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Pensiero

Mons. Viganò: il Natale del Re Bambino e la sua Signoria sulla Chiesa e sulle Nazioni

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Renovatio 21 pubblica questo testo di Monsignor Carlo Maria Viganò.

 

 

 

 

 

DESIDERATUS CUNCTIS GENTIBUS

L’Incarnazione del Verbo di Dio inaugura la Signoria di Cristo sulla Chiesa e sulle Nazioni. 

 

Discite justitiam moniti, et non temnere divos.

Venditit hic auro patriam, dominumque potentem 

imposuit, fixit leges pretio atque refixit;

hic thalamum invasit natæ vetitosque hymenæos;

ausi omnes immane nefas ausoque potiti.

 

Æn., VI, 620-624

 

I. Premessa

La dottrina della Regalità di Cristo costituisce un discrimen tra la Chiesa Cattolica e la «chiesa conciliare», anzi esso è il punto di separazione tra ortodossia cattolica e eterodossia neomodernista, perché i seguaci del laicismo e del secolarismo liberale non possono accettare che la Signoria di Nostro Signore si estenda alla sfera civile sottraendola all’arbitrio dei potenti o alla volontà della massa manipolabile.

 

Eppure, l’idea stessa che l’autorità abbia il proprio fondamento in un principio trascendente non è nata con il Cristianesimo, ma fa parte della nostra eredità greco-romana.

 

La stessa parola greca ἱεραρχία indica la «amministrazione delle cose sacre» da un lato, ma anche il «sacro potere» dell’autorità, dove gli impegni connessi ad essa costituiscono significativamente una λειτουργία, un ufficio pubblico di cui si fa carico lo Stato.

 

Similmente, la negazione di questo principio è appannaggio del pensiero ereticale e dell’ideologia massonica. La laicità dello Stato costituisce la principale rivendicazione della Rivoluzione Francese a cui il Protestantesimo ha fornito le basi teologiche, mutatesi poi in errore filosofico con il liberalismo e con il materialismo ateo. 

 

Questa visione di un tutto coerente e armonioso che attraversa lo scorrere del tempo e valica i confini dello spazio, conducendo l’umanità alla pienezza della Rivelazione di Cristo fu propria di quella Civiltà che oggi si vuole rimossa e cancellata in nome di una distopia che è disumana perché intrinsecamente empia, in quanto originata dall’inestinguibile odio dell’Avversario, eternamente privato del sommo Bene a causa del proprio orgoglio e della ribellione alla Volontà di Dio. 

 

Non stupisce che i nostri contemporanei non riescano a comprendere le ragioni della crisi presente: essi si sono lasciati defraudare del patrimonio di saggezza e memoria costituitosi nel corso della Storia grazie all’intervento pedagogico della Provvidenza, che ha inscritto nel cuore di ogni uomo i principi eterni che devono orientare ogni aspetto della loro vita

 

Questa mirabile παιδεία ha consentito che popoli lontani da Dio e immersi nelle tenebre del paganesimo potessero purtuttavia predisporsi con mezzi naturali all’irrompere della dimensione soprannaturale nella Storia, all’avvento di Cristo, nel Quale tutto si ricapitola e si mostra come parte del κόσμος divino

 

Quando Augusto ordinò la pubblicazione dell’Eneide – che Virgilio aveva disposto nel proprio testamento di distruggere, considerandola incompleta – era da poco iniziata la pax romana in tutto l’Impero; una pax concessa al mondo per accogliere l’Incarnazione del Figlio di Dio e strappare l’umanità alla schiavitù di Satana.

 

Di quella pace solenne e sacra echeggiano ancor oggi le grandiose parole del Martirologio Romano, che ascolteremo ancora una volta la mattina della Vigilia di Natale: 

 

Ab urbe Roma condita anno septingentesimo quinquagesimo secundo, anno imperii Octaviani Augusti quadragesimo secundo, toto orbe in pace composito… Jesus Christus aeternus Deus aeternique patris Filius, mundum volens adventu suo piissimo consecrare, de Spiritu Sancto conceptus, …in Betlhem Judæ nascitur ex Maria Virgine factus homo.

 

Solo quarant’anni prima della Nascita del Salvatore, Virgilio ebbe modo di frequentare i figli di Erode venuti a studiare a Roma: fu da loro che egli conobbe le profezie messianiche dell’Antico Testamento e l’annuncio dell’imminente nascita del Puer cantato nella Egloga IV: 

 

Jam redit et Virgo, redeunt Saturna regna,

jam nova progenies cœlo demittitur alto. 

Tu modo nascenti Puero, quo ferrea primum

desinet, ac toto surget gens aurea mundo,

casta fave Lucina: tuus jam regnat Apollo. (1)

 

e che Dante fa ricordare a Stazio nel Purgatorio (XXII, 70-72): 

 

Secol si rinova;

torna giustizia e primo tempo umano,

e progenie scende da ciel nova.

 

In questa attesa trepidante dell’avvento di Cristo, Augusto salva dalla distruzione il poema virgiliano, scorgendo in esso quell’anelito ad un mondo in cui viga la pace, dopo un secolo di guerre civili. Egli vide in Enea il modello di chi si riconosce pius in quanto rispettoso del volere divino e dei vincoli che ne derivano verso la Patria e la famiglia, inserito dalla Provvidenza nelle vicende contingenti della Storia, partecipe della volontà di Dio fissata nell’eternità. 

 

Possiamo facilmente comprendere per quale motivo l’anima di una persona retta e onesta, ancorché privata della Fede, potesse sentirsi mossa a un nobile destino, dinanzi al quale tacciono gli dei falsi e menzogneri, rimane muta la Sibilla e si ritira l’Oracolo dell’Aracœli.

 

Scorgiamo allora nel fatofas in latino – il richiamo al verbo fari, che significa «parlare» e rimanda al Verbo di Dio, alla Parola eterna pronunciata dal Padre. Il Cristiano rimane ammirato da tanta paterna bontà, da questa mano provvidente che accompagna l’umanità che vaga nelle tenebre verso la Luce di Cristo, Redentore del genere umano. 

 

Vi è, in questa visione della Storia e dell’intervento di Dio in essa, qualcosa di ineffabile che commuove e sprona al Bene, che risveglia negli animi la speranza di atti eroici, di ideali per cui combattere e dare la vita. 

 

Fu su questa perfetta composizione di temporale ed eterno, di natura e Grazia, che il mondo poté accogliere e riconoscere il Messia promesso, il Principe della pace, il Rex pacificus vincitore del peccato e della morte, il Desideratus cunctis gentibus.

 

Dal Cenacolo alle catacombe, dalle comunità dei primi Cristiani alle basiliche romane convertite al culto del vero Dio, si leva la preghiera che il Signore insegnò agli Apostoli: adveniat regnum tuum, fiat voluntas tua sicut in cœlo et in terra.

 

Così un Impero pagano divenne culla della Cristianità, e con le proprie leggi e la propria influenza civile e sociale rese possibile la diffusione del Vangelo e la conversione delle anime a Cristo.

 

Anime semplici, certamente; ma anche anime di persone erudite, di nobili romani, di funzionari imperiali, di diplomatici e intellettuali, che riuscivano a vedersi – come il pius Æneas – coinvolti in un piano provvidenziale, chiamati a dare un senso a quelle virtù civiche, a quell’anelito alla giustizia e alla pace che senza la Redenzione sarebbe rimasto incompleto e sterile. 

 

 

II. Il ruolo «provvidenziale» dello Stato

L’economia della Salvezza, in questa visione «medievale» e cristiana degli eventi, riconosce ai singoli individui il privilegio di essere essi stessi parte di questo grande piano della divina Provvidenza: una actuosa participatio – mi si perdoni il prestito di una locuzione cara ai Novatori – dell’uomo all’intervento di Dio nella Storia, in cui la libertà di ciascuno si trova dinanzi alla scelta morale, e quindi determinante per il suo destino eterno, tra Bene e Male, tra il conformarsi alla volontà di Dio – fiat voluntas tua – e il seguire la propria – non serviam – disobbedendoGli. 

 

Tuttavia, proprio nell’adesione dei singoli all’azione della Provvidenza, comprendiamo come la società terrena, che da questi individui è composta, assuma a sua volta un ruolo nel piano di Dio, consentendo che le azioni dei suoi membri siano indirizzate con maggiore efficacia dall’autorità dei governanti verso il bonum commune che li unisce nel perseguimento del medesimo fine. 

 

Lo Stato, come società perfetta – ossia che possiede in sé tutti i mezzi necessari al perseguimento del quid unum perficiendum – riveste quindi una funzione propria, principalmente ordinata al bene dei cittadini, alla tutela dei loro legittimi interessi, alla protezione della Patria dai nemici esterni e interni, al mantenimento dell’ordine sociale.

 

Va da sé che, facendo esperienza dei tentativi e dei fallimenti di chi ci ha preceduto – secondo la visione eminentemente cristiana di Giambattista Vico – i popoli civilizzati abbiano saputo cogliere l’importanza dello studio della Storia, consentendo un reale progresso e riconoscendo la validità del pensiero aristotelico-tomista proprio perché sviluppatosi sulla base della conoscenza della realtà e non sulla creazione di teorie filosofiche astratte. 

 

Troviamo questa visione di buon governo emblematicamente rappresentata negli affreschi di Ambrogio Lorenzetti del Palazzo Pubblico di Siena, a conferma della profonda religiosità della società medievale; una religiosità dell’istituzione, certo, ma che era condivisa e fatta propria da coloro che, rivestiti di funzioni pubbliche, consideravano il proprio ruolo come espressione coerente con l’ordine divino – il κόσμος, appunto – impresso dal Creatore al corpo sociale. 

 

Di questo ruolo storico dell’Impero Romano abbiamo un esempio nell’Eneide (VI, 850-853): 

 

Tu regere imperio populos Romane memento 

hæ tibi erunt artes, pacisque imponere morem, 

parcere subjectis et debellare superbos.

 

Fu la consapevolezza di questa missione provvidenziale che rese grande Roma; fu il tradimento di questo compito a causa della corruzione dei costumi a decretarne la caduta.

 

 

III. Il concetto di laicità e la secolarizzazione del potere

Né sarebbe stato possibile altrimenti, dal momento che il concetto di «laicità dello Stato» era del tutto impensabile tanto per i governanti quanto per i sudditi delle Nazioni occidentali di qualsiasi epoca precedente la Pseudoriforma protestante.

 

Solo a partire dal tardo Rinascimento la teorizzazione dell’ateismo consentì di formulare un pensiero filosofico che sottraesse il singolo individuo al dovere di riconoscere e rendere culto pubblico alla divinità; e fu con l’Illuminismo che i principi massonici conobbero una diffusione tramite la secolarizzazione forzata della società civile successiva alla Rivoluzione Francese, al rovesciamento delle Monarchie di diritto divino e alla feroce persecuzione contro la Chiesa Cattolica. 

 

Oggi il mondo contemporaneo considera un merito rivendicare la propria laicità, mentre nel mondo greco-romano la ribellione agli dei era considerata marchio di empietà e segno di rivolta verso lo Stato, la cui autorità era espressione di un potere sancito e ratificato dall’alto.

 

Discite justitiam moniti, et non temnere divos, ammonisce Flegias, precipitato nel Tartaro e condannato a gridare senza tregua questo avvertimento (Æn., VI, 620). La cultura classica che abbiamo ereditato quale premessa naturale alla diffusione del Cristianesimo, e che il Medioevo riconobbe e valorizzò, si basa quindi sul dovere di non spregiar gli dei, mostrando come l’assenza di religio sia causa della rovina della Nazione, dal tradimento della Patria all’instaurazione della tirannide, dal promulgare o abolire le leggi per interesse economico al violare i più sacri precetti del vivere civile. (2)

 

A dimostrazione di quanto fossero fondati questi timori, possiamo contemplare le macerie della società contemporanea, capace di legittimare orrori inauditi quali l’uccisione degli innocenti nel ventre materno, la corruzione dei bambini con la teoria gender e la sessualizzazione dell’infanzia, il loro utilizzo negli infernali rituali della lobby pedofila, i cui infami componenti ricoprono ruoli di potere e che nessuno, sinora, osa processare e condannare.

 

Il mondo contemporaneo è governato da una setta di servi del demonio, votati al male e alla morte: chiudere gli occhi dinanzi a simili mostruosità rende quanti tacciono colpevolmente complici di quegli orrendi crimini che gridano vendetta al cospetto di Dio.

