Cina
Pechino vuole trasformare la Chiesa in uno strumento del comunismo cinese
Nuove misure entreranno in vigore il 1° settembre 2023 in Cina, che riguardano i luoghi di culto. Da quel momento in poi, dovranno diffondere attivamente la propaganda comunista o cessare le loro attività. In un testo finale di una nuova misura ancora peggiore della bozza iniziale, nuove regole trasformeranno i luoghi di culto in rami del sistema di propaganda del Partito Comunista Cinese (PCC).
Il nuovo «Provvedimento amministrativo per i luoghi di attività religiosa», destinato a sostituire quello del 2005, oggetto di indiscrezioni, è stato «rilasciato per commenti». Questo è in realtà un esercizio cosmetico di pseudo-democrazia, poiché i commenti vengono sempre ignorati e le bozze alla fine diventano legge, a volte peggiorando il testo originale.
La piattaforma Bitter Winter, che riporta gli attacchi contro il cristianesimo in Cina, ha avuto accesso al documento finale che entrerà in vigore a settembre. Non fa eccezione alla regola, perché è peggio della brutta copia.
Non solo conferma che i luoghi di attività religiosa devono diffondere attivamente la propaganda del PCC o affrontare la chiusura, ma contiene anche disposizioni più severe per includere la propaganda del PCC nella legislazione nazionale. Queste disposizioni prevedono l’inclusione di contenuti di propaganda nei sermoni e l’istituzione di gruppi di studio sui materiali del PCC in tutti i luoghi di culto.
«Si precisa inoltre che “è vietato costruire grandi statue religiose all’aperto al di fuori dei templi e delle chiese”, e il divieto vale anche per i privati cittadini o donatori».
Con il termine «luoghi di attività religiosa» si intendono: monasteri, chiese, templi, moschee, nonché altri luoghi fissi per attività religiose registrati ai sensi del «Regolamento sugli Affari Religiosi» e altre disposizioni.
Rispetto al 2005, non c’è nulla di nuovo nel fatto che per operare legalmente i locali religiosi devono essere registrati presso le autorità. Ciò che cambia è l’enfasi che ogni luogo di culto deve diventare un’attiva agenzia di propaganda del PCC.
Un luogo di culto può ottenere e conservare (perché è facile perderlo) un permesso di «esercizio» solo se sostiene «la leadership del PCC e del sistema socialista, attua completamente l’ideologia del socialismo di Xi Jinping con caratteristiche cinesi per la nuova era».
E ancora, c’è il requisito che «rispetti la Costituzione, le leggi, le norme e i regolamenti e le disposizioni pertinenti sulla gestione degli affari religiosi, pratichi i valori fondamentali del socialismo e aderisca alla direzione della sinicizzazione delle religioni cinesi».
C’è da sperare che un testo del genere finisca per aprire gli occhi al papa e ai responsabili della Curia: gli unici risultati veramente tangibili ottenuti dall’accordo segreto sino-vaticano del 2018, già rinnovato due volte, sono le ripetute violazioni di questo accordo (che riguarda, come è noto, la nomina dei vescovi).
Violazioni prima per l’imposizione unilaterale di vescovi senza il consenso di Roma, continue violazioni per ripetute pressioni sui sacerdoti affinché aderissero all’Associazione patriottica dei cattolici cinesi (soggetta al partito), violazioni ora per l’obbligo imposto alla Chiesa di farsi intermediaria per la propaganda comunista.
Articolo previamente apparso su FSSPX.news.
Immagine di Wuyouyuan via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported, 2.5 Generic, 2.0 Generic e 1.0 Generic
Cina
La Casa Bianca annuncia l’incontro Trump-Xi
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump incontrerà il presidente cinese Xi Jinping la prossima settimana durante un viaggio in Asia, ha dichiarato giovedì la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt.
Trump si recherà in Malesia e Corea del Sud, dove incontrerà Xi Jinping giovedì prossimo a margine del Vertice di Cooperazione Economica Asia-Pacifico (APEC). Leavitt non ha fornito ulteriori dettagli sull’incontro.
L’annuncio giunge in un contesto di crescenti tensioni commerciali tra i due Paesi. La settimana scorsa, Trump ha minacciato di introdurre un ulteriore dazio del 100% sui prodotti cinesi a partire da novembre.
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Questa escalation segue la decisione di Pechino di imporre restrizioni più severe sulle esportazioni di terre rare, nonostante avesse precedentemente definito «insostenibili» le tariffe elevate. La nuova politica cinese non colpisce direttamente gli Stati Uniti, ma le aziende tecnologiche americane dipendono fortemente dalle forniture cinesi di terre rare.
Sebbene Trump avesse annunciato settimane fa l’intenzione di incontrare Xi al vertice APEC, non aveva specificato la data. Tuttavia, aveva anche accennato alla possibilità di cancellare l’incontro, a causa del disappunto per le restrizioni cinesi sull’export di minerali di terre rare.
