omicidio, oltre che di stupro e tentato stupro ai danni di un’altra donna all’inizio di agosto.   Sabato, migliaia di persone si sono radunate nel centro della capitale politica olandese per protestare contro l’immigrazione, scontrandosi con la polizia e causando danni significativi, secondo la stampa locale. I manifestanti, molti dei quali sventolavano bandiere olandesi e alcuni legati a gruppi di estrema destra, hanno scagliato pietre e bottiglie contro le forze dell’ordine.     Un’auto della polizia è stata data alle fiamme, e alcuni dimostranti si sono separati dal gruppo principale, bloccando un’autostrada. La polizia ha risposto utilizzando gas lacrimogeni e idranti per disperdere la folla.   È stata segnalata la confluenza di ultras di diverse squadra calcistiche, divisi da decenni ci conflitto ma uniti sul tema dell’immigrazione.     Gli scontri sono avvenuti a un mese dalle elezioni legislative previste per il 29 ottobre, in un contesto in cui il dibattito sull’immigrazione e le politiche di asilo domina la campagna elettorale. Partiti come il Partito per la Libertà (PVV) di Geert Wilders spingono per misure migratorie più restrittive, mentre altri partiti e organizzazioni della società civile esprimono preoccupazione per l’aumento della polarizzazione.   La crisi migratoria nei Paesi Bassi è stata ulteriormente aggravata dall’arrivo continuo di richiedenti asilo dall’Ucraina. All’inizio del mese, l’Associazione dei Comuni Olandesi (VNG) ha segnalato che i centri di accoglienza sono al collasso, con quasi tutti i 97.000 posti disponibili occupati e circa 300 ucraini che arrivano ogni settimana, molti dei quali vengono respinti.

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Protesta

Lacrimogeni sparati contro gli scioperanti francesi

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Giovedì, a Parigi, Nantes e Lione, la polizia ha utilizzato gas lacrimogeni per contrastare i manifestanti che si scontravano con le forze dell’ordine durante scioperi nazionali contro le misure di austerità proposte.

 

Centinaia di migliaia di persone hanno protestato contro i tagli al bilancio annunciati dal nuovo Primo Ministro di Emmanuel Macron, Sébastien Lecornu, chiedendo tasse più elevate per i ricchi, maggiori fondi per i servizi pubblici e l’abolizione della riforma delle pensioni.

 

Le immagini mostrano folle che sventolano bandiere, intonano slogan, cantano e applaudono, mentre il fumo dei razzi si levava sopra gli edifici circostanti. Le proteste erano dirette contro i tagli di 44 miliardi di euro al bilancio del prossimo anno, proposti in estate dall’ex Primo Ministro François Bayrou.

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Le misure prevedevano il blocco delle aliquote fiscali, delle prestazioni sociali e delle pensioni, oltre alla trasformazione dell’8 maggio e del Lunedì di Pasqua in giorni lavorativi. Il governo di Bayrou è caduto l’8 settembre dopo che il parlamento ha respinto il piano, causando una crisi politica che ha portato alla nomina di Lecornu.

 

Secondo il ministero dell’Interno, oltre 180 persone sono state arrestate, con 80.000 tra poliziotti e gendarmi, inclusi reparti antisommossa e veicoli blindati, dispiegati in tutta la Francia. A Parigi, le forze dell’ordine hanno usato gas lacrimogeni contro manifestanti vestiti di nero che lanciavano bottiglie e pietre, impedendo anche atti di vandalismo contro le banche. Scontri minori si sono verificati a Nantes e Lione, dove tre persone sarebbero rimaste ferite.

 

Il sindacato CGT ha stimato un milione di partecipanti a livello nazionale, mentre il governo ha riportato circa 500.000 manifestanti, di cui 55.000 solo a Parigi. Nella capitale, la metropolitana funzionava solo nelle ore di punta, i treni regionali erano fermi, ma le linee ad alta velocità operavano regolarmente. I sindacati hanno indicato che fino al 45% degli insegnanti ha aderito allo sciopero, mentre il Ministero dell’Istruzione ha fornito dati inferiori.

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Protesta

Violenza e caos mortale in Nepal. In fiamme il palazzo del governo

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Il Primo Ministro nepalese KP Sharma Oli si è dimesso martedì, mentre le furiose proteste contro il governo si intensificavano nella capitale della nazione himalayana, Kathmandu.   L’esercito nepalese ha confermato che Oli e sei ministri del governo sono stati trasferiti in una località segreta dopo che i manifestanti hanno appiccato il fuoco alle residenze del Primo Ministro e del Vicepresidente.   Le proteste antigovernative e anti-corruzione sono diventate violente dopo che diverse importanti piattaforme di social media, tra cui Facebook, YouTube e X, sono state vietate lunedì. Questi siti sono tra i 26 che sono stati bloccati per non essersi registrati in base alle nuove normative, che secondo i media locali censurano la libertà di parola. Il divieto è stato revocato martedì.   Immagini da Kathmandu mostrano il fumo che si alza dal parlamento del Paese, incendiato dai manifestanti. I media locali hanno anche riferito che le case dei ministri sono state saccheggiate da gruppi numerosi.   Su internet circolano video non verificati in cui politici nepalesi sarebbero cacciati, picchiati e denudati.    

