Bioetica
Linee cellulari da feti abortiti, testimonianza alla Casa Bianca

Renovatio 21 pubblica questa testimonianza pubblicata sul sito della Casa Bianca.
Testimonianza di Kathleen M. Schmainda, PhD.
Professoressa di Radiologia e Biofisica
Vicepresidente della Ricerca, Dipartimento di Radiologia
Facoltà di Medicina del Wisconsin*
Commissione per l’energia e il commercio
Commissione d’inchiesta sulla vita infantile
«Bioetica e tessuto fetale»
2 marzo 2016
Illustre Presidente e onorevoli membri del comitato,
Grazie per avermi concesso l’opportunità di portare la mia testimonianza in difesa della vita dei bambini e in particolare in opposizione alla ricerca che utilizza tessuto fetale derivato da aborti indotti.
Sono fermamente contraria alla ricerca che utilizzi tessuto fetale o embrionale umano derivante da aborti indotti o procedure come la fecondazione in vitro (IVF). Sono costretta a creare consapevolezza tra la comunità e i miei colleghi sul motivo per cui l’uso di tale tessuto non è etico e non è necessario
La mia formazione di base è nelle discipline dell’ingegneria e della medicina, ricevendo un dottorato di ricerca in ingegneria medica rilasciato congiuntamente dall’Università di Harvard e dal Massachusetts Institute of Technology. Attualmente sono professoressa di radiologia e biofisica, in qualità di vicepresidente della ricerca in radiologia presso il Medical College of Wisconsin. Ho preso parte alla ricerca medica per quasi 25 anni. Ho fatto parte di comitati di revisione delle sovvenzioni per i National Institutes of Health (NIH) per oltre 15 anni, incluso un mandato di quattro anni nella sezione di studio di Terapie dello Sviluppo. Faccio parte di comitati consultivi nazionali per le sperimentazioni cliniche e ho fondato due start-up. Prima di tutto, sono una moglie e una madre.
Sono fermamente contraria alla ricerca che utilizzi tessuto fetale o embrionale umano derivante da aborti indotti o procedure come la fecondazione in vitro (IVF). Sono costretta a creare consapevolezza tra la comunità e i miei colleghi sul motivo per cui l’uso di tale tessuto non è etico e non è necessario.
Vorrei iniziare definendo i termini. I termini embrione, feto, neonato o infante si riferiscono ciascuno a diverse fasi del continuum del bambino in via di sviluppo. Quando le cellule vengono estratte durante le prime fasi, si tratta in genere di cellule staminali embrionali umane (HESC), ottenute dalla distruzione dell’embrione umano. Quando parlo di ricerca sui tessuti fetali mi riferisco a cellule, tessuti o organi prelevati da un feto abortito. Sebbene questo sia il fulcro della mia testimonianza, le mie argomentazioni si applicano al continuum del bambino in via di sviluppo.
Quando le cellule vengono estratte durante le prime fasi, si tratta in genere di cellule staminali embrionali umane (HESC), ottenute dalla distruzione dell’embrione umano. Quando parlo di ricerca sui tessuti fetali mi riferisco a cellule, tessuti o organi prelevati da un feto abortito
I fautori della ricerca che utilizza il tessuto fetale fanno diverse affermazioni. La prima affermazione è che senza il tessuto fetale molti dei trattamenti salvavita che abbiamo oggi non sarebbero stati possibili.
In secondo luogo, sostengono che senza un accesso continuo al tessuto fetale, stiamo ostacolando la scoperta di nuove terapie.
E terzo, affermano che «sono già in atto adeguate linee guida etiche» per evitare il collegamento tra l’aborto e la ricerca sui tessuti fetali. Parlerò di ciascuna di queste affermazioni.
In primo luogo, è necessario chiarire che non esistono trattamenti medici attuali che abbiano richiesto l’utilizzo di tessuti fetali per la loro scoperta o sviluppo. Mentre il vaccino antipolio, spesso citato, è stato sviluppato utilizzando cellule di tessuto fetale, gli sviluppatori hanno successivamente testimoniato che gli studi iniziali avevano avuto successo anche utilizzando cellule non di origine fetale. Sebbene la maggior parte dei vaccini offra oggi alternative etiche, non tutti sono disponibili negli Stati Uniti e alcuni, come quello per la varicella e l’epatite A, attualmente non hanno alternative etiche (1). Eppure non c’è mai stata una ragione scientifica che richiedesse linee cellulari fetali per lo sviluppo dei vaccini.
Non c’è mai stata una ragione scientifica che richiedesse linee cellulari fetali per lo sviluppo dei vaccini.
La testimonianza data alla FDA (US Food and Drug Administration (FDA), Center for Biologics Evaluation and Research) datata 16 maggio 2001, sottolinea questo punto. Lo sviluppatore di due linee cellulari fetali comuni –HEK 293 (rene embrionale umano) e Per C6 (retina isolata da un feto) – ha affermato che la sua motivazione per sviluppare queste linee cellulari da feti abortiti era semplicemente quella di vedere «se si poteva fare» rispetto a quanto già fatto con le cellule animali. Da allora, l’uso di queste linee cellulari è diventato molto diffuso e i produttori non hanno alcuna motivazione per investire il tempo o il denaro necessari per produrre sostituti etici.
A causa della mancanza di trasparenza, gli scienziati possono inconsapevolmente radicarsi nell’uso di queste linee cellulari. Ad esempio, la linea cellulare HEK 293 viene spesso offerta come parte di un kit standard disponibile presso aziende di biotecnologia ed etichettata con vari nomi. Solo su specifica richiesta vengono fornite alternative. Questa mancanza di trasparenza è devastante per gli scienziati che hanno obiezioni etiche all’uso di questo tessuto ed equivale a una coercizione morale.
In secondo luogo, confuto l’affermazione secondo cui senza un accesso continuo al tessuto fetale, la scoperta di nuove terapie sarebbe bloccata. Ci sono prove schiaccianti che indicano il contrario. Ad esempio, l’insulina per il diabete è prodotta nei batteri (2). Le cellule dell’ovaio di criceto cinese (CHO) sono state utilizzate per lo sviluppo di Erceptina per il cancro al seno (3) e TPA per infarto e ictus. Esistono più di 70 trattamenti di successo sviluppati utilizzando fonti di cellule staminali adulte (4).
