Geopolitica
Putin: la Russia avrebbe dovuto iniziare prima l’operazione in Ucraina

In una nuova intervista con il giornalista russo Pavel Zarubin a margine del Future Technologies Forum di Mosca il presidente della Federazione Russa Vladimiro Putin ha dichiarato che la Russia ha avuto troppa fiducia nei suoi avversari nel tentativo di risolvere la lunga crisi ucraina attraverso la diplomazia e avrebbe dovuto ricorrere prima ad un’azione decisiva.
Dopo il colpo di stato di Kiev del 2014, Mosca ha cercato di sedare lo spargimento di sangue nel Donbass «con mezzi pacifici», vale a dire con gli Accordi di Minsk, che prevedevano uno status autonomo speciale per le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk all’interno dell’Ucraina.
«L’unica cosa di cui possiamo rammaricarci è di non aver iniziato prima le nostre azioni attive, credendo di avere a che fare con persone per bene», ha dichiarato il leader russo.
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«Si è scoperto che eravamo stati ingannati a questo riguardo, perché sia l’ex cancelliere tedesco che l’ex presidente francese hanno ammesso apertamente in pubblico di non aver mai pianificato di rispettare gli accordi. Invece, stavano guadagnando tempo per consegnare più armi al regime di Kiev, che è esattamente quello che hanno fatto», ha detto mercoledì il leader russo.
Mosca ha più volte insistito di essere ancora pronta a risolvere le ostilità attraverso i negoziati, accusando Kiev della mancanza di qualsiasi svolta diplomatica. Nel marzo 2022, l’Ucraina ha firmato un accordo preliminare che obbligava la Russia a ritirare le sue truppe dalla capitale ucraina. Tuttavia, Kiev ha violato l’accordo quasi immediatamente dopo che l’allora primo ministro britannico Boris Johnson avrebbe consigliato agli ucraini di «continuare a combattere».
Se Russia e Ucraina dovessero mai tornare al tavolo delle trattative, i potenziali colloqui non sarebbero gli stessi, poiché Kiev dovrà accettare la «nuova realtà», ha detto la settimana scorsa il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov, riferendosi apparentemente all’incorporazione di quattro ex regioni regioni – Zaporiggiae Kherson, nonché le DPR e LPR – in Russia a seguito dei referendum di fine 2022.
Nella stessa conversazione con Zarubin il presidente russo ha ammesso mercoledì che Tucker Carlson lo ha colto di sorpresa durante la loro intervista della scorsa settimana.
L’intervista finale è durata due ore ed è stata vista da centinaia di milioni di persone. Prima di ciò, Carlson era stato attaccato per il solo fatto di voler parlare con Putin – e in seguito, per non aver chiesto al presidente russo certe cose.
«Penso che il vostro Carlson – dico il tuo, visto che è un membro della vostro professione – sia un uomo pericoloso», ha detto Putin allo Zarubin.
«Pensavo che sarebbe stato aggressivo, mi avrebbe fatto domande taglienti. Non solo ero pronto per questo, lo volevo, per poter dare risposte altrettanto acute», ha spiegato Putin. «Ma ha scelto una tattica diversa».
Carlson ha finito per assistere pazientemente alla lunga digressione di Putin nella storia e «non mi ha dato l’occasione di fare qualcosa per cui mi ero preparato», ha detto Putin. «Francamente non ho avuto la piena soddisfazione da questa intervista».
Commentando le reazioni all’intervista provenienti dall’Occidente, Putin ha detto che è stato un bene che i leader locali abbiano guardato e ascoltato quello che aveva da dire – ma è un male che abbiano sentito il bisogno di distorcere le sue parole.
Alla domanda se Carlson potrebbe affrontare ritorsioni in Occidente, il presidente russo ha sottolineato che l’editore di WikiLeaks Julian Assange «siede ancora» in una prigione britannica.
Mentre gli Stati Uniti hanno cercato di accusare Assange di rivelare segreti di Stato, cosa che è più difficile imputare a Carlson, «tutto è possibile negli Stati Uniti di oggi», ha detto Putin.
Sebbene questo tipo di persecuzione sarebbe certamente una cosa negativa per lo stesso Carlson, sarebbe un bene per il mondo, perché rivelerebbe il vero volto della «dittatura liberal-democratica» incarnata dalla classe dirigente negli Stati Uniti, ha concluso il presidente russo.
Nell’intervista poi Putin ha discusso il tema delle origini della famiglia del segretario di Stato USA Anthony Blinken, che varie volte ha parlato della questione dei pogrom subiti da suo bisnonno, che era ebreo.
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«Lo ha detto più volte. Ha detto che i suoi parenti, il suo bisnonno, sono fuggiti dalla Russia a causa dei pogrom ebraici. Questa questione viene sollevata continuamente in vari paesi del mondo – in Europa, negli Stati Uniti – con l’obiettivo di demonizzare la Russia, mostrando che è popolata da barbari, teppisti e furfanti», ha detto il leader russo.
