Immigrazione
Ragazzini immigrati a Peschiera, problema «militare»

Una qualche forma di percezione di quello che è successo c’è stata.
Dopo qualche ora di omertà, è emerso che quello che è successo a Peschiera non era un vandalismo qualsiasi: era un ritrovo di giovani africani. Non è poco: il lettore sa che per codice deontologico espresso dalla Carta di Roma, il giornalista deve evitare il più possibile di parlare dell’etnia delle persone coinvolte in una storia – magari anche se son 2 mila.
I giornali – cioè i portavoce dell’establishment, cioè para-piddini – hanno mandato gli inviati nelle periferie de-italianizzate, dove qualcuno ha raccolto, con una certa onestà, le parole incontrovertibili degli immigrati di seconda generazione.
Qualche testata ha parlato perfino di Taharrush gamea: il branco arabo che si avventa in palponi e molestie tremende sulle donne, come accaduta nel famoso capodanno a Colonia, come è accaduto nell’ultimo capodanno a Milano, come accaduto nel caso di crudeltà allucinante di Lara Logan al Cairo durante la Primavera araba. Pare che a Peschiera all’inizio fossero state molestate in 5, ma chissà quante sono: come a Colonia, come a Milano, ne spunteranno decine nei prossimi giorni, e quelle che invece non denunciano sono nelle condizioni più tragiche, perché hanno paura.
Siamo arrivati al punto, incredibile, che pare che si stia indagando per razzismo: in treno, i molestatori prima di allungare le mani hanno berciato frasi sul fatto che i visi pallidi lì non li volevano: «Su questo treno non salgono i bianchi».
«Eravamo circondate hanno raccontato – il caldo era asfissiante, alcune di noi sono svenute. Mentre cercavamo un controllore avanzando a fatica lungo i vagoni è avvenuta l’aggressione sessuale. Ridevano. Ci dicevano: “le donne bianche qui non salgono”».
Si è rivoltato il sindaco di Peschiera, ma anche quello di Jesolo: è facile che quest’estate sentiremo altri primi cittadini del litorale.
Non abbiamo sentito bene la Lamorgese, e abbiamo visto le immagini dei celerini presi a sassate.
Tuttavia, una reazione da parte della collettività sembra ci sia stata. Era impossibile evitare di parlare di un evento così: 2 mila persone che calano come cavallette su una cittadina, e, incontrollabili, di fatto se ne impadroniscono. Come un’invasione. Sì, appunto: un’invasione. Vera, però. Letterale.
Ci sarebbe da stappare: forse che tutti, anche i goscisti, anche l’infrastruttura amministrativa italiana, hanno cominciato a capire il problema?
In realtà, no.
In pochi hanno capito la gravità di quanto successo. Ancora lo vogliono ammettere: quello di Peschiera è un problema «militare».
Perché duemila persone, che agiscono compattamente senza più rispondere all’autorità costituita, sono tecnicamente un esercito – un esercito straniero, un esercito nemico.
La riprova: la celere che arriva, ma non può nulla, becca sassi e bottiglie. Ancora peggio: viene ignorata.
Illegal immigrants from north Africa run riot in the Italian town of Peschiera del Garda.
Reported stabbings, families robbed, tourists terrified and forced to flee.#crazyworld pic.twitter.com/hvq7Y0wnPA
— WAKE UP CRIMES AGAINST HUMANITY IS HERE (@DOGEANATOR) June 7, 2022
Peschiera del Garda de los pueblos más bonitos del Lago de Garda, uno de los más fáciles de visitar porque está muy bien comunicado con Milán y Verona. #italia #inseguridadciudadana Igual se han dado cuenta que no todas las culturas son respetables?. Y que pasan de integrarse ? pic.twitter.com/MqEwiHlMQe
— Politeia (@Politeia_ESP) June 9, 2022
Ragioniamoci: come è possibile contenere una massa del genere? Quale partito riesce a portare in piazza 2.000 persone con un unico intento di sfida aperta all’istituzione?
Non era un rave, come ha scritto qualcuno, ma una vera manifestazione identitaria: ragazzini nati e cresciuti qui ma che si identificano in una stramba, inesistente identità pan-africana (con i paesi del Maghreb messi insieme a quelli subsahariani: bizzarro davvero) che in realtà è solo la copertura di un odio verso il Paese che li ospita. Un odio che non è più un segreto, a sentire le testimonianze registrate dai giornali nei ghetti lombardi.
