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Economia

Putin parla specificamente di un nuovo sistema finanziario internazionale

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Nel corso del dibattito al Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo (SPIEF) il presidente Vladimir Putin si è soffermato anche sulla crisi del sistema finanziario internazionale.

 

Putin ha affrontato la questione dell’economia globale dopo Bretton Woods e dopo lo sgancio della riserva aurea in quello che è stata di fatto l’era dell’egemonia economica USA, in cui a fondamento dell’intero sistema altro non c’era se non la fiducia del mondo nell’economia statunitense.

 

«Guardate, il sistema di Bretton Woods è morto molto tempo fa, nel 1976. È stato sostituito dal sistema giamaicano» ha detto Putin.

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Il riferimento al «sistema giamaicano» è alla decisione del gennaio 1976 nota come Accordi della Giamaica, che consistevano nella decisione presa dal consiglio dei governatori del Fondo monetario internazionale (FMI) di porre fine ufficialmente al sistema monetario di Bretton Woods, rivedendo la decisione del presidente Richard Nixon, presa il 15 agosto 1971, di togliere il dollaro dallo standard della riserva aurea.

 

«Il sistema di Bretton Woods era basato sull’equivalente in oro. Nel 1976 gli Stati Uniti decisero di abbandonare l’equivalente aureo e fu creato il sistema giamaicano, che sganciava il dollaro dall’oro. Qual è la base di questo sistema giamaicano che è ancora in vigore oggi, ancora in vigore? La fiducia nell’economia americana».

 

«Guardate cosa sta accadendo nella realtà odierna: nel sistema finanziario globale di oggi non esiste altra garanzia, come si suol dire, oltre alla fiducia nell’economia americana. Naturalmente gli Stati Uniti sfruttano la loro posizione di monopolio nel mercato finanziario globale e guadagnano molto da questo sfruttamento» ha continuato il presidente della Federazione Russa.

 

«Secondo i dati disponibili al pubblico, gli Stati Uniti devono condizionalmente all’economia mondiale 54,3 trilioni di dollari. In cosa consiste questa cifra? 12,6 trilioni di dollari è ciò che gli individui detengono nei loro conti bancari e semplicemente nelle loro tasche, sotto il materasso, come diciamo, al di fuori dei confini degli Stati Uniti. Inoltre, altri 10mila miliardi di dollari sono stati prelevati dalle aziende americane. E si tratta di 22,6 trilioni di dollari, che non sono supportati da nient’altro che dalla fiducia nell’economia americana».

 

La restante parte dei 54,3 dollari è ciò che i cittadini di altri Paesi hanno investito in società americane, e i loro investimenti in società americane sono garantiti dall’affidabilità di queste società e dal loro valore. La loro affidabilità dipende, in ultima analisi, anche dal sistema economico americano».

 

«Cosa sta succedendo nel mondo a questo riguardo? I volumi delle economie americane si stanno contraendo e i loro fondamentali si incrinano di tanto in tanto. Non intendo solo il loro debito, che è fuori scala, ma anche il fatto che non sono sempre in grado di far fronte agli obiettivi di inflazione che (loro) si sono prefissati. Hanno fissato obiettivi di inflazione del 2% e (poi) volano fuori controllo, come è avvenuto di recente durante la pandemia, a oltre il 7,8%, il che mina la fiducia nell’economia americana».

 

«Allora cosa facciamo adesso? Siamo con i nostri partner BRICS. Stiamo costruendo questo lavoro congiunto e il ruolo della Russia qui, ovviamente, può essere significativo. Abbiamo creato la Nuova Banca per lo Sviluppo, stiamo creando i nostri strumenti valutari. Il mondo intero – beh, non tutto il mondo, ma una parte significativa dei partecipanti all’attività economica internazionale – sta passando a pagamenti in valute nazionali».

 

«Ad esempio, come ho già detto, il 90% dei nostri scambi commerciali con la Cina è regolato in yuan e rubli. Anche nello spazio post-sovietico la quota del rublo si avvicina al 70%, il che significa che il nostro ruolo qui è significativo. Ma dobbiamo farlo insieme, sarà più approfondito».

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«Il nostro collega dello Zimbabwe ha subito parlato del coinvolgimento degli investimenti», ha continuato Putin. «Sì, è vero, si può fare, e non solo nei confronti dello Zimbabwe, si può fare nei confronti degli altri Paesi africani, si può fare nei confronti dei paesi dell’Asia meridionale e dell’Asia in generale, nei confronti Paesi in rapido sviluppo».

 

Tuttavia, avverte il presidente russo, «abbiamo bisogno di strumenti che garantiscano questi investimenti e il ritorno sull’investimento. Su cosa può basarsi se non sull’oro? Sulla qualità dei progetti di investimento proposti. Se garantiamo la qualità – la qualità e la stabilità dei regimi politici – e dovremo farlo insieme, allora potremo sviluppare un tale sistema di accordi, che sarà praticamente privo di volatilità, non sarà volatile, non sarà soggetto all’inflazione».

