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Mons. Viganò contro le celebrazioni anglicane alla Basilica di San Bartolomeo a Roma: «dovrà essere riconsacrata»

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L’arcivescovo Carlo Maria Viganò attacca l’uso da parte degli anglicani di una basilica cattolica a Roma avvenuta nel corso della cosiddetta settimana dell’unità dei cristiani.

 

L’ex nunzio apostolico a Washington si spinge a dire che, in seguito alla concessione da parte del pontefice del rito anglicano, l’edificio dovrà essere riconsacrato.

 

«Bergoglio fa celebrare una “messa” eretica da falsi ministri (gli Anglicani non hanno Ordini validi) profanando la Basilica di San Bartolomeo, che dopo questa celebrazione dovrà essere riconsacrata assieme alla Basilica di San Pietro già profanata dall’idolo immondo della Pachamama» scrive l’arcivescovo lombardo su Twitter.

 

«Allo stesso tempo proibisce a veri sacerdoti la celebrazione del Santo Sacrificio secondo il rito apostolico, e a chi gliene chiede il motivo si limita a rimandare alla lettura di Traditionis custodes» continua monsignor Viganò, citando il caso, riportato da Renovatio 21, del giornalista di LifeSite che l’altro giorno in un incontro con la stampa ha osato chiedere a Bergoglio il perché delle restrizioni alla Santa Messa in rito antico.

 

«Siamo dinanzi al sovvertimento del Papato, e nessun Cardinale ha nulla da obiettare» conclude amaramente monsignore.

 

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L’arcivescovo anglicano di Canterbury Justin Welby celebrerà la sua messa a San Bartolomeo il 25 gennaio.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’intesa tra il controverso Welby e Bergoglio si è cementata anche durante un recente viaggio congiunto in Africa. Nella conferenza aerea di ritorno i due, assieme, hanno espresso condanna nei confronti dei Paesi africani che hanno leggi anti-sodomia, politica portata avanti con ferrea volontà dallo Welby e concretizzatasi drammaticamente sul versante bergogliano con l’emanazione della dichiarazione Fiducia Supplicans, contro la quale il clero africano si è rivoltato con estrema veemenza.

 

Polemiche sui riti anglicani nelle basiliche romane si erano registrati anche in precedenza.

 

Ad aprile 2023 era giunta notizia di una «messa» anglicana sarebbe stata celebrata a San Giovanni Laterano, una basilica papale, sotto la conduzione di un vescovo anglicano iniziato alla framassoneria e sposato due volte.

 

Il celebrante, Johnathan Baker di Fulham, aveva ottenuto il ruolo di «venerabile maestro» alla loggia Apollo, una congrega massonica dell’Università di Oxford. Successivamente, Baker ricoperto la posizione di Vice Gran Cappellano nella Gran Loggia Unita d’Inghilterra, la più grande loggia dei Paesi del Commonwealth che fa risalire le sue origini alla prima loggia della Storia, quella fondata in una taverna di Londra nel 1717.

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Lo scandalo interconfessionale di San Giovanni Laterano, finito in tanti siti cattolici del mondo, aveva cagionato scuse da parte di monsignor Guerino di Tora, vescovo ausiliare di Roma per l’area settentrionale e vicario del capitolo di San Giovanni in Laterano: «il Capitolo Lateranense, nella persona di Sua Eccellenza monsignor Guerino di Tora, vicario capitolare, esprime profondo rammarico per quanto avvenuto martedì scorso, 18 aprile, all’interno della basilica di San Giovanni a Roma» scriveva in apertura la nota diffusa il 20 aprile da monsignor Di Tora.

Era stato notato che in quei giorni i fedeli di Fulham avevano dovuto accolto nella loro «messa crismale» un nuovo vescovo anglicano, una donna – una «vescova» di nome Sarah Mullally, la «vescova di Londra» nominata direttamente da Re Carlo, che, come lo era sua madre e tutti i regnanti che lo hanno preceduto sin dai tempi di Enrico VIII e dello scisma, è il vero capo della Chiesa d’Inghilterra.

 

Rimane la questione della profanazione sistematica dei luoghi più sacri di Roma.

 

Tuttavia, dopo la pachamama, e la messa in rito maya, cosa c’era da aspettarsi?