Lo sviluppatore di due linee cellulari fetali comuni –HEK 293 (rene embrionale umano) e Per C6 (retina isolata da un feto) – ha affermato che la sua motivazione per sviluppare queste linee cellulari da feti abortiti era semplicemente quella di vedere «se si poteva fare» rispetto a quanto già fatto con le cellule animali
Ad oggi sono stati eseguiti oltre 1 milione di trapianti di midollo osseo, che sono essenzialmente trapianti di cellule staminali adulte (5).
Alcuni continuano a sostenere che le cellule fetali rappresentino inequivocabilmente l’opzione migliore, perché si dividono rapidamente e si adattano facilmente a nuovi ambienti. Ma fonti alternative di tessuti e cellule sono disponibili per la ricerca senza questioni etiche e stanno dimostrando una maggiore versatilità di quanto si pensasse inizialmente (6). Esempi includono cellule staminali da midollo osseo, sangue circolante (7), cordone ombelicale (8) e liquido amniotico (9), nonché cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) e persino cellule staminali neurali da cadavere (10). Le cellule staminali adulte sono già state utilizzate per lo sviluppo di nuovi trattamenti, sono state dimostrate da studi clinici e hanno portato alla formazione di nuove società (11) che hanno immesso con successo sul mercato trattamenti che sono normalmente benefici per i pazienti di oggi. Non esiste ancora un uso medico praticabile per le cellule staminali embrionali.
Eppure l’argomento continua che mantenere aperta questa strada di ricerca potrebbe un giorno offrire l’unica speranza per un bambino con una malattia devastante o una persona con lesioni del midollo spinale. Nel 1997, il New York Times ha riportato del primo trapianto della nazione di tessuto fetale in una persona con lesioni al midollo spinale (12). Lo studio ha richiesto da cinque a otto midolli spinali fetali per ciascun ricevente adulto, ma non ha mostrato alcun beneficio terapeutico significativo (13, 14). Sono seguiti molti altri studi, nessuno dei quali ha mostrato benefici terapeutici significativi, ma ognuno continuava a rivendicare grandi promesse. Questa promessa senza beneficio continua oggi a costo di molte vite umane.
Nel 1997, il New York Times ha riportato del primo trapianto della nazione di tessuto fetale in una persona con lesioni al midollo spinale. Lo studio ha richiesto da cinque a otto midolli spinali fetali per ciascun ricevente adulto, ma non ha mostrato alcun beneficio terapeutico significativo
Quindi permettetemi di affrontare questa asserzione da un’altra prospettiva. Considerate la possibilità che venga scoperto un trattamento utilizzando trapianti di tessuto fetale che sia l’unica opzione per una determinata malattia.
Considerate una malattia come il Parkinson, che colpisce fino a 1 milione di persone solo negli Stati Uniti. Sulla base di uno studio clinico in Svezia, sono necessarie cellule di almeno 3-4 feti per trattare ogni paziente col Parkinson (15, 16). Quindi, dovrebbero essere abortiti 4 milioni di bambini per curare questa malattia, per non parlare del numero necessario per curare i pazienti in tutto il mondo.
Riuscite a immaginare l’entità della domanda di feti per curare un’altra malattia come l’Alzheimer, che colpisce 44 milioni di persone in tutto il mondo? Vogliamo davvero un mondo in cui i più vulnerabili, quelli senza voce, siano soggetti ai capricci, ai desideri e ai bisogni percepiti degli altri? Avremo creato la raccolta industrializzata di bambini non nati, un crimine contro la razza umana.
Considerate una malattia come il Parkinson, che colpisce fino a 1 milione di persone solo negli Stati Uniti. Sulla base di uno studio clinico in Svezia, sono necessarie cellule di almeno 3-4 feti per trattare ogni paziente col Parkinson. Quindi, dovrebbero essere abortiti 4 milioni di bambini per curare questa malattia, per non parlare del numero necessario per curare i pazienti in tutto il mondo
In terzo luogo, le ripetute assicurazioni che «sono in atto adeguate linee guida etiche» per evitare il collegamento tra l’aborto e la successiva ricerca sono del tutto inadeguate.
Acquistando prodotti di tessuto fetale, il ricercatore non è lontano dall’atto dell’aborto. Come recentemente descritto sulla rivista Nature (17), un ricercatore continua a pagare $ 830 per ogni campione di fegato fetale, un acquisto che deve fare ripetutamente. Alcuni anni fa, prima della recente copertura mediatica, era abbastanza facile andare sul sito web di un’azienda di biotecnologie e mettere quasi tutte le parti del corpo di un feto in un «carrello della spesa» e concludere l’acquisto. Quindi indipendentemente dal fatto che un ricercatore sia accanto al letto di chi decide di abortire o utilizzi una linea cellulare fetale creata decenni prima, acquistando questi prodotti di tessuto fetale gli scienziati stanno contribuendo a creare un mercato che guida il complesso dell’industria aborto-biotecnologia (18).
Inoltre, le esigenze della ricerca incidono direttamente sull’approvvigionamento di tessuto fetale. I tempi di raccolta del tessuto fetale, così come le procedure utilizzate per interrompere la gravidanza, sono fondamentali per ottenere tessuti di qualità ricercata e al giusto stadio di sviluppo fetale in base alle esigenze scientifiche. Ciò solleva importanti dubbi sul fatto che la salute della madre abbia la giusta priorità.
In sintesi, suggerisco di considerare quanto segue:
Acquistando prodotti di tessuto fetale, il ricercatore non è lontano dall’atto dell’aborto. Come recentemente descritto sulla rivista Nature (17), un ricercatore continua a pagare $ 830 per ogni campione di fegato fetale, un acquisto che deve fare ripetutamente
1) Proibire la ricerca che utilizza tessuto fetale da aborti indotti, ma fornire il supporto e le risorse necessarie per aiutare gli scienziati o le aziende biofarmaceutiche a effettuare transizioni verso fonti di tessuto etiche.
2) Sostenere la creazione e il continuo successo di istituzioni che adottano ricerche che utilizzano solo fonti etiche di tessuto. Mi vengono in mente istituzioni come il Midwest Stem Cell Therapy Center. Durante i miei anni come revisore delle sovvenzioni per il NIH, sono stata continuamente ispirata dalla brillantezza e dall’innovazione dei miei colleghi scienziati. L’applicazione di questo genio nel contesto delle vie di ricerca etiche dovrebbe essere incoraggiata ed è sicuro che porterà a scoperte sorprendenti che si riveleranno le migliori per la società.