«Sì, mi sento africano, marocchino e non certo italiano. Non sono mica scemo. So come ci guardano gli italiani e, sinceramente, preferisco tenermi strette le mie origini» riporta La Repubblica che sente un ragazzo del ghetto di San Siro, a Milano.
«Ma non ti guardi intorno sorella? Siamo solo la feccia per loro (inteso, gli italiani, ndr), e da dentro queste fatiscenti palazzine sono in pochi a permettersi di sognare. Fare piccole rapine, spacciare, per molti ragazzi è ormai normale».
E allora, ci chiediamo: quale movimento identitario, in Italia, può concentrare in un luogo duemila unità pronte a tutto? I movimenti di estrema destra, con le loro poche decine di effettivi locali? La Lega Nord (ridiamo)? La mafia? Ma va, neanche quella può far qualcosa, anche portasse in loco tutti i picciotti che riesce a trovare.
No, se non ce l’ha fatta neanche lo Stato in tenuta antisommossa a contenerli, significa semplicemente che non è possibile fermarli. Non con i mezzi attuali. Siamo dinanzi ad una catastrofe da manuale: un evento inarrestabile, altamente distruttivo. Un terremoto, un maremoto, un incendio improvviso che lascia enormi domande: come è potuto succedere? Come mai non ci siamo accorti prima? Perché nessuno ha pensato, prima di tutto, alla sicurezza?
Di fatto, lo Stato è stato battuto – è stato sostituito. Peschiera è divenuta una TAZ, una zona autonoma, una no-go zone, come Saint-Denis, Malmoe, Moellenbeck, Finsbury Park. La Repubblica Italiana, incapace di rispondere, ha per ore perso il potere primario dello Stato, il monopolio della violenza. La violenza, lì, è stata a senso unico: molestie sessuali e accoltellamenti e furti inclusi.
È fin troppo indicativo vedere come, nel linguaggio dei ragazzini immigrati conquistatori, si sia persa ogni pudicizia, per darsi alla tracotanza più oscena, pure di sapore militare, ma veritiera: parlano delle loro gesta come di «colonizzazione». Nemmeno i bossiani della prima ora erano arrivati a tal punto: al massimo parlavano di «invasione».
L’unione di marocchini e senegalesi adolescenti, invece, già teorizza apertis verbis il passo più in là. Non è che vi invadiamo e basta, dicono. Noi poi rimaniamo qui, e vi sottomettiamo, e vi sfruttiamo. Vi colonizziamo.
Sul serio. C’è un video, che gira su Tiktok, il social cinese (ma guarda) dove si compiono i raduni africani: la Verità racconta di una clip da Riccione, dove «due ragazzini scendono la scalinata del Palazzo dei Congressi e, a un certo punto, dicono “pure quest’ estate Riccione sarà colonizzata”».
Colonizzata.
E questo è esattamente quello che è successo a Peschiera, e a Riccione, e a Jesolo, e ovunque lo vorrà il branco ideologico inarrestabile.
«Al grido “Questa è Africa” hanno stretto d’assedio il lungolago del Garda, tra Peschiera e Castenuovo. “Siamo venuti a riconquistare Peschiera. Questo è territorio nostro, l’Africa deve venire qui” mi hanno urlato in faccia» ha detto il sindaco di Castelnovo. «Ho cercato di capire ma loro urlavano frasi assurde, sbandierando bandiere di vari Paesi africani».
È più che un revanscismo terzomondista. È una promessa di violenza e schiavitù verso la maggioranza degli abitanti del Paese che li ha accolti. È più che odio razziale: è un programma vero e proprio.
Ribadiamo: la cosa è seria, molto, e val al di là del cosiddetto «problema di ordine pubblico».
Anche perché non è solo grave quello che è successo – le violenze, il razzismo, la sospensione temporanea del potere dello Stato italiano da parte di una massa che lo odia come odia i suoi abitanti (cioè, un nemico: vero).
Quello che è ancora più problematico, è quello che non è ancora si è trovato il coraggio di dire pubblicamente. E cioè, il prossimo passo.
Non si resta adolescenti per sempre. Si cresce, sempre nell’odio immutato per i bianchi italiani ingenerato nella camera d’eco razziale delle periferie della monocultura immigrata.
Piccoli marocchini e africani vari diventano grandi e cominciano a stufarsi: della musica trap che alla fine non ti fa diventare ricco e famoso, delle droghe che magari ti mandano per un po’ in galera, della vita di branco che ad un certo punto stanca, perché ingovernabile e violenta anche al suo interno.
