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«Megamorte». L’aborto uccide più della bomba atomica

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Chi ha vissuto ai tempi della Guerra Fredda può averlo dimenticato. Le nuove generazioni certo non lo sanno.

 

C’è stato un tempo in cui l’umanità viveva sotto l’incubo costante dell’annientamento planetario. Immediato, istantaneo.

 

Un attacco da parte di una delle due superpotenze avrebbe avuto come conseguenza diretta la reazione della triade nucleare (missili intercontinentali, bombardieri volanti, razzi lanciati da sottomarino) avversaria, incendiando l’intero mondo con il fuoco atomico.

 

L’umanità emersa dalle rovine radioattive di Nagasaki era conscia di trovarsi  sul bordo di questo baratro: lo aveva essa stessa creato, ma di esso non vedeva il fondo.

 

Lo scienziato John Von Neumann la chiamò M.A.D., mutual assured distruction: distruzione mutuale assicurata. Eppure, nonostante il marchio della catastrofe definitiva fosse ben visibile sulla guerra ventura,  la dottrina militare atomica aveva una sua strategia.

 

Gli americani affidarono larga parte della sua elaborazione ad un think tank finanziato dal Pentagono e da privati, la RAND Corporation. Capofila degli strateghi atomici era Herman Kahn. Esperto di teoria dei giochi, Kahn relativizzò la portata dell’opzione atomica, e cominciò ad affermare – scandalizzando i più – che una guerra nucleare non solo è possibile, ma che essa può anche essere vinta.

 

Kahn osava pensare l’impensabile, come suggerisce il titolo di un suo libro del 1962, Thinking the Unthinkable:

 

«Nel nostro tempo, la guerra termonucleare può sembrare impensabile, immorale, insana, orrenda, molto improbabile, ma essa non è impossibile (…). Nonostante i nostri sforzi un giorno potremmo trovarci faccia a faccia con la scelta netta di arrenderci o andare in guerra» (1).

 

Realista, smaliziato, nel 1960 Kahn raccolse i suoi pensieri in un libro che sortì uno shock su entrambi i lati della cortina di ferro: On Thermonuclear War, cioè «Sulla guerra termonucleare», con richiamo evidente al Von Clausevitz di Sulla guerra. Il testo produsse un impatto notevole anche su Stanley Kubrick, che pensò al suo capolavoro Il Dottor Stranamore leggendo Kahn, e ispirando a lui vari personaggi della pellicola.

 

Lo stratega americano dipinse un quadro completo: prevedeva che, nel dopobomba, gli anziani avrebbero dovuto mangiare il cibo contaminato, riservando alle nuove generazioni la precedenza sugli alimenti non radioattivi; il fallout nucleare sarebbe divenuto solo uno dei tanti contrattempi della vita; le deformazioni fetali prodotte dalle radiazioni vi sarebbero state, sì, ma un certo numero di bambini sarebbe comunque nato sano. Tutti questi sono «tragic but distinguishable postwar states» (2), stati postbellici tragici ma percepibili, descrivibili. Life goes on, la vita continua, sembra dire lo Stranamore della RAND.

 

Ma vi è, in particolare, uno specifico termine per il quale bisogna essere grati a Kahn. Ancora nei primi anni Cinquanta, quando cominciò a definirsi il paesaggio  dell’apocalisse dell’atomo (l’URSS rese pubblico il suo primo esperimento nel 1949), lo stratega notò che «era difficile per le persone di distinguere  tra 2 milioni di morti e 100 milioni di morti. Oggi, dopo una decade di valutazione di questi problemi, possiamo fare queste distinzioni forse anche troppo chiaramente». (3)

 

Per dare un metro che orientasse questo scenario di morte, Kahn si inventò una nuova unità di misura, il megadeath, o megacorpse: la «megamorte», il «megacadavere».

 

Un megadeath corrisponde a un milione di morti. Little Boy, la bomba atomica da 16 kilotoni sganciata su Hiroshima il 6 agosto 1945, produsse sul momento 66 mila morti, pari a 0,06 megadeath.

 

Fat Man, l’ordigno da 21 kilotoni che tre giorni dopo distrusse la città cattolica di Nagasaki, può essere misurato in 0,135 megadeath. Nella prospettiva di un conflitto con la tecnologia atomica successiva, queste cifre (gli zero virgola) vanno del tutto dimenticate.

 

La potenza delle bombe successive si misura difatti in megatoni: sono, cioè, centinaia di volte più distruttive di quelle giapponesi. Un megatone equivale a mille kilotoni, e un kilotone  equivale a mille tonnellate di TNT. Tanto per dare un’idea di quello di cui stiamo parlando, la «Bomba Zar» – l’arma atomica sovietica rivelatasi la più devastante mai testata dall’uomo – sortì nel 1961 una esplosione da 58 megatoni. Sarebbe a dire, dalle 20 alle 30 mila volte quella di Hiroshima e Nagasaki. Possiamo immaginare che, lanciata su zone altamente popolate – come le regioni italiane (4) – la quantità di megadeath procurati possa avvicinarsi alla doppia cifra.

 

Ebbene, è ora di realizzare che una strage misurabile in diversi megadeath è avvenuta pure senza che venisse sganciata una sola bomba. Sappiamo che dall’attuazione della legge 194, ben 6 milioni di italiani sono stati annientati. Nei termini della dottrina militare termonucleare, questo è un danno da 6 megadeath. In modo molto pratico, si può pensare che è come se avessero sganciato sul nostro Paese almeno una cinquantina di vecchie bombe atomiche da venti kilotoni.

 

Non è difficile immaginarlo: 6 milioni di persone uccise, sono perfettamente pensabili come un attacco atomico che cancella tutto il Triveneto, o la Sicilia e la Calabria assieme, o l’Emilia-Romagna con l’Umbria e le Marche, o tutto il Lazio e zone limitrofe, o due terzi della Lombardia.

 

Per quanto possa sembrare allucinante, dobbiamo guardare in faccia la realtà: l’Italia è una rovina post-atomica. E neppure lo sa.

 

Chi è credente sa che siamo davanti ad uno delle più riuscite opere del demonio nei nostri secoli: il massacro degli umani senza distruzione ambientale. Come una bomba al neutrone – l’arma di nuova generazione che uccide la vita biologica ma mantiene intatti i palazzi – piantata nel ventre della Nazione. Strage senza conflitto, morte infertile, delitto che rende la madre – sommo capolavoro infernale – una volenterosa carnefice dei suoi stessi figli.