 

 

IV. La sacralità dell’autorità

Fino alla Rivoluzione Francese i governanti trovavano la propria legittimazione nell’esercizio dell’autorità in nome di Dio, e con essa i governati vedevano tutelati i propri diritti contro gli abusi del potere, dal momento che tutto il corpo sociale era gerarchicamente ordinato sotto la suprema potestà dell’unico Signore, riconosciuto come Rex tremendæ majestatis proprio perché Giudice anche dei Re e dei Principi, dei Papi e dei Prelati. Corone, tiare e mitrie costellano le raffigurazioni dell’inferno nei Giudizi Universali delle nostre chiese. 

 

Questa sacralità dell’autorità non è un concetto aggiunto successivamente ad un potere nato originariamente come neutrale. Al contrario, ogni potestà si è sempre riferita alla divinità, tanto in Israele quanto nelle nazioni pagane, per poi acquisire nel mondo occidentale la pienezza dell’investitura soprannaturale con l’avvento del Cristianesimo e il suo riconoscimento come Religione di Stato ad opera dell’Imperatore Teodosio.

 

Così l’Imperatore d’Oriente era Cæsar in una Corte che a Bisanzio parlava in latino; lo Czar delle Russie e quello dei Bulgari erano parimenti Cesari, per poi giungere al Sacro Romano Impero, il cui ultimo Sovrano, il Beato Carlo d’Asburgo, venne spodestato dalla Massoneria con la Prima Guerra Mondiale. 

 

L’educazione dei futuri sovrani, della nobiltà e del Clero era tenuta nella massima considerazione, e non si limitava a fornire un’istruzione intellettuale e pratica, ma prevedeva necessariamente una specifica formazione morale e spirituale che assicurasse solidi principi, abitudine alla disciplina, capacità di dominare le proprie passioni, pratica delle virtù di governo.

 

Un intero sistema sociale rendeva chi esercitava l’autorità consapevole della propria responsabilità dinanzi a Cristo Re, unico detentore della Signoria temporale e spirituale che i Suoi Ministri in terra dovevano esercitare in forma rigorosamente vicaria.

 

Per questo motivo, come avvenne ad esempio nel caso di Federico II di Svevia, la superiorità dell’Autorità spirituale della Chiesa su quella temporale dei Sovrani consentiva al Romano Pontefice di sciogliere dal vincolo di obbedienza i sudditi di un Re che abusasse del proprio potere. 

 

V. La secolarizzazione estesa a qualsiasi autorità

Alla secolarizzazione dell’autorità civile ha fatto più recentemente seguito quella dell’autorità religiosa, che con il Concilio Vaticano II è stata significativamente spogliata – non solo esteriormente – della propria sacralità a beneficio di una visione profana (e rivoluzionaria) in cui il potere ecclesiastico proviene dal basso, in forza del solo Battesimo, e viene delegato dal «popolo sacerdotale» ai suoi rappresentati, ai quali sono conferiti compiti di presidenza, al pari di quanto avviene nelle sette calviniste. 

 

Il paradosso è qui ancor più evidente, perché porta all’interno della Chiesa – snaturandola – le dinamiche tollerabili in una società civile che non riconosce diritti alla vera Religione, finendo al contempo per legittimarle col farle proprie.

 

In quest’ottica, le gravissime deviazioni oggi propagandate dal Sinodo sulla Sinodalità in chiave democratica e parlamentarista non sono che la messa in pratica dei principi teorizzati dal Concilio, per il quale la laicità – ossia la rottura del legame tra l’autorità terrena e la sua legittimazione soprannaturale – avrebbe dovuto estendersi a qualsiasi società umana, escludendo parimenti qualsiasi tentazione «teocratica» come obsoleta e inopportuna. 

 

A questo processo, inevitabilmente, non fu estranea alcuna autorità, da quella del paterfamilias a quella del maestro, da quella del magistrato a quella dell’ufficiale: il dovere di chi vi era sottoposto di obbedirvi e di chi la esercitava di amministrarla con saggezza e prudenza richiamavano la divina paternità di Dio e come tali dovevano essere delegittimati, poiché la ribellione è anzitutto contro l’autorità di Dio Padre.

 

Il Sessantotto non fu che una propaggine della Rivoluzione, in cui ciò che per utilitarismo o convenienza il liberalismo aveva conservato per garantirsi un minimo di ordine sociale venne infine demolito, portando le Nazioni occidentali all’anarchia. 

 

 

VI. L’azione eversiva delle società segrete

La setta infame, consapevole della potenza dell’alleanza tra Trono e Altare, tramò nell’ombra per corrompere i governanti e attirare la nobiltà nei propri ranghi, iniziando dalla dinastia capetingia.

 

In realtà, già nei Principati tedeschi con l’eresia protestante e poi nell’Inghilterra di Enrico VIII con lo scisma anglicano erano attive conventicole di iniziati di matrice gnostica avversi al Papato e ai legittimi Sovrani ad esso fedeli.

 

È comunque certo e documentato che la Rivoluzione costituì lo strumento principale con cui le società segrete colpirono le Nazioni cattoliche per strapparle alla Fede ed asservirle ai propri scopi ideologici ed economici, e ovunque la Massoneria riuscì ad agire ricorse sempre agli stessi strumenti e alla stessa propaganda, per ottenere la secolarizzazione delle Istituzioni pubbliche, la cancellazione della Religione di Stato, l’abolizione dei privilegi ecclesiastici e dell’insegnamento cattolico, la legittimazione del divorzio, la depenalizzazione dell’adulterio, la diffusione della pornografia e delle altre forme di vizio.

 

Perché quel mondo cristiano in ogni aspetto del vivere quotidiano doveva essere cancellato e sostituito da una società empia, irreligiosa, dedita all’appagamento dei piaceri più bassi, irridente verso la virtù, l’onestà, la rettitudine: sono le «conquiste» dell’ideologia liberale, ciò che l’anticlericalismo più abbietto considera «progresso» e «libertà».

 

Le innumerevoli condanne del Magistero nei confronti delle sette segrete erano ampiamente giustificate dalla minaccia che incombeva sulla pace delle Nazioni e sulla salvezza eterna delle anime. Finché la Chiesa ebbe nell’autorità civile un valido alleato, l’azione della Massoneria procedette a rilento e fu costretta a dissimulare i propri intenti criminali. 

 

Fu solo con la corruzione dell’autorità ecclesiastica, perseguita con paziente opera di infiltrazione e portata a compimento dalla fine dell’Ottocento grazie al Modernismo, che la Massoneria poté contare sulla complicità di chierici ribelli e fornicatori, traviati nell’intelletto e nella volontà, e perciò facilmente asservibili e ricattabili.

 

Le loro carriere nei ranghi della Chiesa, fermate dalla lungimirante vigilanza di San Pio X, ripresero tranquillamente negli ultimi anni del Pontificato di Pio XII allora infermo, e conobbero una spinta sotto Giovanni XXIII, probabilmente membro egli stesso di una Loggia ecclesiastica. Ancora una volta vediamo come la corruzione dei singoli sia strumentale alla dissoluzione dell’istituzione cui essi appartengono. 

 

 

VII. La Rivoluzione in campo civile, sociale ed economico

La Rivoluzione iniziata in Francia nel 1789 ebbe le medesime modalità di attuazione: prima la corruzione dell’aristocrazia e del Clero; poi l’azione delle società segrete infiltrate ovunque; quindi la propaganda mediatica contro la Monarchia e la Chiesa, e parallelamente l’organizzazione e il finanziamento di moti e proteste di piazza per aizzare il popolo, impoverito e oberato di tasse a causa delle speculazioni dell’alta finanza internazionale e della inadeguatezza della risposta dello Stato alle mutazioni del sistema economico europeo.

 

Anche in quel caso la leva principale che consentì alla teoria eversiva della Massoneria di tradursi in vera e propria rivoluzione fu rappresentato dalla classe che maggiormente aveva interesse ad appropriarsi dei beni dei nobili e della Chiesa, non solo per mettere in vendita un patrimonio inestimabile di immobili, arredi e opere d’arte, ma anche per trasformare radicalmente il tessuto socioeconomico tradizionale, ad iniziare dallo sfruttamento dei latifondi, sino ad allora lasciati per lo più produrre secondo ritmi naturali e sistemi arcaici.

 

Infatti, dopo la Rivoluzione Francese, abbiamo avuto la Prima Rivoluzione Industriale, che con l’invenzione del motore a vapore e la meccanizzazione della produzione ha imposto le migrazioni di massa dei braccianti e dei contadini dai campi alle metropoli per convertirli in manodopera a basso costo, dopo averli privati della possibilità di avere mezzi di sostentamento autonomi e indotti alla miseria con nuove tasse e imposte.

 

Tutto l’Ottocento è una conferma che la matrice ideologica della Rivoluzione si fonda su un’eresia dottrinale intrinsecamente legata al profitto economico e al dominio finanziario. 

 

La Seconda Rivoluzione Industriale ebbe luogo nel periodo compreso tra il Congresso di Parigi (1856) e quello di Berlino (1878), coinvolgendo principalmente l’Europa, gli Stati Uniti e il Giappone in nuovi, forzati progressi tecnologici quali l’elettricità e la produzione di massa; la Terza iniziò negli anni Cinquanta e si estese a Cina e India, e riguardò principalmente l’innovazione tecnologica, informatica e telematica, per poi allargarsi alla new economy, alla green economy, al controllo delle informazioni.

 

Ciò avrebbe dovuto creare un clima culturale di fiducia neopositivista nelle possibilità della scienza e della tecnica di provvedere al benessere materiale dell’umanità; l’azione di manipolazione delle masse diede ampio spazio all’immaginazione di ciò che la società sarebbe potuta diventare, suggestionandola con il tema cinematografico della fantascienza. 

 

Con l’anno 2011 inizia infine la Quarta Rivoluzione Industriale, che consiste nella crescente compenetrazione tra mondo fisico, digitale e biologico. È una somma dei progressi in intelligenza artificiale (IA), robotica, Internet delle Cose (IoT), stampa 3D, ingegneria genetica, computer quantistici ed altre tecnologie.

 

Teorizzatore di questo processo distopico è il famigerato Klaus Schwab, fondatore e direttore esecutivo del World Economic Forum.

 

 

VIII. La secolarizzazione dell’autorità premessa del totalitarismo

Separare artificialmente l’armonia e la complementarietà gerarchica tra autorità spirituale e autorità temporale fu un’operazione sciagurata che creò la premessa, ogniqualvolta venne realizzata, alla tirannide o all’anarchia.

 

Il motivo è sin troppo evidente: Cristo è Re tanto della Chiesa quanto delle Nazioni, perché ogni autorità viene da Dio (Rom 13, 1). Negare che i governanti abbiano il dovere di sottomettersi alla Signoria di Cristo è un errore gravissimo, perché senza la Legge morale lo Stato può imporre la propria volontà prescindendo dalla volontà di Dio, e quindi sovvertendo il κόσμος divino della Civitas Dei per sostituirvi l’arbitrio e il χάος infernale della civitas diaboli

 

Oggi le Nazioni occidentali sono ostaggio di potentati che non rispondono né a Dio né al popolo delle loro decisioni, perché non traggono la propria legittimazione né dall’alto né dal basso.

 

Il colpo di stato che è stato preparato e compiuto dalla lobby eversiva del World Economic Forum ha di fatto spodestato i governi della propria indipendenza da pressioni esterne e gli Stati della propria sovranità. Ma questo processo dissolutorio è ormai scoperto per l’arroganza con cui i satrapi del Nuovo Ordine Mondiale – tutto è nuovo, quando riguarda loro, e tutto è vecchio quando è da abbattere – hanno rivelato i loro piani, credendosi ormai prossimi alla vittoria definitiva. Al punto che anche intellettuali non certo tacciabili di conservatorismo iniziano a denunciare le intollerabili ingerenze di Klaus Schwab e dei suoi minion nel governo delle Nazioni.

 

Alcuni giorni fa il prof. Franco Cardini ha dichiarato: «Le forze che gestiscono economia e finanza ora scelgono, corrompono e determinano la classe politica, che così diventa un comitato d’affari» (qui). E sappiamo bene che dietro questo «comitato d’affari» si perseguono scopi di cieco profitto ai danni dell’economia degli Stati, ma anche inquietanti progetti di controllo capillare della popolazione, di depopolamento forzato, di cronicizzazione delle patologie in vista della privatizzazione totale dei servizi pubblici.

 

La mentalità che presiede a questo Great Reset è la stessa che animava i borghesi e gli usurai dei secoli scorsi, preoccupati di sfruttare i latifondi che la nobiltà e il Clero non consideravano come fonte di lucro. 

