Politica
Midterm 2022: sotto il segno della lotta per la vita

Oltreoceano, il clima è piuttosto deluso da parte delle organizzazioni pro-life, dopo i risultati delle elezioni di metà mandato, le famose Midterm che, con le elezioni presidenziali, scandiscono la vita politica americana. Una cosa è certa: il tema dell’aborto – a favore o contro – è stato decisivo nella scelta dei votanti.
Se i repubblicani sono riusciti a riconquistare – di poco – la Camera dei Rappresentanti, «l’onda rossa» – colore del Partito Repubblicano soprannominato Grand Old Party (GOP) – prevista dai sondaggi non si è verificata. Quanto al Senato, spetta in extremis ai Democratici.
Questi ultimi hanno persino preso o mantenuto, contro ogni previsione, il controllo di diverse leve legislative locali, il che lascia loro mano libera per applicare l’agenda permissiva in termini di aborto e ideologia di genere, di cui l’amministrazione Biden ha fatto il suo cavallo di battaglia.
In questo ambito, altri motivi di preoccupazione sono emersi dai risultati dei referendum organizzati, come previsto dal sistema Midterm, all’interno di ogni Stato: in California il 65% dei votanti ha approvato un emendamento alla Costituzione proposto dal Presidente ma non ancora votato, al fine di rafforzare il «diritto» all’aborto. Il Vermont e il Michigan hanno detto lo stesso.
Questa è la famosa proposition one che sancisce il diritto fondamentale di praticare liberamente l’aborto e di usare la contraccezione, in modo che la Corte Suprema locale di uno Stato non possa tornare indietro. Il governatore della California, Gavin Newsom, non ha esitato a spendere 3,4 milioni di euro nella sua campagna a favore della proposition one, che dice tutto…
Un emendamento dai contorni poco chiari, e che, se approvato dal Congresso, potrebbe consentire a una donna, a parere di diversi avvocati, di abortire fino al giorno prima del termine: «Oltre l’80% dei californiani rifiuta l’aborto tardivo: eppure questo è esattamente ciò che la proposta consente», si lamenta Catherine Hadro, portavoce della campagna «No on proposition one».
«Dovremo essere estremamente attenti e vigili in futuro per far emergere la verità, per condividere i fatti davvero reali», ha aggiunto, accusando i suoi oppositori politici di utilizzare notizie false per fuorviare gli elettori.
I sostenitori della lotta per la vita potranno consolarsi: con una Camera dei rappresentanti conquistata dai repubblicani, lo spettro della proposition one rimane lontano.
Altro dato preoccupante, ma stavolta per i democratici: dal 2018 il GOP attira sempre più l’elettorato latinoamericano, e le ultime Midterm hanno confermato questa tendenza. Una preoccupazione in più per l’amministrazione Biden, perché questo elettorato, tradizionalmente cattolico e fedele per consuetudine al partito democratico, rischia di pesare di più nelle urne in futuro.
Un elettorato spesso sensibile al tema dell’aborto: un sondaggio pubblicato dalla CNN mostra che il tema dell’aborto è la principale preoccupazione degli elettori, subito dopo l’inflazione.
Comunque sia, il prossimo grande incontro politico si svolgerà tra due anni, in occasione delle elezioni presidenziali: un voto decisivo per le organizzazioni pro-vita, che sperano che il loro futuro campione non si logori nella lotta per la nomina del GOP.
E lì niente di meno certo: l’ex presidente Donald Trump non ha esitato a infangare pubblicamente l’immagine di colui che appare oggi come potenziale rivale repubblicano per il 2024, il cattolico Ron DeSantis, largamente vittorioso in Florida, stato chiave per le elezioni presidenziali.
«Se si presenta, si potrebbe fare molto, molto male. (…) Conosco cose davvero poco lusinghiere su di lui: so più di chiunque altro su di lui, a parte sua moglie forse», ha asserito il miliardario in modo sibillino, inaugurando una competizione che potrebbe essere agguerrita.
Articolo previamente apparso su FSSPX.news.
Politica
Elezioni in Bolivia, il Paese si sposta a destra

