Internet
Macron nega di aver saputo in anticipo dell’arresto di Durov

Il presidente francese Emmanuel Macron ha negato di essere stato a conoscenza in anticipo della visita nel Paese del CEO di Telegram, Pavel Durov, né di aver avuto un ruolo nell’arresto dell’imprenditore russo al suo arrivo a Parigi.
«Non ero assolutamente a conoscenza dell’arrivo del signor Durov in Francia, ed è normale, perché non dovrei sapere nulla degli spostamenti di chiunque abbia la nazionalità francese», ha detto Macron ai giornalisti in una conferenza stampa a Belgrado giovedì sera.
«È falso che io abbia fatto un invito, è totalmente falso», ha aggiunto il presidente francese riferendosi alla voce di una cena programmata tra il presidente e l’imprenditore la sera dell’arresto a Parigi. «Non avrei dovuto vedere Durov né lo scorso weekend né in seguito».
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Macron, in visita di due giorni in Serbia, ha insistito sul fatto che la Francia protegge la libertà di espressione e si impegna a favore degli imprenditori e degli innovatori.
«Ma siamo anche un Paese in cui c’è una separazione dei poteri e i giudici prendono decisioni in modo indipendente. E questa è una buona cosa», ha detto.
Durov ha trascorso diversi giorni in prigione prima di incontrare un giudice istruttore mercoledì. È stato accusato di una dozzina di reati, che vanno dal rifiuto di collaborare con le autorità all’amministrazione di una piattaforma online presumibilmente utilizzata dalla criminalità organizzata per condotte illegali come il traffico e l’abuso sessuale sui minori.
Durov è stato rilasciato su cauzione di 5 milioni di euro (e gli è stato proibito di lasciare la Francia in attesa del procedimento.
«È totalmente assurdo pensare che il capo di un social network possa essere coinvolto in atti criminali che non lo riguardano, né direttamente né indirettamente», ha detto mercoledì all’AFP il suo avvocato, David-Olivier Kaminski. Telegram rispetta pienamente le leggi dell’UE in materia di tecnologia digitale, ha aggiunto Kaminski.
La detenzione di Durov ha scatenato l’indignazione internazionale e le accuse che la Francia stesse tentando di usare la forza su una piattaforma al di fuori del controllo dell’Occidente per censurarla. Il presidente francese avrebbe invitato Durov a trasferire Telegram in Francia nel 2018, tre anni prima di concedergli la cittadinanza.
Durov detiene anche la cittadinanza francese, degli Emirati Arabi Uniti e della nazione caraibica di St. Kitts e Nevis. Sia Mosca che Abu Dhabi hanno cercato di fornire supporto consolare, solo per essere respinti da Parigi che ha affermato che la sua cittadinanza francese prevale su tutte le altre.
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I fratelli Pavel e Nikolaj Durov hanno creato Telegram un decennio fa, come messenger crittografato incentrato sulla privacy. La piattaforma ora ha quasi un miliardo di utenti mensili ed è considerata l’app preferita in Russia e Ucraina, tra gli altri Paesi.
Come riportato da Renovatio 21, Macron nel 2017 pare avere incontrato più volte Durov arrivando a proporgli di trasferire il quartier generale di Telegram a Parigi.
Le precedenti dichiarazioni del presidente francese sul fatto che l’arresto non costituisce una «decisione politica» sono state canzonate in rete e definite come menzogne «orwelliane», con il dissidente USA Edoardo Snowden a dichiarare che la Francia ha «preso ostaggi».
Durov è ora accusato in Francia anche di maltrattamenti del figlio piccolo.
Il disegno dietro il colpo di scena dell’arresto di Durov in Francia potrebbe essere più ampio e tetro di quel che sembra.
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Immagine di Palácio do Planalto via Flickr pubblicata su licenza CC BY-ND 2.0
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Internet
Metriche pubblicitarie di e-commerce artificialmente gonfiate, afferma un ex dipendente Meta

Meta, la società madre di Facebook e Instagram, è stata accusata di aver gonfiato artificialmente le metriche delle prestazioni del suo prodotto pubblicitario per l’e-commerce, Shops Ads , secondo una denuncia presentata mercoledì da un informatore presso un tribunale del lavoro in Gran Bretagna. Lo riporta il sito ADWEEK.
La denuncia, presentata da Samujjal Purkayastha, ex product manager del team pubblicitario di Meta Shops, sostiene che l’azienda ha tratto in inganno gli inserzionisti sovrastimando il ritorno sulla spesa pubblicitaria (ROAS), facendo apparire la sua nuova offerta pubblicitaria più efficace rispetto ai prodotti della concorrenza, riporta ADWEEK.
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Secondo quanto depositato presso il London Central Employment Tribunal, Meta avrebbe incrementato i numeri delle performance degli annunci Shops: conteggio delle spese di spedizione e delle tasse come parte del fatturato totale; sovvenzionare le offerte nelle aste pubblicitarie per garantire un posizionamento più prominente; applicare sconti non dichiarati per dare l’impressione di risultati più forti; revisioni interne condotte all’inizio del 2024 hanno rivelato che il ROAS degli annunci di Shops era stato gonfiato tra il 17% e il 19%, secondo la denuncia.
Gli altri prodotti pubblicitari di Meta, così come quelli di concorrenti come Google, calcolano il ROAS utilizzando dati netti, escluse spese di spedizione e tasse. Senza le commissioni aggiuntive, sostiene la denuncia, gli annunci di Shops non hanno ottenuto risultati migliori rispetto ai prodotti pubblicitari tradizionali di Meta.