3) Ordinare la trasparenza nell’etichettatura di tutti i materiali scientifici, farmaci e prodotti cosmetici per quanto riguarda la provenienza del materiale utilizzato per lo sviluppo o la produzione. Questo farà aumentare la consapevolezza e proteggerà i diritti di coscienza per scienziati, pazienti e consumatori che non vogliono essere corrotti da tali pratiche.
Infine, concludo con ciò che è essenziale. Ogni vita umana è sacra, ha una dignità fondamentale che non dipende dal suo stadio di sviluppo o dalle sue capacità. Questo valore appartiene a tutti indistintamente dal primo momento dell’esistenza.
Ogni vita umana è sacra, ha una dignità fondamentale che non dipende dal suo stadio di sviluppo o dalle sue capacità. Questo valore appartiene a tutti indistintamente dal primo momento dell’esistenza
Ogni vita umana è unica e irripetibile, creata dal nostro amorevole Dio a sua immagine e somiglianza. Niente, nessuna persona, nessun argomento e nemmeno una scoperta scientifica o una cura, può sminuire il fatto che utilizzare embrioni o feti umani come oggetti o mezzi di sperimentazione costituisce un assalto alla loro dignità di esseri umani, che hanno diritto allo stesso rispetto dovuto a ogni persona (19).
Rispettosamente,
Kathleen M. Schmainda PhD
Bibliografia
1) Vaccines using aborted fetal cell lines. Children of God for Life November 2015; disponibile su: https://cogforlife.org/wp-content/uploads/vaccineListOrigFormat.pdf.
2) Agrawal, V. and M. Bal, Strategies for Rapid Production of Therapeutic Proteins in Mammalian Cells. BioProcessTechnical, 2012. 10(4): p. 32-48.
3) Li, F., et al., Cell culture processes for monoclonal antibody production. MAbs, 2010. 2(5): p. 466-79.
4) Stem Cell Research Facts. 2016; disponibile su: http://www.stemcellresearchfacts.org/treatment-list/.
5) Gratwohl, A., et al., One million haemopoietic stem-cell transplants: a retrospective observational study. Lancet Haematol, 2015. 2(3): p. e91-e100.
6) Halleux, C., et al., Multi-lineage potential of human mesenchymal stem cells following clonal expansion. J Musculoskelet Neuronal Interact, 2001. 2(1): p. 71-6.
7) Boston Childrens Hospital Adult Stem Cells 101: Where do we get adult stem cells? 2016; disponibile su: http://stemcell.childrenshospital.org/about-stem-cells/adult-somaticstem-cells-101/where-do-we-get-adult-stem-cells/.
8) Pineault, N. and A. Abu-Khader, Advances in umbilical cord blood stem cell expansion and clinical translation. Exp Hematol, 2015. 43(7): p. 498-513.
9) Rosner, M., K. Schipany, and M. Hengstschlager, The decision on the “optimal” human pluripotent stem cell. Stem Cells Transl Med, 2014. 3(5): p. 553-9.
10) Hodgetts, S.I., et al., Long live the stem cell: the use of stem cells isolated from post mortem tissues for translational strategies. Int J Biochem Cell Biol, 2014. 56: p. 74-81.
11) Genzyme and Osiris Partner to Develop and Commercialize First-In-Class Adult Stem Cell Products. 2008; disponibile su: http://investor.osiris.com/releasedetail.cfm?releaseid=345147.
12) Leary, W.E., Fetal Tissue Injected into Injured Spinal Cord, in The New York Times. 12 luglio 1997, The New York Times Company: New York.
13) Thompson, F.J., et al., Neurophysiological assessment of the feasibility and safety of neural tissue transplantation in patients with syringomyelia. J Neurotrauma, 2001. 18(9): p. 931-45.
14) Wirth, E.D., 3rd, et al., Feasibility and safety of neural tissue transplantation in patients with syringomyelia. J Neurotrauma, 2001. 18(9): p. 911-29.
15) Kolata, F., Fetal Tissue Seems to Aid Parkinson Patient, in The New York Times. 2 febbraio 1990.
16) Lindvall, O., et al., Neural transplantation in Parkinson’s disease: the Swedish experience.Prog Brain Res, 1990. 82: p. 729-34.
17) Wadman, M., The truth about fetal tissue research. Nature, 2015. 528(7581): p. 178-81.
18) Wong, A., The ethics of HEK 293. Natl Cathol Bioeth Q, 2006. 6(3): p. 473-95.
19) Giovanni Paolo II, The Gospel of Life: Evangelium Vitae. 1995: Pauline Books and Media. 176.
*Le opinioni espresse sono mie e non rappresentano le opinioni ufficiali del Medical College of Wisconsin.
Traduzione di Alessandra Boni
Bioetica
Morte cerebrale, trapianti, predazione degli organi, eutanasia: dai criteri di Harvard alla nostra carta d’identità

Renovatio 21 pubblica la relazione del nostro collaboratore Alfredo De Matteo alla Conferenza «Il Dramma dell’eutanasia» organizzata da Federvita Piemonte a Torino lo scorso 11 ottobre.
Il tema che mi è stato assegnato è molto vasto e pieno di implicazioni mediche, giuridiche, etiche e filosofiche ed è pertanto molto difficile condensarlo nel tempo previsto per un singolo intervento. Mi perdonerete se tratterò questioni complesse in maniera non esaustiva, ma spero comunque che la mia esposizione risulti chiara, soprattutto nelle sue conclusioni.
Prima di affrontare lo spinoso tema della morte cerebrale e dell’espianto di organi vitali credo sia opportuno definire il concetto di «morte». Tradizionalmente, essa viene identificata con la cessazione di tutte le funzioni vitali di un organismo, che sono essenzialmente riconducibili a tre: sistema nervoso, respiratorio e circolatorio, ossia la cosiddetta tripode vitale. Tuttavia, la morte non è un evento che può essere osservato nel momento in cui si verifica ma solamente a posteriori, ossia dopo che essa è già avvenuta.
In altre parole, per avere la certezza dell’avvenuto decesso di un essere umano è necessario che vengano riscontrati sul cadavere i segni inequivocabili della morte, ossia l’inizio del processo di decomposizione del corpo: l’algor mortis (il raffreddamento del corpo), il rigor mortis (la rigidità cadaverica) e il livor mortis (il ristagno e la coagulazione del sangue). Tali segni rappresentano il punto di non ritorno alla vita.