È a quel punto che fa capolino qualcuno che porta invece una promessa di ordine per le vite dei giovani immigrati. Qualcuno che può immettere il soggetto in corpo sociale più prevedibile, e giusto. Magari dà anche qualche cosa da mangiare, e qualche soldo – il tutto nella cornice della giustizia, eterna, del bene, della volontà di Dio, che è grande.
Avete capito chi verrà a mietere il deboscio dei vandali: l’islamismo radicale. Il wahabismo, il salafismo, l’ISIS, qualsiasi etichetta fondamentalista vogliate piazzarci: dietro ci staranno comunque sempre i soldi sauditi, che mandano i loro iman nei ghetti d’Europa, e li formano alla loro versione oltranzista dell’Islam.
Di lì, lo sapete, poi chi vorrà andrà a pescare per il terrorismo.
In pratica, sto dicendo che i fatti di Peschiera ci hanno mostrato un serbatoio del terrorismo takfiro che colpirà le nostre stesse città (le loro stesse città…) tra cinque-dieci anni? Ecco, cari sociologi, cari poliziotti, cari deputati, cari preti: facciamoci un pensiero.
Perché non parliamo solo di zone controllate dalla shari’a, come dicono gli adesivi nei quartieri di Londra, di no-go zone, di ghetti, etc.
Parliamo di quello che l’ISIS, nel suo manuale operativo, chiamava la «zona della ferocia». Un luogo dove lo Stato precedente è scollegato dalla popolazione a forza di atti vessatori inumani, barbari fino al parossismo.
Nel libro ispiratore dello Stato Islamico si parla di «gestione della barbarie». La crudeltà, scrive, o la subisci o la eserciti. E se vuoi impadronirti di un territorio, la devi esercitare, anche quando non vuoi.
Dicono che, a petto nudo tra canzoncine etniche e birre proibite dalla loro religione, hanno messo a ferro e fuoco Peschiera del Garda. In realtà, quello che si prepara non è un modo dire: il ferro e il fuoco sono già nella teoria.
Ora, attendiamo che qualcuno, per cortesia se ne renda conto.
Uscite dalla reazione pavloviana di abbaiare ai barconi: il problema è già in casa, ed è grosso al punto che, per placarlo, forse potevano mandarci solo i militari (quelli usati per la popolazione da vaccinare…).
Sì, dicevamo: un problema militare.
Qualcuno ne vuole discutere con serietà?
Roberto Dal Bosco
Immigrazione
La Gran Bretagna ha perso il controllo dei suoi confini, afferma il ministro degli Interni

Il ministro degli Interni britannico Shabana Mahmood ha dichiarato che le autorità del Regno Unito stanno perdendo il controllo dei confini nazionali a causa di un drastico aumento dell’immigrazione illegale.
Si prevede che il ministro lancerà questo monito durante un vertice a Londra con i ministri degli Interni dei Balcani mercoledì, incentrato sulla riduzione dei flussi migratori verso la Gran Bretagna.
Secondo anticipazioni del suo discorso, riportate da diversi media britannici, Mahmood evidenzierà che «l’opinione pubblica si aspetta giustamente che il governo sia in grado di decidere chi può entrare nel Paese e chi deve lasciarlo». «Oggi, nel nostro Paese, questo non avviene», ammette nel discorso preparato. «L’incapacità di ristabilire l’ordine ai nostri confini sta minando la fiducia non solo nei confronti di noi leader politici, ma nella credibilità stessa dello Stato».
Tuttavia, il Mahmood sottolinea che la soluzione richiede una cooperazione internazionale, non un «ripiegamento su se stessi», proponendo, tra l’altro, la creazione di «centri di rimpatrio» per i migranti.
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Martedì ha annunciato che il governo innalzerà il requisito di conoscenza della lingua inglese per i migranti, passando dal livello del General Certificate of Secondary Education (GCSE) a quello di competenza A-level.
La Gran Bretagna affronta da anni una crisi migratoria, con dati ufficiali che registrano 49.000 arrivi irregolari nell’anno conclusosi a giugno 2025, un aumento del 27% rispetto all’anno precedente. Le traversate su piccole imbarcazioni hanno rappresentato l’88% di questi arrivi, con un incremento del 38% su base annua.
In un clima percepito da molti come un fallimento del governo laburista nel gestire la crisi, il mese scorso si sono svolte in tutto il Regno Unito grandi proteste nell’ambito dell’«Operazione Raise the Colours», con manifestanti che sventolavano bandiere di San Giorgio e Union Jack.