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Le proteste, guidate per lo più da persone tra la fine dell’adolescenza e i primi vent’anni, sono scoppiate lunedì, innescate dal divieto dei social media. Le autorità hanno confermato 19 morti nella sola Kathmandu, con circa 400 feriti, tra cui oltre 100 agenti di polizia.   «Mi sono unito a una protesta pacifica, ma il governo ha risposto con la violenza», ha dichiarato un ventenne, citato dall’agenzia di stampa AFP.   I disordini di questa settimana sono i peggiori degli ultimi decenni nella nazione himalayana, che ha dovuto affrontare periodicamente instabilità politica e difficoltà economiche da quando la monarchia indù è stata abolita nel 2008.   L’ente del turismo e la polizia nepalese hanno attivato tre servizi navetta per gli stranieri con autobus diretti all’aeroporto. Voli da destinazioni internazionali sono stati visti librarsi su Kathmandu da quando l’aeroporto è stato chiuso martedì mattina.   Dopo la sommossa, il governo nepalese ha revocato la decisione di vietare i siti di social media, in seguito alle violente proteste che hanno provocato 19 morti e oltre 400 feriti.   Secondo un articolo dell‘Hindustan Times, gli scontri si sono intensificati quando i dimostranti hanno sfondato le barriere di filo spinato e hanno tentato di entrare in una zona riservata vicino al parlamento, spingendo la polizia a sparare proiettili veri e gas lacrimogeni, nonché a utilizzare idranti e manganelli.    

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«Come amici e vicini di casa, speriamo che tutti gli interessati esercitino moderazione e affrontino qualsiasi problema con mezzi pacifici e attraverso il dialogo», ha affermato martedì il ministero degli Esteri indiano in una nota. Il ministero ha aggiunto che sta monitorando attentamente gli sviluppi in Nepal ed è «profondamente rattristato» per la «perdita di molte giovani vite».   Dopo le proteste, il ministro degli Interni nepalese si è dimesso durante una riunione di gabinetto lunedì sera. Secondo quanto riportato da fonti locali, i manifestanti hanno dato fuoco alla residenza privata del ministro dell’Informazione e della Comunicazione.   Nonostante il governo abbia revocato il divieto sui social media, martedì a Kathmandu sono continuate le manifestazioni, dove la gente si è radunata fuori dal parlamento chiedendo la rimozione o lo scioglimento del governo. Alcuni manifestanti hanno dichiarato ai giornalisti che le loro preoccupazioni principali sono la disoccupazione e la corruzione.   Un enorme incendio ha devastato il palazzo Singha Durbar del Nepal, nel centro di Kathmandu, il principale complesso amministrativo del Paese, dopo che violente proteste hanno travolto la capitale della nazione himalayana.   Le immagini che circolano online mostrano l’edificio divorato dalle fiamme. Il palazzo, costruito nel 1908, è la sede del governo nepalese e ospita diversi ministeri e altre istituzioni chiave.  

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Martedì, i manifestanti avrebbero sfondato i cancelli occidentali del Singha Durbar, facendosi strada nell’area riservata e incendiando alcune parti dell’ingresso. Testimoni hanno riferito di pesanti scontri con le forze di sicurezza mentre la folla avanzava all’interno, secondo diversi organi di stampa.   Altri filmati condivisi online mostrano anche l’edificio del Parlamento nepalese in fiamme, con muri carbonizzati, fumo che si levava verso il cielo e incendi ancora accesi, mentre all’esterno si radunava una grande folla.   Nel settembre 2025, il governo del Nepal era guidato dal premier KP Sharma Oli, leader del Partito Comunista del Nepal (UML), in carica dal 15 luglio 2024 fino alla sua dimissione il 9 settembre 2025, a seguito delle violente proteste popolari. Ilministro degli Interni Ramesh Lekhak si è dimesso il 8 settembre 2025, assumendo la responsabilità morale per la violenta repressione delle proteste, che ha causato almeno 19 morti e centinaia di feriti. Dopo la dimissione di Oli, il Presidente Ram Chandra Paudel ha accettato la rinuncia e ha avviato il processo per nominare un nuovo primo ministro.   In Nepal dal 1996 al 2006 si è vissuta una guerra civile portata avanti soprattutto dal Partito Comunista del Nepal di fede maoista, noto anche come CPN o successivamente come CPN Maoist Centre.   La fine della monarchia in Nepal è un evento storico strettamente legato alla strage reale del 1° giugno 2001 e agli sviluppi politici successivi, culminati nell’abolizione della monarchia nel 2008. La notte del 1° giugno 2001, al palazzo reale di Narayanhiti a Kathmandu, avvenne una strage che sconvolse il paese. Secondo la versione ufficiale, il principe ereditario Dipendra Bir Bikram Shah aprì il fuoco durante una riunione familiare, uccidendo il re Birendra, la regina Aishwarya, altri membri della famiglia reale e infine se stesso. In totale, 10 persone persero la vita, tra cui il re, la regina, i loro figli e altri parenti stretti.

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