 

Lo aborro perché è cristiano e ancor più perché ha la goffa semplicità di prestare denaro gratis, e così fa diminuire i frutti che si potrebbero ottenere. (3)

 

Per costoro l’umanità è un fastidioso impaccio che occorre razionalizzare e rendere strumentale al perseguimento dei propri scopi criminali e la Morale cristiana un odioso intralcio all’instaurazione di un governo in mano alla finanza: se questo è oggi possibile, è perché non vi è alcun riferimento morale trascendente che ponga un freno ai loro deliri, né un potere che sfugga a questo vile asservimento a interessi privati. E qui comprendiamo come la situazione presente sia essenzialmente una crisi dell’autorità, al di là della comprensione dei singoli circa la minaccia rappresentata dal colpo di stato globale dell’élite usuraia. 

 

 

IX. Il Natale di Cristo

 

La Nascita del Salvatore ha rappresentato l’irruzione dell’eternità nel tempo e nella Storia, con l’Incarnazione della Seconda Persona della Santissima Trinità nel grembo virginale di Maria Santissima. Nella persona di Nostro Signore, vero Dio e vero uomo, si somma l’autorità di Dio a quella del discendente della stirpe regale di Davide, e la Redenzione del genere umano mediante il Sacrificio della Croce ripristina nell’economia della Grazia l’ordine divino infranto dal peccato originale ispirato dal Serpente. 

 

Il Re Bambino, adagiato nella mangiatoia, si mostra all’adorazione dei pastori e dei Magi avvolto in fasce, com’era prerogativa dei sovrani: et hoc vobis signum (Lc 2, 6). (4)

 

Egli muove le stelle e viene onorato dagli Angeli, ma sceglie come trono il presepe, come reggia terrena la povera capanna di Betlemme, così come sul Golgota – e nella visione dell’Apocalisse – è la Croce ad essere trono di gloria. Nostro Signore riceve l’omaggio dei saggi d’Oriente in riconoscimento dei titoli di Re, Sacerdote e Profeta; ma già deve fuggire da chi vede in Lui una minaccia al proprio potere. Stolto e crudele Erode, che non comprende che non eripit mortalia, qui regna dat cœlestia. (5)

 

Stolti e crudeli i potenti di oggi, che nella strage di milioni di innocenti – una strage compiuta sui loro corpi e sulle loro anime – vogliono consolidare la propria tirannide di morte, e che nella schiavitù dei popoli rinnovano la propria ribellione al Re dei re e al Signore dei governanti, che quelle anime ha redento col proprio Sangue. 

 

Ma è nell’umile affermazione della propria Signoria che il Bambino di Betlemme manifesta la divinità del Figlio di Dio nell’unione ipostatica dell’Uomo-Dio. Una divinità che unisce l’onnipotenza del Pantocratore alla fragilità del lattante, il tremendo giudizio del sommo Giudice al vagito del neonato, l’eternità immutabile del Verbo di Dio al silenzio dell’infante, lo splendore della gloria della Maestà divina con lo squallore di un ricovero per animali nella gelida notte della Palestina. 

 

In questa apparente contraddizione che unisce mirabilmente divinità e umanità, potenza e debolezza, ricchezza e povertà troviamo anche l’insegnamento che tutti noi, e soprattutto coloro che sono costituiti in autorità, dobbiamo trarre per la nostra vita spirituale e per la nostra stessa sopravvivenza. 

 

Anche il Sovrano, il Principe, il Pontefice, il Vescovo, il magistrato, l’insegnante, il medico e il padre godono di un potere che attinge alla sfera dell’eternità, alla divina Regalità del Figlio di Dio, perché nell’esercizio della loro autorità essi agiscono in nome di Colui che la legittima finché rimane fedele a ciò per cui essa è stata voluta.

 

Chi ascolta voi, ascolta Me. E chi disprezza Me disprezza Colui che mi ha mandato (Lc 10, 16).

 

Per questo obbedire all’autorità civile ed ecclesiastica significa obbedire a Dio, nell’ordine gerarchico che Egli ha decretato. Per questo disobbedire a chi abusa della propria autorità è altrettanto doveroso, per salvaguardare quell’ordine che ha il proprio centro in Dio, e non nel potere terreno che ne è vicario. Altrimenti si finisce per adorare il potente, per prestargli l’ossequio cui egli ha diritto solo in quanto a sua volta sottomesso a Dio. Oggi invece l’ossequio a chi ricopre incarichi di potere non solo non ha alcun vincolo di doverosa subordinazione a Cristo Re e Pontefice, ma anzi Gli è nemico. E dove la presunta sovranità popolare propagandata dalla chimera della democrazia si è rivelata un colossale inganno ai danni di quel popolo che non ha nessuno cui appellarsi per veder tutelati i propri diritti.

 

D’altra parte, quali «diritti» potrebbe rivendicare chi ha tollerato di lasciarli usurpare a Dio?

 

Come potremmo stupirci che il potere si muti in tirannide, quando accettiamo che esso non abbia più alcun legame con il trascendente, unica garanzia di giustizia per il povero, l’esule, l’orfano e la vedova?

 

 

X.Instaurare omnia in Christo

L’apparente trionfo dei malvagi – dai criminali del World Economic Forum agli eretici del «cammino sinodale» – ci pone dinanzi alla cruda realtà del Male, destinato sì alla sconfitta finale, ma anche permesso dalla Provvidenza come strumento di castigo per l’umanità traviata.

 

Perché la povertà, le epidemie, la miseria indotta da crisi pianificate, le guerre spietate mosse da interessi economici, la corruzione dei costumi, la strage degli innocenti riconosciuta come un «diritto umano», la dissoluzione della famiglia, la rovina dell’autorità, la dissoluzione della civiltà, l’imbarbarimento della cultura e dell’arte, l’annichilimento di ogni slancio verso la virtù e il Bene sono solo necessarie conseguenze di un tradimento compiuto gradualmente ma sempre nella medesima direzione e la premessa al peggio che dovrà venire: il disprezzo di Dio, la sfida sciagurata del non serviam nei confronti della Maestà divina, tanto più spietata e furiosa quanto maggiore è la presunzione satanica di poter vincere una battaglia da cui Satana uscirà eternamente sconfitto. 

 

Dormi, o Fanciul; non piangere;

dormi, o Fanciul celeste:

sovra il tuo capo stridere

non osin le tempeste,

use sull’empia terra,

come cavalli in guerra,

correr davanti a Te. (6)

 

Ricapitolare in Cristo tutte le cose (Ef 1, 10), significa ricomporre l’ordine infranto dal peccato, tanto nell’ordine naturale quanto in quello soprannaturale, tanto nella sfera privata quanto in quella pubblica, restituendo la Corona regale al Re dei re, al Quale in un delirio di ὕβρις la Rivoluzione l’ha sottratta; ed ancor prima restituendo la triplice Corona al Sommo Pontefice, strappata con l’ideologia del Vaticano II e con l’apostasia di questo «pontificato». 

 

Papi e Re, Prelati e governanti delle Nazioni, fedeli della Chiesa e cittadini degli Stati devono tornare, in una palingenesi mossa dalla Grazia, a Cristo, a Cristo Re e Pontefice, all’unico Vindice dei veri diritti del Suo popolo, all’unico Protettore dei deboli e degli oppressi, all’unico Vincitore della morte e del peccato. E in questo cammino di ritorno a Cristo, sarà l’umiltà a guidarci nel saper ripercorrere a ritroso, la comoda via della perdizione che abbiamo intrapreso abbandonando la via verso il Calvario segnataci dal Signore. Una via che Egli ha percorso per primo, e sulla quale ci accompagna tramite la Grazia dei Sacramenti, che conduce alla Croce come unica premessa per la gloria della Resurrezione. 

 

Chi crede che continuando su questo percorso sia possibile cambiare le cose; che si possa porre un limite all’ideologia di morte e di peccato del Nuovo Ordine Mondiale; che si possa impedire agli empi di diffondere gli orrori della pedofilia, della perversione, della cancellazione dei sessi, dell’uccisione dei bambini, dei deboli e degli anziani si illude.

 

Se il mondo è diventato un inferno grazie alla Rivoluzione, esso potrà tornare ad essere meno malvagio e mortifero solo con un’azione controrivoluzionaria. Se la Gerarchia è diventata un ricettacolo di eretici, di corrotti e di fornicatori grazie al Vaticano II e alla liturgia riformata, essa potrà tornare ad essere immagine della Gerusalemme celeste solo tornando a ciò che gli Apostoli, i Padri e i Dottori, i Santi, i Papi e i Vescovi hanno fatto fino a prima del Concilio. Proseguire sulla via della perdizione conduce, appunto, alla perdizione: la differenza sta solo nella velocità della corsa verso l’abisso. 

 

Quanto prima ciascuno di noi saprà rinforzare la propria appartenenza a Cristo, tanto prima inizierà il ritorno della società al suo Signore. E questa appartenenza incondizionata a un Dio che si è incarnato per redimerci deve avvenire iniziando dall’umile adorazione del Re Bambino, ai piedi della mangiatoia, assieme ai pastori e ai Magi. 

 

Dormi, o Celeste: i popoli

chi nato sia non sanno;

ma il dì verrà che nobile

retaggio tuo saranno;

che in quell’umil riposo,

che nella polve ascoso,

conosceranno il Re. (7)

 

Venga dunque, per tutti noi, il benedetto momento in cui, toccati dalla Grazia e mossi dalla salutare visione dell’inferno in terra che va preparandosi se assisteremo inerti all’instaurazione della distopia globalista, riconosciamo il Re.

 

E in cui, riconosciutoLo, possiamo combattere sotto le Sue sante insegne insieme alla terribile Vincitrice di Satana – l’Immacolata – la battaglia epocale contro il Nemico del genere umano.

 

Sarà una creatura, una Donna, una Vergine, una Madre a schiacciare il capo dell’antico Serpente, e con esso quello dei suoi maledetti seguaci.

 

E così sia. 

 

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

 

17 Dicembre 2022

Sabbato Quattuor Temporum Adventus

 

 

NOTE

1) La Vergine ormai torna, tornano i regni di Saturno,

già una nuova stirpe scende dall’alto dei cieli.

Tu, pura Lucina, sii propizia al Fanciullo che sta per nascere, 

per il Quale per la prima volta finirà il periodo delle guerre 

e sorgerà l’età dell’oro; già il tuo Apollo regna sul trono.

Virgilio, Egloga IV, 6-10.

2) Ecco l’esempio mio!

Ama giustizia e non spregiar gli dei!

Vendé questi la Patria e fier tiranno

ai cittadini impose; altri le leggi

fece e disfece a prezzo; quello il letto

invase della figlia a sconce nozze:

empie cose ad osar tutti fur pronti

e dell’audacia consumar l’estremo!

3) W. Shakespeare, Il mercante di Venezia, Atto I, Scena III, Shylock, a parte.

4)  Si veda a tal proposito lo studio esegetico di Mons. Francesco Spadafora, in Dizionario biblico, Studium, 1963.

5) Inno Crudelis Herodes per i Vespri dell’Epifania.

6) A. Manzoni, Il Natale, versi 99-105.

7) A. Manzoni, Il Natale, versi 106, 112.

 

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Pensiero

Foreign Fighter USA dal fronte ucraino trovato armato in Piazza San Pietro. Perché?

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È davvero forte il titolo che ha dato ieri l’edizione romana de la Repubblica, il giornale che ha dato la notizia: «Super ricercato Usa arrestato armato durante l’udienza del Papa: “Vengo dal fronte di guerra ucraino”».

 

«Cosa ci faceva un americano armato come un macellaio a Roma?» si chiede il quotidiano degli Agnelli. «Cosa ci faceva uno dei più pericolosi e ricercati criminali dello Stato di New York, nella top twelve dei “most wanted“, armato sino ai denti a Piazza San Pietro e arrivato direttamente dall’Ucraina? Moises Tejada, cinquantaquattrenne statunitense, negli USA è “classificato come estremamente violento”, così è scritto sul sito del New York State Department of Corrections and Community Supervision’s Office of Special investigations».

 

Viene specificato che nelle avvertenze è posto un monito preciso: «se lo vedete chiamate subito le forze dell’ordine, non cercate di fermare questi soggetti da soli poiché sono particolarmente pericolosi».

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Il fatto, leggiamo, risale a quasi dieci giorni fa. «I nostri poliziotti, ispettorato Vaticano, l’hanno notato (…) nell’Urbe. Non un giorno qualsiasi, poiché piazza San Pietro era affollatissima per l’udienza generale del Papa».