Domenica si è svolto in Bolivia il ballottaggio per le elezioni presidenziali, che ha visto contrapporsi due candidati di destra: il senatore centrista Rodrigo Paz Pereira e l’ex presidente conservatore Jorge Quiroga.
I risultati preliminari indicano che Paz ha ottenuto il 54,6% dei voti, mentre Quiroga si è fermato al 45,4%. Sebbene sia prevista un’analisi manuale delle schede, è improbabile che il risultato definitivo differisca significativamente dal conteggio iniziale, basato sul 97% delle schede scrutinate.
Le elezioni segnano la fine del ventennale dominio del partito di sinistra Movimiento al Socialismo (MAS), che ha subito una pesante sconfitta nelle elezioni di fine agosto. Il presidente uscente Luis Arce – che ha recentemente accusato gli USA di controllare l’America latina sotto la maschera della «guerra alla droga» – non si è ricandidato, e il candidato del MAS, il ministro degli Interni Eduardo del Castillo, ha raccolto solo il 3,16% dei voti, superando di poco la soglia necessaria per mantenere lo status legale del partito.
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Nel primo turno, la destra ha dominato: Paz ha ottenuto il 32,1% dei voti e Quiroga il 26,8%. Il magnate di centro-destra Samuel Doria Medina, a lungo favorito nei sondaggi, si è classificato terzo con il 19,9% e ha subito appoggiato Paz per il ballottaggio.
Entrambi i candidati hanno basato la loro campagna sullo smantellamento dell’eredità del MAS, differendo però nei metodi. Paz ha promesso riforme graduali, mentre Quiroga ha sostenuto cambiamenti rapidi, proponendo severe misure di austerità per affrontare la crisi.
Il MAS non si è mai ripreso dai disordini del 2019, quando l’ex presidente Evo Morales fu deposto da un colpo di Stato subito dopo aver ottenuto un controverso quarto mandato. In precedenza, Morales aveva perso di misura un referendum per modificare la norma costituzionale che limita a due i mandati presidenziali e vicepresidenziali. Più di recente, Morales ha accusato tentativi di assassinarlo ed è entrato in sciopero della fame, mentre i suoi sostenitori hanno dato vita ad una ribellione. Il Morales, recentemente accusato anche di stupro (accuse che lui definisce «politiche»), in una lunga intervista aveva detto che dietro il suo rovesciamento nel 2019 vi erano «la politica dell’impero, la cultura della morte» degli angloamericani.
Il colpo di Stato portò al potere la politica di destra Jeanine Áñez, seconda vicepresidente del Senato. Tuttavia, il MAS riconquistò terreno nelle elezioni anticipate dell’ottobre 2020, mentre Áñez fu incarcerata per i crimini commessi durante la repressione delle proteste seguite al golpe.
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Il passaggio storico è stato definito da alcuni come la prima «guerra del litio», essendo il Paese ricco, come gli altri Stati limitrofi, della sostanza che rende possibile la tecnologia di computer, telefonini ed auto elettriche.
Come riportato da Renovatio 21, un tentato colpo di Stato vi fu anche l’anno scorso quando la polizia militare e veicoli blindati hanno circondato il palazzo del governo nella capitale La Paz.
Sotto il presidente Arce la Bolivia si era avvicinata ai BRICS e aveva iniziato a commerciare in yuan allontanandosi dal dollaro.
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Politica
Sarkozy sarà messo in cella di isolamento

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Politica
Netanyahu intende candidarsi per un altro mandato

Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano con il mandato più lungo, ha annunciato che si candiderà nuovamente alle elezioni parlamentari di novembre 2026. Durante il suo recente incarico, ha affrontato critiche e apprezzamenti per la controversa riforma giudiziaria, la gestione della crisi degli ostaggi di Hamas e la guerra a Gaza.
In un’intervista rilasciata sabato a Channel 14, Netanyahu ha confermato la sua intenzione di correre per un nuovo mandato, dichiarandosi fiducioso nella vittoria. Leader del partito di destra Likud, ha guidato il governo dal 1996 al 1999 e dal 2009 al 2021, tornando al potere nel dicembre 2022 dopo il collasso della coalizione di governo.
Netanyahu ha rivendicato di essere «l’unico in grado di garantire la sicurezza di Israele», sottolineando i suoi legami con il presidente USA Donald Trump. Ha adottato una linea dura contro Hamas e ha condotto una guerra aerea di 12 giorni contro l’Iran a giugno.
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Attualmente sotto processo per tre accuse di corruzione, dalle quali si difende negando ogni addebito, Netanyahu ha anche promosso una riforma per limitare i poteri della Corte Suprema, suscitando proteste di massa.
Come noto, le proteste contro Netanyahu, che si sospettava fossero organizzate con spinte dei servizi e pure dell’amministrazione Biden erano arrivate persino a circondare casa sua, sono immediatamente cessate dopo il 7 ottobre. Tuttavia, altre proteste si sono susseguite a partire dai famigliari degli ostaggi, la gestione dei quali da parte del governo USA è stata duramente criticata.
Come riportato da Renovatio 21, ad un evento di piazza per il rilascio degli ostaggi la folla ha fischiato il nome di Netanyahu inneggiando poi a Donald Trump.
Un recente sondaggio di Channel 12 indica che, se le elezioni si tenessero oggi, il Likud conquisterebbe 72 seggi, confermandosi il partito più forte nella Knesset. La sua popolarità è cresciuta dopo il cessate il fuoco con Hamas, mediato a livello internazionale, e il rilascio degli ostaggi.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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