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Predazione degli organi

Ricerca: «raccogliere sangue e parti del corpo dei giovani» potrebbe aiutare a raggiungere l’«immortalità»

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Una nuova ricerca scientifica dell’Università di Stanford  rivela che «raccogliere il sangue e le parti del corpo dei giovani nella speranza di raggiungere l’immortalità» non è più solo un  «tropo nei romanzi horror», ma una realtà verosimile. Lo riporta il quotidiano britannico Telegraph.

 

La ricerca di Stanford – università culla del transumanismo – mostra che «l’infusione di liquido cerebrospinale di topi giovani in topi vecchi migliora la funzione cerebrale», aprendo la porta ad applicazioni simili per gli esseri umani.

 

Il team californiano ha infuso fluido da topi di 10 settimane nel cervello di topi di 18 mesi per sette giorni e ha scoperto che i topi più anziani erano più bravi a ricordare di associare una piccola scossa elettrica a un rumore e a una luce lampeggiante.

 

Un esame più attento ha mostrato che il fluido aveva «risvegliato» processi che rigenerano i neuroni e la mielina, il materiale grasso che protegge le cellule nervose all’interno dell’ippocampo, il centro della memoria del cervello.

 

Lo studio mostra che lo stesso processo potrebbe essere applicato alla ricerca sull’invecchiamento e che «gli esperimenti stanno persino dimostrando che il sangue giovane stesso può invertire il processo di invecchiamento, forse anche curando il morbo di Alzheimer».

 

Summit News ricorda come sia esistita da tempo una élite transumanista che raccoglie materiale biologico dai giovani nel tentativo di perseguire l’estensione della vita: «L’ex dittatore nordcoreano Kim Jong-il si faceva regolarmente iniettare sangue prelevato da giovani vergini sane nella convinzione che lo avrebbe aiutato a vivere più a lungo».

 

L’articolo del Telegraph osserva che «La raccolta del sangue e delle parti del corpo dei giovani nella speranza di raggiungere l’immortalità è stata a lungo un tropo familiare nei romanzi dell’orrore e nelle teorie del complotto».

 

L’idea dell’esistenza di una casta cannibale o vampiresca è sempre meno qualcosa su cui scherzare. Il mese scorso ha fatto scalpore l’ammissione della bellissima attrice di Hollywood Megan Fox, che ha dichiarato di consumare sangue umano «in occasioni rituali».

 

 

A inizio anno, era emerso come Jeff Bezos, patron di Amazon a lungo uomo più ricco del pianeta, abbia investito diversi milioni per radunare un team di scienziati du spicco con il fine di sviluppare una tecnologia in grado di rallentare l’invecchiamento, o portare all’immortalità vera e propria.

 

La questione dell’efficacia di trasfusione di sangue giovane e ogni anno che passa sempre meno in discussione, con startup americane che vi si sono dedicate con successo, servendo vari miliardari di Big Tech.

 

l processo, chiamato parabiosi, è offerto da diverse startup e ha già diversi clienti nel mondo finanziario e tecnologico della Silicon Valley. La startup Ambrosia, ha venduto «trasfusioni di sangue per giovani» dal 2016 per  8.000 dollari usando il pretesto di condurre una sperimentazione clinica. Ad agosto 2017, avevano aderito 600 persone. Un’altra azienda, Alkahest, è stata fondata sulla base degli studi sui roditori di Stanford. Dal 2017 sta collaborando con l’azienda farmaceutica europea Grifols per creare un farmaco biologico sperimentale a base di plasma sanguigno che si propone di testare su persone con Alzheimer.

 

La serie televisiva Silicon Valley in un episodio, ne ha offerto la parodia, mostrando gli apparecchi per le trasfusioni e l’esistenza dei cosiddetti «blood boy», ragazzi appena ventenni che devono seguire diete ferree per servire da banche di sangue per gli eccentrici miliardari.