La morte infatti è un evento complesso poiché l’uomo, in virtù dell’unione sostanziale con un’anima spirituale, non è un semplice agglomerato di organi, tessuti e funzioni né il suo principio vitale può essere ridotto alla funzionalità dei suoi organi o di un singolo organo. È possibile ritenere certamente viva una persona cosciente e certamente morto un corpo putrefatto o allo stato iniziale della putrefazione. La morte, intesa come il distacco dell’anima dal corpo, è collocabile nello spazio temporale compreso tra questi due stati. Un terzo stato dell’essere tra la vita e la morte, semplicemente, non esiste.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
La civiltà occidentale nel corso dei secoli ha uniformato il suo diritto e la sua morale alla tradizione filosofica secondo cui l’essere umano è composto, appunto, di anima e corpo e ha nell’anima razionale il principio vitale che lo caratterizza. È bene ribadire che questo principio vitale di natura spirituale, pur essendo nel corpo, non si trova nel cuore, nel cervello né in qualsiasi altro organo, tessuto o funzione.
Ciò che sostanzia l’uomo non è dunque l’intelletto, né l’autocoscienza e neppure l’interazione sociale, come ci vogliono far credere, bensì l’anima razionale che contiene in potenza l’uso di tutte queste funzioni. La vita umana inizia con l’infusione dell’anima nel corpo e termina con la separazione da esso, nel momento in cui l’organismo si dissolve nei suoi elementi.
I casi di morte apparente, ossia di ritorno alla vita dopo diverse ore in cui sono scomparse tutte le manifestazioni vitali, stanno a dimostrare che fra il momento della morte accertata e quella reale esiste sempre e comunque un periodo più o meno esteso di vita latente.
A partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, l’avvento delle moderne tecniche di rianimazione ha permesso di salvare la vita di un gran numero di persone destinate a morte certa. In particolare, la ventilazione artificiale ha consentito di supportare la respirazione di tutti quei pazienti che sono parzialmente o totalmente incapaci di respirare spontaneamente.
Tuttavia, la diffusione in ambito ospedaliero di queste nuove procedure rianimatorie ha sollevato la questione di cosa fare con tutte quelle persone che sopravvivono grazie ad esse ma che non mostrano, almeno apparentemente, alcun segno di attività cerebrale e la cui prognosi risulta infausta. Parallelamente, proprio in quegli anni, alcuni chirurghi cominciarono a sperimentare la tecnica dei trapianti di organi.
Figura di spicco in questo ambito fu l’ambizioso chirurgo sudafricano Christiaan Barnard, il quale nel 1959 riuscì a portare a termine il primo trapianto di rene in Sudafrica dopo che esso era già stato effettuato con successo negli Stati Uniti nel 1953. Barnard sperimentò per anni, in gran segreto, il trapianto di cuore sugli animali, cercando di affinare la tecnica.
Il primo trapianto di cuore al mondo venne effettuato il 3 dicembre 1967: il cuore di Denise Darvall, una giovane donna caduta in coma considerato irreversibile, venne impiantato nel corpo di un atleta lituano affetto da una grave patologia cardiaca e prese a funzionare regolarmente. Il ricevente l’organo morì dopo soli 18 giorni a causa di una grave polmonite, ma la notizia fece comunque il giro del mondo e Barnard divenne una stella di fama internazionale. A questo punto però, c’era da risolvere il problema legale legato ai trapianti di organi vitali. Infatti, i chirurghi e le équipe mediche che effettuavano tali interventi correvano il rischio di venire incriminati per omicidio in quanto gli organi venivano prelevati a cuore battente e dunque da soggetti ancora in vita.
A tale scopo la comunità scientifica internazionale convocò, nel 1968, una commissione ad hoc, la famosa commissione di Harvard, composta da un certo numero di professionisti di diversa estrazione (tra costoro figurava anche uno storico), che venne incaricata di redigere un nuovo criterio di morte, basato sulla cessazione di tutte le funzioni encefaliche. La commissione stabilì, nell’agosto di quell’anno, che potevano essere dichiarate decedute non solamente le persone che non presentavano più alcun segno vitale ma anche quelle le cui sole funzioni cerebrali risultavano irrimediabilmente e irreversibilmente compromesse.
In pratica, l’escamotage utilizzato della comunità scientifica internazionale fu quello di dichiarare morte le persone ancora vive.
La commissione non presentò, di fatto, alcun argomento decisivo a supporto della nuova definizione di morte (del resto come avrebbe potuto?). Furono gli stessi membri del comitato di Harvard ad ammetterlo attraverso le seguenti dichiarazioni: «il peso è più grande per i pazienti che soffrono della perdita permanente dell’intelletto, per le loro famiglie, per gli ospedali, e per quanti hanno bisogno di posti letto già occupati da altri pazienti comatosi (…) Criteri obsoleti per la definizione di morte possono portare a controversie nell’ottenere organi per il trapianto».
Dunque, l’introduzione del criterio della morte cerebrale o encefalica non fu il risultato di una riflessione teorica e filosofica sulla morte, ma piuttosto della volontà di risolvere due esigenze di natura pratica: contenere il numero dei pazienti bisognosi di cure adeguate a lungo termine e legittimare l’espianto degli organi vitali.
Passiamo ora ad analizzare le principali criticità di un costrutto artificiale che, è bene ricordare, non è mai stato validato da un punto di vista scientifico ma che anzi si pone sfacciatamente contro l’evidenza dei fatti.
Iscriviti al canale Telegram
Innanzitutto, esso si basa sulla tesi secondo cui il principio vitale dell’uomo risiede nel cervello. Sulla base di tale assunto, questo meraviglioso e complesso organo rappresenterebbe, per così dire, la centralina che regola il funzionamento dell’organismo umano. Un cervello le cui funzioni sono totalmente e irrimediabilmente compromesse decreterebbe la fine dell’essere umano come un insieme integrato. In quest’ottica, i segni vitali ancora presenti nell’individuo dichiarato cerebralmente morto costituirebbero dei meri riflessi e/o funzioni mantenute in maniera artificiale mediante il supporto farmacologico o l’ausilio di macchinari.