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«Umiliazione della Chiesa dinanzi a un eretico concubinario globalista»: Mons. Viganò sulla preghiera congiunta del re britannico col papa

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Monsignor Viganò ha scritto su X un commento sulla cerimonia avvenuta in Cappella Sistina, dove papa Leone ha pregato – in lingua inglese – con il re britannico Carlo III.   «Migliaia di Martiri massacrati dalla furia anticattolica di Enrico VIII, Edoardo VI, Elisabetta I, Giacomo I, Carlo I e Carlo II si staranno chiedendo – increduli – come sia possibile che l’odierno successore di Clemente VII comunichi in sacris con il capo della chiesa d’Inghilterra (anch’egli divorziato e risposato come il sanguinario Tudor) e dei laici eretici vestiti da Prelati» scrive monsignore.   «E Carlo III, oltre ad essere eretico come Enrico VIII», dice Viganò, è pure «neomalthusiano e apertamente schierato con l’élite del Nuovo Ordine Mondiale».  

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«Se quella di Clemente VII era la Chiesa Cattolica, che chiesa è quella di Leone, che con parole e azioni sconfessa e tradisce tutto il Magistero dei Papi fino a Pio XII e calpesta la testimonianza eroica dei Cattolici inglesi durante la persecuzione anglicana?» si chiede il prelato lombardo.   «La preghiera ecumenico-ambientalista nella Cappella Sistina sancisce l’abdicazione del papato Romano e l’umiliazione della Chiesa Cattolica dinanzi a un eretico concubinario (….) globalista, che mantiene il titolo di Defensor Fidei mentre si prostra all’Islam e celebra le feste maomettane».   «Queste aberrazioni ci fanno pensare che gli ultimi tempi siano ormai prossimi e che l’apostasia nella Chiesa annunciata dalla Vergine Maria Fatima sia ormai già iniziata».  

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Come possibile osservare nel video diffuso dal portale mediatico della Santa Sede, in Cappella Sistina per il pontefice e il sovrano di Albione sono stati apparecchiati «troni» identici e simmetrici, a chiara negazione del primato del papa e di Santa Romana Chiesa.   Notevole anche, al minuto 25:25, una sorta di cenno che assomiglia ad un inchino che Prevost rivolte al re britannico e alla consorte.   Delle misfatte di Carlo, da principe e da re, con la sua dinastia di signori della Necrocultura, nei giorni scorsi Renovatio 21 ha pubblicato diverso materiale.   Lo schiaffo alla tradizione cattolica, e alla sua gloriosa storia di martiri massacrati dagli orrendi predecessori del Carlo – in primis, il santo filosofo Tommaso Moro (1478-1535), torturato e giustiziato a Tower Hill dinanzi alle sue figlie –  è evidente e dolorosissimo, rivoltante.   La riprova l’avremo tra qualche giorno, quando, come ogni 5 novembre, in Inghilterra bruceranno, come da tradizioni, le effigi di Guido Fawkes (1570-1606), chiaro richiamo all’estirpazione dei cattolici.   Fawkes, attivista cattolico al centro della cosiddetta «congiura delle polveri» («gunpowder plot»), che tentò di far esplodere Westminster piazzando sotto le fondamenta del Parlamento 36 barili di polvere da sparo (definito, secondo una nota battuta della politica britannica, «l’ultimo uomo entrato lì con buone intenzioni») nella notte tra il 4 e il 5 novembre 1605 per eliminare re Giacomo I e gran parte della corrotta aristocrazia di Albione e quindi restaurare in Anglia un governo cattolico.   Tradito, Fawkes fu catturato, torturato e squartato, con le sue parti inviate ai quattro angoli del regno, nonostante avesse accettato le condizioni del re.   Non fu il solo a subire la crudeltà anticattolica della Corona di Albione: il gesuita Henry Garnet (1555-1606) impiccato nella piazza davanti alla Cattedrale di Saint Paul nella capitale, non aveva partecipato alla congiura delle polveri, ma era il confessore di alcuni cospiratori, e rispettò il sigillo del sacramento non rivelando il nome dei congiurati. La sua pelle fu usata per rilegare il libro con il verbale del suo progresso, una sorta di usanza britannica tipica dell’epoca infame.   Per il fenomeno esiste un termine specifico, «bibliopegia antropodermica», che sta a significare la rilegatura di libri con pelle umana.

