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Spirito

Le «differenze nella religione» fanno parte della «volontà di Dio nella creazione»: Bergoglio firma il documento kazako e lancia l’indifferentismo

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Papa Francesco si è unito ai leader ecumenici e politici nella firma di un documento in cui si afferma che  «il pluralismo e le differenze nella religione (…) sono espressioni della saggezza della volontà di Dio nella creazione».

 

La dichiarazione è stata il culmine del 7° Congresso dei Leader delle Religioni Mondiali e Tradizionali svoltosi in Kazakistan.

 

È stato letto ad alta voce dai responsabili del Congresso il 15 settembre, festa dell’Addolorata, dopo di che papa Francesco ha pronunciato un discorso che riprende i temi e il linguaggio della Dichiarazione.

 

La Dichiarazione, che papa Francesco si è unito nel firmare, contiene un paragrafo in cui si afferma che Dio ha voluto la pluralità delle religioni presenti nel mondo.

 

Il paragrafo 10 recita: «Noi notiamo che il pluralismo e le differenze nella religione, nel colore della pelle, nel sesso, nella razza e nella lingua sono espressioni della saggezza della volontà di Dio nella creazione. Pertanto, qualsiasi incidente di coercizione nei confronti di una particolare religione e dottrina religiosa è inaccettabile».

 

La Dichiarazione del Kazakistan appare come una ripetizione del documento di Abu Dhabi che Francesco e il l’imam di Al-Azhar, Ahmed el-Tayeb, hanno firmato nel febbraio 2019.

 

Il documento pare essere stato cambiato ore prima che il pontefice lo firmasse. In seguito, sarebbe stata trasmessa una nuova versione con il paragrafo 10 corretto.

 

Il nuovo paragrafo corretto scrive: «Rileviamo che il pluralismo in termini di differenze di colore della pelle, sesso, razza, lingua e cultura sono espressioni della saggezza di Dio nella creazione. La diversità religiosa è consentita da Dio e, pertanto, qualsiasi coercizione a una particolare religione e dottrina religiosa è inaccettabile».

 

Si tratta di cambiamenti di formulazione che ribaltano di non poco la teologia soggiacenti a queste parole.

 

Siamo in piena zona «indifferentismo», cioè quella teoria teologica per cui per una ragione o per l’altra, si può negare che sia dovere dell’uomo adorare Dio credendo e praticando l’unica vera religione.

 

Parente dell’indifferentismo è la corrente teologica, spuntata nell’Albione anglicana dopo la Restaurazione del 1660, che ritiene

 

Il Sillabo di  papa Pio IX nel 1864 condanna il Latitudinarismo come errore elencato al paragrafo III.

 

Monsignor Athanasius Schneider, vescovo ausiliare proprio di Astana cresciuto nel Centrasia sovietico sotto la persecuzione, ha risposto al Congresso ecumenico a cui ha partecipato di recente papa Francesco, affermando che il cattolicesimo è «l’unica vera religione in cui Dio ha comandato a tutte le persone di credere».

 

Parlando con Alexey Gotovskiy del canale TV cattolico EWTN fuori dalla Cattedrale di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso dell’arcidiocesi di Astana, il vescovo ausiliare ha dichiarato:

 

«Non siamo una delle tante religioni; siamo l’unica vera religione in cui Dio ha comandato a tutte le persone di credere. Non c’è altra via per la salvezza».

 

Durante il suo viaggio di ritorno in aereo, tuttavia, il Bergoglio è sembrato respingere le critiche del vescovo Athanasius Schneider al Congresso ecumenico al quale il pontefice ha recentemente partecipato in Kazakistan, dicendo che l’incontro è stato un modo per «onorare» la fede cattolica.

 

Ad una domanda, sempre del giornalista di EWTN Alexey Gotowsky, Bergoglio ha risposto con una raffica stordente di luoghi comuni e parole senza alcuna profondità.

 

«Qualcuno criticava e mi dicevano: questo è fomentare, far crescere il relativismo. Niente relativismo! Ognuno ha detto la sua, tutti rispettavano la posizione dell’altro, ma si dialoga come fratelli. Perché se non c’è dialogo c’è o ignoranza o guerra».

 

«Meglio vivere come fratelli, abbiamo una cosa in comune, siamo umani tutti. Viviamo come umani, bene educati: tu che pensi, io che penso? Mettiamoci d’accordo, parliamo, conosciamoci. Tante volte queste guerre malintese “di religione” vengono per mancanza di conoscenza».