Tuttavia, non si capisce come possa un organismo completamente disgregato, un ammasso di organi senza più alcun coordinamento centrale, mantenere inalterate praticamente tutte le funzioni di base. Ad esempio, sia il sistema metabolico che quello immunitario dei pazienti dichiarati cerebralmente morti risultano perfettamente funzionanti. Il presunto cadavere conserva responsività agli stimoli e può anche mostrare dei movimenti spontanei come il cosiddetto fenomeno di Lazzaro, durante il quale egli compie dei movimenti anche ben coordinati che lasciano supporre il coinvolgimento del cervelletto e delle aree superiori dell’encefalo. Inoltre, vengono spesso rilevate nel soggetto in morte cerebrale delle risposte che di norma sono mediate dal tronco encefalico, come l’aumento della frequenza del battito cardiaco e della pressione sanguigna sia all’inizio che nel corso dell’intervento per la rimozione degli organi.
La presenza di movimenti spontanei nella persona che viene sottoposta all’espianto è tale che durante l’operazione è sempre necessario paralizzarla e in alcuni casi si provvede a sedarla. A ben vedere, il soggetto è anche in grado di respirare visto che ciò che ha smesso di funzionare, almeno temporaneamente, sono solamente i centri respiratori ma non la sua capacità di metabolizzare l’ossigeno.
Addirittura, le donne incinte possono portare a termine la gravidanza. Recentemente, si è verificato il caso di una donna di Atlanta incinta di due mesi, dichiarata cerebralmente morta a seguito di un malore, e «costretta» a vivere (può continuare a vivere una persona dichiarata morta?) per quattro mesi perché la legge vigente in Georgia vieta l’aborto in presenza di battito cardiaco del feto. La gravidanza non è uno stato che richiede necessariamente un alto livello di integrazione corporea? E ancora: è logico anche solo ipotizzare che un morto sia in grado di custodire e generare la vita?
Ma c’è un’ulteriore difficoltà nel considerare il cervello come sede dell’essere: visto che esso è l’organo che nello sviluppo fetale si forma più tardi (intorno al terzo mese della gravidanza), come è possibile ritenere imprescindibile alla vita il funzionamento dell’encefalo? In sostanza, nella nuova definizione di morte commissionata agli «esperti» di Harvard, al cervello viene arbitrariamente attribuito il ruolo che compete invece all’anima razionale, ossia dirigere e governare tutti gli organi e le funzioni che compongono l’organismo umano.
Con l’introduzione del rivoluzionario criterio della morte cerebrale, il cogito ergo sum di cartesiana memoria entra prepotentemente nel diritto e nella prassi medica, finendo per relegare l’essere umano nell’angusto ambito dell’autocoscienza. Di conseguenza, a prescindere dalla condizione clinica e dallo stato di coscienza in cui si viene a trovare un determinato soggetto, il suo diritto alla vita è subordinato alla «qualità» della sua esistenza, che si fonda essenzialmente sulle sue capacità intellettive. I casi relativamente recenti di Vincent Lambert in Francia, di Charlie Gard e Alfie Evans in Inghilterra, di Eluana Englaro in Italia, stanno a dimostrare che una volta ridefinito il criterio di accertamento della morte si è passati consequenzialmente a ridefinire il significato stesso di essere umano, attraverso l’arbitraria distinzione tra vite degne e indegne di essere vissute.
Ma c’è un secondo grosso nodo da sciogliere nella nuova definizione di morte. Come si fa a stabilire con assoluta certezza che il cervello ha definitivamente smesso di funzionare? Allo stato attuale delle conoscenze, siamo in grado di accertare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che tutte le funzioni cerebrali di un paziente clinicamente morto siano irreversibilmente compromesse?
Nel 2017 la rivista Current Biology ha reso noto un esperimento scientifico condotto dalla neuroscienziata Angela Sirigu, la quale è riuscita a recuperare la coscienza di un paziente in stato vegetativo attraverso una serie protratta nel tempo di elettrostimolazioni del nervo vago. La particolarità dell’esperimento effettuato dalla ricercatrice italiana è dovuta al fatto che il paziente non aveva più alcun contatto con il mondo esterno da ben 15 anni e la sua condizione era considerata irreversibile.
Anche secondo la neurologa Silvia Marino, la quale è riuscita attraverso la somministrazione di stimoli di vario genere a far passare un certo numero di pazienti dallo stato cosiddetto vegetativo a quello di minima coscienza, il termine irreversibile applicato ai disturbi della coscienza non è più utilizzabile. Dunque?
Sostieni Renovatio 21
In ogni caso, anche qualora si riuscisse a provare l’assenza di qualsiasi funzione cerebrale, è comunque privo di fondamento, come abbiamo visto, ritenere che la morte dell’encefalo sia un indicatore della morte di tutto l’organismo. Pensate, che anni fa si verificò il caso di un bambino entrato in stato di morte cerebrale all’età di quattro anni e morto, senza aver mai ripreso a respirare autonomamente, quando ne aveva ventitré!
Sulla base di questo e di altri casi simili è veramente difficile continuare a sostenere la tesi che un cervello funzionante sia la condizione necessaria per la vita di un essere umano. Tra l’altro, la stessa comunità scientifica è divisa su quali aree del cervello è necessario prendere in considerazione per decretare la morte cerebrale di un individuo.
Nel celebre documento di Harvard, la morte viene definita come la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo (morte cerebrale totale), ma dato che i criteri clinico-strumentali adoperati per accertarla non sono in grado di rilevare effettivamente la cessazione irreversibile di tutte le funzioni encefaliche, un neurologo inglese arrivò alla conclusione che fosse sufficiente accertare la distruzione del solo tronco encefalico (tesi anch’essa priva di fondamento scientifico).
Il risultato è che in alcuni paesi, tra cui l’Italia, è obbligatorio effettuare l’EEG, un esame diagnostico che misura e registra l’attività elettrica cerebrale, mentre in altri, come l’Inghilterra, esso non è ritenuto necessario. In effetti, oltre al fatto che un tracciato elettroencefalografico può essere normale anche se piatto (ad esempio, adulti ansiosi o neonati possono presentare un tracciato piatto non patologico), le modalità di registrazione elettroencefalografica non garantiscono risultati certi, dal momento che essi possono essere influenzati da diversi fattori, tra cui l’effetto tampone provocato da importanti addensamenti di sangue all’interno del cranio.
Non solo, il limite dei 2 microvolts di attività elettrica cerebrale sotto cui non ci sarebbe la vita costituisce una soglia convenzionale valida solo ai fini legali, visto che essa non corrisponde ad un ipotetico zero strumentale e visto che i risultati dell’esame elettroencefalografico dipendono anche dalle cangianti tarature degli apparecchi e dall’impossibilità tecnica di amplificare segnali elettrici più bassi.