 

Questo è, in termini politici, autogenocidio a spese del contribuente: lo Stato incoraggia e finanzia la costruzione di bombe nucleari che poi fa detonare nel suo stesso grembo. La Repubblica Italiana ha pagato perché venissero inferte al suo popolo almeno 50 Nagasaki.

 

Davanti alla follia di questa realtà, comprendiamo quanto abbia ragione Kahn: la guerra atomica è sopravvivibile. E perfino, osiamo dire, preferibile: la guerra atomica è un evento nel quale l’uomo può percepire nettamente il bene e il male. La società dell’aborto, invece, no: nella notte relativista, a Moloch possono essere sacrificate milioni di vite, senza che in capo al consorzio umano sia chiaro che ciò che si ha innanzi è il Male vero.

 

Ne consegue, che, considerati gli obbiettivi di riduzione della popolazione terrestre che informano le centrali di potere planetarie, l’aborto diviene un surrogato della bomba all’idrogeno: gli effetti, misurabili in megamorti, sono gli stessi.

 

L’aborto è la continuazione della guerra atomica con altri mezzi. Ciò è vero da un punto di vista numerico e statistico, militare ed umano.

 

«Sento che oggigiorno il più grande distruttore di pace è l’aborto, perché è una guerra diretta, una diretta uccisione, un diretto omicidio per mano della madre stessa» (5): le parole di Madre Teresa, pronunziate in occasione del Premio Nobel per la Pace 1979, sono vere alla lettera. L’aborto mina alla pace perché l’aborto è guerra: è quindi, nell’era tecnica odierna la guerra dell’aborto diviene proporzionale alla guerra atomica.

 

D’un tratto, comprendiamo meglio anche la dottrina militare e socio-riproduttiva cinese.

 

Diceva Mao che «la bomba atomica è una tigre di carta di cui i reazionari americani si servono per far paura alla gente. Ha un aspetto terribile, ma di fatto non è terribile. Certamente, la bomba atomica è un’arma che può provocare massacri immensi, ma soltanto il popolo decide l’esito di una guerra, e non una o due armi nuove».(6)

 

In sostanza, Mao con scaltra concretezza orientale, era già arrivato al realismo apocalittico di Kahn e dei megadeath intellectuals: la guerra atomica può essere sopravvissuta. Potete infierire alla Cina Popolare anche 100, 200, 300 milioni di morti… Avremmo sempre altre centinaia di milioni di sopravvissuti pronti a combattere, a lanciarsi in una nuova Lunga Marcia tra rottami radioattivi.

 

Come non vedere che questa stessa mentalità post-apocalittica è quella che ha spinto il successore di Mao, Deng Xiaoping, verso la politica di controllo delle nascite e la conseguente strage assoluta: 336 milioni di aborti dal 1971, secondo dati diffusi lo scorso marzo dal governo di Pechino. 336 megadeath: la tigre di carta ha colpito davvero. Testate atomiche da diversi megatoni sono state gettate su tutte le iperpopolate aree metropolitane della Cina. Pechino, Shanghai, Guangzhou, Shenzhen, Wenzhou, Tianjin, Chengdu, Chongqing, Xian, Harbin, Hong Kong, Nanchino: la cifra di 336 megadeath copre multipli della somma delle vittime di uno strike nucleare simultaneo su tutte queste megalopoli. La Cina, come l’Italia, ha fatto deflagrare infinite Nagasaki sui propri figli.

 

Non è diverso il discorso da fare per gli Stati Uniti, che dal 1973 (l’anno della Roe v. Wade, ossia l’inizio dell’aborto legale in USA) al 2007 hanno ospitato 48.460.950 aborti chirurgici. Questo, fornito dal Guttmacher Institute – il braccio di «ricerca e sviluppo» della multinazionale dell’aborto Planned Parenthood – è un numero molto blando: vuoi perché tenuto basso per questioni di PR (agli abortisti ora conviene dire che i feticidi sono pochi), vuoi perché gli aborti chimici, i feti scartati in IVF, le pillole del giorno dopo, i concepiti uccisi dai contraccettivi abortivi (come la pillola di tipo 2) non sono qui conteggiati.

 

L’attivista cattolico americano Michael Voris suggerisce di aggiungervi il ghost number della generazione perduta: le 6.392.900 femmine abortite tra il 1973 e il 1982 avrebbero oggi 25-40 anni, e quindi con alta probabilità almeno un figlio di media (chi due, chi cinque, chi zero). Otteniamo così la cifra di 54.853.850 persone spazzate via dall’anagrafe, sottratte alla società statunitense.

 

Un danno di quasi 55 megadeath: come se il temuto showdown nucleare con la Russia, fosse avvenuto – e senza che i sovietici sparassero un solo colpo. Basandosi sulle attuali statistiche demografiche americane, è possibile calcolare che tra questi 55 milioni vi potrebbero essere stati 7 giudici della Corte Suprema, 31 premi Nobel, 6000 atleti professionisti, 11.010 suore, 1.102.403 insegnanti, 553.821 camionisti, 224.518 camerieri, 336.939 spazzini, 134.028 contadini, 109.984 poliziotti, 39.447 pompieri, 17.221 barbieri.

 

Soprattutto, e questo deve essere meditato profondamente dalle femministe, in questo immane turbine di morte sono state disintegrate 27.426.925 donne. Le quali sono, senza dubbio alcuno, il bene più prezioso che esista sulla Terra: ogni cellula uovo che la donna ovulerà in tutta la sua vita, è già formata dal feto a poche settimane dal concepimento. La prima cellula del nostro corpo – l’ovocita – già esisteva dentro nostra madre quando era un feto, venti, trenta, quaranta anni prima che venissimo alla luce. Un’autentica, insondabile meraviglia: la vita contenuta dentro la vita.

 

L’aborto interrompe questa catena superiore. Come diceva un detto ebraico: chi uccide un uomo uccide l’umanità; ammazzi qualcuno e rovini per sempre le generazioni che seguiranno. Peggio di un fallout radioattivo, l’aborto reca un danno aberrante, che si accumula distruggendo il futuro – i figli, i figli dei nostri figli – su una scala che non possiamo immaginare. Chi non crede a queste romanticherie scientifiche e umanistiche, pensi ai soldi: i 55 megadeath causati dall’aborto in USA rappresentano 55 milioni di lavoratori e consumatori americani che non pagano le tasse e non partecipano al mercato nazionale. Dal PIL, è  possibile calcolare che l’aborto abbia causato all’economia americana un danno di $37.600.000.000.000.