«Ma in realtà, se consideriamo le parole dell’attuale Segretario di Stato non come slogan politici, ma dal punto di vista della natura dei problemi, tutto diventerà molto più chiaro», ha continuato. «Ad esempio, abbiamo tutto nei nostri archivi. Il bisnonno di Blinken lasciò l’impero russo. Per quanto ne so, era nato da qualche parte nella regione di Poltava, ma si era trasferito a Kiev ed era fuggito da questa città».
Putin si chiede: «sorge una domanda: Blinken vede davvero Kiev e i territori circostanti come il territorio tradizionale della Russia?»
Putin ritiene che, facendo tali osservazioni, Blinken «indichi almeno che non esisteva l’Ucraina nel 1904 – l’anno in cui il bisnonno di Blinken partì da Kiev per gli Stati Uniti – perché dice di essere fuggito dalla Russia».
«A quanto pare, Blinken è il nostro uomo. Ma non dovrebbe fare dichiarazioni pubbliche di questo tipo. Potrebbe portare al fallimento», ha avvertito il presidente russo.
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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0);
Geopolitica
Netanyahu regala a Trump un cercapersone come quelli fatti esplodere in Libano: è una minaccia?

Il gruppo Betar US dice di richiamarsi direttamente a Zev Jabotinky, ebreo ucraino capofila del cosiddetto sionismo revisionista degli anni Trenta, ammiratore di Mussolini (cui scriveva lettere, ottenendo di aprire una scuola navale sionista a Civitavecchia nel 1934), fondatore nel mandato britannico di Palestina dei gruppi militanti e paramilitari ebraici Hatzohar, Irgun e appunto Betar. Il padre di Benjamin Netanyahu, Benzion, di Jabotinsky fu segretario. L’amministratore delegato dell’Anti-Defamation League, ente che di fatto esercita pressioni per censurare critici sgraditi ad Israele e agli ebrei (e, di recente, attaccare in generale chiunque non sia allineato con la cultura woke) giorni fa aveva fatto la sorprendente dichiarazione alla Knesset (il Parlamento israeliano) secondo cui il «genio» dietro agli attacchi in Libano andava utilizzato per combattere l’antisemitismo.Betar US is actively walking around and putting pagers in American’s pockets. Watch Betar harass & threaten @normfinkelstein curse at him & put a pager in his pocket
Betar is claiming they are working w/ @ICEgov to make death threats WHY IS @FBI DOING NOTHING? pic.twitter.com/qRLrNpYSak — GenXGirl (@GenXGirl1994) February 3, 2025
WATCH: ADL CEO Jonathan Greenblatt says the kind of “genius” behind the pager attack on Lebanon is now needed to fight antisemitism.
He said this in a speech to the Israeli Knesset just days ago. Is this a terroristic threat? pic.twitter.com/RcW0jUlltX — Chris Menahan 🇺🇸 (@infolibnews) January 13, 2025
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Economia
El Salvador abbandona l’esperimento del corso legale Bitcoin e offre il supercarcere agli USA

Il Congresso di El Salvador ha approvato una riforma che revoca lo status di Bitcoin come moneta a corso legale, in un’inversione della storica decisione del Paese del 2021, secondo quanto riportato dai media.
Gli emendamenti alla sua legge Bitcoin arrivano dopo un accordo di prestito con il Fondo monetario internazionale, che richiede che l’accettazione della criptovaluta sia resa volontaria nel Paese.
Nel 2021, El Salvador è diventato il primo Paese ad adottare la criptovaluta come moneta legale, riconoscendo ufficialmente Bitcoin insieme al dollaro statunitense, che era stata la valuta principale della nazione per due decenni.
Le modifiche legislative approvate il 30 gennaio hanno rimosso l’accettazione obbligatoria di Bitcoin in El Salvador, rendendone l’uso interamente volontario. La riforma è stata approvata con 55 voti a favore e 2 contrari.
Secondo quanto riferito, gli emendamenti arrivano dopo quasi due anni di pressioni da parte del FMI, che ha esortato il Paese ad attenuare i rischi finanziari legati a Bitcoin in cambio di un prestito di 1,4 miliardi di dollari, concordato a dicembre, per stabilizzare l’economia in difficoltà del Paese.
Secondo Reuters, il FMI ha espressamente spinto affinché l’accettazione di Bitcoin fosse volontaria nel settore privato.
La mossa segna un’importante inversione di tendenza politica per El Salvador, in quanto il presidente Nayib Bukele ha sostenuto lo status di moneta legale del Bitcoin come un modo per promuovere l’inclusione finanziaria, in particolare per la popolazione senza servizi bancari.
Tuttavia, recenti sondaggi mostrano che il 92% dei salvadoregni ha smesso di utilizzare Bitcoin dopo la sua adozione ufficiale, evidenziando lo scetticismo pubblico nei confronti della valuta digitale, nonostante gli sforzi del governo.
Sebbene il Bitcoin abbia perso il suo status di moneta legale, il governo ha recentemente dichiarato che continuerà ad acquistare la criptovaluta per incrementare le sue riserve.
L’anno scorso, Bukele ha criticato duramente il dollaro statunitense, sostenendo che non è sostenuto da nulla e che l’economia statunitense si basa sulla «farsa» di stampare quantità illimitate di denaro. Ha continuato a prevedere che la civiltà occidentale crollerà quando questa bolla «inevitabilmente scoppierà».