Un capitolo a parte è rappresentato dalle procedure atte a stabilire la morte cerebrale. Innanzitutto, è possibile constatare come la morte da evento naturale, oggettivo ed osservabile sia stata di fatto trasformata in un evento artificiale, niente affatto oggettivo né tantomeno osservabile, ma riscontrabile unicamente attraverso la tecnica medica.
In altri termini, la morte viene tolta allo sguardo dell’uomo e confinata nei reparti di rianimazione degli ospedali. Ciascuno di noi, in un modo o nell’altro, ha fatto l’esperienza della morte e ciascuno di noi è capace di riconoscerla, indipendentemente dal livello di istruzione o dalle conoscenze nel campo della medicina.
Un corpo freddo, bianco e rigido è certamente quello di un cadavere, mentre un corpo caldo, colorito e con un cuore che pulsa è certamente quello di una persona viva. Ebbene, con l’introduzione del nuovo criterio l’accertamento della morte diventa una questione riservata esclusivamente agli addetti ai lavori.
Anzi, a ben vedere nemmeno i medici sono in grado di stabilire se un uomo è deceduto oppure no (ai sanitari spetta solo il compito di applicare pedissequamente i protocolli); a certificarlo sono unicamente dei test clinici effettuati con specifici macchinari.
Ma quali sono questi test? In cosa consistono?
Innanzitutto, la prima cosa da rilevare è che essi non sono gli stessi in tutti i paesi del mondo oppure vengono applicati in maniera differente. Ad esempio, il tempo di osservazione della morte, il cosiddetto silenzio cerebrale, varia da paese a paese e va da un minimo di due ore di osservazione ad un massimo di sei ore.
Abbiamo già visto come in alcuni paesi l’elettroencefalogramma è obbligatorio ai fini della dichiarazione di morte mentre in altri non lo è. Per quanto riguarda la cosiddetta morte cardiaca (di cui parleremo meglio più avanti) il tempo di arresto necessario affinché si possa decretare la morte del cervello per mancanza di ossigeno è di 20 minuti in Italia, mentre è di soli 5 minuti in Spagna e in altri paesi.
È dunque possibile affermare senza timore di smentita che, in linea teorica, lo stesso paziente può essere dichiarato morto in Inghilterra o in Spagna e vivo in Italia (alla faccia dell’oggettività della morte cerebrale).
Aiuta Renovatio 21
Vale la pena soffermarsi su una procedura in particolare: il famigerato test di apnea, l’ultimo esame diagnostico che viene effettuato al termine dell’esplorazione dei riflessi del tronco encefalico, quando questi risultano assenti.
L’obiettivo del test è dimostrare la perdita della funzione del centro del respiro situato a livello bulbare attraverso l’accumulo di CO₂. In pratica, il paziente viene disconnesso dal respiratore e, una volta raggiunto un certo valore soglia di CO₂ nel sangue, se non si attiva la respirazione spontanea viene dichiarata la morte encefalica.
Per la legge italiana questo «esame» deve essere effettuato per ben due volte, all’inizio e al termine del periodo di osservazione.
Le linee guida per l’esecuzione del test di apnea raccomandano di sostituirlo con il test di flusso cerebrale qualora, nonostante le opportune precauzioni, la procedura causi la comparsa di gravi complicanze tali da compromettere seriamente le funzioni biologiche del paziente (quindi il fatto che sia potenzialmente letale è scritto nero su bianco)
Pertanto, l’attivazione di una simile procedura in un paziente con estremo bisogno di cure non è esattamente un toccasana per la sua salute. Spesso, infatti, il test di apnea non fa che peggiorare il quadro clinico del paziente, riducendo se non addirittura azzerando le sue possibilità di recupero.
È un po’ come se una persona caduta in una piscina venisse salvata dalla morte per annegamento attraverso le tecniche di rianimazione cardiopolmonare, per poi essere gettata di nuovo nella piscina al fine di verificare la sua capacità di riemergere dall’acqua per riuscire a respirare…
Non rappresenta, domandiamo, una chiara violazione dei diritti del malato sottoporre il comatoso a dei test potenzialmente letali quando egli, fino a prova contraria, è ancora in vita?
Non solo: quando il paziente viene sottoposto ai test di accertamento deve essere libero dai farmaci che possono influenzare lo stato di coscienza o deprimere la respirazione. In altri termini, al paziente vengono sospese le cure.
C’è da sottolineare poi un fatto: di norma, le procedure di accertamento della morte encefalica vengono attivate molto in fretta, ossia poco tempo dopo il ricovero in ospedale; parliamo di pochi giorni o addirittura poche ore.
Allora ci si domanda: perché tutta questa fretta nell’avviare i protocolli e attivare una serie di procedure che non sono a rischio zero per i pazienti, ma che possono causare loro ulteriori danni?
C’è il fondato sospetto che questa immotivata celerità nel dichiarare la morte cerebrale risponda all’esigenza di evitare che la vittima possa dare segni di ripresa – ovvero che esca dal coma – rendendo vani gli sforzi delle strutture sanitarie nel reperire organi freschi da trapianto.
È noto come i centri autorizzati ad effettuare i trapianti sparsi nel territorio abbiano dei budget di produzione da rispettare e come il raggiungimento di questi obiettivi sia necessario all’acquisizione di rilevanti finanziamenti pubblici e privati. Del resto, i direttori generali delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere sono dei veri e propri manager d’azienda.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
A questo punto è quanto mai opportuno porsi la seguente domanda: per la legge, siamo tutti potenziali donatori di organi?
Dunque, la normativa italiana ha stabilito il principio del consenso o dissenso esplicito, sulla base di cui ad ogni persona maggiorenne viene data la possibilità di dichiarare validamente la propria volontà in merito alla cosiddetta donazione degli organi.
Nello specifico, la legge 91/99 agli articoli 4 e 5 ha istituito il principio del silenzio-assenso, in base a cui la mancata dichiarazione di volontà viene considerata come consenso alla donazione. Tuttavia, tale enunciato non può essere applicato, in quanto – come previsto dalla legge stessa – non è stata ancora costituita un’anagrafe informatizzata che consenta la notifica ad ogni cittadino, da parte di un Pubblico Ufficiale, di un modulo per la dichiarazione di volontà.