 

Rileggiamo: 37 trilioni e 600 miliardi di dollari. Una quantità di danaro astronomica, con la quale, per darci un’idea, sarebbe possibile comprare 169.802.662 case (ecco perché nessuno oggi in America riesce a vendere la casa, hanno sterminato i clienti), 1.321.428.571 automobili nuove (bello notare come le case automobilistiche – in Italia la FIAT – siano tra i finanziatori delle Lobby della Morte).

 

Il budget federale USA  di 2 trilioni e 600 miliardi di dollari è contenuto 14 volte nella ricchezza che avrebbero prodotto i morti per aborto. Il danno finanziario della Roe v. Wade è peggiore di quello di una ordigno atomico innescato sotto Wall Street.

 

Se questo ancora non bastasse, per realizzare le dimensioni della sciagura si prenda una mappa degli Stati Uniti, e si immagini che  sottraendo 55 milioni di persone (come se si abbattesse una pioggia di testate atomiche da 55 megadeath), sparirebbero l’Alaska, il South Dakota, il South Carolina, il Nevada, il Vermont, il Mississippi, l’Idaho, il West Virginia, il New Mexico, il Maine, il Kansas, il Minnesota, il Kentucky, lo Utah, l’Arkansas, il Montana, il Nebraska, il North Dakota, l’Oklahoma, Il Wyoming, il New Hampshire, l’Iowa, l’Indiana.

 

Come evidente, questo è un incubo da guerra fredda, uno scenario di distruzione termonucleare.

 

Il problema è che dell’abisso di cui stiamo parlando non vi è stata ancora nessuna rappresentazione adeguata alla sua immensità apocalittica. Né la polemologia (la disciplina che nel Novecento si è dedicata allo studio della guerra), né la psicologia, né la filosofia paiono comprendere questo Inferno per intero.

 

Due secoli fa,  Hegel, sconvolto dalle guerre illuministe e dall’uso delle armi da fuoco, ebbe a scrivere che «questa guerra non è di famiglie contro famiglie, ma di popoli contro popoli (…) la morte va a finire nell’universale, così come proviene dall’universale ed è senza collera che si crea come pure si sopprime. L’arma da fuoco è la scoperta dell’arma universale, indifferente, impersonale» (6).

 

Il filosofo idealista non si immaginava quale «arma, universale, indifferente, impersonale» sarebbe entrata in opera con la bomba H. Di più, non poteva intuire che la violenza e la perversione della tecnologia sarebbero sorte non tra «famiglie contro famiglie» o tra «popoli contro popoli», ma nei popoli stessi, all’interno della famiglia in sé: più annientante, universale ed impersonale dell’atomica c’è solo l’aborto, che distrugge numericamente il popolo dal di dentro, sconquassando per sempre la sua unità-base, la famiglia, invertendone oscenamente il ruolo di matrice di vita. E il tutto in apparente tempo di pace.

 

Ma Hegel è un caso di incomprensione a sé, poiché il filosofo idealista mai è sfiorato dalla sensazione che, diffondendo egli stesso un pensiero di negazione del Primato dell’Essere, egli preparasse la mente dell’uomo a guerre ancora più cruente di quelle napoleonidi, finanche alla guerra biologica dell’aborto, Aufhebung suprema di un mondo che ha negato Dio.

 

Lo psicanalista Franco Fornari nei suoi studi sulla minaccia atomica risalenti agli anni Sessanta notava che «la guerra è sempre stata una strana agenzia di import-export di distruzione: il fatto nuovo che si verifica con l’avvento dell’era atomica è la prospettiva pantoclastica, per cui l’ingorgo delle aggressività nello Stato non può più essere drenato attraverso l’esportazione, e rischia quindi di determinare una specie di crescenza tumorale che assorbe in modo sempre più vistoso le energie di ciascuna nazione – specie di quelle atomizzate». (8)

 

Lo studioso suggerisce che le Nazioni, private della valvola di sfogo della guerra dal tabù dello scontro atomico, finiscano per dover somatizzare con dolore nel loro stesso corpo sociale questa quantità di violenza inespressa.

 

La realtà è che la «prospettiva pantoclastica» di cui parla Fornari è stata già rovesciata in una prospettiva «autoclastica»: l’aborto di Stato è infatti lo scenario in cui la distruzione è inflitta dall’umanità a se stessa, in totale consonanza numerica e morale con l’aggressività sterminatoria di un eventuale conflitto atomico.

 

Fornari fallisce nel riconoscere come la mortido, il todestrieb, l’impulso di morte pensato dal suo maestro Freud, finisca per torcersi contro l’altra enantiodromica radice dell’essere umano, la libido. La libido, il cui fine per il riduzionismo scientifico della psicanalisi è la continuazione della specie, è nell’aborto aggredita e negata dalla annichilente volontà di morte del suo impulso speculare.

 

Nella disarmonica devastazione dei costrutti psichici primari dell’uomo – un impulso contro l’altro, la Morte contro la Vita – possiamo vedere come degno di essere chiamato «prospettiva pantoclastica», lo scenario di rovina totale di cui scrive Fornari, sia in realtà – più che il conflitto atomico – proprio l’aborto. L’uomo dell’era dell’aborto è scisso, schizofrenico. È al contempo assassino e suicida, è nel medesimo istante genitore e carnefice.

 

Un altro psicanalista, l’inglese Edward Glover, intuì che sul piatto del gioco atomico non vi era solo la salvezza fisica dell’uomo, ma la sua stessa sostanza psichica.

 

A  pochi mesi dalle detonazioni di Hiroshima e Nagasaki, Glover scrisse che la bomba atomica « è più un’arma di sterminio più che un’arma bellica [e per questo] ben adatta alle più sanguinarie fantasie di cui l’uomo è segretamente preoccupato durante la fase di frustrazione acuta (…) La capacità così dolorosamente acquisita dagli uomini normali di distinguere tra sonno, illusione, allucinazione è la realtà oggettiva della vita da svegli è stata, per la prima volta nella storia umana, seriamente indebolita». (9)

 

Anche qui, viene da pensare che l’arma di distruzione di massa dell’aborto supera la bomba H, pervertendo la mente dell’uomo in modo ulteriore, distruggendo per sempre il limite tra il bene e il male, cancellando l’amore per i suoi figli, invertendone la natura, indebolendo la realtà oggettiva della vita da svegli che – con la legge naturale – gli dice: non uccidere, ama la tua prole, sii responsabile di quello che fai.