 

 

 

Un mondo abituato ai trapianti – ossia alla predazione degli organi – è giocoforza pronto ad accettare, previo passaggio per la finestra di Overton, anche l’uso di organi giovanili a vantaggio dei corpi dei membri delle élite secondo la filosofia utilitarista che orami impregna la società, lo Stato e tutto il mondo moderno.

 

Il film Never Let Me Go (2010), tratto dal romanzo di Kazuo Ishiguro Non lasciarmi, illustrava in modo disperato e struggente come ciò potrebbe essere possibile: tranquillamente permettere che un gruppo di persone giovani sia predato degli organi, e ancora peggio, vedere come costoro lo facciano con rassegnazione e quasi con entusiasmo.

 

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Morte cerebrale

La Littizzetto all’anagrafe per convincere i cittadini a farsi espiantare gli organi

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Abbiamo già avuto modo di raccontare al lettore di Renovatio 21 il costante aumento delle opposizioni agli espianti d’organi vitali, al netto dell’invenzione di nuove tecniche predatorie che tendono ad ampliare la platea dei potenziali donatori.

 

Non c’è dubbio che tale tendenza preoccupi la macchina dei trapianti, al punto che per cercare di convincere i riottosi è scesa in campo anche la celebre showgirl Luciana Littizzetto, la quale si è addirittura recata all’anagrafe di Torino per intercettare le persone in fila per il rinnovo della carta d’identità.

 

L’attrice piemontese ha rimarcato quanto sia importante non lasciarsi bloccare da paure immotivate: «e se non sono morto? Beh è impossibile, gli esami, gli accertamenti sono talmente sofisticati che è impossibile (…) O pensano, sono scassato non c’è niente di buono dentro di me che possa essere recuperato: non ti preoccupare ci sono i medici a valutare».

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Il livello delle argomentazioni addotte a favore della donazione è alquanto superficiale, come è possibile constatare, ma è l’unica carta giocabile da chi ha interesse ad incentivare la pratica disumana degli espianti a cuore battente: la comunicazione infatti deve necessariamente tendere ad informare il meno possibile e cercare di essere rassicurante. In altri termini, essa deve agire a livello emotivo-sentimentale piuttosto che a livello razionale. 

 

Il fatto che gli esami e gli accertamenti (per determinare la morte cerebrale) siano sofisticati non significa che siano anche fondati. Anzi, è piuttosto vero il contrario: la morte è un evento naturale che può essere compreso da tutti, anche da chi non ha nessuna preparazione medica. E non è naturale osservare così tanti segni di vita in qualcuno che si suppone sia morto (normale frequenza cardiaca, pressione sanguigna, colorito, temperatura corporea etc).

 

Prendiamo ad esempio uno dei criteri obbligatori ai fini della dichiarazione di morte cerebrale: il test di apnea, di cui abbiamo più volte documentato la pericolosità.

 

Tale prova si propone di verificare la capacità del paziente in coma di attivare la respirazione spontanea, scollegandolo più volte dal respiratore per diversi minuti. Nel caso la prova dia esito negativo, si suppone che egli sia morto. Ma è proprio la premessa che sottostà al test di apnea ad essere priva di fondamento: l’atto della respirazione infatti non si esaurisce nell’incamerare aria nei polmoni, ma si perfeziona necessariamente a livello cellulare e biochimico. Un cadavere propriamente detto non è in grado di attivare il processo della respirazione, anche se l’ossigeno gli viene spinto a forza dentro i polmoni. In altri termini, affinché la ventilazione artificiale possa produrre gli effetti sperati è necessario che la persona sia ancora in vita.

 

Al contrario, per i fautori della morte cerebrale la mancata attivazione del riflesso automatico respiratorio è prova inconfutabile del fatto che il paziente sia deceduto. Ma sulla base di quale principio logico e biologico si fondi tale presunta certezza non è dato sapere. E’ così e basta e come dice la Littizzetto non serve preoccuparsi troppo, tanto ci pensano i medici a valutare …

 

Del resto, anche volendo supporre che la mancata attivazione del respiro costituisca la prova che le funzioni cerebrali siano definitivamente compromesse, in quanto non più in grado di dirigere e coordinare l’organismo nel suo complesso, non si riesce a capire come possano funzionare correttamente tutte le altre funzioni, le quali richiedono un alto livello di integrazione (pensiamo all’attivazione delle difese immunitarie, ad esempio).