 

Poi parte la descrizioni delle doti extrasensoriali delle italiche forze dell’ordine: «Gli agenti senza sapere chi fosse, grazie anche al loro intuito, non gli hanno mai levato gli occhi di dosso, nemmeno per un secondo, fino a decidere di fermarlo e, infine, perquisirlo» continua il quotidiano fondato dal «laico» Scalfari, che pure anche lui qualche visita in Vaticano, nei primi giorni del papa preferito dai massoni, se l’era fatti per intervistare proprio l’inquilino di Santa Marta.

 

Ma torniamo in Piazza San Pietro, con i poliziotti premonitori. Lo hanno fermato, e «l’istinto aveva dato loro ragione. La scoperta delle armi che hanno trovato addosso all’americano gli ha lasciati interdetti: perché andare in giro con tre coltelli, uno con la doppia lama, da venti centimetri ciascuno? Per farne cosa?»

 

Già, una bella domanda. A cui epperò mica nessuno vuole dare risposta, neanche ci prova. Qualche giornale di destra, a denti stretti, ha provato a parlare di «segnale», ma buttandola là.

 

Quindi: un criminale americano super-ricercato, violentissimo, che dal fronte ucraino finisce, armato di coltelli, in Vaticano. Non abbiamo idea del perché. Interessante. Assai.

 

Apprendiamo che l’uomo, tale Moises Tejada «è planato sull’Urbe una decina di giorni fa, così hanno potuto verificare gli investigatori attraverso l’analisi del passaporto, dalla Moldavia dove era da poco arrivato da Kiev».

 

«In commissariato, in manette, con l’accusa di porto abusivo d’armi e resistenza, gli agenti hanno scoperto che negli USA, precisamente nello stato di New York, è considerato un “most wanted“». Pare che il personaggio si sarebbe reso responsabile di sequestri di agenti immobiliari che rapinava e riempiva di botte. Chiedeva appuntamenti per vedere case di lusso, poi aggrediva violentemente gli immobiliaristi per poi lasciarli seminudi nelle abitazioni.

 

Strano modus operandi, che forse parla di una tipologia specifica di personalità.

 

«Insomma, più che un criminale tutto tondo, una persona fuori controllo degna però di essere inserita tra i maggiori ricercati dello Stato» continua Repubblica. «A questo punto investigatori e inquirenti si sono domandati: come mai uno degli uomini più ricercati a New York è riuscito a lasciare il Paese in aereo e dirigersi a Kiev?»

 

È bello che il giornale degli Elkann guidato da Maurizio Molinari trovi, per una volta, di farsi una domanda vera. Specie considerando i rapporti non idilliaci di ambedue – gli Elkann e Molinari – con la Russia. Perché la Russia c’entra anche qui.

 

«A febbraio del 2022 ha abbandonato gli USA e si è diretto in Ucraina (come emerge dal suo passaporto) dove ha spiegato ai magistrati di aver combattuto, gli ha perfino mostrato delle foto in mimetica, armato di pistole e fucili». Il nostro è un Foreign Fighter, quindi, e non fa nulla per nasconderlo – c’è da capirlo, del resto, perché abbiamo visto, a dispetto di una legge specifica, l’Italia fischiettare sui Foreign Fighter pro-Kiev, mentre ci ricordiamo di subitanei arresti in aeroporto per quelli sospettati di aver combattuto per conto dei russi.

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Ma torniamo alle domande che Repubblica pone, e cerchiamo di accennare noi una mezza risposta, fatta della solita nuvola di puntini che sarà compito del lettore unire da sé.

 

In primis, ricordiamo che, per quanto riguarda la facilità con cui si possono spostare dagli USA all’Ucraina certi criminali. Ci viene in mente la vicenda del veterano americano incriminato dal Dipartimento di Giustizia USA per l’omicidio di una coppia in Florida, molto misteriosamente comparso a «lavorare» al fronte in Ucraina come «volontario», nonostante su di lui penda una richiesta di estradizione da parte di Washington. Il personaggio, che in America avrebbe minato la casa della moglie incinta, cercato di ucciderla, e poi ammazzato una coppia di «donatori» che volevano dare danaro alla sua causa, avrebbe aderito nel 2015 ad una milizia di estrema destra e, secondo documenti trapelati dalla divisione penale del Dipartimento di giustizia dell’Ufficio per gli affari internazionali il veterano americano in Ucraina avrebbe «presumibilmente preso come prigionieri non combattenti, li avrebbe picchiati con i pugni, li avrebbe presi a calci, li avrebbe picchiati con un calzino pieno di pietre e li avrebbe tenuti sott’acqua».

 

In secundis, vediamo come la personalità con tratti di violenza parossistica pure non è rara tra la manovalanza estera mandata in Donbass – anche prima dell’invio delle truppe russe il 24 febbraio 2022. Nel caso sopracitato, secondo il sito Ukr-leaks che raccoglie i documenti trapelati, un testimone – poi arrestato negli USA – avrebbe quindi anche raccontato di come il veterano americano avrebbe picchiato e annegato la ragazza, mentre un altro membro del gruppo, un australiano, le avrebbe somministrato iniezioni di adrenalina in modo che la giovane non perdesse conoscenza. «Tutto questo è stato filmato dalla telecamera» scrive il sito.

 

Diciamo di più: tali tipi di profili, inclini alla violenza parossistica sino all’essere insensata, ultrasadica, non solo sono comuni nelle guerre sporche degli USA in giro per il mondo, sono necessari.

 

La creazione delle forze neonaziste che servono il regime di Kiev – cioè lo Stato profondo americano – è stata operata per anni andando a lavorarsi le parti della popolazione che più si sarebbero prestate alla psicologia della violenza indiscriminata: ecco serviti al serbatoio immenso di braccia tatuate e teste rasate che sono le curve degli stadi le teorie di Bandera. È un processo di radicalizzazione, che non deve essere stato differente da quello di ISIS e Al-Qaeda. Lo si vede bene, descritto anche con una certa mesta poesia, nel film Syriana. È un qualcosa che, nemmeno più a denti stretti, cominciano a temere i servizi di sicurezza americani e pure qualche politico goscista francese: i Foreign Fighter di ritorno, radicalizzati in Ucraina in maniera totale, di ritorno a casa, magari pure con qualche arma di quelle «donate» a Kiev.

 

È il «jihadismo ucronazista» coltivato dall’Occidente per questo conflitto e forse per il prossimo – quello contro la stessa popolazione europea da trascinare nell’anarco-tirannia, come scritto tante volte da Renovatio 21.

 

Prendi una generazione impoverita (i soldi sono andati tutti agli oligarchi, gli stessi che poi hanno finanziato le milizie ucronaziste), la riempi di ideali che risuonano con il testosterone giovanile, sangue e suolo, la violenza come principale valuta sociale… aggiungi appoggi politici, armi, etc. Quello che ottieni è guerra. Morte e distruzione. Cioè quello che serve ai pupari per creare il cambiamento geopolitico.

 

È bene ricordare che se diciamo «nazisti», stiamo dicendo davvero «nazisti», oppure anche peggio.  Strapagati giornalisti italiani ci hanno detto che i ragazzi con la svastica leggono Kant, la realtà è che i «nazionalisti integralisti» ucraini sono stati capaci di crudeltà che hanno impressionato pure gente di stomaco. È il caso di quel famigerato skinhead americano tatuatissimo, un altro volontario del fronte ucraino che aveva dichiarato che mai aveva visto una violenza del genere.

 

Girava un video, già prima della guerra, intitolato «gli ebrei si beccano la corda». Il contenuto: una donna incinta e suo marito, presumibilmente di origine giudaica, venivano linciati dai miliziani. Dicevano che si trattava di propaganda russa, non era vero. I nazisti ucraini non esistono. Salta fuori che, anche se i due non sono ebrei, il video è vero: e che i nazisti ucraini non solo esistono, ma sono capaci di gesti così indicibili da far pensare, più che altro, a vere caricature dei nazisti.

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E allora, torniamo alla domanda vera: perché? Perché il supercriminale Foreign Fighter ucraino stava in Piazza San Pietro?

 

Ah, poi c’è chi si chiede come abbiano fatto a beccarlo: alcuni non sono disposti ad accettare subito la storia dell’intuito da chiaroveggenti dei nostri, pur bravissimi certo, poliziotti zona Vaticano. Qui le ipotesi possibili sono due.

 

La prima: in Vaticano ci sono telecamere dotate di tecnologia face recognition, ma forse non si può dire, perché in Italia non si capisce se siano esattamente legali, e la Santa Sede non è Italia ma, pensano gli attuali occupanti del Soglio, è meglio non dirlo troppo spesso. Quindi: voi che su Facebook scrivete commenti contro Bergoglio, occhio.

 

La seconda: qualcuno ha fatto una soffiata, e ha avvertito i nostri che il tizio, ecco la foto segnaletica, era diretto da quelle parti. Qui si aprirebbero altre questioni cui ovviamente non sapremmo rispondere in alcun modo. Se lo ha mandato qualcuno, chi lo ha mandato? A fare cosa? Chi ha spifferato? Con che fine? Era avvertire di un pericolo, o era, più sottilmente, far comprendere a qualcuno, che c’è quel pericolo esiste?

 

Roba abissale, giuochi di specchi sacri e geopolitici come ai tempi di Ali Agca e le piste che incrociano i lupi grigi (altri giovani radicalizzati contro la Russia…), servizi bulgari, frati belgi legati alla CIA (come suggerì in un’intervista, sornione e diabolico, Andreotti), magari pure la Madonna di Fatima, et pour cause.

 

Possiamo solo buttare lì qualche altro puntino per il lettore. Sappiamo che il rapporto del papa con l’Ucraina, partito con un bacio alla bandiera della Centuria di Maidan (proprio ad un’udienza del mercoledì), passato per una politica di relazioni sterile, falsa e millantatoria, finito con vari insulti da parte Ucraina, è quello che è.

 

Lui ce l’ha messa tutta: ha taciuto quando hanno attaccato un suo sacerdote – sì, un prete cattolico, ad Uzhgorod – quando aveva osato pregare per la pace, ha provato a vendere ai giornalisti l’idea che la sua conversazione a Budapest con Ilarione – gerarca modernista e filocattolico del Patriarcato di Mosca finito rimosso, e che peraltro ora, dopo la Fiducia Supplicans, di Roma non ne vuole più sapere nulla – serviva alla pace, aveva mandato avanti Zuppi (idea geniale) a Kiev, aveva accettato che Zelens’kyj si sedesse prima di lui da ospite nell’incontro in Vaticano durante l’Italian tour del comico ucraino finito chez Bruno Vespa. (Qualcuno, in Russia, dice che il vertice tra Francesco e il comico TV divenuto presidente, invece, abbia alle spalle un famoso cardinale inglese…)

 

Bergoglio si era beccato gli insulti del consigliere di Zelens’kyj Mikhailo Podolyak, che sul Corriere della Sera (dove sennò) attaccò il papa e il cristianesimo tutto.  Poi, con la storia dell’appello ai negoziati lanciato dall’argentino alla testata svizzera, ecco le offese anche del ministro degli Esteri già «bambino di Chernobyl» in Irpinia Kuleba, che ha insinuato di antichi rapporti della Santa Sede con il nazismo (il bue che dice all’asino… ecco quella storia lì).

 

Davvero, il ragazzo biancovestito in sedia a rotelle ce l’aveva messa tutta, o almeno aveva fatto finta, almeno per un po’. Adesso, chissà cosa vogliono dirgli.

 

Anche perché ad essere arrabbiati con lui mica sono solo quelli della banda di Kiev. Qualche mese fa è partita la rabbia dei rabbini, perché questa equidistanza vaticana con i palestinesi (fra cui, ricordiamo, la Chiesa cattolica ha molti, molti fedeli) non si poteva sentire. Anche lì: il sudamericano si era impegnato, nel 2017 aveva pure visitato la tomba del fondatore del sionismo Teodoro Herzl (ma perché?) a fianco di un soddisfattissimo premier Netanyahu, quello che adesso chiamano macellaio genocida, sconfessando il suo predecessore papa San Pio X che, in modo leggermente diverso, quando Herzl gli chiese l’appoggio per far tornare gli ebrei in Palestina gli promise che la Chiesa si sarebbe opposta con ogni forza al progetto.

 

Ma un patatrac presso il Sacro Palazzo cuore della cristianità globale farebbe comodo a tanti altri.

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Sappiamo come funziona il pensiero dei padroni del vapore: il programma va mandato avanti per traumi. Le società umane si manipolano shock dopo shock. Presidenti uccisi, presidenti rapiti, bombe nelle piazze, nelle stazioni, aerei dirottati, torri che cascano, guerre, invasioni, pandemie.