 

Glover sostiene che il pericolo della bomba atomica sia quello di vellicare le fantasie sanguinarie profonde dell’uomo, con grande rischio che un frequentatore di quelle «fasi di frustrazione acuta» possa essere anche una di quelle persone in possesso, per esempio, dei codici di lancio dei missili termonucleari; ebbene, lo stesso può dirsi dell’aborto, con l’aggiunta che i codici di lancio per gli ordigni di morte sono forniti dallo Stato all’intera classe medica e paramedica mondiale.

 

La bomba demografica dei milioni di aborti è infatti possibile solo grazie ad operosi, entusiasti boia in camice bianco, sulle cui fantasie di morte attualizzate in ambulatorio ancora troppo poco si è scritto.

 

Ma torniamo a Herman Kahn e alla sua dottrina. Pragmatico, Kahn si chiede, in un capitolo di On Thermonuclear War: «i sopravvissuti invidieranno i morti?»[10]. La risposta che si dà – veniva da una famiglia di ebrei praticanti ma divenne col tempo totalmente ateo – è che alla fine no, i vivi non invidieranno i morti. Per l’uomo del dopo-bomba, è Business as usual.

 

I cattolici possono però pensarla in modo diverso. Perché in maniera opposta si è espressa la Santa Vergine apparsa il 13 ottobre 1973 ad Akita, in Giappone, nell’ultima apparizione mariana ufficialmente approvata dalla Chiesa di Roma (in particolare, a seguire il caso a suo tempo fu il Cardinale Ratzinger).  Alla veggente Suor Agnese Sasagawa, la Vergine, Marya-sama, disse: «Hi ga Ten kara kudari».

 

Verrà il fuoco dal cielo. Suor Agnese prosegue nel racconto delle parole della Madonna: «una grande parte dell’umanità verrà distrutta, e né i preti né i fedeli saranno risparmiati. I sopravvissuti invidieranno i morti».

 

La promessa di Nostra Signora di Akita risponde dettagliatamente al pensiero post-atomico di Kahn. Il vero castigo che Dio abbatterà sulla terra, sarà peggiore della devastazione termonucleare del pianeta immaginata da strateghi e generali.

 

Non è difficile vedere come l’aborto, il più terribile dei peccati dei quali la Madonna in Giappone ha chiesto il pentimento immediato dell’Umanità, sia una blasfema anticipazione di questa apocalisse con l’uomo che si erige a giudice della Vita quasi fosse Dio, e allo stesso tempo sia il delitto che più di ogni altro chiama la punizione divina. La pioggia di fuoco che dal Paradiso si abbatterà sui figli di Dio.

 

Prima che questa avvenga, però, facciamo i conti con il nostro mondo umano.

 

Da ulteriori dati emersi dal documento dell’Istituto Guttmacher Abortion Worldwide: A Decade of Uneven Progress, si ottiene che il numero degli aborti commessi negli ultimi 40 anni potrebbe andare al di là di ogni immaginazione: se il 2003 ha visto a livello mondiale 41,6 milioni di interruzioni di gravidanza, è facile presumere che dagli anni Settanta ad oggi il numero totale di aborti ecceda il miliardo.

 

Avete letto bene: un miliardo di morti.

 

In termini di guerra atomica, per un effetto simile ci vuole un ordigno-fine-del-mondo, una bomba in grado di spazzare via un continente intero. Una simile arma, ad oggi, non esiste.

 

Un miliardo di morti non si conta più nemmeno in megadeath; un miliardo di morti  è un gigadeath. Mille milioni di morti: un concetto che lo stesso Kahn nel suo libro non arriva ad usare. Eppure, questa strage è avvenuta, è qui: questa bomba è scoppiata.

 

La Storia dell’Arte ci mostra come dalla peste nera del 1348 scaturì un nuovo tema iconografico, chiamato il «trionfo della morte»: dipinti che mostravano  la morte stessa – rappresentata come uno scheletro dotato di falce – mentre decima indiscriminatamente la popolazione, qui raffigurata nei suoi diversi ceti sottolineando in dettaglio come Re, papi e gente comune siano uguali innanzi ad essa, mentre diavoli e demoni aiutano il mietitore in questo compito tremendo.

 

Ebbene, quello che abbiamo davanti a noi, con la distruzione massiva dell’aborto, non ha ancora trovato modo di essere dipinto, perché di fatto eccede la fantasia più oscura.

 

È il trionfo della mega-morte. Perché, appunto, qui non parliamo più di morte, ma di megadeath, di megamorte,  di milioni – miliardi! – di vittime.

 

E quanto ai diavoli che assistono la mega-morte trionfante, pensiamola così: sappiamo che una bomba atomica da un megatone sganciata su di una città demolisce ogni muro producendo un cratere di 400 metri di diametro e 70 metri di profondità.

 

La bomba abortista, invece, distrugge non metropoli, ma intere nazioni e crea nella terra abissi talmente profondi da arrivare all’Inferno. I demoni, così liberati dal loro arcano rifugio, hanno quindi con l’aborto un canale aperto per giungere diretti in superficie.

 

È bene che si comincino a prendere le misure di questa storia, che è senza dubbio alcuno la più grande tragedia mai occorsa nella Storia, la più terrificante minaccia mai comparsa sul cammino dell’uomo.

 

È bene che tutti noi comprendiamo, una volte per tutte, che ci hanno scagliato contro un diluvio di testate nucleari – qualcosa come otto-diecimila Nagasaki –  e al momento non pare che nessuno voglia davvero prendere provvedimenti.

 

Chi disconosce questa fatale realtà, è una ingenua vittima di questa guerra infinita: è una scoria radioattiva ambulante, è uno zombie apocalittico, un barbaro post-atomico incapace di pensare al di fuori dei propri micro-interessi alimentari.

 

Chi crede che l’aborto non sia una priorità assoluta non solo per la Chiesa, ma per l’Umanità tutta, chi ritiene che anzi esso sia una stupida «ossessione» di cui i cattolici devono cominciare fare a meno, è complice della bomba del Male, è collaboratore di questo sterminio demoniaco, è un Quisling della giga-morte che cancella generazioni e generazioni dei nostri fratelli, dei nostri figli.