 

 

Insomma, il criterio della morte cerebrale fa acqua da tutte le parti e più si approfondisce l’analisi più si scopre che esso si regge su un vero e proprio castello di menzogne, spacciate per scienza.

 

Pertanto, l’unica carta giocabile dalla propaganda è far leva sulle emozioni e sul desiderio, connaturato all’essere umano, di essere utile a qualcuno: la prospettiva di «donare» i propri organi o quelli di un congiunto per salvare la vita di un malato terminale è seducente, soprattutto per chi vive un trauma improvviso (pensiamo ai genitori di un ragazzo che si trova in rianimazione a causa di un incidente o di un malore improvviso).

 

C’è anche da sottolineare che viviamo in un’epoca in cui il senso del trascendente si è molto affievolito, anche a livello religioso, per cui le persone sono più sensibili a certi richiami che rimandano a generici ideali di solidarietà e condivisione. 

 

Malgrado ciò le opposizioni non accennano a diminuire ma anzi tendono ad aumentare. Con buona pace dei professionisti dell’informazione, dei VIP televisivi e degli inviti a non riflettere, che difficilmente riusciranno a convincere molti italiani a lasciarsi squartare vivi.

 

Alfredo De Matteo

 

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Immagine di Luca Boldrini via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic; immagine modificata nel taglio e nel colore

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Predazione degli organi

Aumentano le opposizioni all’espianto degli organi. Gli italiani stanno comprendendo la realtà della predazione?

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La legge italiana ha stabilito il principio del consenso o dissenso esplicito, sulla base di cui ad ogni persona maggiorenne viene data la possibilità di dichiarare validamente la propria volontà in merito alla cosidetta donazione degli organi.   La mens del legislatore non era certo quella di rispettare sic et simpliciter la volontà dei cittadini, figuriamoci, bensì quella di ridurre la percentuale delle opposizioni ai trapianti. Infatti, in presenza di una esplicita dichiarazione espressa in vita da parte del «defunto» gli aventi diritto non possono opporsi al prelievo.   In realtà, la legge 91/99 agli articoli 4 e 5 ha stabilito il principio del silenzio-assenso in base a cui la mancata dichiarazione di volontà viene considerata come consenso alla donazione. Tuttavia, tale enunciato non può essere applicato, in quanto, come previsto dalla legge stessa, non è stata ancora costituita un’anagrafe informatizzata che consenta la notifica ad ogni cittadino, da parte di un Pubblico Ufficiale, di un modulo per la dichiarazione di volontà.