 

«Tutto questo può essere fatto. Ne abbiamo discusso con il mio amico e collega, il presidente Xi Jinping, durante il mio viaggio [effettuato il 16 e 17 maggio scorsi, ndr]; ne parleremo con altri leader dei paesi BRICS. Questa è un’area molto importante di lavoro comune».

 

Come riportato da Renovatio 21, la Russia ha più volte discusso in questi anni riguardo ad un nuovo rublo basato sull’oro. Negli ultimi mesi si è registrata una corsa all’oro da parte di fondi sovrani e Banche Centrali.

 

l prezzo dell’oro due mesi fa ha toccato il massimo storico. Nelle settimane precedenti alcuni analisti avevano previsto che i prezzi dell’oro avrebbero potuto nei mesi successivi raggiungere la cifra record di 2.500 dollari l’oncia, spinti dalla domanda degli investitori di beni rifugio sulla scia dell’incertezza globale e delle tensioni geopolitiche.

 

L’anno passato Putin aveva firmato un disegno di legge per il cosiddetto «rublo digitale», cioè la moneta elettronica della Banca Centrale Russa (CBDC).

 

La de-dollarizzazione, nel frattempo, continua a galoppare.

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)modificata

 

 

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Economia

Nvidia supera quota 5 trilioni di dollari

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Il gigante tecnologico statunitense Nvidia ha toccato la capitalizzazione di mercato record di 5 trilioni di dollari. Il risultato è stato raggiunto dopo che il presidente USA Donald Trump ha annunciato l’intenzione di discutere con il presidente cinese Xi Jinping i chip Blackwell di Nvidia.   I leader delle due principali economie mondiali cercheranno di ridurre le tensioni in un incontro previsto per giovedì. «Mi aspetto di allentare la pressione perché credo che ci aiuteranno sulla questione del fentanyl», ha dichiarato Trump ai giornalisti mentre si recava in Corea del Sud mercoledì.   I titoli Nvidia sono saliti del 5,2%, attestandosi a 211,47 dollari, portando l’azienda oltre la soglia dei 5 trilioni di dollari appena quattro mesi dopo aver superato i 4 trilioni. Il CEO Jensen Huang ha recentemente svelato una serie di partnership, in un contesto di domanda globale in forte crescita per le tecnologie di intelligenza artificiale.   «Agli investitori è stato insegnato a ignorare le valutazioni dell’IA, e se le scommesse sull’IA si materializzeranno, allora quelle valutazioni saranno probabilmente giustificate, anche se alcune potrebbero rivelarsi difficili da sostenere», ha detto a Bloomberg Dan Eye, Chief Investment Officer di Fort Pitt Capital Group. Ha segnalato la crescente concorrenza di Advanced Micro Devices e Broadcom, oltre alla spinta cinese per sviluppare chip IA propri, come potenziali rischi.

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«Nvidia detiene attualmente oltre il 90% della quota di mercato, e questa percentuale è destinata a calare piuttosto che a salire», ha aggiunto Eye.   Martedì mattina, il colosso tecnologico Apple ha superato i 4 trilioni di dollari di valore di mercato, diventando la terza azienda a raggiungere tale livello dopo Nvidia e Microsoft. I guadagni derivano da una domanda superiore alle attese per gli ultimi iPhone, con le azioni in aumento di circa il 25% negli ultimi tre mesi.   La ripresa di Apple rappresenta un’inversione dopo un avvio d’anno complicato, gravato da dazi e tensioni nella filiera. Gli analisti restano tuttavia divisi sulla strategia a lungo termine dell’azienda in ambito Intelligenza Artificiale.   Come riportato da Renovatio 21, Nvidia nel giugno 2024 era diventata la seconda azienda più capitalizzata al mondo, con il titolo di NVIDIA in Borsa a dare performance davvero invidiabili: il prezzo delle azioni era salito del 47% nei primi mesi del 2024.   Nell’ambito delle tensioni con la Repubblica Popolare Cinese su Taiwan, il governo degli Stati Uniti aveva detto a NVIDIA di interrompere immediatamente la spedizione di alcuni dei suoi chip di Intelligenza Artificiale di fascia alta in Cina.   Come riportato da Renovatio 21, l’anno passato NVIDIA ha annunziato un piano per la produzione di «robot umanoidi» basati sull’Intelligenza Artificiale.  

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Immagine di NVIDIA Taiwan via Wikimedia pubblicata su licenza  Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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Economia

Goldman Sachs: l’Occidente è indietro di un decennio rispetto alla Cina per quanto riguarda le terre rare

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Goldman Sachs ha avvertito che l’Occidente potrebbe impiegare fino a un decennio per contrastare il dominio cinese nel settore delle terre rare. Questi minerali, indispensabili per la maggior parte delle tecnologie contemporanee, restano al centro di una controversia commerciale tra Washington, l’UE e Pechino.

 

Secondo i dati dell’Agenzia internazionale per l’energia e degli analisti del settore, la Cina gestisce oltre il 90% della raffinazione globale delle terre rare e il 98% della produzione complessiva di magneti.