Mercoledì, il presidente statunitense ha dichiarato che i due leader avrebbero discusso di temi che spaziano dal commercio all’energia nucleare, aggiungendo che intende affrontare anche la questione degli acquisti di petrolio russo da parte della Cina.
L’incontro in Corea del Sud sarà il primo faccia a faccia tra i due leader da quando Trump è tornato al potere a gennaio. I due si sono parlati almeno tre volte quest’anno, ma l’ultimo incontro di persona risale al 2019, durante il primo mandato di Trump.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Cina
La Cina accusa gli Stati Uniti di un grave attacco informatico
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Cina
La Cina espelle 9 generali di alto rango, tra cui due dirigenti del Partito Comunista, in una purga radicale
In una delle più significative operazioni di epurazione degli ultimi decenni, il presidente cinese Xi Jinping ha avviato una nuova ondata di licenziamenti ai vertici delle forze armate. Il Partito Comunista Cinese (PCC) ha infatti espulso nove generali di alto rango, in quella che gli analisti definiscono una mossa dettata non solo da motivazioni disciplinari, ma anche da logiche di lealtà politica.
Secondo una dichiarazione del ministero della Difesa pechinese, i nove ufficiali sarebbero sotto inchiesta per «grave illecito finanziario». A rendere il caso ancora più insolito è il fatto che la maggior parte di loro erano generali a tre stelle e membri del potente Comitato Centrale del Partito.
Non si è trattato di semplici retrocessioni: la maggior parte dei militari è stata completamente espulsa dalle forze armate. Nella nota ufficiale, il ministero ha accusato i generali di aver «gravemente violato la disciplina di partito» e di essere «sospettati di gravi reati connessi al servizio, che coinvolgevano una quantità di denaro estremamente elevata, di natura estremamente grave e con conseguenze estremamente dannose».
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Le autorità cinesi hanno sottolineato che gli ufficiali «saranno puniti legalmente e militarmente» a seguito dell’indagine, definita «un risultato significativo nella campagna anticorruzione del partito e dell’esercito».
La figura più illustre tra gli epurati è il generale He Weidong, fino a poco tempo fa vicepresidente della Commissione Militare Centrale (CMC) e membro del Politburo, l’élite di 24 dirigenti che guidano il Paese. He era considerato il secondo uomo più potente dell’apparato militare dopo Xi Jinping stesso, che presiede la CMC.
Negli ultimi mesi si erano diffuse voci secondo cui il generale He si fosse scontrato con Xi e con la leadership del Partito. Da marzo, infatti, non era più apparso in pubblico, circostanza che aveva alimentato le speculazioni su una possibile inchiesta interna.
Secondo il Wall Street Journal «il generale He è l’ufficiale militare in servizio attivo più anziano che Xi abbia mai epurato, e il primo vicepresidente in carica della Commissione Militare Centrale a essere estromesso in quasi quarant’anni». Il quotidiano statunitense ricorda inoltre che il 68enne He è «il primo membro in carica del Politburo a essere indagato dal 2017».
L’ultima volta che la Cina aveva assistito a un’epurazione di vertici militari di simile livello risale a circa un decennio fa, quando furono espulsi due vicepresidenti in pensione della CMC per corruzione, durante il primo mandato di Xi Jinping.
Segnali di una possibile purga erano già emersi a luglio, quando la Commissione Militare Centrale aveva emanato nuove linee guida che invitavano a eliminare «l’influenza tossica» nelle forze armate e a seguire «regole ferree» per gli ufficiali di alto grado.
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I nove ufficiali epurati sono He Weidong (vicepresidente della Commissione Militare Centrale, CMC); Miao Hua (direttore del dipartimento di Lavoro Politico del CMCM), He Hongjun (vicedirettore esecutivo del Dipartimento di Lavoro Politico del CMC); Wang Xiubin (vicedirettore esecutivo del Centro di Comando delle Operazioni Congiunte del CMC; Lin Xiangyang (comandante del Teatro Orientale); Qin Shutong (commissario politico dell’Esercito); Yuan Huazhi (commissario politico della Marina); Wang Houbin (Comandante delle Forze Missilistiche); Wang Chunning (comandante della Forza di Polizia Armata).
Secondo osservatori interni, potrebbero esserci ulteriori epurazioni nelle prossime settimane. I licenziamenti, infatti, sono stati annunciati alla vigilia del conclave annuale a porte chiuse del Comitato Centrale del Partito Comunista, in programma dal 20 al 23 ottobre a Pechino, durante il quale si discuterà il prossimo piano quinquennale.
Wen-Ti Sung, analista del Global China Hub dell’Atlantic Council, ha commentato la notizia ai media statunitensi affermando: «Xi sta sicuramente facendo pulizia. La rimozione formale di He e Miao significa che potrà nominare nuovi membri della Commissione Militare Centrale, che è rimasta praticamente mezza vuota da marzo, durante il Plenum».
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Immagine di China News Service via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported
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