Negli scorsi giorni il Bukele, ha proposto che gli Stati Uniti «esternalizzino parte del loro sistema carcerario», per rinchiudere criminali pericolosi nella famigerata mega-prigione del suo paese, dietro compenso.
La grande struttura di massima sicurezza è stata costruita per incarcerare i sospettati detenuti durante una repressione governativa della violenza delle gang.
Secondo quanto riferito, Bukele ha lanciato l’idea durante un recente incontro con il Segretario di Stato americano Marco Rubio, che ha visitato la nazione centroamericana nel suo primo viaggio ufficiale all’estero martedì. Rubio ha rivelato la proposta, affermando che gli Stati Uniti erano «profondamente grati» a Bukele per l’offerta.
«Si è offerto di ospitare nelle sue prigioni pericolosi criminali americani in custodia nel nostro Paese, compresi quelli con cittadinanza statunitense e residenza legale», ha detto Rubio ai giornalisti, aggiungendo che «nessun Paese ha mai fatto un’offerta di amicizia come questa».
El Salvador ha anche accettato di sostenere lo sforzo del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per reprimere l’immigrazione illegale, accogliendo migranti deportati e «criminali di qualsiasi nazionalità, siano essi MS-13 o Tren de Aragua», ha detto Rubio, menzionando le due principali bande criminali transnazionali che operano in America Centrale e Settentrionale.
MS-13 (Mara Salvatrucha) è composta principalmente da salvadoregni, l’altra menzionata da Rubio è in gran parte venezuelana.
L’offerta è stata confermata da Bukele poco dopo, con il presidente che l’ha pubblicizzata come «un’opportunità per esternalizzare parte del suo sistema carcerario» agli Stati Uniti.
«Siamo disposti ad accogliere solo criminali condannati (compresi cittadini statunitensi condannati) nella nostra mega-prigione (CECOT) in cambio di una tariffa. La tariffa sarebbe relativamente bassa per gli Stati Uniti ma significativa per noi, rendendo sostenibile l’intero sistema carcerario», ha scritto il presidente su X, condividendo le foto della famigerata struttura.
We have offered the United States of America the opportunity to outsource part of its prison system.
We are willing to take in only convicted criminals (including convicted U.S. citizens) into our mega-prison (CECOT) in exchange for a fee.
The fee would be relatively low for… pic.twitter.com/HTNwtp35Aq
— Nayib Bukele (@nayibbukele) February 4, 2025
La mega-prigione, ufficialmente nota come Centro di confinamento del terrorismo (CECOT), è stata aperta all’inizio del 2023 nell’ambito degli sforzi di Bukele per reprimere la criminalità organizzata nel Paese, il fulcro della sua prima campagna presidenziale che lo ha portato ad essere eletto per la prima volta nel 2019.
La struttura di massima sicurezza, che vanta una capienza di circa 40.000 detenuti, è la prigione più grande dell’America Latina e una delle più grandi al mondo. La prigione era piena fino a circa un terzo della sua capienza a giugno dell’anno scorso, con circa 14.500 detenuti.
Si dice che i detenuti del CECOT siano tenuti in condizioni estremamente anguste e difficili, sottoposti a sorveglianza costante e autorizzati a uscire dalle loro celle solo per 30 minuti al giorno mentre sono ammanettati.
L’ approccio del «pugno di ferro» al crimine organizzato esibito da Bukele è stato ripetutamente criticato da gruppi di difesa internazionali per presunte violazioni dei diritti umani e vari abusi, tra cui la detenzione arbitraria e il maltrattamento dei detenuti.
Il presidente salvadoregno ha sostenuto che la sua politica ha portato a una significativa riduzione della criminalità delle gang nel Paese.
Come noto, il Bukele è riconosciuto per aver totalmente fermato il crimine nel suo Paese, che era statisticamente il più violente del mondo, mentre ora, con più di un anno senza omicidi, risulta essere il più sicuro dell’emisfero occidentale – più tranquillo, quindi, perfino del Canada.
L’operazione di pacificazione del Paese – incredibile se paragonata con altre realtà come l’Ecuador e altri Paesi che paiono sul punto di divenire dei cosiddetti Narco-Stati – è stata portata avanti da Bukele con uno scontro diretto con le gang di narcotrafficanti che infestavano il Paese, ora finite in larga parte in nuove carceri di massima sicurezza costruite dal suo governo.
In un’intervista dello scorso anno Bukele rivelò che le gang narcos sono sataniste e sacrificano i bambini, trattando quindi della crisi della democrazia e del ritorno di Dio in politica.
Il presidente salvadoregno ha rimosso l’ideologia gender dall’istruzione pubblica, stia ricevendo il crescente odio del progressismo internazionale. Bukele stesso parla dell’attività delle ONG (sempre loro…) per i «diritti umani», che prima ignoravano bellamente il diritto dei cittadini salvadoriani di camminare per strada e non essere uccisi.
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Immagine screenshot da YouTube
Geopolitica
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