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Seguirono decenni, secoli, di persecuzione furiosa, dove di fatto la corona britannica portò avanti un genocidio confessionale.   La chiesa postconciliare, con Wojtyla, ha iniziato a chiedere «scusa» per quantità di fenomeni nei quali era estranea, o era nel giusto.   Ora, ci chiediamo: la corona di Albione ha mai chiesto scusa per qualcosa? Non diciamo solo ai cattolici: agli irlandesi e agli indiani, per le infami carestie, ai cinesi, per l’orrore dell‘oppio e delle guerre per spacciarlo, agli italiani, per aver creato, con guerre sanguinarie, la catastrofe dell’Italia unita finanziando i Savoia, Garibaldi e Mazzini?   Il tradimento di Enrico VIII ha portato a ramificazioni geostoriche immani e sanguinarie. Quando un re britannico se ne renderà conto e chiederà perdono?   Quanto, prima di riavere sul trono di Bretagna un re legittimo e cattolico?   Fino a che vi saranno papi del genere, i tempi della restaurazione necessaria della Verità a Londra rimangono incalcolabili.

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Quarant’anni fa, l’arcivescovo Lefebvre diceva la verità

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Nel 1985, l’arcivescovo Lefebvre pubblicò la sua Lettera aperta ai cattolici perplessi.

 

Quarant’anni dopo, nel 2025, il sito web americano The Remnant ha pubblicato, sotto la penna di Robert Morrison, un articolo intitolato «La sacra saggezza dell’arcivescovo Marcel Lefebvre sulla crisi della Chiesa cattolica», in cui citava ampi estratti di questa lettera aperta, riconoscendo che «le citazioni dell’arcivescovo Lefebvre suonano più vere oggi di quando le scrisse decenni fa, e illuminano il cammino da seguire per rimanere fedeli cattolici».

 

Due anni dopo, nel 1987, l’arcivescovo Lefebvre aveva pubblicato Lo hanno detronizzato: dal liberalismo all’apostasia, la tragedia conciliare. Nel 2025, sullo stesso sito, The Remnant , apparve un articolo di Andrew Pollard intitolato «Cristo Re deve essere re-incoronato per salvare il mondo».

 

Quarant’anni fa, agli occhi dei «moderati» impenitenti, l’arcivescovo Lefebvre poteva sembrare uno di quei «profeti di sventura» che Giovanni XXIII non voleva più sentire quando aprì il Concilio Vaticano II, con un ottimismo la cui ingenuità oggi fa sorridere… o piangere.

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Vediamo lo stato attuale della Chiesa: pratica religiosa al suo punto più basso, seminari deserti, conventi vuoti, chiese distrutte o trasformate in sale espositive. Oggi non siamo più «perplessi», ma convinti che la diagnosi di Monsignor Lefebvre fosse corretta.

 

I fatti gli danno ragione in modo inconfutabile e i rimedi da lui proposti sono più che mai attuali, proprio perché non sono suoi, ma quelli della Tradizione bimillenaria: «Ho trasmesso ciò che ho ricevuto».

 

Quarant’anni è il tempo impiegato dagli Ebrei ad attraversare il deserto verso la Terra Promessa. Non osiamo affermare che presto raggiungeremo la terra «dove scorre latte e miele», ma adottiamo l’atteggiamento coraggioso dei veri pellegrini.

 

Nel deserto spirituale in cui viviamo, non costruiamoci idoli a nostra immagine e somiglianza e non rimpiangiamo le “cipolle d’Egitto”: questa sazietà di beni materiali offerta dal progresso tecnico, in cambio della servitù all’ideologia consumistica promossa dai nuovi faraoni.

 

Andiamo avanti! Non seguendo idoli moderni, ma dietro l’icona della Santissima Vergine. Andiamo avanti! Non sazi delle cipolle appassite di un edonismo ampiamente biodegradato, ma ben fortificati dalla manna della Santa Eucaristia. Andiamo avanti! Con l’inossidabile certezza che alla fine di questa lunga marcia si trova il trionfo dei Cuori uniti di Gesù e Maria.

 

Smettiamo di lamentarci dell’aridità del deserto spirituale che ci circonda, con i suoi tanti accessori a buon mercato. Con la grazia di Dio, scaviamo dentro di noi un’avidità spirituale : la fame e la sete dell’Unico necessario.