 

«E questo non è relativismo, io non rinuncio alla mia fede se parlo con la fede di un altro, anzi. Io faccio onore alla mia fede perché la ascolta un altro e io ascolto».

 

Il Syllabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores («Elenco contenente i principali errori del nostro tempo», noto semplicemente come Sillabo) pubblicato da papa Pio IX nel 1864 scrive al paragrafo III («Indifferentismo, Latitudinarismo») che è errato sostenere che:

 

«XV. È libero a ciascun uomo di abbracciare e professare quella religione, che colla scorta del lume della ragione avrà riputato essere vera».

 

«XVI. Gli uomini nell’esercizio di qualsivoglia religione possono trovare la via della eterna salute, e conseguire l’eterna salute».

 

Come dire, i tempi sono cambiati…

 

 

 

Immagine screenshot da YouTube

 

 

 

 

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Spirito

50 anni delle Suore della Fraternità San Pio X

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Sabato 13 aprile 2024, don David Pagliarani, Superiore Generale della Fraternità San Pio X, ha celebrato presso il Seminario di Econe una messa di ringraziamento per il cinquantesimo anniversario della fondazione delle Suore della Fraternità. Quasi tutte le suore erano presenti a questo evento storico.

 

Nella sua omelia, don Pagliarani evoca la grandezza dell’eccezionale vocazione di Suora della Fraternità San Pio

 

 

 

 

 

Le Suore rendono omaggio a turno alla tomba di S.E. Mons. Lefebvre, cofondatore della loro Congregazione.

 

 

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagini da FSSPX.News

 

 

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Geopolitica

Armenia, Pasqua di tensioni tra la Chiesa e il primo ministro

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Pašinyan «predica» utilizzando salmi e immagini del Vangelo per difendere la sua politica. Karekin II e il clero gli rispondono che il suo compito è «guarire le ferite del suo popolo che subito gravi perdite». Dietro allo scontro la ferita della rinuncia al Nagorno Karabakh mentre è tornata a salire la tensione con l’Azerbaigian.   Molti sacerdoti della Chiesa Apostolica armena hanno reagito alla «predica politica» del primo ministro Nikol Pašinyan durante le celebrazioni della Pasqua, che in armeno è chiamata Zurb Zatik, «Liberazione dalla Sofferenza» e si celebra secondo il calendario gregoriano, in quanto gli armeni non hanno seguito gli ortodossi di tradizione bizantina nel difendere il «vecchio calendario». Lo stesso patriarca, il katholikos Karekin II, nel suo messaggio pasquale ha ammonito i fedeli che «ci troviamo in tempi difficili e pieni di imprevisti per l’Armenia».   La sera della vigilia pasquale, il Čragalujts, Pašinyan ha incontrato i membri del suo partito dell’Accordo Civile nella città di Artašat, centro amministrativo della regione di Ararat, e nel corso della discussione ha fatto ricorso inaspettatamente al Discorso della Montagna di Gesù, dichiarando che «la dimensione politica delle fondamenta del cristianesimo per me non è meno importante di quella spirituale», in quanto «Gesù Cristo non è soltanto il Figlio di Dio, ma anche la figura ideale del leader».   Il Signore era anche «un grandissimo rivoluzionario, che per un certo periodo è andato in giro per il mondo, cambiandolo profondamente con le sue azioni». Il premier ha quindi paragonato il destino del Salvatore con quello del suo partito, che diverse volte «era morto» e poi «è sempre risorto», vedendo un particolare significato nelle parole del Vangelo che proclamano «Beati i perseguitati per la giustizia, poiché di essi è il Regno dei Cieli», parole «che mi hanno sempre dato tanta forza nei momenti più difficili», ha concluso Pašinyan.