 

Chi non capisce che la guerra atomica dell’aborto va fermata ora, è complice di Akuma, come chiamano in Giappone il Principe di questo mondo. Disse Nostra Signora ad Akita: «Akuma ha, Kyōkai no naka made hairikomi».

 

Il demonio entrerà sin dentro la Chiesa. «Cardeinaru ha Cardeinaru ni, Shikyō wa Shikyō ni tairetsu suru deshō». Cardinali serreranno le proprie fila contro altri Cardinali, Vescovi contro Vescovi. Akuma guiderà molti preti e religiosi lontano da Dio. Quei preti che mi riveriscono saranno disprezzati ed attaccati. Chiese ed altari saranno dissacrati. «Kyōkai ha, dakyō suru mono de ippai ni nari». La Chiesa sarà riempita di compromessi. Akuma si concentrerà specialmente sui consacrati.

 

Dunque, è giunta l’ora di chiedere a noi stessi: fino a quando?

 

Fino a quando dovremo tollerare questa guerra nucleare in cui – inermi, inerti, impotenti –  vediamo i nostri fratelli morire a migliaia di milioni?

 

Fino a quando dovremo sopportare la mano dei carnefici che preparano l’apocalisse?

 

Fino a quando incasseremo passivi questa ondata senza fine di morte, senza pensare mai che si va à la guerre comme à la guerre?

 

Sta scritto: «Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: “Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: “Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette”». (11)

 

Abbiamo perdonato, sì. Ma qui siamo andati ben oltre le settanta volte sette. I nostri fratelli assassini, hanno peccato contro gli innocenti – uccidendoli –  almeno un miliardo di volte.

 

La misericordia di Dio è infinita. Quella dell’uomo, logicamente, non può esserlo.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

NOTE

1) Herman Kahn, Thinking About the Unthinkable, Horizon, New York 1962; p.21.

2) Herman Kahn, On Thermonuclear War, Transaction Publishers, Piscataway 2011; p.20.

2) Herman Kahn, On Thermonuclear War, cit.; p.169.

5) Nikita Khrushev, in quell’aprile 1959 in cui l’Italia firmò per ospitare i missili Jupiter americani, fu chiarissimo: promise che «in caso di guerra, l’Italia sarebbe stata uno dei primi obbiettivi di distruzione atomica». Paolo Cacace, L’atomica europea, Fazi, Roma 2004; p.81. In particolare, dai pochissimi file declassificati, si è potuto apprendere del destino di annientamento a cui sarebbero andate congiuntamente incontro l’Alta Italia e a Baviera. In uno studio sulla strategia degli eserciti del Patto di Varsavia in caso di scontro frontale col mondo libero, lo storico ceco-americano Vojtech Mastny ha raccolto materiale per affermare che «sul fianco meridionale, il compito dell’esercito ungherese era quello di far parte di un’operazione in cui Monaco, Verona e Vicenza sarebbero state incenerite da un bombardamento atomico, così come lo sarebbe stata Vienna, capitale della neutrale Austria». Vojtech Mastny, A cardboard castle? An inside history of the Warsaw Pact 1955-1991, Central European University Press, Budapest 2005; p.23. I dettagli dell’operazione, come spiegano con dovizia di particolare gli studiosi Suppan e Mueller, sono contenuti in una grande manovra di esercitazione militare che Mosca e Budapest lanciarono nel maggio 1965: «ad un possibile attacco dell’Occidente con 30 ordigni atomici, il Patto di Varsavia avrebbe risposto con un immediato contrattacco nucleare da 7405 kilotoni su Baviera Austria e Alta Italia (…) armi nucleari occidentali avrebbero colpito Budapest, Debrecen, Miskole, Szekesfehervar e altre città alle ore 07:00. Nello stesso preciso istante Vienna avrebbe dovuto essere distrutta da due bombe atomiche da 500 kilotoni l’una, seguita alle 07:02 da Monaco, Oberammergau, Verona, e Vicenza». Arnold Suppan – Wolfgang Mueller, Peaceful Coexistence or Iron Curtain? Austria, Neutrality, and Eastern Europe in the Cold War and Détente, LIT Verlag Muensterm, Berlino-Muenster-Vienna 2009; p.209).

5) Gregg Watts, Mother Theresa: Faith in the Darkness, Lion Books, Oxford 2009; p.130.

6) Si tratta della famosa zhǐlǎohǔ, l’espressione mandarina (composta letteralmente dagli ideogrammi “carta” “vecchia” “tigre”) divenuta proverbiale anche in Occidente con la traduzione di «tigre di carta». Mao spiegò il concetto nell’agosto 1948 durante l’intervista alla giornalista americana Anna Louise Strong. In Mao Tse-Tung, Opere scelte, 4 voll., Casa editrice in lingue estere, Pechino 1969-1975, p.99. Mao tornò sul concetto della bomba atomica come tigre di carta a Mosca durante l’Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti ed Operai (18 novembre 1957), e durante un discorso al Convegno di Wuchang (1 dicembre 1958) dell’Ufficio Politico del Partito Comunista Cinese.

7) In Claudio Cesa (a cura di), Hegel. Antologia di scritti Politici, il Mulino, Bologna 1977.

8) Franco Fornari, Psicanalisi della Guerra, Feltrinelli, Milano 1970; p.21

9) Edward Glover, War, Sadism and Pacifism, George Allen & Unwin, Londra 1946; p.274.

10) Herman Kahn, On Thermonuclear War, cit. p.40.

11) Matteo 18, 21-23.

 

 

 

 

Articolo del 2014 già apparso su Riscossa Cristiana, poi su Ricognizioni, con il titolo «Il trionfo della megamorte. Meditazione su aborto e bomba atomica».

 

Necrocultura

Materialismo e Necrocultura: il disastro italiano nelle relazioni personali

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In un mondo dove la nostra religione cristiana sembra un accessorio sempre meno presente nelle nostre vite e i cattolici italiani sono in drastico calo e non conoscono più la loro fede, prende sempre più corpo una società fondata sul materialismo, una società che inneggia direttamente alla Necrocultura e a una visione orizzontale della vita, senza avere quella percezione verticale di trascendenza e spiritualità che ha caratterizzato, fino a qualche decennio fa, le precedenti generazioni.