 

Aggiungiamo anche un altro pensiero, sul quale non ci dilungheremo qui. Durante la guerra del Vietnam la CIA organizzò uno sforzo operativo chiamato Phoenix Program, che doveva distruggere fisicamente e moralmente il sistema dei Viet Cong attraverso rapimenti, infiltrazioni, assassinii, terrorismo, torture. Secondo alcuni, il Phoenix Program prevedeva la creazione vera e propria di serial killer. Soldati americani capaci di violenze infinite, psicopatici al punto da essere più considerabili per i nemici come vampiri (con atti di cannibalismo inclusi) che non come nemici, in grado quindi di scatenare timori ancestrali nei vietnamiti comunisti.

 

C’è chi dice che l’effetto più evidente di questo programma siano stati i continui casi di assassini seriali registrati in USA negli anni Settanta e Ottanta. Moltissimi di questi soggetti, divenuti popolari grazie a stampa, TV e cinema, avevano un passato tra i militari americani, alcuni proprio direttamente in Vietnam. Se ci fate caso, dopo gli anni Novanta – in cui il fenomeno divenne una costante, più che nella cronaca nera, nella cultura popolare – i serial killer sono spariti.

 

Dove sono finiti gli assassini seriali? Sono scomparsi? O forse, dice qualcuno con malizia, ne hanno «chiuso la fabbrica»? E la fabbrica, magari, si può riaprire? L’hanno riaperta?

 

Una volta potevi parlare dei patsy, dei capri espiatori usati nei grandi misteri storici, e non prenderti del complottista. Ricordo ancora i tempi in cui credere che Lee Harvey Oswald fosse un matto manipolato (anche lui con trascorsi militari significativi…) piazzato lì per prendersi la colpa del regicidio Kennedy non era una bestemmia, anzi era la norma.

 

Ora c’è da aver paura anche solo a fare delle ipotesi. Ma non solo per l’etichetta di pazzotico che ti possono affibbiare i benpensanti, i fact-checker, gli algoritmi censori dei social e dei motori di ricerca. C’è da aver paura di averci ragione.

 

Che cosa sono disposti a fare, questi mostri, per far bruciare ancora di più il mondo?

 

A quale altro regicidio dobbiamo assistere?

 

Quale efferata crudeltà li sazierà mai?

 

Roberto Dal Bosco

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Pensiero

La giovenca rossa dell’anticristo è arrivata a Gerusalemme

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Ieri si è avuta la notizia, che i grandi media non sono in grado di intercettare.   Gruppi sionisti del Monte del Tempio di Gerusalemme hanno annunciato che il 22 aprile sarà effettuato lo sgozzamento della giovenca rossa, un loro rito messianico per la fine dei tempi.   Secondo quanto riportato, sarebbe stata sottoposta alla polizia israeliana una richiesta ufficiale per permettere di portare nella spianata delle moschee un altare e dei coltelli per macellare mucche dal pelo fulvo.  

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Il rito fa parte del processo della ricostruzione del Tempio ebraico, distrutto nel 70 d.C., la cui ricostruzione porterà all’apparizione del Messia degli Ebrei, che molti cristiani considerano l’anticristo.   Questo, tuttavia, ai vari cristiani evangelici fondamentalisti americani va più che bene, perché in questo modo si accelererà la seconda venuta di Cristo stesso, che arriverà come predetto del Libro della Rivelazione dopo i sette anni di tribolazione – e cioè un conflitto mondiale, la distruzione di tutti gli ebrei che rifiutano di convertirsi, la rapture (idea fondamentalista americana di un subitaneo «rapimento» in cielo di parte della popolazione durante la guerra apocalittica) e alla fine del mondo.   È, in tutto e per tutto, l’Armageddon. E in questo caso è pure chiamare l’apocalisse così, con una parola ebraica.   Gli ebrei ritengono invece che il Tempio ricostruito porterà il loro Messia e, dal Tempio, gli ebrei governeranno cristiani e musulmani. Naturalmente, per fare questo, il luogo più sacro dell’Islam dopo La Mecca e Medina, la Moschea di Al-Aqsa, deve essere raso al suolo.   Armageddonisti ebrei e cristiani da vario tempo stavano collaborando nel trasporto di cinque «giovenche rosse» speciali e «senza macchia» dal ranch del cristiano sionista Byron Stinson in Texas in Israele più di un anno fa, dove hanno acquistato un terreno sul Monte degli Ulivi, il luogo speciale per il macello previsto tra una settimana.   La scelta del mese di aprile si basa sul fatto che le giovenche raggiungono l’età prescritta per la cerimonia. A quel punto, una o più possono essere macellate e poi bruciate, con le loro ceneri mescolate con acqua.   Questo affinché una squadra speciale, che dovrà iniziare la costruzione del Terzo Tempio, possa bagnarsi nella miscela ed essere adeguatamente purificata per il proprio compito.   Stiamo dando una versione semplificata: la realtà è molto più contorta. La chiave è un’interpretazione forzata di un passaggio del Libro dei Numeri dell’Antico Testamento, dove si parla del ruolo di una «giovenca rossa» nel purificare le mani di coloro che hanno toccato i morti.   «Il Signore disse ancora a Mosè e ad Aronne: “Questa è una disposizione della legge che il Signore ha prescritta: Ordina agli Israeliti che ti portino una giovenca rossa, senza macchia, senza difetti, e che non abbia mai portato il giogo. La darete al sacerdote Eleazaro, che la condurrà fuori del campo e la farà immolare in sua presenza. Il sacerdote Eleazaro prenderà con il dito il sangue della giovenca e ne farà sette volte l’aspersione davanti alla tenda del convegno; poi si brucerà la giovenca sotto i suoi occhi; se ne brucerà la pelle, la carne e il sangue con gli escrementi. Il sacerdote prenderà legno di cedro, issòpo, colore scarlatto e getterà tutto nel fuoco che consuma la giovenca. Poi il sacerdote laverà le sue vesti e farà un bagno al suo corpo nell’acqua; quindi rientrerà nel campo e il sacerdote rimarrà in stato d’immondezza fino alla sera. Colui che avrà bruciato la giovenca si laverà le vesti nell’acqua, farà un bagno al suo corpo nell’acqua e sarà immondo fino alla sera. Un uomo mondo raccoglierà le ceneri della giovenca e le depositerà fuori del campo in luogo mondo, dove saranno conservate per la comunità degli Israeliti per l’acqua di purificazione: è un rito espiatorio. Colui che avrà raccolto le ceneri della giovenca si laverà le vesti e sarà immondo fino alla sera. Questa sarà una legge perenne per gli Israeliti e per lo straniero che soggiornerà presso di loro». (Num 19, 1-10)   Questa purificazione sarebbe fondamentale per il sacerdozio ebraico e il culto sacrificale. Il Jerusalem Post scrive: «ai giorni nostri, si presume che tutti gli ebrei, inclusi i kohanim [sacerdoti o discendenti dei sacerdoti, ndr], siano impuri a causa dell’impurità impartita da un cadavere. Mentre nella vita quotidiana dei giorni nostri questo status non ha molto effetto pratico, a chi è impuro con questo tipo di impurità è vietato entrare nel Tempio».   È la questione del kosher: l’ebraismo è ossessionato dalla contaminazione, da cui, secondo cui la tendenza a separare – il giudeo dal gentile, il latte della carne bovina, la donna mestruata dal resto della comunità.   Un’altra pubblicazione dello Stato Ebraico, Israel365News, spiega quindi che «la mancanza di una giovenca rossa ha lasciato tutto Israele ritualmente impuro e incapace di eseguire adeguatamente molti altri comandamenti».   Questo è un problema, perché la cerimonia deve essere completata da un sacerdote che sia lui stesso ritualmente puro. Rabbi Azaria Ariel, il direttore della ricerca del Temple Institute, spiega che il sacerdote «deve essere puro per eseguire il rituale e preparare le ceneri. Ad esempio, non può nascere in un ospedale. Abbiamo alcuni sacerdoti così».   «Cerchiamo sacerdoti che siano stati attenti a questa questione di significato, allontanandosi dai cadaveri dei cimiteri e degli ospedali. Devono avere una chiara tradizione familiare che discenda dai preti. In realtà di uomini così ce ne sono molti, moltissimi. Deve anche avere un’età in cui può macellare la mucca di almeno 15 anni e non è stato in ospedale fino a quel momento».   (Sugli ospedali come luoghi di morte, ci troviamo bizzarramente d’accordo col rabbino, ma questo è un altro discorso).

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Tuttavia, il rabbino Ariel ha anche affermato che, nel frattempo, è ancora possibile entrare nel Monte del Tempio e persino offrire alcuni sacrifici in uno stato di impurità rituale. Al contempo, il rabbino Ariele precisa che questa cerimonia «non attiva l’obbligo di costruire il Terzo Tempio» e «la costruzione del tempio non dipende dalle Giovenche Rosse».   «Noi non facciamo il rituale della giovenca rossa affinché il Messia venga affinché Dio faccia qualcosa del genere o qualcosa del genere» ha assicurato il rabbino.   Il rito di purificazione potrebbe seguire altre logiche di giudaizzazione pure della vita civile – e militare – dello Stato Ebraico.   Kassy Akiva, una videogionalista ebrea del Daily Wire, la grande organizzazione di informazione del sionista Ben Shapiro, del Daily Wire ha raccontato su Twitter che «le ceneri vengono utilizzate per creare una miscela che viene utilizzata nel processo di purificazione per accedere al cortile interno del Monte del Tempio. Gli usi pratici oggi consentirebbero agli agenti di polizia di purificarsi prima di entrare in quell’area per motivi di sicurezza invece di essere costretti ad entrare in quell’area per garantire la sicurezza senza prima purificarsi. Sebbene ciò sia consentito dalla lettera della legge ebraica, tutti concordano sul fatto che sarebbe meglio purificarsi prima di entrare».  

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In pratica, si potrebbe trattare di estendere la religione sulla società ebraica anche più secolare. Con il presente governo israeliano, il più religioso, il più messianico della storia, non poteva che essere così. È il governo dove si giustificano gli sputi ai cristiani a Gerusalemme («tradizioni», rivendica il ministro: certo), è il governo dei convegni con balli scatenati dei coloni pronti a scendere su Gaza, è il governo che non ha problemi a parlare di nuclearizzazione dei palestinesi – e degli iraniani – dopo aver usato una parola biblica, amalek, che riporta alla possibilità di annientamento di interi popoli. Genocidio: ma con radici religiose. (Dov’è che avevamo già sentito questa storia?)   In realtà, «cinque giovenche perfettamente rosse» – mucche che non hanno ancora partorito, mucche «vergini» – erano arrivate in Israele già nel settembre 2022.   All’epoca reagirono subito gli organi di stampa di Hamas a rispondere, definendolo un tentativo di «giudaizzare le sante moschee» e sostenendo che «Al-Aqsa è in pericolo».   Le giovenche sono state portate da Boneh Israel («Costruire Israele»), un’organizzazione israelo-americana composta da ebrei e cristiani. Le giovenche sono state trovate e allevate da Byron Stinson, sedicente «giudeo-cristiano» e consigliere dell’organizzazione. Un video sul sito web di Boneh Israel lo definisce «letteralmente il ragazzo che ha portato quelle giovenche rosse in Israele».   «Queste giovenche rosse possono portare la pace nel mondo! La Bibbia ci insegna che la chiave per costruire il Terzo Tempio (la Casa di Preghiera per Tutte le Nazioni) è purificarci con la giovenca rossa a Gerusalemme» scrive il sito.   Lo Stinson, come nota LifeSite, ha anche chiarito che ritiene che la cerimonia della giovenca sia un primo e necessario passo per ricostruire il Tempio, e la collega persino all’emergere di un governo mondiale:   «I rabbini sono così emozionati perché, come noi sparsi nelle Nazioni, tutti possono sentire l’avvicinarsi di un governo unico mondiale. Puoi sentire l’avvicinarsi di questo momento in cui qualcosa deve cambiare. E tutti lo sentono e ciò che cercano disperatamente è la venuta del Messia. Sanno che questo è il primo passo per poter costruire il tempio. Non puoi purificare le persone che lavoreranno nel tempio finché non avrai effettivamente quest’acqua di purificazione che proviene dalla cenere delle giovenche rosse».   «Credo che la risposta di ogni cristiano dovrebbe essere quella di sostenere la costruzione del Tempio»   Il Jerusalem Post ha anche affermato che a settembre le giovenche sono state accolte cerimonialmente all’aeroporto israeliano Ben-Gurion da diversi rabbini del Temple Institute, tra cui lo stesso rabbino Azaria Ariel e il direttore generale del ministero del Patrimonio e di Gerusalemme, Netanel Isaac.   Il Temple Institute è stato fondato dal padre di Ariel (Rabbi Yisrael Ariel) e Rabbi Azaria Ariel guida il suo dipartimento di ricerca. Il sito web dell’Istituto afferma che mentre alcune cerimonie del Tempio sono possibili in uno stato di impurità rituale, la giovenca rossa è necessaria per il completo ripristino messianico.   «Il completo rinnovamento di tutti gli aspetti del servizio del Sacro Tempio e il risveglio della completa purezza rituale tra gli ebrei dipendono dalla preparazione della giovenca rossa (…) La preparazione della giovenca rossa è una precondizione per la reintegrazione del servizio completo nel Sacro Tempio».   Il sito riporta inoltre favorevolmente l’insegnamento su questo argomento del rabbino Moshe ben Maimon – conosciuto come Mosè Maimonide (1135-1204) o «Rambam» – filosofo talmudista tra i maggiori nella storia dell’ebraismo, estremamente influente nel XII secolo. Egli collegò l’arrivo della successiva giovenca rossa con la venuta del Messia, cioè quello che gli ebrei chiamano il «mashiach» o «moshiach».   «Nove giovenche rosse furono offerte dal momento in cui fu loro comandato di adempiere a questa mitzvah [il compimento di uno dei comandamenti della legge ebraica, ndr] fino al momento in cui il Tempio fu distrutto una seconda volta. La prima è stata portata da Mosè, il nostro maestro. La seconda è stata portato da Esdra. Altre sette furono offerte fino alla distruzione del Secondo Tempio. E la decima sarà portata dal re mashiach; possa essere rapidamente rivelato. Amen, così possa essere la volontà di Dio» (Maimonide, Shefter Shoftim («Il Libro dei Giudici», capitolo 11).

