Cina
Mar Cinese meridionale: la portaerei Queen Elizabeth evita di sfidare Pechino
La nuova nave ammiraglia di Londra si tiene lontana dalle isole occupate dalle guarnigioni cinesi. Un passaggio entro le 12 miglia nautiche è per la Cina una violazione della sua sovranità. Regno Unito, Germania e Francia cercano di sostenere gli USA senza provocare Pechino. Anche l’India invia navi da guerra nella regione.
La nuova portaerei britannica Queen Elizabeth e il suo gruppo d’attacco hanno evitato di navigare vicino alle isole e gli atolli del Mar Cinese meridionale occupati dalla Cina. Lo ha rivelato oggi il ministero cinese degli Esteri: Pechino avrebbe considerato un passaggio entro le 12 miglia nautiche (il limite delle acque territoriali) come una violazione della sua sovranità.
Pechino avrebbe considerato un passaggio entro le 12 miglia nautiche (il limite delle acque territoriali) come una violazione della sua sovranità
Le unità navali di Londra hanno lasciato la regione il 2 agosto, entrando nel Mar delle Filippine. Rimarranno in Asia orientale fino al termine dell’anno per esercitazioni con alleati e partner. Finora solo gli USA hanno contestato in modo diretto le pretese territoriali della Cina nel Mar Cinese meridionale. Secondo il South China Morning Post, dal 2015 le navi da guerra statunitensi hanno viaggiato più di 40 volte entro 12 miglia da isolette e barriere coralline che i cinesi hanno trasformato in avamposti militari.
Pechino rivendica quasi il 90% dello specchio d’acqua, una posizione contestata da Filippine, Vietnam, Malaysia, Taiwan, Brunei e in parte Indonesia, che hanno il sostegno di Washington. Nel 2016 la Corte internazionale di arbitrato dell’Aia ha definito «senza basi» le rivendicazioni cinesi.
Pechino rivendica quasi il 90% dello specchio d’acqua, una posizione contestata da Filippine, Vietnam, Malaysia, Taiwan, Brunei e in parte Indonesia, che hanno il sostegno di Washington
Anche la Francia invia con regolarità le proprie imbarcazioni da guerra per affermare la libertà di navigazione nel Mar Cinese meridionale.
Come i britannici, i francesi si tengono a distanza dalle isole controllate dalla Cina.
Lo stesso farà una fregata tedesca quando in dicembre solcherà le acque contestate. Secondo diversi osservatori, i tre Paesi europei cercano un difficile equilibrio tra le richieste di cooperazione in chiave anti-cinese degli Stati Uniti e la volontà di non guastare i rapporti (commerciali) con la Cina.
Nel frattempo, oggi il governo indiano ha annunciato che per i prossimi due mesi una propria task-force navale sarà schierata nel Mar Cinese meridionale e nel Pacifico occidentale. L’obiettivo dello spiegamento è di allargare i legami di sicurezza con Paesi «amici»: un segnale della volontà indiana di giocare un ruolo maggiore nel contenimento della Cina orchestrato dagli Usa.
Anche la Francia invia con regolarità le proprie imbarcazioni da guerra per affermare la libertà di navigazione nel Mar Cinese meridionale. Come i britannici, i francesi si tengono a distanza dalle isole controllate dalla Cina. Lo stesso farà una fregata tedesca
L’annuncio di Delhi arriva mentre l’esecutivo del premier Narendra Modi avrebbe raggiunto un accordo con Pechino sul ritiro delle rispettive truppe dalla valle di Galwan.
Posta alla frontiera tra il Ladakh indiano e l’Aksai Chin cinese, l’area è stata teatro la scorsa estate di duri combattimenti tra le due potenze confinanti.
Immagine di LPhot Dan Rosenbaum FRPUE/Defenceimagery via Wikimedia pubblicata su licenza Open Government Licence version 1.0 (OGL v1.0).
Cina
In disgrazia l’uomo del vaccino cinese anti-COVID: espulso dall’Assemblea del popolo
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Il provvedimento contro Yang Xiamong, il presidente della China National Biotec Group, ha scatenato i commenti dei netizen cinesi su Weibo. Secondo i media ufficiali è accusato di «gravi violazioni della disciplina e della legge». Dall’estate scorsa il settore farmaceutico è uno dei più coinvolti dalla campagna anti-corruzione, con centinaia di funzionari sotto inchiesta.