Per cui, allo stato attuale, le principali modalità con cui è possibile esprimersi in un senso o nell’altro sono le seguenti:
- presso gli uffici comunali, firmando un apposito modulo predisposto al momento del rilascio o del rinnovo della carta d’identità;
- presso gli sportelli delle Aziende sanitarie locali;
- attraverso una dichiarazione in carta libera completa di tutti i dati personali, datata e firmata.
Le dichiarazioni di volontà sono considerate valide ai sensi di legge e sono registrate all’interno del Sistema Informativo Trapianti.
Nel caso in cui si scelga di non esprimersi secondo le modalità previste, il consenso viene chiesto ai parenti più stretti o agli aventi diritto. Pertanto, l’espianto può essere effettuato solo in presenza di un esplicito consenso.
È dunque sufficiente opporsi al trapianto per sfuggire alla trappola della morte cerebrale? Purtroppo no. Anche in caso di mancato assenso alla donazione, la legge impone il distacco dai supporti vitali del soggetto dichiarato cerebralmente morto, il quale viene così lasciato morire per mancanza di cure (del resto se il paziente è dichiarato deceduto deve essere necessariamente trattato alla stregua di un cadavere, quantomeno per coerenza).
Comunque, malgrado la massiccia propaganda massmediatica messa in atto dalle istituzioni – che tende a far leva sui sentimenti e sull’emotività per tentare di convincere più cittadini possibili a diventare donatori di organi (la cosiddetta «cultura del dono») – la percentuale di opposizioni ai trapianti si attesta, almeno nel nostro paese, intorno al 40% (una percentuale decisamente alta).
È anche per tale motivo che la macchina delle predazioni è sempre alla ricerca di nuove tecniche per reperire organi. Una di queste è la cosiddetta donazione a cuore fermo (donation after cardiac death o DCD), che mette in evidenza lo stretto legame tra la predazione degli organi e l’eutanasia.
Schematicamente, esistono due tipi di donatori a cuore fermo: controllati e non controllati.
La DCD non controllata concerne tutti i pazienti nei quali la morte per arresto cardiaco avviene in modo improvviso, solitamente fuori dall’ospedale o in pronto soccorso. In tali situazioni non è possibile controllare l’evento acuto che determina la morte e non è possibile studiare clinicamente il paziente come potenziale donatore, per cui a differenza degli altri organi il cuore non può essere prelevato.
Iscriviti al canale Telegram
Diverso è il caso della DCD controllata, in cui l’arresto cardiaco è atteso, ossia previsto. Essa fa seguito alla sospensione dei trattamenti intensivi a motivo della loro supposta mancanza di proporzionalità. In altre parole, il malato viene staccato dai supporti vitali, in particolare dal supporto ventilatorio, in una circostanza prevista e medicalmente controllata.
In questo caso il cuore è sano e può essere prelevato dopo i venti minuti di assenza di battito e di circolo, come prescritto dalla legge italiana. Il muscolo cardiaco, già prima del prelievo e del trapianto, viene accuratamente valutato e spesso collegato ad un sistema di circolazione artificiale che permette di verificarne la funzionalità in vista del trapianto.
In pratica, si tratta di pazienti terminali che non soddisfano i criteri della morte encefalica e che hanno in qualche modo manifestato la loro volontà di sospendere i sostegni vitali, oppure che siano stati i familiari (si discute tanto in Italia di questi tempi di rischio eutanasico ma come possiamo constatare l’eliminazione programmata del malato terminale già viene fatta e sotto l’egida della legge).
In un articolo pubblicato sul New York Times il 20 luglio scorso sono stati riportati diversi casi di pazienti la cui morte è stata programmata in anticipo affinché potessero diventare donatori di organi.
C’è da considerare che il periodo di mancanza di battito cardiaco considerato necessario affinché l’ipossia danneggi irreversibilmente il tessuto cerebrale varia, in America, dai due ai cinque minuti, quando l’esperienza clinica dimostra che il cuore può riprendere a battere anche diverso tempo dopo.
In un caso descritto dal New York Times, una donna sottoposta alla DCD controllata ha cominciato ad ansimare in cerca d’aria mentre i chirurghi le segavano lo sterno e il suo cuore ha ripreso a battere. A quel punto l’operazione è stata annullata e dodici minuti dopo la sfortunata signora è stata dichiarata morta per la seconda volta.
Ora, è necessario comprendere che il problema non è solamente legato alla rigorosità delle procedure di accertamento o al fatto che ci sono casi come quelli descritti negli USA in cui le diagnosi di morte risultano, per così dire, «affrettate».
Il problema vero è la definizione stessa di morte cerebrale e la concezione filosofica dell’essere umano che c’è dietro.
E visto che non c’è, né ci potrà mai essere, un protocollo universalmente valido con cui si possa accertare ciò che semplicemente non esiste in natura, le scorciatoie procedurali per rendere più facile l’approvvigionamento degli organi sono inevitabili e tenderanno sempre più ad essere utilizzate in ambito ospedaliero.
A dimostrazione di quanto sia presente tale deriva, sempre il New York Times ha pubblicato un editoriale dal titolo: «Donor Organs Are Too Rare. We Need a New Definition of Death» («Gli organi donati sono troppo rari. Abbiamo bisogno di una nuova definizione di morte»), in cui alcuni cardiologi di fama mondiale sembrano lanciare un appello affinché la comunità scientifica elabori una nuova definizione di morte. Di seguito un breve estratto:
«Una persona può diventare donatrice di organi solo dopo essere stata dichiarata morta (…) La morte cerebrale è tuttavia rara (…) La soluzione, a nostro avviso, è ampliare la definizione di morte cerebrale per includere i pazienti in coma irreversibile sottoposti a supporto vitale».
«Le funzioni cerebrali più importanti per la vita sono la coscienza, la memoria, l’intenzione e il desiderio» – continuano i cardiologi intervistati – «Una volta che queste funzioni cerebrali superiori sono irreversibilmente perdute, non è forse corretto affermare che una persona (in contrapposizione a un corpo) ha cessato di esistere?»
È dunque evidente come la nuova definizione di morte sdoganata dai cosiddetti esperti di Harvard contenga al suo interno tutte le premesse per un suo superamento.