«Questo è stato significativo», si legge nel reclamo. «Oltre al fatto che la metrica di performance del ROAS era sovrastimata di quasi un quinto, significava che, anziché aver superato il nostro obiettivo primario, il team di Shops Ads lo aveva di fatto mancato una volta che il dato era stato ridotto per tenere conto dell’inflazione artificiale».
Il documento collega queste presunte pratiche a un più ampio sforzo interno a Meta per riprendersi dagli effetti della funzionalità App Tracking Transparency (ATT) di Apple, lanciata nel 2021.
La politica di Apple limitava l’accesso ai dati degli utenti iOS, un pilastro dell’attività pubblicitaria di Meta. L’ex CFO di Meta, David Wehner, ha avvertito durante una conference call sui risultati finanziari del 2021 che la modifica potrebbe costare all’azienda «nell’ordine dei 10 miliardi di dollari».
Incoraggiando gli inserzionisti a utilizzare gli annunci Shops, che mantengono le transazioni all’interno delle app di Meta, l’azienda potrebbe raccogliere più dati di acquisto proprietari e ridurre la sua dipendenza dalle autorizzazioni di tracciamento di Apple.
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Secondo il Purkayastha, Meta ha iniziato a sovvenzionare gli annunci di Shops nelle aste, a volte fino al 100%, garantendone la visualizzazione più frequente rispetto ad altri formati pubblicitari. Ciò ha aumentato la visibilità, incrementato artificialmente le conversioni e fatto apparire gli annunci di Shops come un investimento più solido.
Purkayastha è entrato a far parte di Meta nel 2020 come parte del team di ricerca applicata sull’intelligenza artificiale di Facebook, prima di essere riassegnato al team Shops Ads nel marzo 2022. È rimasto in azienda fino al 19 febbraio 2025.
Nella denuncia si afferma che Purkayastha ha ripetutamente sollevato preoccupazioni durante gli incontri con i dirigenti tra il 2022 e il 2024, mettendo in dubbio l’accuratezza dei risultati riportati dagli annunci di Shops. Afferma che l’azienda ha continuato a utilizzare la metodologia contestata nonostante le obiezioni interne.
Il reclamo sottolinea anche che gli strumenti di tracciamento di Meta fanno parte della sua strategia per mantenere le prestazioni pubblicitarie dopo le modifiche alla privacy di Apple.
Aggregated Event Measurement (AEM1), introdotto nell’aprile 2021, ha utilizzato l’apprendimento automatico per stimare le conversioni, rispettando al contempo gli utenti che avevano scelto di non essere monitorati.
AEM2, lanciato poco dopo, avrebbe collegato l’attività in-app alla navigazione e agli acquisti su siti di terze parti utilizzando identificatori personali come nomi, e-mail, numeri di telefono e indirizzi IP.
«Nella denuncia, Purkayastha ha affermato di credere che AEM2 abbia aggirato le restrizioni imposte dal framework sulla privacy di Apple, sebbene abbia mitigato gran parte della perdita di dati derivante dalle modifiche alla privacy» scrive ADWEEK.
Secondo la denuncia, il Purkayastha è stato licenziato da Meta nel febbraio 2025. La sua denuncia al tribunale del lavoro fa parte di una richiesta di provvedimento provvisorio, che chiede il ripristino della sua precedente posizione.
«Sebbene le conseguenze legali siano ancora da definire, queste rivelazioni mettono nuovamente in discussione l’affidabilità dei dati forniti da Meta ai suoi inserzionisti» commente Hdblog.
Non sono le prime accuse rivolte a Meta-Facebook da ex dipendenti.
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Quattro anni il Wall Street Journal cominciò a pubblicare sconvolgenti rivelazioni sulla piattaforma social. In sintesi, scriveva il WSJ «Facebook Inc. sa, nei minimi dettagli, che le sue piattaforme sono piene di difetti che causano danni, spesso in modi che solo l’azienda comprende appieno. Questa è la conclusione centrale (…), basata su una revisione dei documenti interni di Facebook, inclusi rapporti di ricerca, discussioni online dei dipendenti e bozze di presentazioni per il senior management».
Secondo il reportage, Facebook esentava gli utenti di alto profilo da alcune regole, ignorava una ricerca su Instagram (social del gruppo Meta) che mostrava i rischi per la salute mentale degli adolescenti, sapeva che il suo algoritmo premia l’indignazione, era stato lento nell’impedire ai cartelli della droga e ai trafficanti di esseri umani di utilizzare la sua piattaforma.
Due anni fa il WSJ tornò con un reportage in cui affermava che «Meta sta lottando per allontanare pedofili da Facebook e Instagram».
Nel 2023 un ex data-scientist di Facebook, in contenzioso legale con l’azienda, aveva sostenuto che Facebook può scaricare segretamente la batteria dello smartphono degli utenti.
Tre anni fa un ex dipendente aveva detto che il CEO Marco Zuckerberg aveva brandito una katana, cioè una spada samurai, perché irato con dei programmatori.
Come riportato da Renovatio 21, lo Zuckerbergo un mese fa ha dichiarato che Facebook non è più incentrato sulla connessione con gli amici.
Secondo alcuni il prossimo aggiornamento di Instagram eroderà ulteriormente la privacy degli utenti.
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Immagine di Yuri Samoilov via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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