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Geopolitica

L’Azerbaigian dice che la Francia è responsabile di ogni nuovo conflitto con Armenia

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La mossa della Francia di fornire aiuti militari all’Armenia potrebbe infiammare le tensioni nel Caucaso meridionale e portare a nuovi conflitti, ha detto il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev.

 

Aliyev è stato critico nei confronti della posizione dell’Unione Europea (UE) sulla disputa di Baku con Yerevan, e si è ritirato dai colloqui mediati dall’UE programmati con il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan all’inizio di questo mese. Al vertice Bruxelles ha dichiarato di essere al fianco dell’Armenia nella disputa regionale.

 

In una telefonata con il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, Aliyev ha criticato la posizione dell’Unione europea, e in particolare quella della Francia, secondo una dichiarazione rilasciata sabato da Baku.

 

«A causa della ben nota posizione della Francia, l’Azerbaigian non ha partecipato all’incontro di Granada», si legge nella dichiarazione dell’ufficio del presidente azerbaigiano.

 

«Il capo dello Stato ha sottolineato che la fornitura di armi da parte della Francia all’Armenia è un approccio che non è al servizio della pace, ma intende gonfiare un nuovo conflitto, e se si verificasse un nuovo conflitto nella regione, la Francia sarebbe responsabile di averlo causato».

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Durante una visita diplomatica a Yerevan il 3 ottobre, il ministro degli Esteri francese Catherine Colonna ha concordato la stipula di futuri contratti con l’Armenia per la fornitura di mezzi militari, che, ha affermato, contribuiranno a garantire la sua difesa.

 

Separatamente, il presidente francese Emmanuel Macron ha criticato l’Azerbaigian, affermando che Baku sembra avere difficoltà a seguire il diritto internazionale riconosciuto.

 

I commenti di Aliyev fanno seguito all’operazione militare 24 ore su 24 dell’Azerbaigian nella regione del Nagorno-Karabakh il mese scorso, che ha innescato un esodo di massa di circa 120.000 armeni nella regione, la maggior parte dei quali è andata in Armenia, riporta il sito governativo russo RT.

 

Il presidente azerbaigiano ha insistito di aver agito in linea con il diritto internazionale, affermando che otto villaggi in Azerbaigian rimangono «sotto occupazione armena» e sottolineando l’importanza di liberarli.

 

I due stati ex stati sovietici sono stati coinvolti in una rivalità geopolitica pluridecennale, con guerre e schermaglie che si protraggono da più di trent’anni.

 

Come riportato da Renovatio 21, i profughi armeni parlano di atrocità commesse dai soldati azeri. Stepanakert, capoluogo armeno del Nargorno-Karabach (Artsakh per gli armeni) è ora una città fantasma.

 

Gli azeri stanno procedendo ad arrestare la classe dirigente del territorio ameno, come l’ex lato funzionario, e miliardario con passaporto russo, Ruben Vardanyan.

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Immagine di President.az via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

 

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Geopolitica

Il biografo teocon di Wojtyla parla di guerra alla Russia

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In un articolo apparso questo mese sul National Catholic Register, il biografo di Papa Giovanni Paolo II, George Weigel, ha definito la Russia «un moderno Moloch, il dio cananeo assetato di sangue contro cui si scagliarono i profeti dell’antico Israele», in una critica senza fiato agli sforzi di pace del presidente Trump in Ucraina.   Lo scorso Il 12 febbraio il Weigel ha scritto un’invettiva pubblicata da The Denver Catholic, testata ufficiale dell’arcidiocesi di Denver. Intitolata «La sacrilega guerra della Russia all’Ucraina», l’articolo sosteneva sostanzialmente la continuazione della guerra in Ucraina finché la Russia non avesse perso.   «Non esiste una soluzione felice o giusta all’aggressione di Putin che non finisca con la sconfitta di Putin. Come ciò accada è oggetto di dibattito. Ma Putin deve perdere, sia per il bene dell’Ucraina che per quello della Russia… per il bene dell’America e per quello del mondo».