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Pertanto, il principale ostacolo da superare al fine di ottenere un numero sempre crescente di organi freschi è la percentuale delle opposizioni da parte dei familiari dei comatosi, che tende a rimanere stabile nel tempo intorno al 30%. La speranza del legislatore era di raccogliere dai cittadini un elevato numero di consensi che consentisse di abbattere in maniera significativa la suddetta soglia, bypassando le dichiarazioni di volontà dei soggetti terzi.    Tale stratagemma però non ha funzionato e si è trasformato in un clamoroso boomerang: nei primi mesi del 2025 ben il 40% delle persone che hanno rinnovato la carta d’identità si è esplicitamente opposto al trapianto degli organi (la percentuale più alta registrata negli ultimi dieci anni), mentre nel 2024 tale percentuale si era attestata intorno al 37%. Complessivamente, nel sistema informativo dei trapianti sono stati depositati 22,3 milioni di dichiarazioni: 15,5 milioni di consensi e 6,8 milioni di opposizioni.   Il centro nazionale trapianti, che coordina la distribuzione degli organi in tutti gli ospedali italiani, giudica questo andamento molto preoccupante.    Vista la malaparata, già da qualche anno la macchina della predazione degli organi ha tirato fuori dal cilindro magico nuove tecniche di accertamento della morte finalizzate ad allargare la platea dei potenziali donatori, come la donazione di organi a cuore fermo (DCD).Inoltre, comincia a filtrare attraverso i media l’ipotesi che la cosiddetta «donazione degli organi» possa un giorno diventare un obbligo.  
    C’è da tenere presente che in questi ultimi anni è stata organizzata dalle istituzioni una massiccia campagna di (dis)informazione mirata a convincere la popolazione a cedere i propri organi. Ovviamente, trattasi di pura propaganda che si guarda bene dall’informare correttamente il cittadino, tendendo essenzialmente a far leva sull’emotività (la cultura del dono) e sul senso di colpa.   Sembra però che una consistente parte degli italiani non sia caduta nella trappola psicologica e abbia declinato l’invito ad acconsentire di essere trattata come carne da macello.   Del resto, quello della morte cerebrale può apparire un argomento complesso, da addetti ai lavori, quando invece la sua apparente difficoltà deriva unicamente dal fatto che si tratta di un costrutto artificiale, studiato a tavolino, il cui unico fine è consentire l’eliminazione del comatoso e la predazione degli organi.   In effetti, chiunque è in grado di distinguere un cadavere da una persona ancora in vita, anche se non ha mai sfogliato una sola pagina di un libro di medicina o di anatomia. L’inganno della morte cerebrale sta proprio in questo: trasformare la vita e la morte da eventi naturali ed osservabili a eventi artificiali che possono essere accertati solamente tramite l’ausilio di complessi macchinari e da una commissione medica istituita ad hoc   Ad ogni modo, il sensibile aumento delle opposizioni ai trapianti lascia ben sperare: il buon senso delle persone tende ancora a prevalere sulla menzogna e sull’artificio, almeno fintantoché le sarà concesso di esprimere la loro volontà.   Abbiamo già avuto modo di sperimentare infatti come i valori liberal democratici su cui si fondano gli Stati moderni possono diventare elementi di intralcio per le élite dominanti, soprattutto quando i loro piani non coincidono esattamente con quelli della popolazione generale.   Alfredo De Matteo

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Predazione degli organi

Se la cardiologa parla della possibilità di un «obbligo» per la «donazione» degli organi

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Checché ne dicano i fautori della fantomatica e tanto sbandierata libertà di scelta (pensiamo allo slogan femminista-abortista «l’utero è mio e lo gestisco io» e a quello dell’associazione per l’eutanasia legale «Per essere tutti liberi, fino alla fine», solo per fare alcuni esempi), i nostri corpi e le nostre esistenze sono di fatto proprietà dello Stato già da molti decenni.

 

I finti ribelli costituiscono, volenti o nolenti, la manovalanza che serve al sistema per farci credere di avere la possibilità di scegliere. In effetti, grazie alle loro «battaglie» pilotate dall’alto, l’individuo ha conquistato il «diritto» di uccidere l’innocente con l’aborto e la fecondazione artificiale, di togliere la vita a se stesso ad altri con le varie pratiche eutanasiche.

 

Sappiamo che abbiamo ottenuto anche la possibilità di farci squartare vivi e di permettere che lo si faccia ad un nostro congiunto tramite la predazione degli organi. 

 

In altri termini, siamo liberi di scegliere come farci ammazzare ma non certo di vivere e soprattutto di vivere da figli di Dio. Ovviamente, il fine dichiarato è sempre buono: i nostri aguzzini possiedono la maschera degli inguaribili filantropi che vogliono solo ed unicamente il nostro bene e, udite udite, la nostra libertà. 

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Tale macabra messinscena è stata particolarmente evidente nel 2020 con l’imposizione del siero genico sperimentale, prodotto con cellule di bambini uccisi nel grembo materno, praticamente a quasi tutta la popolazione mondiale per salvarla da un’epidemia probabilmente programmata e pianificata. 