 

Possiamo osservare un gretto materialismo individualista, dove tra i meno giovani, quando ci si confronta nell’ordinario, si tende a porre l’accento su quel primo obiettivo (e spesso come fosse un vanto) che è la posizione sociale e lavorativa, che viene misurata in quello che percepiamo in busta paga a fine mese.

 

È sempre più raro affermarsi nella nostra comunità per quello che effettivamente facciamo, per una prospettiva di crescita umana, culturale o spirituale. Conta solo il danaro che illude di essere migliori del prossimo. Una visione effimera, che colma, all’atto pratico, i nostri desideri più bassi quali le vacanze, la bella macchina, un abito firmato, un orologio o un gioiello, ma di certo non riempie in alcun modo il vuoto morale e culturale che ci portiamo dentro. 

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Il materialismo della quotidianità sfocia anche nell’egoismo tradotto nell’individualismo «devo avere il diritto di vivere la mia vita» o del «devo rifarmi una vita». Quante volte abbiamo udito queste frasi che ci risuonano fin troppo spesso durante la pausa caffè con i nostri colleghi o seduti per un irrinunciabile aperitivo. Di fatto poi la vita ci pone dinanzi a delle responsabilità familiari. Gli obblighi morali verso nostra moglie, verso i figli e gli altri familiari. 

 

Non vorrei addentrarmi nel discorso della disgregazione delle unioni sentimentali – che oggi più che mai ci appare come una nuova normalità – ma mi limito a citare i dati ISTAT relativi all’anno 2023: 139.887 matrimoni e 82.392 separazioni. Lascio a voi stilare la percentuale, ma il «diritto» a «rifarsi una vita» evidentemente è ben più forte del cercare di mantenere unita la famiglia. 

 

Di contro abbiamo un «femminismo sfrenato» che urla le proprie libertà appoggiando incondizionatamente il «diritto all’aborto», in quanto sostiene che sia più importante il vivere in libertà la vita della donna, che la vita del figlio che brevemente si porta in grembo. Le istituzioni oggi avvallano questi «desideri», come in Inghilterra, dove il reato di aborto è stato definitivamente abrogato, capitolo recente dell’ascesa del gius-edonismo, «il diritto al piacere» prima di ogni altra cosa, caposaldo dell’utilitarismo.

 

L’utilitarismo si esprime anche in quella ricerca di felicità effimera tramite prolungamenti di una «movida» che non esiste più (parlo soprattutto della generazione dei quarantenni e cinquantenni), di «diversamente giovani» che tentano di allungare un periodo della loro esistenza che giocoforza appartiene al passato, perché è figlio di un’altra età oramai tramontata, che aveva la sua massima espressione in quegli anni leggeri e spensierati.

 

Riprodurre fasi giovanili della vita da over quaranta potrebbe risultare patetico e anacronistico, ma orde di cinquantenni sembrano non arrendersi e riempiono locali e bar dove si beve, si balla e si tenta una sorta di socializzazione – che, va detto, altrimenti è sostituita dai social network con la loro narrazione deviata della realtà, una visione patinata della realtà che si basa sull’invidia e il risentimento per il prossimo, ostentando in reel e stories foto di un effimero benessere.

 

Quel benessere deve essere perseguito a ogni costo e nel perseguirlo scorgiamo una società ipocrita nel suo professare carità e benevolenza nei confronti dei deboli e dei fragili, ma non accettando le difficoltà della vita.

 

Sempre più frequentemente – in una società che vive un inverno demografico senza precedenti e destinata inesorabilmente ad invecchiare – ci troviamo alle prese con l’anzianità dei nostri cari, i quali necessitano di compagnia, di affetto e di cure.

 

Nel 2022 il 2,6% degli ultra sessantacinque ha usufruito di un servizio residenziale all’interno di una RSA e un altro 3,2% ha ricevuto Assistenza Domiciliare Integrata (ADI). Se consideriamo gli over settantacinque siamo rispettivamente al 4,6% e al 5,3% di persone che sono state assistite. Dal 2017 al 2022 siamo passati dalle 296 mila persone con oltre sessantacinque anni residenti in RSA alle 362 mila. 

 

In Italia, la solitudine degli anziani rappresenta una vera e propria emergenza sociale sottaciuta e nascosta, che con il passare degli anni rischia un sensibile peggioramento. Al momento, dati alla mano, circa 2,5 milioni di persone oltre i settantaquattro anni vivono da sole, una condizione che riguarda ben il 40% di essi. Viste le condizioni e il trend, i dati sono destinati a crescere nei prossimi anni.

 

Evidentemente molti figli o nipoti preferiscono le loro libertà, la loro indipendenza, la loro «crescita sociale», piuttosto che vivere o fare compagnia ai propri cari.

 

Troppe volte gli anziani appaiono come un peso, un ostacolo ai nostri desideri, un impiccio alla soddisfazione dei nostri effimeri egoismi. L’egoismo come ragion d’essere; «io voglio vivere la mia vita», «pretendo di vivere la mia vita», oscurati da qualsiasi afflato di bontà e carità verso il prossimo.

 

La disumanità che ci vede lasciare «i fragili» abbandonati a loro stessi, senza una telefonata, senza una visita, senza una carezza, senza una parola di conforto. Tutto questo in una società «moderna e inclusiva» è del tutto inaccettabile, ma evidentemente l’inclusività non deve ledere le libertà personali. 

 

Coloro che oggi non si prendono cura dei propri nonni o dei genitori, domani che invecchieranno anche loro, chi li aiuterà e li sosterrà? Ci sono forti possibilità che il problema non gli si ponga, in quanto l’eutanasia, o meglio la «dolce morte» o il suicidio assistito – secondo la neo lingua del politicamente corretto – gli venga in soccorso.

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Uno Stato illuminato come il Canada si fa portabandiera della nuova necropolitica sociale e i dati ufficiali del governo ci mostrano che circa la metà dei cittadini che non sono malati terminali, desideravano porre fine alla propria vita tramite il suicidio assistito autorizzato dallo Stato (che laggiù chiamano MAiD), perché affermavano di sentirsi soli.

 

L’Europa si allinea agli echi d’oltreoceano, tanto che in il presidente del più grande fondo sanitario belga, Christian Mutualities (CM), ha chiesto una soluzione radicale al problema dell’invecchiamento della popolazione, dichiarando ai media che alle persone stanche della vita dovrebbe essere permesso di porvi fine.