Il presidente della China National Biotec Group, il gruppo di ricerca che ha scoperto e prodotto il vaccino anti-COVID della Sinopharm utilizzato in Cina, è stato estromesso dall’Assemblea nazionale del popolo, il più importante organo politico della Repubblica popolare che conta 3000 personalità. L’espulsione di Yang Xiaoming, 62 anni, è stata annunciata dai media statali nel fine settimana e motivata con «gravi violazioni della disciplina e della legge», l’espressione utilizzata solitamente per le persone indagate per corruzione in Cina.
Yang era stato il responsabile del team Sinopharm che ha sviluppato il vaccino BBIBP-CorV, il primo approvato e utilizzato massicciamente nel 2021 nella Repubblica popolare cinese per la campagna vaccinale contro il COVID . Con un’efficacia stimata dall’Organizzazione mondiale della sanità al 79% contro l’ospedalizzazione, fu poi diffuso in milioni di dosi anche in altri Paesi del mondo (…)
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Oltre a sviluppare il vaccino anti-COVID di Sinopharm, Yang era anche a capo del progetto cinese sui vaccini nell’ambito del programma 863, che mira a rendere Pechino più indipendente sviluppando tecnologie avanzate interne.
La notizia dell’epurazione di Yang è diventata virale sul social network cinese Weibo, con circa 180 milioni di visualizzazioni che, per diverse ore, l’hanno reso l’argomento più caldo della giornata di ieri. Per molti utenti è stata l’occasione per tornare a parlare della gestione della pandemia, anche se finora non ci sono notizie ufficiali di un legame tra le accuse contro di lui e il vaccino anti-COVID.
In realtà è tutto il settore sanitario cinese a essere da mesi tra i più toccati dalla campagna anticorruzione voluta da Xi Jinping. Vi sono state indagini contro centinaia di rettori e segretari di ospedali, con accuse pesanti di corruzione tra fornitori di farmaci e strutture sanitarie. Un terremoto che – ad agosto – aveva portato anche a un crollo in Borsa dei valori delle azioni del settore farmaceutico, arrivando addirittura a bruciare in un solo giorno un valore di mercato stimato in 27 miliardi di dollari.
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Immagine di LUMUMBA via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Cina
La Cina prepara la sua missione di raccolta di materiali dal lato nascosto della Luna
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Cina
La ristorazione smentisce il PIL cinese in crescita: 459 mila chiusure nel primo trimestre 2024
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Piccoli ristoranti ma anche nuovi ambiziosi brand costretti a gettare la spugna dal calo dei consumi: le cessazioni delle attività sono aumentate del 232% rispetto a dodici mesi fa. Le riaperture dopo la politica Zero Covid si sono scontrate con l’aumento dei prezzi e la minore disponibilità economica delle famiglie.
Secondo gli ultimi dati dell’Ufficio nazionale di statistica, in Cina nel primo trimestre di quest’anno sono state cancellate o soppresse 459mila imprese di ristorazione, con un aumento di circa il 232% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Di questi ristoranti 180mila hanno chiuso nel solo mese di marzo, quando l’anno scorso furono 140mila nell’intero primo trimestre.
Si tratta di un indicatore «dal basso» che mostra un panorama decisamente diverso rispetto all’ottimismo «ufficiale» sull’economia cinese, che appena pochi giorni fa sbandierava per lo stesso arco di tempo una crescita del Prodotto interno lordo del 5,3%, addirittura superiore agli obiettivi fissati per il 2024.
Al dato sulla chiusura delle imprese della ristorazione ha dedicato un approfondimento Radio Free Asia, che ha raccolto alcune voci di operatori locali secondo cui il mercato dei consumi in Cina non si è affatto ripreso dopo la fine della politica Zero COVID. «Alti costi di affitto, alti costi di manodopera, aumento dei prezzi e diminuzione dei consumi dei clienti», ha riassunto il quadro della situazione un ristoratore di Wuhan. «Ci sono ancora alcune attività di catering che vanno molto bene, ma gli affari dei ristoranti più grandi no». All’inizio di quest’anno anche brand considerati in ascesa nella pasticceria cinese come ad esempio Hutou sono stati costretti a gettare la spugna.
La signora Yao, residente a Jingdezhen, nella provincia di Jiangxi, ha raccontato all’emittente che molti dei suoi amici che gestivano ristoranti hanno chiuso e faticano ad arrivare alla fine del mese: «I residenti non hanno più soldi, è difficile portare avanti qualsiasi attività».
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Immagine di Frank Michel via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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