 

Abate Alain Lorans

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Immagine di Fotocollectie Elsevier Nationaal Archief via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0); immagine modificata

 

 

 

 

 

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Papa Leone incontra le vittime di abuso poco dopo aver lodato don Milani

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Papa Leone XIV ha incontrato gli attivisti di ECA (Ending Clergy Abuse), rete costituita da vittime di abusi del clero particolarmente attiva negli Stati Uniti. I giornali mainstream riportano la notizia sottolineando come si tratterebbe di una «prima volta».   Si tratta del primo tra Papa Leone XIV e un gruppo di vittime, nonché il primo con un’associazione dedicata alla lotta contro gli abusi. I suoi predecessori, da Benedetto XVI a Francesco I, avevano incontrato gruppi di vittime, ma mai organizzazioni strutturate come ECA, che ha seguito molti viaggi di papa Francesco con proteste, specialmente nei Paesi più colpiti dagli abusi, senza però essere mai ricevuta. Oggi, invece, l’associazione ha varcato le porte del Vaticano.   Pochi giorni fa, la Pontificia Commissione per la tutela dei minori aveva pubblicato il Rapporto annuale, evidenziando la lentezza di alcune diocesi nel contrastare gli abusi. Tra i casi critici è stato citato l’Italia, con la CEI che ha replicato sottolineando gli sforzi compiuti in formazione e prevenzione.  

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«È stata una conversazione profondamente significativa», ha dichiarato Gemma Hickey, presidente di ECA e sopravvissuta agli abusi in Canada. «Riflette un impegno comune per la giustizia, la guarigione e un cambiamento autentico. I sopravvissuti hanno a lungo cercato un posto al tavolo, e oggi ci siamo sentiti ascoltati». ECA definisce l’incontro «un passo storico e pieno di speranza verso una maggiore cooperazione».   Non è chiaro se tale organizzazione di vittime, premiata con l’udienza papale a favore di telecamere, abbia presente che solo pochi giorni fa il papa ha lodato, per la seconda volta, un sacerdote, diciamo così, controverso, definendolo perfino ripetutamente «profeta».   Il quadretto edificante avviene infatti a poche ore da un riferimento entusiastico fatto nei confronti di Don Milani. L’11 ottobre, parlando ai pellegrini delle diocesi toscane, Prevost ha citato in modo molto benevolo il controverso prete-maestro della Barbiana: «Don Lorenzo Milani, profeta della Chiesa toscana, che Papa Francesco ha definito “testimone e interprete della trasformazione sociale ed economica”, aveva come motto “I care“, cioè “mi importa”, mi interessa, mi sta a cuore».   Non è la prima volta. Il 12 giugno all’incontro con il clero della diocesi di Roma aveva definito di Don Lorenzo Milani come di «un profeta di pace e giustizia».   Scandali vari – il più grosso esploso sui giornali nel 2017, all’altezza dell’uscita del romanzo di Walter Siti Bruciare tutto, che faceva a partire dalla sua dedica un pesante ammiccamento – hanno portato alla luce lettere scritta da Don Milani dal contenuto fortemente inquietante.   In un lettera di Don Milani a Giorgio Pecorini, contenuta nel libro di quest’ultimo Don Milani! Chi era Costui? (Baldini&Castoldi, 1996, pp. 386-391), il presbitero autore del celebre Lettera ad una professoressa scriveva:   «… Come facevo a spiegare che amo i miei parrocchiani più che la Chiesa e il Papa? E che se un rischio corro per l’anima mia non è certo quello di aver poco amato, ma piuttosto di amare troppo (cioè di portarmeli anche a letto!) (…) E chi potrà mai amare i ragazzi fino all’osso senza finire col metterglielo anche in culo se non un maestro che insieme a loro ami anche Dio e tema l’Inferno e desideri il Paradiso?». Il corsivo è nostro.   In un’altra lettera ad un amico vi sarebbe scritto «Vita spirituale? Ma sai in che consiste oggi per me? Nel tenere le mani a posto».

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Nonostante questi fatti, e voci ricorrenti sul personaggio che non circuitavano solo nei circoli tradizionalisti a lui ostili, negli anni scorsi la chiesa toscana sembrava indirizzata a tentare il processo di beatificazione del Milani, processo che, con evidenza, davanti a questi macigni subì una battuta d’arresto.   Ciononostante, il 20 giugno 2017 Bergoglio – che aveva avuto pure i suoi scandali con il caso della «Casita de Dios», ma anche col presbitero cileno Karadima, col prete ciellino don Inzoli etc. – effettuò un «pellegrinaggio» (sic – proprio come per i viaggi presso santuari e luoghi sacri) a Barbiana, per onorare don Milani. Un segnale che per molti è apparso chiaro, e terrificante.   Ora, papa Prevost si rivela, come in tanti altri temi, dalla sin0dalità all’omotransessualismo alla farsa climatica – totalmente in linea con il predecessore, lasciando intendere un papato di continuità totale con la catastrofe conciliare in generale e la catastrofe bergogliana in particolare.

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