 

Come riportato da Renovatio 21, in Olanda invece, il rapporto annuale per il 2023 dei comitati regionali di revisione dell’eutanasia (RTE), identificano un aumento del 4% delle eutanasie rispetto al 2022. Va ricordato che in quel Paese il termine eutanasia comprende l’iniezione letale e suicidio assistito. I 9.068 decessi rappresentano il 5,4% del totale dei deceduti.

 

Quando non siamo più utili a questo schema sociale, possiamo tranquillamente morire. Ce lo insegna bene il rock n’ roll, che nel corso delle ultime decadi ci ha educato con il suo spirito falsamente libero e ribelle. Le «vecchie cariatidi musicali», quando divengono anacronistiche per stare su un palco e non possono più gozzovigliare a loro piacimento, ecco che decidono di farsi un bel funerale laico prima della morte, che sia indotta o naturale

 

«Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; temete piuttosto chi può far perdere nella Geenna e anima e corpo» (Mt 10, 28).

 

Sempre con maggior enfasi la Necrocultura prolifera sui social con numerosi post della «generazione di mezzo» che esaltano l’eroismo di chi ha deciso di mettere fine alla propria vita. Una magnificazione della morte in antitesi con la nostra religione che ci dice che la morte non è altro che un passaggio verso la vita eterna. 

 

Francesco Rondolini

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Gender

Pedofilo omosessuale ottiene un bambino tramite maternità surrogata. Bisogna stupirsi?

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La rete si scalda per un caso che cala un tris considerevole: matrimonio gay, pedofilia, utero in affitto. Si aggiungerebbe, in questo caso, anche il crowdfunding. Lo riporta LifeSite.   Un coro di indignazione è esploso sui social media statunitensi dopo che è stato rivelato che un omosessuale registrato come molestatore sessuale dopo essere stato condannato per abusi sessuali su un giovane adolescente, è riuscito a ottenere un bambino tramite maternità surrogata.   L’uomo che ha «sposato» un altro uomo è descritto come un molestatore sessuale di primo livello in Pennsylvania, condannato per «abuso sessuale su minori» e «possesso di materiale pedopornografico». All’epoca insegnante di chimica al liceo, l’uomo era stato arrestato nel 2016 per numerose «esplicite richieste e conversazioni sessualmente esplicite» con uno studente sedicenne, dopo che era stato scoperto per aver inviato 20 foto di nudo e un video sessualmente esplicito di se stesso.   Lo scandalo è esploso dopo che la coppia ha condiviso un video in cui festeggiava le feste con il bambino nato da madre surrogata durante il suo primo anno di vita.   Il giornalista cittadino Derek Blighe ha pubblicato il video su X, osservando: «a meno che non accada un miracolo, questo bambino non ha quasi nessuna possibilità di avere una vita normale».   Il post di Blighe è stato visualizzato ben oltre 11 milioni di volte.    

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«Come fanno dei degenerati malati come questi a ottenere l’approvazione per diventare tutori di un bambino?» ha chiesto l’attivista contro la presenza di transessuali nello sport Riley Gaines. «Per quanto mi riguarda, chiunque sia coinvolto nel processo di approvazione dovrebbe essere in prigione».     «Concepire un bambino con l’intenzione di affidarlo a una famiglia senza madre per farlo crescere da queste due creature», ha scritto il commentatore cattolico youtuber Matt Walsh su X. «Assolutamente orribile. Una malvagità indescrivibile».     Secondo quanto scrive Lifesite, non solo la coppia è riuscita ad ottenere il bambino nonostante i trascorsi sessuali criminali dell’uomo, ma pare che abbiano utilizzato l’app di crowdfunding GoFundMe per aiutarlo.   «È stato rivelato che una coppia gay che ha finanziato tramite crowdfunding il proprio percorso di maternità surrogata ora ha la custodia di un bambino, nonostante uno dei partner (…) sia stato condannato per reati sessuali su minori, sfruttando una scappatoia della Pennsylvania per la maternità surrogata che aggira le restrizioni statali sull’adozione per i predatori registrati», ha riportato Right Angle News Network su X.   «Orribile», ha scritto l’attivista pro-life Lila Rose, fondatrice di LiveAction. «Dopo la diffusione virale di un video di due uomini che baciavano un neonato acquistato tramite crowdsourcing, fecondazione in vitro e madre surrogata, gli investigatori di internet hanno scoperto che uno degli uomini era un molestatore sessuale registrato».     «Non è richiesto alcun processo di verifica per la maternità surrogata. Chiunque abbia soldi può comprare un bambino», ha detto Rose. «Non solo questo bambino è stato privato di una madre intenzionalmente, ma non sono stati messi in atto meccanismi di sicurezza per proteggerlo. I bambini non sono merci».   «Vietate la maternità surrogata», ha aggiunto la Rose.   La deputata repubblicana degli Stati Uniti Anna Paulina Luna ha chiesto al procuratore generale della Pennsylvania: «perché a questo molestatore di bambini è consentito adottare un bambino?»   «Il fatto che quest’uomo stia sfruttando una scappatoia che consente l’adozione tramite maternità surrogata, pur essendo un molestatore sessuale registrato, è disgustoso. Dovrebbe essere FUORILEGGE», ha dichiarato.   «Non mi interessa chi sei, qual è la tua razza o il tuo genere: se sei un molestatore sessuale registrato, non ti dovrebbe essere permesso di avvicinarti ai bambini, figuriamoci adottarli», ha detto la Luna.

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Renovatio 21 considera che lo stupore si addice solo a chi fino ad ora ha tenuto gli occhi chiusi: tutti i nodi della Necrocultura sono collegati l’uno con l’altro in modo istituzionalizzato grazie allo Stato moderno: con il diritto all’aborto si crea il diritto alla fecondazione in vitro (che uccide molte più bambini dell’aborto, ma che grazie a questo sono finalmente considerati come sacrificabili), con il matrimonio gay si crea giocoforza il «diritto» alla maternità surrogata, con il «diritto al gender» si apre all’istituzionalizzazione di ogni possibile devianza (come visibile ai gay pride), con l’erosione progressiva di vari tabù: si ricordano gli ammiccamenti a certe manifestazioni riguardo ai bambini delle famiglie normali.   Aggiungiamo che, se fosse vero che l’omosessualità proviene dall’assenza della figura paterna (come sosteneva Sigmund Freud), l’ondata presente è stata creata dalle leggi sul libero divorzio – un’altra legge teratogenetica che andrebbe abolita quanto prima, ma siete dei folli se sperate che i pro-vita dell’establishment provino a dirlo e a farci una battaglia.   A Renovatio 21, invece, abbiamo proprio intenzione di farlo: combattere la Necrocultura in maniera integrale, senza nessun compromesso, e con tutta la forza che abbiamo.