 

Tuttavia, conserviamo ancora un certo margine di capacità decisionale che da molto fastidio a chi vuole e brama il nostro totale asservimento. Proprio per tale motivo assistiamo, ogni giorno di più, al tentativo di toglierci anche quel poco margine che ci rimane di decidere sulle nostre vite: la cardiologa Maria Frigerio, ex direttrice del reparto di cardiologia dell’ospedale Niguarda di Milano dedicato ai pazienti con insufficienza cardiaca avanzata e ai trapiantati di cuore, in un’intervista pubblicata dal Corriere della sera preconizza l’obbligatorietà dei trapianti.

 

Abbiamo già avuto modo di relazionare i nostri lettori sul fatto che una considerevole percentuale della popolazione italiana continua ad opporre un netto rifiuto alla possibilità di essere sottoposto all’espianto degli organi, malgrado la pressante propaganda massmediatica a favore della cosiddetta donazione.

 

C’è anche da tenere presente che la nostra possibilità di scelta è già decisamente coartata visto che l’alternativa alla predazione è il distacco dai sostegni vitali e l’abbandono delle cure.

 

Eppure, secondo la cardiologa, ormai in pensione, tutto ciò non è sufficiente: «la percentuale di opposizioni alle donazioni, nel nostro paese, è fissa al trenta percento da trent’anni. Al netto di un lieve miglioramento registrato nel 2024 [dovuto esclusivamente all’utilizzo di nuove procedure per l’espianto degli organi, ndr] vuol dire che ogni 7 trapianti fatti avremmo potuto farne 10, una differenza enorme. Il rischio è che si trapianti il paziente solo quando è in fin di vita. È devastante anche per noi medici osservare questi pazienti deteriorarsi e non poter fare niente. Per questo la donazione potrebbe diventare un obbligo».

 

La Frigerio parla poi dei «cuori in transito», che sono «un pezzo di noi che continua a vivere e che lasciamo lì per qualcun altro, un po’ come si lascia libera una camera d’albergo». Il cuore ci serve per vivere, continua la cardiologa, «ma non pensiamolo in termini di proprietà (sic) anche se nella nostra cultura è un organo molto personale».

 

È evidente come la dottoressa giochi di sponda, attraverso un’accurata scelta di termini e metafore che tendono a veicolare un’immagine romantica e suggestiva del nostro corpo, che puà aiuarci a digerire meglio ciò che diventeremo (almeno nei progetti di chi tira i fili delle nostre esistenze) e che in parte già siamo, ossia dei meri contenitori di organi prelevabili a piacimento. 

 

L’intervista si presenta comunque ricca di spunti che ci consentono anche di focalizzare la nostra attenzione su una questione molto importante relativa ai trapianti che non viene quasi mai presa in considerazione: le reali aspettative di vita, nonché la qualità della stessa delle persone che hanno ricevuto un organo. 

 

La cardiologa milanese accenna al suddetto problema in maniera alquanto criptica e contraddittoria: «un paziente deve curarsi per vivere, non vivere per curarsi, anche se per sopravvivere a un trapianto di cuore è meglio essere ossessivi che trascurati».

 

In realtà, sappiamo che la vita di un trapiantato è, nella stragrande maggioranza dei casi, un vero e proprio calvario, fatto di frequenti visite ed esami, di medicinali presi per sempre nonché segnata dall’elevato rischio di prendersi una lunga sfilza di malattie, non di rado mortali.

 

Il fatto che l’esistenza delle persone che hanno ricevuto un organo sia tutt’altro che una «passeggiata di salute» tende a venir fuori molto raramente e in alcuni casi anche in maniera non del tutto voluta: è molto recente la notizia della morte della giovane Michelle Trachtenberg, divenuta famosa per aver interpretato ruoli da protagonista in alcune serie tv di successo come Gossip Girl e Buffy l’ammazzavampiri.

 

La sfortunata attrice, trentanovenne, è deceduta in maniera improvvisa all’interno della sua abitazione. Probabilmente, nel tentativo di smontare l’ipotesi del malore improvviso dovuto ai motivi che tutti conoscono ma che è vietato riportare, i media si sono affrettati a ragguagliare il pubblico circa le possibili cause della morte della ragazza, ossia i pesanti problemi di salute insorti a seguito del trapianto di fegato a cui è stata sottoposta di recente.