 

Sebbene la Cina estragga circa i due terzi dei minerali di terre rare mondiali, controlla anche le fasi di lavorazione e manifattura che li trasformano in componenti utilizzabili.

 

«Ci vorranno anni per sviluppare catene di approvvigionamento autonome in Occidente», ha dichiarato Daan Struyven, co-responsabile della ricerca globale sulle materie prime di Goldman Sachs, in un podcast di martedì. Ha calcolato che occorreranno circa dieci anni per realizzare una miniera e circa cinque anni per una raffineria.

 

Ad aprile, la Cina ha introdotto controlli sulle esportazioni di vari elementi delle terre rare impiegati in applicazioni militari, motivandoli con esigenze di sicurezza nazionale e tutela delle risorse strategiche. All’inizio del mese, ha inasprito le norme con licenze più rigorose e clausole extraterritoriali, colpendo soprattutto le forniture destinate all’industria della difesa e dei semiconduttori statunitense.

 

Gli analisti interpretano le restrizioni di Pechino come una replica alle limitazioni imposte da Washington sui semiconduttori avanzati e sulle attrezzature per chip, in vigore dalla fine del 2022, che hanno compreso il sequestro di uno stabilimento di produzione di chip cinese da parte del governo olandese sotto pressione USA.

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Queste misure intendono ostacolare lo sviluppo cinese di chip di alta gamma che potrebbero potenziare le sue capacità militari e di intelligenza artificiale.

 

Il presidente statunitense Donald Trump ha affermato che i due Paesi sono «di fatto in una guerra commerciale» e ha minacciato dazi aggiuntivi del 100% sui prodotti cinesi a partire da novembre. La Cina ha giurato di «combattere fino alla fine».

 

Come riportato da Renovatio 21, in questi giorni Trump ha raggiunto accordi sulle terre rare con l’Australia.

 

Il ministero del Commercio cinese ha annunciato il 9 ottobre che imporrà controlli sulle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare per proteggere la sicurezza e gli interessi nazionali.

 

Come riportato da Renovatio 21, nel 2024 i dati mostravano che i profitti sulla vendita delle terre rare cinesi erano calati. È noto che Pechino sostiene l’estrazione anche illegale delle sostanze anche in Birmania.

 

Secondo alcune testate, tre anni fa vi erano sospetti sul fatto che il Partito Comunista Cinese stesse utilizzando attacchi informatici contro società di terre rare per mantenere la sua influenza nel settore.

 

Le terre rare, considerabili come sempre più necessarie nella corsa all’Intelligenza Artificiale, sono la centro anche del turbolento accordo tra l’amministrazione Trump e il regime di Kiev.

 

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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Economia

Fico: le politiche dell’UE costringeranno gli slovacchi a «riscaldarsi a legna»

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Le politiche «assurde» dell’UE obbligheranno i cittadini slovacchi a riscaldarsi bruciando legna, riportando il Paese «agli anni ’30», ha avvertito il primo ministro slovacco Robert Fico.   Durante una conferenza stampa tenuta domenica, Fico ha attaccato il sistema di scambio di quote di emissione per edifici e trasporti su strada (ETS2), che entrerà pienamente in vigore nel 2027.   Il controverso meccanismo estende le regole UE sul commercio di quote di CO2 a famiglie e veicoli. Fico prevede che ciò causerà un ulteriore rialzo dei prezzi del gas, già elevati a causa del rifiuto dell’UE di accedere all’energia russa a costi accessibili.   «Torneremo agli anni Trenta e Quaranta, con le nostre valli e i nostri villaggi avvolti dal fumo», ha dichiarato Fico.   Il primo ministro ha ricordato che la Slovacchia ha investito anni per estendere l’accesso al gas alle famiglie. Un nuovo aumento dei prezzi del carburante spingerebbe le persone a ricorrere a metodi di riscaldamento antiquati, con conseguente maggiore inquinamento, ha argomentato.

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Un’azione di lobbying congiunta della Slovacchia e di oltre una dozzina di altri Stati membri UE ha ottenuto questo mese la promessa della Commissione europea di esplorare «ulteriori modi per rafforzare la stabilità e la prevedibilità» dei prezzi dell’energia prima dell’introduzione dell’ETS2.   La Commissione Europea mira a ridurre le emissioni di gas serra del 90% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2040. L’UE intende inoltre eliminare completamente le importazioni dalla Russia nell’ambito della sua politica di sanzioni legate all’Ucraina.   Critici come Fico sostengono che queste misure siano irrealistiche e autodistruttive, poiché compromettono la competitività industriale dell’Europa e aumentano il costo della vita in tutti gli Stati membri.   Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi anni il ritorno alla legna per scaldarsi, dopo l’esplosione dei prezzi dovuti alla guerra ucraina e all’esclusione del gas russo, era già stata prevista in Polonia (con l’invito ai cittadini di raccogliere legna da ardere vista la scarsità anche del carbone) e in Germania: la regressione tedesca è stata tale che ad un certo punto, scrisse un’analisi Deutsche Bank, si era cominciato a parlare nel Paese della fornitura di legna da ardere per passare l’inverno.  

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