Nel frattempo, un sondaggio di BMG pubblicato il mese scorso ha rivelato che il sostegno al partito riformista anti-immigrazione e scettico sull’UE, guidato da Nigel Farage, è salito al 35%, superando laburisti e conservatori, fermi rispettivamente al 20% e al 17%.
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Immigrazione
Il Belgio valuta l’invio dell’esercito sulle strade di Bruxelles

Il ministro della Difesa belga Theo Francken ha annunciato che potrebbe dispiegare truppe a Bruxelles entro la fine dell’anno per pattugliare la città, in risposta alle crescenti pressioni sul governo per contrastare la criminalità violenta e ristabilire l’ordine nella capitale, oramai totalmente sconvolta dall’immigrazione che ne ha cambiato i connotati.
Secondo i media locali, quest’anno Bruxelles ha registrato circa 60 episodi di sparatorie, di cui circa un terzo durante l’estate, con un bilancio di due morti.
Il mese scorso, il ministro della Sicurezza e degli Affari Interni Bernard Quentin ha definito la situazione «una catastrofe», sottolineando che le bande criminali sono diventate «sempre più audaci». Ha proposto l’impiego di squadre miste di polizia e militari per pattugliare «i punti critici della criminalità a Bruxelles», con l’obiettivo di generare un «effetto shock».
In un’intervista a Le Soir, pubblicata sabato, Francken, esponente del partito nazionalista fiammingo N-VA, ha dichiarato di non essere contrario all’invio di soldati, ma ha chiarito che tale misura deve essere legalmente giustificata e limitata a compiti essenziali di sicurezza.
«Sono sempre disponibile a rafforzare la sicurezza a Bruxelles», ha detto Francken, noto per la sua linea dura sull’immigrazione. «La situazione è diventata disastrosa, non solo dal punto di vista della sicurezza, ma anche a livello politico e sociale». Ha aggiunto che i disordini nella capitale «hanno ripercussioni sulle regioni circostanti».
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«La sicurezza è compito della polizia, non dell’esercito. Tuttavia, quando il ministro dell’Interno lo richiede, diventa una responsabilità della Difesa, che ha il dovere di proteggere la nazione», ha proseguito. «È possibile inviare soldati in strada entro la fine dell’anno? Non ho detto sì, ma nemmeno no».
Il procuratore di Bruxelles Julien Moinil ha recentemente riferito che, entro metà agosto, la città aveva registrato 57 sparatorie, di cui 20 in estate, chiedendo un’azione coordinata contro le gang. Moinil ha avvertito che «chiunque, ogni residente di Bruxelles e ogni cittadino, rischia di essere colpito da un proiettile vagante», evidenziando il crescente pericolo della criminalità violenta nella capitale.
Un recente rapporto di Euronews ha descritto Bruxelles come la «capitale europea dei crimini legati alle armi da fuoco», sottolineando che molti incidenti si sono verificati in quartieri come Anderlecht e Molenbeek, noti per le attività delle gang e il traffico di droga.
Secondo Statbel, l’ufficio nazionale di statistica belga, il 46% dei residenti di Bruxelles è nato all’estero, rispetto al 18% a livello nazionale, un cambiamento demografico che, secondo le autorità, ha intensificato le sfide sociali e di sicurezza della città.
Come riportato da Renovatio 21, Bruxelles fu oggetta, come tante altre città d’Europpa (Berlino, Milano, etc.) di momenti di pura barbarie durante anche l’ultimo capodanno, quando i facinorosi sono arrivati a tirare molotov sulle ambulanze.
Il quartiere di Moleenbek è risaputamente una delle no-go zone islamiche europee, ossia un luogo dove di fatto lo Stato moderno ha ceduto il potere agli immigrati.
Brusselle è stata oggetto di una brutale sequela di attentati il 16 marzo 2016.
Rimane tuttavia impressa la reazione delle forze dell’ordine della capitale del Belgio e dell’Europa, pochi mesi prima, agli eventi terroristici di Parigi: secondo quanto riportato, in una stazione di polizia presso Ganshoren, alcuni agenti di polizia e alcuni soldati avrebbero partecipato ad una clamorosa orgia organizzata in commissariato proprio durante l’allerta anti-terrorismo dei giorni del Bataclan.
La caserma protagonista degli atti orgiastici delle forze dell’ordine belghe si trova peraltro vicino al quartiere di Molenbeek, dove in quei giorni erano stati pure effettuati alcuni raid.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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