 

Dunque l’ipotesi più plausibile è legata al rigetto dell’organo. Sembrerebbe infatti che gli ultimi anni di vita dell’attrice siano stati molto difficili, come riferisce una sua cara amica: «Mi spezza il cuore. Le volevo bene. Negli ultimi anni ha lottato. Vorrei averla potuto aiutare».

 

Ma quali sono i problemi a cui vanno incontro i trapiantati?

 

L’elenco delle complicanze post trapianto è piuttosto lungo e include:

 

  • rigetto
  • infezioni varie e spesso insolite
  • tumori
  • aterosclerosi
  • problemi renali
  • gotta
  • malattia del trapianto contro l’ospite
  • osteoporosi 

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L’uso continuo e a vita dei farmaci immunosoppressori, necessari a sopprimere la risposta del sistema immunitario verso l’organo trapiantato, riduce la capacità del sistema immunitario stesso di combattere le infezioni e di distruggere le cellule tumorali. Sussiste dunque un rischio molto elevato di contrarre alcuni tipi di cancro, in particolare i tumori della pelle, come il carcinoma a cellule squamose (SCC), il carcinoma basocellulare (BCC) e il melanoma-carcinoma a cellule di Merkel (MCC), tutti potenzialmente letali.

 

Per rendere l’idea dell’incidenza di tali patologie nei trapiantati basti dire che il rischio di contrarre l’SCC è 100 volte più alto rispetto alla popolazione generale, quello di sviluppare il BCC è di sei volte mentre è di 24 volte per l’MCC. Dal momento che il cancro della pelle non può essere prevenuto nei soggetti trapiantati, quest’ultimi devono sottoporsi a screening regolari, ancora più frequenti nelle persone con una storia personale di tumori della pelle.

 

Attraverso una ricerca scientifica è stato scoperto inoltre che i trapiantati hanno un rischio particolarmente elevato di sviluppare melanomi che hanno già raggiunto uno stadio avanzato al momento della diagnosi. 

 

Sempre a causa dei farmaci immunosoppressori le persone che hanno ricevuto un trapianto di fegato, cuore o polmone hanno il 64 %in più di probabilità, rispetto alla popolazione generale, di sviluppare patologie cardiovascolari. Un altro aspetto che rende più probabile l’incidenza di tali malattie è l’obesità: ben il 50%dei trapiantati subisce un aumento di peso che oscilla tra il 10% e il 35% del loro peso corporeo; un problema che riguarda anche i soggetti senza una storia pregressa di accumulo patologico di tessuto adiposo.

 

L’elenco delle patologie e del calvario sanitario che subiscono i pazienti trapiantati è decisamente lungo e meriterebbe un approfondimento che esula dalle nostre competenze. In ogni caso, è lecito supporre che le persone riceventi un organo possano diventare dei malati cronici con una bassa qualità e un’altrettanto bassa aspettativa di vita.

 

Non è poi così infrequente che i trapiantati diventino a loro volta soggetti da espiantare o da eutanatizzare, secondo una spirale di malattia, sofferenza e morte voluta e pianificata a tavolino. Nel 1993, il fratello, racconta la cardiologa, fu colto da un ictus a 41 anni e il suo cuore trapiantato su un paziente che visse solamente una settimana. Lo stesso cuore venne impiantato in un terzo soggetto che visse per vent’anni.

 

«Aveva ragione la moglie», suggerisce la cardiologa, «non era più il cuore di mio fratello ma quello di suo marito (…) C’è sempre un rischio nel trapianto di un organo che ha già subito una manipolazione. Non è il pezzo di un’automobile, insomma», chiosa la specialista. 

 

E se è la scienza dei trapianti ad affermare che non siamo pezzi di ricambio possiamo certamente dormire sonni tranquilli…

 

Alfredo De Matteo

 

 

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