Infatti, privata del fine soprannaturale, l’esistenza umana perde il suo valore intrinseco e finisce per acquisire significato solamente in relazione a quanto essa può essere utile a qualcun altro.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Ambiente
Studi sui metodi per testare le sostanze chimiche della pillola abortiva nelle riserve idriche

Sostieni Renovatio 21
Iscriviti al canale Telegram
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Bioetica
Aborto, il governo spagnuolo chiede la lista degli obiettori di coscienza

La Spagna ha richiesto la creazione di registri per i medici che rifiutano di praticare aborti, suscitando proteste da parte dei professionisti pro-life, che considerano la misura un tentativo di stilare una «lista nera».
Il primo ministro Pedro Sánchez ha recentemente scritto ai presidenti delle regioni a guida conservatrice, invitandoli a «istituire un registro degli obiettori di coscienza all’aborto», come riportato da OSV News.
Questa iniziativa segue una legge che obbliga tutti gli ospedali pubblici spagnuoli a effettuare aborti, con l’obiettivo di migliorare l’accesso alla procedura nelle aree dove è difficile trovare medici disponibili a praticarla.
Ad esempio, nella regione di La Rioja, a lungo governata dai conservatori, la maggior parte dei medici degli ospedali pubblici si è rifiutata di eseguire aborti per obiezione di coscienza. «Il problema era che tutto il personale sanitario si opponeva agli aborti, anche nelle cliniche private», ha dichiarato a Euronews nel 2023 Izaskun Fernández Núñez, presidente del gruppo Donne Progressiste di La Rioja.
Sostieni Renovatio 21
In Castiglia e León, cinque delle nove province «non avevano registrato un solo aborto dal 2010» fino al rapporto del 2023. «Le donne non potevano accedere all’aborto nella loro provincia, nemmeno pagando o rivolgendosi a cliniche private», ha spiegato Nina Infante Castrillo, vicepresidente del Forum femminista di Castiglia e León.
Questi dati hanno spinto il governo a imporre l’obbligo di registrazione degli obiettori di coscienza in tutte le comunità autonome, con una scadenza di tre mesi. Sánchez ha avvertito che, in caso di mancata compilazione dei registri, «saranno attivati i meccanismi legali per garantire il rispetto della norma». «Il rispetto della coscienza dei professionisti sanitari non deve mai ostacolare l’assistenza sanitaria delle donne» ha aggiunto.
I difensori dell’obiezione di coscienza hanno definito la misura incostituzionale e una «lista nera». «Qualunque cosa dica il primo ministro, l’obiezione di coscienza è un diritto costituzionale. Chi può obbligare i cittadini a registrarsi in un elenco non richiesto nemmeno dalla Corte Costituzionale? Si tratta solo di espedienti», ha dichiarato José Antonio Díez, coordinatore generale dell’Associazione Nazionale per la Difesa del Diritto all’Obiezione di Coscienza (ANDOC), alla testata cattolica Alpha y Omega.
«Perché non creare un elenco di medici disposti a praticare aborti ed eutanasia, che sarebbe più pratico? Questi registri di obiettori sono liste nere per escludere professionalmente i medici che esercitano il loro diritto», ha aggiunto Eva Martín, presidente di ANDOC, citata da Alpha y Omega.
Secondo i dati del ministero della Salute, in Ispagna i tassi di aborto sono in aumento, avvicinandosi al picco del 2011. Nel 2023 sono stati registrati 103.097 aborti, con un incremento del 4,8% rispetto al 2022 e dell’8,7% rispetto al 2014.
L’aborto è legale in Spagna, con alcune restrizioni, dal 1985, e il numero di procedure è più che raddoppiato, passando da 54.000 nel 1998 a 112.000 nel 2007. Nel 2010, il governo socialista di José Luis Rodríguez Zapatero ha ulteriormente liberalizzato la legge, consentendo l’aborto fino alla 14ª settimana di gravidanza, con estensioni fino alla 22ª settimana in caso di rischi per la salute della madre o di «gravi disabilità» del feto.
In Italia la situazione non è dissimile, con continui tentativi, compresi quelli dei sindacati lontani oramai anni luce dalla questione dei lavorativi, di limitare o cancellare l’obiezione di coscienza.
L’obiezione di coscienza, ritiene Renovatio 21, costituisce un compromesso non accettabile: chi «obietta» lascia tranquillamente che i bambini vengano trucidati dai colleghi nella stanza accanto, e quindi non si capisce esattamente in cosa credano gli «obiettori». Se pensano davvero che l’aborto sia omicidio, come possono vivere e lavorare tranquillamente in quegli spazi? Come possono magari pure andare fuori a pranzo con dei colleghi che hanno appena ammazzato degli esseri umani?
Si tratta della grottesca ipocrisia della legge 194/78, difesa oggi anche dai sedicenti «cattolici» perché appunto contiene la foglia di fico dell’obiezione, e più in generale dell’ipocrisia massimamente farisaica, e genocida, della Democrazia Cristiana e della sua opera.
Si aggiunga come, in Italia, l’obiezione agisce come una porta girevole carrieristica: il medico e l’infermiere diviene obiettore ad intermittenza, a secondo di chi sia il primario di turno.
La vera difesa della vita nascente non passa per la difesa dell’obiezione di coscienza – anzi, passa per la sua rimozione, di modo che quanti saranno costretti a praticare il diabolico feticidio di massa si sveglino e combattano per fermare il vero genocidio in atto.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine di PES via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-SA 2.0
-
Persecuzioni2 settimane fa
Il ministro israeliano Katz: suore e clero cristiano saranno considerati terroristi se non lasceranno Gaza
-
Immigrazione2 settimane fa
Mons. Viganò: storia delle migrazioni di massa come ingegneria sociale
-
Spirito2 settimane fa
Viganò: «Leone ambisce al ruolo di Presidente del Pantheon ecumenico della Nuova Religione Globale di matrice massonica»
-
Ambiente2 settimane fa
Cringe vaticano ai limiti: papa benedice un pezzo di ghiaccio tra Schwarzenegger e hawaiani a caso
-
Cancro1 settimana fa
Tutti i vaccini contro il COVID aumentano il rischio di cancro, conclude un nuovo studio
-
Civiltà2 settimane fa
«Pragmatismo e realismo, rifiuto della filosofia dei blocchi». Il discorso di Putin a Valdai 2025: «la Russia non mostrerà mai debolezza o indecisione»
-
Salute2 settimane fa
I malori della 40ª settimana 2025
-
Spirito1 settimana fa
Il vescovo Schneider: i cattolici devono adorare Cristo, non l’ideologia LGBT o l’agenda climatica