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In questi giorni diversi membri del clero hanno commentato queste parole, a cominciare dal capo del servizio informativo della curia di Ečmjadzin, la sede patriarcale, il sacerdote Esai Artenyan, che ha ricordato come «Cristo fu crocifisso proprio perché non voleva essere un rivoluzionario, e prendere il potere… nel Vangelo ci sono molte testimonianze del fatto che gli ebrei volessero che Gesù diventasse re, ma il Signore si è rifiutato, speravano che li guidasse alla rivolta contro l’imperatore e li liberasse dal giogo dei romani, ma Cristo è il re celeste, come Lui stesso più volte ha spiegato». Padre Esai non ha fatto il nome di Pašinyan, ma i suoi follower sulle reti social hanno capito a chi si riferiva.   Del resto non è la prima polemica che nasce tra il premier e la Chiesa armena, e Pašinyan ha perfino rifiutato di partecipare alle celebrazioni pasquali, limitandosi a rivolgere un saluto a tutti i credenti in un breve video pubblicato nei giorni precedenti, in cui invece di congratularsi ha letto il testo del salmo 25, «Signore, fammi giustizia, nell’integrità ho camminato». Il premier ha cominciato nei suoi discorsi a citare passi di letteratura religiosa da alcuni anni, senza spiegarne le motivazioni.   Mentre Pašinyan teneva il suo «discorso della montagna» ai piedi dell’Ararat, il patriarca Karekin II guidava i fedeli nel corteo della veglia con le lampade accese al cero pasquale, e anche nella sua omelia non sono mancati i commenti alla situazione politica, esortando i fedeli a «dare la giusta risposta alle realtà che ci affliggono, il compito del nostro popolo è quello di superare le divisioni interne e l’incomunicabilità, guarire le ferite del popolo che ha sofferto di gravi perdite, rafforzando la Patria unendo le forze». La grazia del Risorto deve fare in modo che «non ci riduciamo a essere una nazione debole e sconsolata, che mette in pericolo il futuro e l’indipendenza della nostra Patria».   La Chiesa ha sempre criticato l’arrendevolezza del governo sulla questione dell’Artsakh, la «terra dei nostri guerrieri e dei nostri martiri», ha ricordato il katholikos.   Nel Nagorno Karabakh stanno «le tombe scavate per noi malvagi, ma la tomba di chi vince l’angoscia della morte insieme a Cristo è vuota, noi crediamo nella risurrezione». Le parole del capo dei cristiani armeni sono risuonate come un appello a riprendere la lotta contro il nemico, proprio nei giorni in cui si rinnovano i conflitti di frontiera con l’Azerbaigian. In Armenia i politici parlano con i versi dei salmi e dei vangeli, mentre i preti usano la lingua della politica e della guerra.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Spirito

Sinodo 2024, grandi manovre in favore dell’ordinazione delle donne

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La seconda sessione del sinodo sulla sinodalità si svolgerà dal 2 al 27 ottobre 2024, e il blog italiano Messa in latino del 19 febbraio, riprendono le informazioni fornite sul suo account X da Diane Montagna del sito LifeSiteNews, secondo cui Francesco ha nominato diversi consultori, tra cui tre donne chiaramente orientate.

 

Otto mesi prima del sinodo, queste nomine non sono aneddotiche. Giudichiamo dai precedenti di servizio queste tre donne:

 

Una suora tedesca, suor Birgit Weiler, docente di teologia in Perù, che nell’aprile 2023 disse: «penso che le donne che si sentono chiamate a farlo dovrebbero poter essere ammesse al sacerdozio».

 

Un’insegnante brasiliana, Maria Clara Lucchetti Bingemer, sostenitrice della «teologia femminista», si è espressa anche a favore dell’ordinazione delle donne al sacerdozio.

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Una sociologa americana, Tricia C. Bruce, autrice nel 2021 di un rapporto per il diaconato femminile dal titolo: Called to Contribute: Findings from an In-Depth Interview Study of US Catholic Women & the Diaconate [Chiamate a partecipare: risultati di uno studio approfondito sulle donne cattoliche americane e il diaconato].

 

In Belgio, come annunciato da FSSPX.Attualità del 22 febbraio: «l’episcopato belga ha pubblicato una bozza delle priorità di discussione per la seconda sessione della 16a assemblea generale del sinodo dei vescovi – ottobre 2024».

 

Tra le priorità contenute in questo documento di meno di cinque pagine troviamo «il posto della donna nella Chiesa». Basandosi su quanto «insegna la nostra società: l’uguaglianza di genere, l’importanza delle pari opportunità tra uomini e donne», il testo chiede «il via libera affinché le conferenze episcopali possano adottare alcune misure».

 

E chiarisce: «l’attribuzione di una crescente responsabilità pastorale alle donne e l’ordinazione diaconale delle donne non dovrebbero essere universalmente obbligatorie o proibite».

 

I vescovi belgi chiedono inoltre «che ciascuna conferenza episcopale o assemblea episcopale continentale possa adottare alcune misure in vista dell’ordinazione sacerdotale dei viri probati [uomini sposati con una certa esperienza dovuta alla loro età]. L’ordinazione sacerdotale dei viri probati non dovrebbe essere universalmente obbligatoria o vietata».

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