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Secondo Maimonide, un’impresa fondamentale di questo presunto Messia, che costituirà peraltro una delle prove conclusive della sua affermazione, è che costui ricostruirà il Tempio di Gerusalemme.   È facile capire che se qualcuno vi dice che non esiste alcun legame tra la consegna delle giovenche rosse e la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme – e quindi la venuta del presunto messia degli ebrei – vi sta gettando fumo negli occhi, vi sta ingannando – gaslighting, dicono ora in America. Operano per l’apocalisse, ma fischiettosamente. I complottisti siete voi, che maliziosamente vedete troppe cose dietro un innocente, zufolante sacrificio veterotestamentario di mucche rosse sul Monte degli Ulivi. Avete visto troppe volte il primo Indiana Jones, con il rito ebraico che scatena quel massacro massivo orripilante. Eccerto.   Prima di parlare del significato che tutto questo ha per i cristiani, soffermiamoci a ricordare cosa significa il Terzo Tempio per i musulmani. La moschea di Al-Aqsa, si trova proprio lì. Lo sappiamo bene perché in questi anni abbiamo visto la quantità di botte che in tante occasioni le forze israeliane hanno rifiutato ai musulmani lì per – in teoria – pregare, cosa che peraltro è consentita solo a loro.   Qualcuno ricorderà anche la passeggiata che sulla spianata delle moschee compì l’allora premier israeliano Ariel Sharon nel 2000, l’atto da cui partì la seconda Intifada. Ricordiamo brevemente cosa accadde in seguito: Sharon divenne relativamente più «morbido» verso i palestinesi, formò un partito suo scindendo il Likud. Nel 2005 – esattamente come era successo anni prima a Ytzhak Rabin– finì al centro di una Pulsa DiNura, una cerimonia di maledizione cabalistica performata da una quantità di rabbini, pure ripresa da una TV locale. Se mesi dopo a Sharon venne un colpo, e restò anni in coma fino al 2014. Se vi impressionate, ripetiamo, è perché avete negli occhi I predatori dell’arca perduta.  

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Si tratta di un luogo definito come terzo più sacro di tutto l’Islam. I musulmani ritengono che Maometto fu portato sul luogo del Tempio in rovina di Gerusalemme su un cavallo magico; e che legò il suo cavallo al Muro Occidentale e da lì salì al cielo e incontrò i vari profeti. Non si tratta solo di palestinesi: tutto l’Islam potrebbe reagire qualora Al-Aqsa fosse toccata.   Del resto, cerchiamo di comprendere: Israele, oltre che uno Stato etnonazionalista, può definirsi uno Stato religioso. Hamas, il nemico dello Stato Ebraico, è pure un’organizzazione religiosa – in particolare, una gemmazione locale del gruppo protofondamentalista dei Fratelli Musulmani. L’Iran – che poche ore fa ha attaccato frontalmente Israele con i suoi droni – è una Repubblica Teocratica, uno Stato fondato, rifondato su principi religiosi.   Insomma, al di là di quello che possono dirvi gli alfieri della «geopolitica laica» (quelli che vi raccontano di interessi economici, petrolio, voti dei pensionati ebrei in Florida) si tratta di una questione di religione: tutti gli attori in gioco sono enti religiosi.   In ballo c’è una guerra di religione: e quindi, come non vedere il peso assoluto della macellazione rituale della giovenca rossa?   In realtà, pochi in Italia ne stanno parlando. Non si sono addentrati i blog più complottisti, e neanche i canali Telegram pronti a rilanciare qualsiasi bufala dopaminica («re carlo è morto», «Putin si è schierato con l’Iran) per ciucciare un po’ della vostra attenzione.   Eppure, la questione religiosa dovrebbe interessare anche noi. Perché, anche se rimossi dall’equazione, siamo anche noi spinti nella catastrofe di Gerusalemme – in quanto cristiani, non potrebbe che essere così.   Si torna alla vecchia questione sottolineata più volte da Renovatio 21: c’è lo Stato Ebraico, c’è lo Stato Islamico (ce ne sono diversi), tuttavia non c’è, e non può esserci, lo Stato Cristiano – è rimosso dal discorso, non può essere nemmeno nominato. Il dogma, ad ogni latitudine occidentale e non solo, è quello dello Stato «laico», che sappiamo bene significa uno Stato retto su principi massonici – cioè su una religione ulteriore che tenta da secoli di cancellare il cristianesimo.   È stato riportato che a spingere il progetto di ricostruzione del Tempio di Salome vi sarebbe una loggia massonica britannica, la Quator Coronati. Tuttavia non è questo che vogliamo sottolineare: vogliamo dire come, ancora una volta, i cristiani pare non siano nemmeno considerati nell’equazione. Sono stati estromessi, eliminati dal discorso.   È una realtà portata a galla dal solito Tucker Carlson, che in settimana ha intervistato un pastore evangelico palestinese, mettendo in risalto il paradosso assoluto per cui – come in Iraq, come in Siria – i danari mandati dagli USA in Medio Oriente, su pressioni di lobby protestanti, finiscano per uccidere i cristiani stessi.   Questo è uno degli effetti, solo apparentemente paradossali, del messianismo sionista installato nel fondamentalismo cristiano americano: pur accelerare la fine dei tempi, aiutano la persecuzione, passano sopra il cadavere dei cristiani del Medio Oriente, finanziando ed armando Israele, che nel frattempo avanza leggi anti-conversione per proibire il proselitismo cristiano, negli ultimi mesi ha fatto registrare attacchi ai cristiani senza precedenti.   Non si tratta di frange: come riportato da Renovatio 21, anche lo speaker della Camera USA, il sempre più controverso Mike Johnson, è del gruppo, con vari legami con gruppi del sionismo messianico.

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I cattolici non stanno prendendo la cosa sul serio, anche nella storia teologi e padri della Chiesa – vengono citati San Girolamo, Sant’Ambrogio, San Gregorio Magno, San Efraim, San Giovanni Crisostomo, Sant’Ireneo di Lione – hanno stabilito che l’anticristo potrebbe essere una figura simile.   Il gesuita Francisco Suárez (1548-1617), nella sua opera De Antichristo, scrive che «c’è uno che gli ebrei aspettano e uno che tutti accoglieranno. Gli altri che pretendevano di essere il Messia non sono stati ricevuti da tutti gli ebrei, ma solo da alcuni».   L’anticristo, dice la scrittura, ingannerà il mondo intero, convincerà persino gli eletti. Per questo si ritiene che guiderà un Nuovo Ordine Mondiale, dove la fede sarà perseguitata, e l’umanità vivrà i suoi tempi ultimi.   Questo è il pensiero cristiano, al quale nessuno sembra voler far caso.   Se poi vi chiedete perché, ricordatevi di San Pio X, e di Bergoglio. Nel 1903 papa Sarto, come abbiamo ricordato più volte, ricevette il fondatore del sionismo Theodor Herzl, e gli negò qualsiasi aiuto.   «Noi non possiamo favorire questo movimento. Non potremo impedire agli ebrei di andare a Gerusalemme, ma non possiamo mai favorirlo. La terra di Gerusalemme se non era sempre santa, è stata santificata per la vita di Jesu Cristo (…) Io come capo della chiesa non posso dirle altra cosa. Gli Ebrei non hanno riconosciuto nostro Signore, perciò non possiamo riconoscere il popolo ebreo» scrive Herzl nei suoi diari.   Facciamo un salto temporale: 110 anni dopo, vediamo le immagini, girate durante il suo viaggio in Terra Santa, di papa Bergoglio, accompagnato dal premier israeliano Benjamin Netanyahu (quello oggi definito «macellaio» e «genocida») mentre si reca a rendere omaggio alla tomba di Herzl. Nemmeno un rabbino: un «laico» etnonazionalista ebreo che, peraltro, si era rifiutato di baciare la mano del santo papa predecessore ed inginocchiarsi, come da protocollo vaticano.   Il mondo è rovesciato. Il mondo è stato rovesciato. .     La chiesa post-conciliare quindi lavora per il sacrificio della giovenca rossa?   La Roma infiltrata dal Male vuole la manifestazione dell’anticristo, per poterlo adorare ed intronare?   Domande che vale la pena di farsi, nelle ore in cui lo spettro di una guerra atomica si fa sempre più concreto – ecco il vero sacrificio a cui mira il Male, ecco il vero Olocausto.   La cancellazione dell’umanità, l’annientamento dell’Imago Dei: stiamo parlando, davvero, di questo.   Roberto Dal Bosco

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Eutanasia

La «Costituzione materiale» dell’Italia umanoide, tra eutanasia e gender di Stato

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Si è tenuta poche settimane fa, convocata dal neoeletto Presidente Augusto Barbera, la riunione straordinaria annuale della Corte Costituzionale, alla quale hanno partecipato anche il Presidente della Repubblica, rappresentanti delle camere e dell’esecutivo.

 

Nella sala a geometrie bianche e nere e con l’azzurro forte di certa araldica medievale, il quadro cromatico era adeguato al cipiglio polemicamente decisionista del presidente, accademico di lungo corso prestato alla politica su un versante che dall’ortodossia comunista degli inizi è scivolato fatalmente verso la metamorfosi ideologica del PD a trazione atlantista.

 

Dunque un uomo dei nostri tempi, nel senso della piena e progressiva consonanza con lo spirito del tempo prodotto dai potenti fabbricatori di etiche e di diritti, di pedagogie e di ideali, di cultura à la carte, ovvero del fantasmagorico luna park dove va in scena il nulla a tinta variabile, secondo le esigenze di mercato ma ad altissimo potenziale distruttivo.

 

E in una chiave «evolutiva» in ogni senso, il Presidente ha svolto il proprio discorso della corona, che come sempre in questi casi contiene il programma di governo e qualche nota sullo stato dell’unione, o meglio, della disunione che pare regnare tra la stessa Corte, la magistratura ordinaria e il Parlamento, disunione peraltro dovuta a qualche dissonanza di vedute etico politico giuridiche, peraltro opportunamente transeunti.

 

Anzitutto, in un fugace ma significativo preambolo è stato dispiegato tutto il repertorio canonico della correttezza politica in vigore. Dall’aggressione russa venuta dal nulla, all’orrore terroristico in medioriente che ha portato ad una «dura» reazione; dai femminicidi accostati ai morti sul lavoro, che così sono apparsi per quantità parificabili ai secondi, fino alla sempiterna condizione femminile, che non si sa se sia un dato archeologico o futurista.

 

Non sono mancate neppure le catastrofi ambientali causate, come è noto, oltreché dal cambiamento climatico, dalle abitudini umane, finché non è stata rievocata la fila dei camion militari pieni di bare a Bergamo e la consequenziale imposizione dell’obbligo vaccinale che, non per nulla, la Corte ha poi oculatamente legittimato.