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Il Weigel ha fatto parte del consiglio direttivo del National Endowment for Democracy (NED), ente da alcuni ritenuto correlato alla CIA, in compagnia di Victoria Nuland, ricorda il sito Oneleggedparrot. L’amministrazione Trump ha sospeso i finanziamenti per la NED, ed Elon Musk l’ha definita un’«organizzazione malvagia che deve essere sciolta».   Negli anni il Weigel si è occupato della questione ucraina, da lui trattata ancora in tempi perfino precedenti al golpe di Maidan.   «Seguendo i recenti precedenti russi, una delle nuove leggi “contro l’estremismo” tenta anche di tagliare fuori gli attivisti della società civile e le loro organizzazioni dai loro alleati occidentali» scriveva Weigel nel gennaio 2014, attaccando le azioni del governo Yanukovich prima che scoppiasse il caos. «L’intento è abbastanza chiaro: qualsiasi organizzazione della società civile ucraina che accetti fondi per il lavoro della società civile o pro-democrazia da, ad esempio, il National Endowment for Democracy degli Stati Uniti (piena trasparenza: faccio parte del consiglio di amministrazione del NED)… sarà considerata un “agente straniero”. Deve identificarsi come “un’associazione civile che svolge le funzioni di un agente straniero”. Deve presentare mensilmente resoconti finanziari e di programma allo Stato e ora deve pagare le tasse sul reddito».   Nell’articolo, intitolato «lo sventramento della democrazia in Ucraina, il Weigel aveva definito le misure proposte dallo Yanukovich staliniste e antidemocratiche.   Pochi giorni dopo, sempre nel primo mese del fatale 2014, Weigel aveva vergato un pezzo sul Kyiv Post per definire il governo di Yanukovich una «dittatura», una «thugocrazia» (potere degli «sgherri») e i suoi leader dei «banditi», ad indicare che gli insorti che avrebbe iniziato il procedimento per rovesciare il governo democraticamente eletto erano un «movimento democratico», che necessitava poi di «tecnocrati competenti».   Il Weigel è stato etichettato negli anni come un «teocon» (abbreviazione di «Theoconservative»), figure del mondo cattolico ascrivibili all’agenda dei neocon (che sono, in larga parte, giudei), quindi promuoventi le guerre americane in Iraq e Afghanistan e lo scontro sempre più diretto con Mosca. Secondo Wikipedia, Weigel ha avuto rapporti anche con il Project for the New American Century, la think tank neo-conservatrice tra i principali fautori della guerra in Iraq.   Per quanto possa sembrare impossibile e persino grottesco, epigoni del Weigel e del teoconismo sono ancora, non si sa per quanto, attivi in Italia, diffondendo, dopo l’allarme per la questione islamica (ma giammai per quella ebraica…) panzane come quella della «Russia rimasta comunista», difendendo la guerra ucraina in modo parossistico (al punto da attaccare lo stesso presidente Trump, da sempre nemico dei neocon) e arrivando persino a manipolare il messaggio di Nostra Signora di Fatima.   Nonostante non abbiano oggidì più nessun credito (non sono più gli anni 2000 de Il Foglio di Giuliano Ferrara), non è chiaro per quanto tempo ancora continueranno figure del genere prima di finire definitivamente nell’oscurità.

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Nel frattempo, il Weigel continua a pontificare da una parte e l’altra dell’Atlantico: pochi giorni fa era intervistato su La Verità, ovviamente presentato come «il biografo ufficiale di Giovanni Paolo II» e foto del papa polacco a corredo, con il giornalista italiano che lo chiama «professore» (come altri del giro…) e chiede lumi su futuri conclavi e futuro della chiesa.   Non tutti, tuttavia, sono disposti a tollerare. Anni fa, ad un evento organizzato a Roma, Weigel – sempre forte della relazione letteraria con il papa morto – prese la parola ed alcune persone, tra cui un importante attivista pro-life statunitense, uscì dalla stanza, confessando a Renovatio 21 che non poteva stare dentro a sentire un’uomo che aveva, diceva, spinto per la guerra in Iraq.   È accettabile quindi, oggi, un cattolico che spinge per una guerra che può avere ramificazioni termonucleari apocalittiche?

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Geopolitica

Lanci di razzi: Israele e Hezbollah di nuovo sull’orlo della guerra

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Il cessate il fuoco tra Hezbollah e Israele è ora anch’esso sull’orlo del collasso? Israele sembra sempre più tornare alla guerra su più fronti, come era già successo per oltre un anno dopo il 7 ottobre.

 

Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno annunciato sabato di aver intercettato tre missili sparati dal Libano, dopo che ne erano stati sparati in totale sei, mentre gli altri tre erano caduti a corto raggio all’interno del Libano.

 

Le IDF hanno risposto con «un’ondata di attacchi aerei su decine di lanciarazzi di Hezbollah» e su un centro di comando di Hezbollah, si legge in una nota.

 

Non si sono registrati danni o feriti all’interno di Israele, ma l’incidente è il primo importante scambio di fuoco da mesi e potrebbe segnare l’inizio di una nuova fase della guerra di Hezbollah.

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Ma Hezbollah in una dichiarazione ha negato di essere dietro i nuovi lanci dal Libano meridionale. In una dichiarazione, il gruppo paramilitare sostenuto dall’Iran ha affermato che «ribadisce il suo impegno per l’accordo di cessate il fuoco e sostiene lo stato libanese nell’affrontare questa pericolosa escalation sionista contro il Libano».

 

Gli aerei da guerra israeliani sono stati visti come attivi su parti del Libano, come è stato il modello per molti mesi, anche durante gli attacchi aerei in Siria. La BBC ha sottolineato che «Hezbollah, il principale gruppo armato attivo in Libano, ha dichiarato di non aver effettuato l’attacco e di restare fedele al cessate il fuoco che ha posto fine a 14 mesi di conflitto in Libano».

 

«Si tratta del peggior episodio di violenza da quando è entrato in vigore il fragile cessate il fuoco mediato da Stati Uniti e Francia».

 

Intanto, il primo ministro libanese Nawaf Salam ha avvertito che il Libano è sull’orlo di essere trascinato in una «nuova guerra».