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Bioetica

La pop star britannica Lily Allen ride mentre racconta i suoi molteplici aborti

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La cantante, cantautrice e attrice Lily Allen, candidata ai Grammy ha dichiarato in un recente podcast, di non ricordare quanti aborti ha avuto, mentre rideva sguaiatamente della materia.

 

In una puntata del podcast Miss Me? del 1° luglio, Allen ha parlato dettagliatamente della sua vita personale. «Ora ho una spirale», cioè dispositivo contraccettivo intrauterino (che di fatto è un abortivo e non un contraccettivo, perché uccide l’emrbione), ha detto alla co-conduttrice del podcast Miquita Oliver. «Credo di essere al terzo o quarto figlio e ricordo solo che prima era una zona disastrata. Rimanevo incinta di continuo».

 

La Allen, che ha una figlia di 13 anni e una di 11 con l’ex marito (il secondo marito è il robusto attore hollywoodiano David Harbour, noto per la serie Stranger Things e per le sue veementi sparate contro Trump; ma sembra si sia separata anche da questo) ha poi parlato dei bambini che ha abortito. «Aborti, ne ho avuti alcuni, ma d’altronde», ha cantato ridacchiando sulle note della nota canzone My Way di Frank Sinatra, poi rifatta dai Sex Pistols. «Non ricordo esattamente quanti. Non ricordo, sì. Penso forse cinque, quattro o cinque».

 

 

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«Ricordo che una volta sono rimasta incinta e l’uomo mi ha pagato l’aborto, e io ho pensato che fosse così romantico», ha detto la cantante. Tuttavia, la donna da allora ha cambiato idea su quell’episodio in particolare. «Ti dico quanto è stato romantico: non credo che mi abbia scritto dopo. Giusto, a dire il vero. Ero una pazza stronza. Lo sono ancora».

 

Lungi dall’essere scioccata, l’intervistatrice Miquita Oliver ha risposto osservando che anche lei aveva avuto «circa cinque» aborti e che l’inserimento della spirale contraccettiva le aveva assicurato di «smettere di abortire», cosa che pare fosse divenuta diventata di routine. «Lo schema era: sfortunatamente, rimango incinta, non voglio esserlo, abortisco, poi mentre sono sedata durante l’aborto, mi mettono la spirale», ha detto. «Mi sentivo davvero in imbarazzo anche solo a dire di aver avuto più di un aborto, perché diavolo dovrei vergognarmi? Ne ho avuti diversi».

 

«Mi irrita davvero, e l’ho già detto apertamente. Ho visto meme in giro a volte, su Instagram, da account pro-aborto o altro, ogni volta che si parla di questo argomento, e all’improvviso si comincia a vedere gente che pubblica cose su motivi straordinari per abortire», ha ammesso Allen.

 

«Tipo: “Mia zia aveva una figlia con questa disabilità”, o qualcosa del genere, ‘Se fosse andata a termine la morte l’avrebbe uccisa, quindi dobbiamo farlo”», ha continuato. «È come dire: ‘Stai zitto!’ Semplicemente: “Non voglio un fottuto bambino in questo momento”. Letteralmente: “Non voglio un bambino” è una ragione sufficiente».

 

«In uno degli aborti che ho avuto, odiavo quell’uomo e non avevo assolutamente alcun interesse ad avere quel fottuto figlio», ha aggiunto Oliver. «Ho pensato: “Assolutamente no”, e come sapete, per tutti i miei 20 e 30 anni, avere un bambino non è stato poi così importante per me, e mi sarebbe dispiaciuto non avere la possibilità e la libertà di fare ciò che dovevo fare per la mia vita».

 

La Allen ha da tempo espresso apertamente la sua posizione pro-aborto. Nel 2012, mentre era incinta (di un bambino che aveva tenuto in grembo), rispose su Twitter al suggerimento del ministro della Salute britannico Jeremy Hunt di ridurre il limite di aborto a 12 settimane, scrivendo: «possono questi idioti dalla mente ristretta smettere di dire alle donne se hanno diritto o meno all’aborto, per favore?»

 

Nel 2022, è salita sul palco con Olivia Rodrigo al festival musicale di Glastonbury per cantare la sua hit Fuck You, per denunciare la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di ribaltare la sentenza Roe v. Wade.

 

«Vorrei che la gente smettesse di pubblicare esempi di motivi eccezionali per abortire» aveva scritto su Instagram. «La maggior parte delle persone che conosco, me compresa, semplicemente non voleva avere un fottuto bambino. E questa è una ragione sufficiente! Non dobbiamo giustificarlo. Non dovrebbe essere necessario dirlo, e penso che tutti questi esempi facciano solo il gioco dei cattivi».

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Si tratta del libero aborto invocato dalle femministe – cioè senza alcuna remore, feticidio a comando, per capriccio, pure, magari pure pagato dallo Stato.

 

La realtà è che si sta andando oltre: le frange femministe, sempre più vecchie e inacidite (la vita «libera», cui aspiravano, che era di fatto solo mancanza di morale e odio della legge naturale, ha presentato il conto) stanno trasformando l’aborto da diritto a vero e proprio «sacramento» della vita moderna.

 

Ciò è in linea con varie realtà religiose, come le serque di sigle ebraiche (cui si sono aggiunti i satanisti organizzati) che hanno reagito alla sentenza della Corte Suprema Dobbs v. Jackson che defederalizzava il diritto di aborto dichiarando che il feticidio è un loro diritto religioso.

 

Guardiamo la realtà per quello che è: le popstar ridono del sacrificio umano, vi partecipano, ne difendono la continuazione. La situazione della cultura popolare oggi è questa. Sappiamo come chiamarla: la musica, il cinema, la TV e pure altre forme di intrattenimento come le letteratura, la filosofia, la politica, vivono sotto l’ombra della Necrocultura.

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Immagine di Justin Higuchi via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

 

 

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