 

Così, detto tutto quello che doveva essere detto, il Presidente Barbera è potuto entrare in medias res, per ribadire la fondatezza logica e giuridica di quell’obbligo, che era stato stabilito sulla base dei dati scientifici e sulle scelte, autorevoli per definizione, di altri autorevoli paesi. Riferimento doveroso nel giorno in cui si sono commemorate le vittime del covid, ma non quelle in continua espansione dei vaccini, per ovvi motivi di coerenza logica.

 

A proposito del rapporto tra la Corte e i giudici di merito cui spetta il compito di sollevare la questione di legittimità della norma da applicare nel caso concreto, ha lamentato come costoro, spesso, mossi da «eccesso valoriale» siano indotti a risolvere da soli tale questione, perché la overdose di scrupoli assiologici impedisce loro di attendere pazientemente il responso della Corte.

 

D’altra parte, tanto lavoro sarebbe risparmiato se questi giudici così zelanti, quando non sanno che pesci pigliare, si rivolgessero alle corti europee, vista la nota supremazia UE sull’ordinamento interno.

 

Ma la questione più grave da affrontare è, per il Presidente, quella della inerzia del Parlamento di fronte al necessario aggiornamento dei codici penale e civile sulle questioni cruciali del «fine vita», e delle note attitudini procreative e genitoriali della rinomata ditta LGBT etc.

 

Dunque una grande professione di fede progressista da parte di un attempato signore al quale la lunga esperienza di studio e di vita non impedisce di essere abbagliato dallo slancio vitale del nuovo, quello ritenuto capace di assicurare alla società sorti luminose a dispetto della realtà delle cose e della storia, della funzione ordinatrice e pedagogica del diritto, delle conseguenze di certe scelte politiche, di quella che dovrebbe essere la vocazione della intelligenza e della ragione.

 

Insomma il discorso presidenziale si è appuntato tutto sulla auspicata legalizzazione eutanasica, e sulla altrettanto auspicata legalizzazione delle «filiazioni» omosessuali, perché, in mancanza di lumi espliciti offerti dalla Carta costituzionale, è urgente che il Parlamento modifichi le norme ordinarie, in ossequio alla mutata «coscienza sociale», ovvero alla cosiddetta «costituzione materiale».

 

Solo che il problema giuridico e costituzionale è ben più complesso e sostanziale di quanto non vorrebbe far apparire la semplicistica, impavida e spericolata rappresentazione del Presidente.

 

Come ricordava Mortati, l’artefice principale della nostra, una Costituzione formale, scritta, serve a dare il necessario ordine e stabilità, con la fissazione di certi principi fondamentali, ad un ordinamento che non può giustificare la libera affermazione di comportamenti caotici lasciati a se stessi. Tuttavia, il medesimo ordinamento non può neppure rimanere estraneo alle continue mutazioni degli assetti sociali dovuti al divenire storico. Infatti sono proprio le istanze che vengono dal basso e dal diffuso sentire comune a formare una vera e propria «costituzione materiale» che precede e condiziona quella formale scritta nella quale essa si dovrebbe riconoscere.

 

Anche la Magna Charta fu il frutto della pressione e delle istanze dei baroni inglesi verso la Corona, perché il documento scritto non cade dal cielo, ma è la proiezione di forze sociali, di un sostrato ideale culturale e politico, che a sua volta è in continuo movimento. Non per nulla anche la nostra Carta costituzionale prevede la possibilità di una revisione delle proprie norme, a determinate condizioni procedurali.

 

Su questi presupposti concettuali ha fatto perno appunto il discorso del Presidente Barbera, volto a strigliare il Parlamento riluttante a legiferare su quei temi, che egli ritiene vitali per il progresso della civiltà italica, e a rispettare la «coscienza sociale» di un popolo che evidentemente, a suo modo di vedere, reclama a gran voce questo intervento e, se non lo reclamasse, mostrerebbe tutta la propria arretratezza.

 

Del resto, quando in passato il Parlamento ha registrato in via elettorale la volontà popolare, legalizzando l’aborto con la legge 194, ha posto una pietra miliare sulla via del progresso culturale e della affermazione di diritti fondamentali. Per non parlare del luminoso recente esempio fornito dalla Francia in cui l’aborto è salito al rango di diritto costituzionale.

 

Insomma «le assemblee parlamentari debbono rispondere alle esigenze della base elettiva. Il Parlamento deve cogliere le pulsioni evolutive e il continuo divenire della realtà. Mentre d’altro lato, la stessa Corte, se è custode della Costituzione, non deve costruire “una fragile Costituzione dei custodi”». Sicché, eventualmente, di fronte alla persistente inerzia del Parlamento, la Corte sarà costretta a farsi carico di dare riconoscimento in proprio ai «diritti fondamentali reclamati dalla coscienza sociale in costante evoluzione». In barba evidentemente anche alla separazione dei poteri e ad a una relativa spavalda usurpazione del potere legislativo.

 

Ma fermiamoci sull’insistita necessità di adeguamento ad una nuova coscienza sociale. Perché è anzitutto qui che casca l’asino.

 

Infatti, per parlare di coscienza sociale, bisognerebbe per prima cosa intendersi sul significato profondo e non superficialmente immaginifico di un lemma che ha bisogno di determinazione qualitativa e quantitativa. Non significa forse adeguamento ad uno zeitgeist che spira grazie alla imposizione mediatica, alla persuasione occulta attraverso il martellamento cinetelevisivo?

 

La coscienza sociale è forse quella performata attraverso la macchina mediatica? O non dovremmo guardare a una coscienza sociale che viene dal profondo dell’essere perché radicata come sedimentazione di un’etica che deve sussistere attraverso le generazioni per dare stabilità alla vita individuale e collettiva? Che a volte viene offuscata provvisoriamente dal frastuono e dalla prepotenza di minoranze chiassose e irresponsabili, come accadde proprio nei ribollimenti rivoluzionari, per tornare a riemergere una volta passata la tempesta?

 

Ma questa coscienza sociale propriamente detta non può di certo essere scambiata in modo tartufesco con quella ottenuta attraverso una omologazione programmata dall’alto. Con l’adeguamento alla pedagogia di un potere dominante munito di straordinari e sofisticati strumenti persuasivi. Un potere, tra l’altro, che dovrebbe essere incompatibile con la sbandierata eccellenza democratica, ogni riferimento alla quale è diventato indecoroso.

 

La coscienza di un popolo non è la sottomissione culturale indotta attraverso metodi sperimentali di psicologia sociale alla propaganda organizzata da una minoranza numerica che tiene in mano le redini della politica, magari come mandataria di mandanti più potenti.

 

Coscienza sociale non è l’addormentamento di sentimenti naturali attraverso l’indottrinamento di massa e la suggestiva necessità della omologazione. Non è la conformità di consensi falsamente spontanei, né la formazione di volontà e di fenomeni virtualmente «democratici».

 

Ora, se la necessità di un ordinamento giuridico è incontrovertibile, perché, come leggiamo nell’Odissea, solo i Ciclopi non hanno leggi, è anche vero che le leggi, per dirsi tali, non possono contravvenire a quella vocazione ordinatrice e di salvaguardia della comunità che chiamiamo bene comune. E questo fine non può essere perseguito senza l’ancoraggio a quel nucleo forte di valori che si traducono in principi, di regole scolpite, quelle sì, nella coscienza sociale, che chiamiamo in modo convenzionale «diritto naturale».

 

In altre parole, prima della Costituzione formale, e come sostrato stabile della costituzione materiale che la produce e la condiziona, ci deve essere un nucleo forte di principi saldi e irrefutabili, capaci di tenere in vita una società perché orientati a salvaguardare quella specificità umana che vede gli impulsi messi in forma dalla ragione, e la ragione orientata appunto al bene comune.

 

Questi sono i capisaldi morali della convivenza umana, che per i credenti sono stati scritti nelle tavole eterne della legge divina, ma che anche i laicisti possono individuare, secondo la nota lezione di Grozio «etsi Deus non daretur», nelle leggi che dovrebbero essere altrettanto eterne, individuate ed individuabili con la ragione.

 

Cose arcinote, si dirà. Ma che non ci si deve mai dimenticare di ricordare, perché è proprio qui che si annida il veleno, sempre in agguato nella retorica di una trappola terminologica. Rispetto a questo sostrato indefettibile, la Costituzione materiale di cui si parla da quando si è affermato il fenomeno costituzionale non rappresenta una entità sovrapponibile né omogenea, ma piuttosto una eccedenza sociopolitica sicuramente legata alle evoluzioni politico economiche e grosso modo culturali di un mondo in continuo movimento. Ma, al di là delle eccedenze legate a trasformazioni strutturali e istituzionali, l’etica profonda e sempre riaffiorante di una comunità umana è quella essenziale che rimane e deve rimanere immutata, in quanto ne garantisce un armonico perpetuarsi.

 

Sono le leggi fondamentali della convivenza volte teleologicamente al bene di una comunità che contiene anche l’io etico che va sottratto ai venti di dottrina e all’arbitrio del potere, che non deve essere esposto alle variabili ideologico culturali oggi più che mai dettate da interessi estranei al progresso morale e spirituale degli individui e della società di cui fanno parte.

 

Dunque, quando si parla di principi che precedono e devono precedere, per guidarla, la legge positiva, che è scritta perché posta dal potere politico, c’è il pericolo di un equivoco micidiale, di un corto circuito in cui il discorso viene imprigionato in un labirinto di parole senza uscita.

 

C’è il pericolo che per principi eterni e cogenti vengano spacciati quelli formulati nello spazio contingente occupato da una politica fine a se stessa, per dare senso alle proprie scelte operative. Basti pensare all’abusato principio di libertà intesa come affermazione di autonomia assoluta della volontà individuale, incurante delle conseguenze; o della cosiddetta uguaglianza che vorrebbe parificare capre e cavoli come appunto nel caso delle aspirazioni genitoriali della premiata ditta LGBT impegnata nella fabbricazione di umanoidi secondo scienza e incoscienza.

 

Per questo Barbera, da uomo esperto di giochi logici e paralogici, finisce per accennare polemicamente ad una mentalità positivistica, peraltro a suo dire declinante, di quanti, volendo rimanere ancorati a quello che i costituenti e il legislatore hanno scritto, evidentemente non immaginavano la deriva demenziale dei tempi avvenire, non si esaltano alla prospettiva di allargare il proprio orizzonte accogliendo le istanze di una «coscienza sociale» che invoca aborto, eutanasia e procreazioni fasulle.

 

Insomma egli critica velatamente quanti, dentro e fuori del Parlamento, rimangano ancora fermi alla attuale lettera delle leggi positive, negando la esistenza di un fantomatico diritto naturale legato alla nuova coscienza sociale, ovvero alla nuova costituzione materiale intesa nel senso che è stato indicato.

 

E non si accorge che, invocando l’intervento del Parlamento, auspica la cristallizzazione di nuovi principi etici i quali, lungi dall’essere iscritti nella coscienza comune come egli vorrebbe, sono frutto di una precisa ideologia adottata dalla politica. E non di una coscienza sociale che viene dalla sedimentazione di una storia dello spirito perché nutrita di esperienza secolare nella faticosa ricerca del bene collettivo, il solo capace di assicurare anche quello individuale. Attraverso una storia e una filosofia che in Occidente ha visto la fusione tra eredità greco romana e cristianesimo. O, più semplicemente, di una coscienza morale che sente in profondità quale vera filosofia della vita possa dare senso alla esistenza individuale e contribuire al bene comunitario al quale è non può non essere estranea l’uccisione dell’essere umano nel grembo materno, come l’unione sessuale contro natura o la morte inflitta per legge ad un innocente.

 

Barbera arriva a dire che nella Costituzione non c’è traccia letterale di principi che precludano l’ingresso di queste nuove auspicate norme. È vero, ma soltanto perché per costituenti «normali» come uomini, come politici e come giuristi, erano semplicemente impensabili queste novità venute da lontano, ma ora tutte leggibili alla luce della morte di Dio che significa morte di quell’umanità che a Dio si è sempre rivolta per dare senso alla propria esistenza.

 

Egli, più che guardare alla «coscienza» fittizia a cui si appella, dovrebbe guardare a cosa i costituenti guardavano dal punto di vista etico quando scrivevano la legge fondamentale per assicurare alla nazione una tenuta spirituale duratura. Quella che sola può assicurare la sopravvivenza identitaria di un popolo a fronte dei mutamenti contingenti e artificiali della politica e per la quale, ad esempio, già nei primi anni novanta, dopo settant’anni di ateismo di Stato, le chiese dei territori ex sovietici tornavano a traboccare di fedeli.