 

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«Tutte le misure di sicurezza e militari devono essere prese per dimostrare che il Libano decide sulle questioni di guerra e di pace», ha affermato il Salam.

 

«Salam ha messo in guardia dalle nuove operazioni militari sul confine meridionale, a causa dei rischi che comportano, trascinando il paese in una nuova guerra, che porterà guai al Libano e al popolo libanese», si legge in una dichiarazione. Il Paese è ancora in un doloroso processo di ricostruzione, dopo che gli attacchi aerei israeliani hanno demolito interi quartieri, principalmente a sud di Beirut.

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Immagine di Khamenei.ir via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International.
 

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Economia

La Cina indaga sull’acquisizione da parte di BlackRock dei porti panamensi di proprietà di Hong Kong

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Il governo cinese ha espresso, nei termini più forti, le sue serie riserve sull’accordo da 22 miliardi di dollari, annunciato all’inizio di marzo, con cui un consorzio guidato dalla società di investimenti BlackRock di Larry Fink acquisterà i porti panamensi di Cristobal e Balboa, oltre ad altri 43 porti situati in 23 paesi attualmente di proprietà del conglomerato multinazionale CK Hutchison Holdings Ltd. con sede a Hong Kong.   CK Hutchison è di proprietà del magnate degli affari più ricco di Hong Kong, Li Ka-shing.   Attraverso vari mezzi – tra cui i media controllati dal Partito comunista cinese, le dichiarazioni del capo dell’esecutivo di Hong Kong John Leem l’invio di una delegazione diplomatica cinese a Panama la scorsa settimana, e osservazioni del ministero degli Esteri – il governo del presidente Xi Jinping sta chiarendo il suo disappunto per l’accordo BlackRock.

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Ci sono ulteriori 145 giorni per le negoziazioni prima che l’accordo sia finalizzato. Due siti web governativi, l’ufficio per gli affari di Hong Kong e Macao del Consiglio di Stato e l’ufficio di collegamento del governo popolare centrale nella regione amministrativa speciale di Hong Kong (HKSAR), hanno pubblicato articoli feroci che attaccavano l’accordo, pubblicati dal quotidiano Ta Kung-Pao, controllato dal Partito Comunista e con sede a Hong Kong, il 13 e il 15 marzo.   Nel suo articolo del 13 marzo, Ta Kung-Pao ha attaccato l’impatto dell’accordo sulle spedizioni, il commercio, la costruzione navale e persino la costruzione della Belt and Road Initiative (BRI) cinesi, avvertendo che «si può vedere che questo accordo è un atto egemonico degli Stati Uniti che usano il potere statale per invadere i legittimi diritti e interessi di altri Paesi attraverso coercizione, pressione, induzione e altri mezzi spregevoli. È una politica di potere confezionata come “comportamento aziendale. Le ambizioni da lupo dei politici americani sono evidenti».   L’articolo sottolinea l’importanza assoluta del Canale di Panama per il commercio cinese, in particolare per l’America Latina e i Caraibi, e che la presenza della Cina a Panama è della massima importanza. CK Hutchison è descritto come «un servile senza spina dorsale, alla ricerca del profitto, che dimentica il profitto, che ignora gli interessi nazionali e la giustizia nazionale, e che tradisce e tradisce tutti i cinesi… Di fronte a un evento così importante e a una questione di grande giustizia, le aziende interessate dovrebbero pensarci due volte, riflettere attentamente sulla natura e il nocciolo della questione e riflettere attentamente su quale posizione e parte schierarsi».   La preoccupazione percepita dal governo è tale che la scorsa settimana una delegazione di alto livello guidata da Ma Hui, viceministro del dipartimento Internazionale del PCC, ha visitato Panama, secondo il South China Morning Post del 17 marzo. Sebbene lo scopo dichiarato del viaggio fosse quello di «rafforzare gli scambi con i partiti politici e i think tank di Panama e migliorare la comprensione reciproca», il professore della Nanyang Technological University Dylan Loh ha suggerito che era più probabile che mirasse a scoprire di più sulla recente «acquiescenza di Panama alle pressioni degli Stati Uniti e cercare di svelare l’intento strategico di Washington».

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Il 18 marzo, poco prima di entrare in una riunione del Consiglio esecutivo di Hong Kong, il capo esecutivo John Lee ha detto al giornale in lingua inglese del Partito Comunista Cinese Global Times che la HKSAR «si oppone all’uso di tattiche di coercizione o pressione nelle relazioni economiche e commerciali internazionali» e ha avvertito che i governi stranieri dovrebbero fornire un ambiente equo e giusto per le aziende, comprese quelle di Hong Kong.   Lo stesso giorno, alla conferenza stampa del ministero degli Esteri, la portavoce Mao Ning ha detto a un intervistatore di non avere informazioni specifiche sui rapporti secondo cui le autorità cinesi stanno «indagando» sulla vendita dei porti esteri da parte di CK Hutchison, compresi quelli a Panama, ma ha aggiunto che «più in generale, la Cina si oppone fermamente a mosse che violano e minano i legittimi diritti e interessi di altri paesi attraverso coercizione economica, egemonismo e bullismo».

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