 

Che la Costituzione scritta preveda la necessità di un adeguamento delle leggi al divenire storico e al nuovo che materialmente si inserisce nella realtà comunemente vissuta, è vero. Ma questo adeguamento non può fare a meno di perdere l’ancoraggio a quei principi etici senza i quali le novità materiali travolgono la convivenza umana come una valanga di detriti informi che si abbatta a valle senza trovare ostacoli.

 

Inoltre, se il diritto è un prodotto del potere politico, né potrebbe essere altrimenti dal momento che occorre un’autorità capace di renderlo effettivo, esso si snatura quando diventa strumento della politica intesa come esercizio del potere che alimenta se stesso. Tanto più quando lo si crea appellandosi, per autogiustificarsi, a un sostrato ideale sottostante e lo si fa passare, in altre parole, per diritto naturale positivizzato.

 

È quanto avviene non a caso nei regimi totalitari: fu teorizzato da Vishinskij per quello sovietico e fatto proprio parimenti dal nazionalsocialismo. Qui il diritto era al servizio della politica. Si spacciava per diritto naturale proprio la scelta ideologica adottata dalla politica: non per nulla anche le leggi razziali furono introdotte in omaggio a un supposto sentimento popolare.

 

Allo stesso modo in cui le proposte normative del presidente rispecchiano la deriva culturale che la politica alimenta in ragione del proprio nichilismo ideologico. Dove il nulla morale della politica genera il nulla morale e culturale di cui fa uno strumento di potere, mentre viene spacciata per diritto naturale proprio la scelta ideologica adottata dalla politica.

 

Intanto, il veleno della disintegrazione morale risulta persino più potente perché inoculato a dosi prima piccole e poi sempre crescenti, proprio per annichilire le coscienze, come l’oppio serviva ai britannici per fiaccare il popolo che essi intendevano sottomettere.

 

Barbera dovrebbe chiedersi piuttosto, da giurista di vaglia, quali siano le conseguenze, che già si vedono, della torsione indotta su larga scala di un sentire veramente radicato che ha sorretto la vita di un popolo, dando forma alla sua arte, alla sua filosofia, alla sua letteratura, prima della débacle contemporanea.

 

Questo popolo ha conservato sempre un senso alto della vita e della morte perché inserite nella metafisica cristiana.

 

Esso ha inteso custodire nella propria anima, ad esempio, i propri figli morti lontano nella inutile strage, fermandone la memoria scolpita anche in mille lapidi di mille piccoli antichi borghi d’Italia, come nel grande tempio di Redipuglia.

 

Anche se altri ricordi meno riparati saranno poi cancellati dalle diaboliche distruzioni della nuova guerra venuta dal progresso.

 

Ma gli accorati eutanasisti di oggi, che nulla sanno della morte solitaria sul Carso, si compiacciono alla idea appagante della morte umanitaria inflitta in una stanza sterile a dozzina, perché nulla sanno del senso che la morte assume quando viene incastonata nella idea della continuazione, del congiungimento degli anelli che danno senso alla esistenza umana.

 

Non vedono come la morte inflitta in applicazione di un protocollo sanitario, compiaciuto di essere anche umanitario, diventi, proprio nella coscienza comune, un evento che nulla conserva di quella sublimazione di cui soltanto l’uomo può essere capace.

 

Del resto, è proprio l’idea della scissione a dominare lo spirito filantropico degli eutanasisti. Quella che, vestendo i paramenti nobili della autonomia, separa i morti dai vivi, e recide legami famigliari e annienta il senso alto della vita – ce lo ricordava Mario Palmaro – e toglie valore all’uomo in sé e alla sua esistenza individuale e comunitaria.

 

Il culto e la memoria dei morti secondo il destino comune collega le generazioni e non le fa sentire abitatrici di un vuoto intermedio, come la radice comune che lega il genitore al figlio riempie un vuoto in cui ci perderemmo se non fossimo tenuti per mano da chi ci ha generato, nell’alveo sacro della famiglia.

 

Ora invece si apparecchia il nulla per tutti, attraverso le anomalie della vita contro natura, e della morte à la carte. E si ritiene di mettere in forma l’anomalia appunto usando la norma, che infatti comporta normalizzazione. In entrambi i casi viene calata l’arma ricattatoria della pietà e dei buoni sentimenti. Secondo lo stesso meccanismo per cui la cremazione è preferibile «perché è una cosa pulita». E secondo la psicologia di ogni bene-fattore di modello filantropico sorosiano.

 

Tuttavia è certo che le due proposte sul tappeto, unificate dalla stessa mentalità nichilistica, agnostica e antiumana, in una visione economica neomalthusiana, seguano strade proprie sotto l’ombrello del valore oggettivo delle scelte individuali, per confluire nel travisamento della funzione e delle finalità delle leggi.

 

Le pretese LGBT, non per nulla identificate da una sigla di tipo commerciale, e la cosa basta a fotografare il fenomeno, navigano nello spazio onirico della allucinazione, di una visione drogata dal delirio di onnipotenza che pretende di ottenere consacrazione giuridica, cioè di acquistare valore assoluto in via burocratica. Una visione che rispecchia bene la disintegrazione intellettuale, prima che morale, dell’Occidente.

 

A dimostrare la incongruità di fantomatici diritti sbandierati dalla prima, dovrebbe bastare la considerazione che diritto soggettivo può essere soltanto quella pretesa riconosciuta meritevole di tutela dalla legge in quanto coincidente con l’interesse collettivo. E che da quel concetto esula invece ogni pretesa, individuale e particolare, che con quest’interesse non abbia nulla a che fare.

 

Al contrario, le istanze eutanasiche muovono da una realtà di fatto: si connettono al problema reale della sofferenza prolungata spesso indotta paradossalmente dal progresso delle tecniche sanitarie, sfruttano una realtà oggettiva per nulla insignificante. Infatti è reale e oggettiva la possibilità, anzi la frequenza, con cui chi è aggredito da sofferenze inenarrabili sia indotto ad invocare la morte liberatrice. Ed è problema antico.

 

In una scena finale della Notte di San Bartolomeo di Mérimeèe, uno di due fratelli uniti da amore profondo ma divisi da opposte scelte teologiche e politiche, e che infatti combattono a La Rochelle su fronti opposti, viene ferito a morte e soccorso proprio dall’altro, che lo mette a riparo e si dispera non accettando neppure l’idea dell’irreparabile. Il ferito in preda ormai a dolori insopportabili chiede da bere, ma questo gli viene negato perché affretterebbe la morte. Finché sopraggiunge il chirurgo e, compreso che non c’è speranza di salvarlo, fa passare il fiasco del vino al morente che spira di lì a poco.

 

L’episodio ovviamente richiama solo alla lontana e soltanto per certi profili umani il problema con cui abbiamo a che fare. Ma sta a significare come il rapporto col dolore e la morte abbia sempre impegnato la coscienza su un terreno in cui da sempre aspetti personali, etici, affettivi, razionali spesso in contrasto fra loro si intreccino chiamando in causa anche la questione della responsabilità.

 

In altre parole, si tratta in ogni caso di un problema che appartiene anzitutto, impegnandola, alla vita dello spirito, e in questo senso implica e richiede una assunzione personale di responsabilità. Mentre si snatura quando il piano della coscienza viene invaso dalla autorità calcolante del legislatore e del giudice.

 

Infatti l’aporia oggi sta proprio nella pretesa di affidare per legge ad un terzo una decisione sulla vita altrui, che per forza di cose si fonda su fattori non controllabili e indeterminati.

 

L’indisponibilità oggettiva della vita umana, è principio primo della convivenza e quindi il frutto più maturo della civiltà giuridica approdata, dopo un faticoso cammino secolare, a sancirlo, anche nei confronti dello Stato, con la abolizione della pena di morte.

 

Il monito biblico «nessuno tocchi Caino» acquista in questo senso tutto il suo contenuto più profondo.

 

Una indisponibilità oggettiva ben messa a fuoco dalle norme del codice penale che puniscono ancora, occorre dirlo con una certa apprensione, l’omicidio del consenziente e l’aiuto al suicidio. Norme da cui emerge non a caso la preoccupazione del legislatore che la possibilità dell’omicidio si possa insinuare surrettiziamente, attraverso il contributo di una minorata difesa della vittima.

 

Una preoccupazione che però non sembra sfiorare tutti i sensibilissimi promotori eutanasici incapaci di sollevare lo sguardo al di sopra dei pensieri e delle emozioni facili. Perché occorre ribadirlo in modo che può apparire brutale a chi osservi con superficialità il problema: la cosiddetta eutanasia, o la si ricolloca, sia pure con mille distinguo, nell’alveo del dominio degli affetti e delle esperienze famigliari, nella storia privata dello spirito e della vita, e della responsabilità degli individui, oppure la si getta nei meccanismi della irresponsabilità burocratica, dell’arbitrio individuale legalizzato oppure di quello sempre in agguato dello Stato.

 

Questo aspetto continua a sfuggire alle anime belle che, senza rendersene conto, preferiscono consegnare nelle mani del potere ciò che appartiene allo spazio sovrano e duttile, ma non disumanizzato, della vita irripetibile dello spirito e dei rapporti privati.

 

Il paradigma completo della questione sul tappeto, con tutte le sue inquietanti implicazioni, lo abbiamo avuto nella sacra rappresentazione allestita nel 2009 col caso Englaro.

 

Lì si sono giocati i falsi sentimenti, i falsi diritti, le falsificazioni materiali e mediatiche, le aberrazioni giuridiche e quelle politiche. Dove l’arbitrio e l’inconsapevolezza, la suggestione e la pressione psicologica, hanno fatto da padroni e allo stato di minorata difesa della vittima sacrificale ha corrisposto l’interesse e il pragmatismo, la forza del potere e le mille modulazioni psicologiche o psicopatologiche di tutti gli attori in commedia, meno le tante voci della compassione e quella di poche materne infermiere.

 

Il punto estremo a cui può arrivare un tale meccanismo inesorabile lo abbiamo potuto sperimentare con le mostruosità che continuano ad essere esibite impunemente negli infernali ospedali britannici ormai specializzati a sopprimere per ordine del giudice bambini piccolissimi di genitori inermi di fronte ad un potere dal volto diabolico.

 

Dunque, una strada aperta dalla raccapricciante vicenda di Terri Schiavo, replicata con piccole varianti da quella di Eluana Englaro e poi dai piccini uccisi in Inghilterra. Tutti casi accomunati dall’essersi trattato di condanne a morte di innocenti eseguite per ordine del giudice, dunque dalla possibile longa manus del potere politico, oppure da chi si troverà a dover applicare una legge anch’essa frutto di un accomodamento politico, o… di un ordine presidenziale.

 

Ed è proprio questo che, anche da un punto di vista strettamente giuridico, senza neppure richiamarci alla legge divina, sembra sfuggire ai nuovi illuministi. Essi non si chiedono se, una volta concessa la licenza di uccidere – non importa a quali condizioni, comunque sempre interpretabili e sempre valicabili – questo potere non possa essere usato per scopi che nulla hanno a che fare con la nobile propria con-passione per la sofferenza altrui. Ma potrebbe tornare utile anche allo Stato Leviatanico per eliminare qualche scomodo intruso.

 

Così come il giurista di vaglia assiso alla presidenza della Corte Costituzionale non si chiede neppure cosa sarà la vita inflitta ad individui venuti dal nulla oscuro dell’arbitrio individuale e di un cieco egoismo consacrato per legge. Perché, al concetto di diritto soggettivo quale pretesa meritevole di tutela da parte dell’ordinamento perché coincidente con l’interesse collettivo, ha sostituito quello stabilito a suo tempo dalle Cirinnà, dai Vendola e dal Corriere della Sera, quale riconoscimento dovuto a qualsivoglia appetito individuale o di consorteria.

 

Che ne sarà di una società popolata dai prodotti di disadattati esistenziali in delirio di onnipotenza? Questa mancanza di riflessione dovrebbe preoccupare quanti finiranno per pagare e faranno pagare ad altri le costose conseguenze della propria follia.

 

Ci sono oggettive ragioni di contenuto etico e culturale che debbono guidare il diritto nel senso della sua vocazione di miglioramento antropologico. I presupposti di valore capaci di orientare la legge verso una oggettiva eticità, il bene comune, lo abbiamo chiamato diritto naturale scritto da Dio o messo in forma dagli uomini, sempre con la finalità di tracciare i limiti entro cui la legge non diventa quella del più forte, o di un potere antiumano.

 

Qui si gioca il senso stesso del diritto che o è per l’uomo, o non è. Per l’uomo considerato valore in sé, non quantificabile e non commerciabile, non riproducibile né sopprimibile a piacimento.

 

Patrizia Fermani

 

Articolo previamente apparso su Ricognizioni.

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