Storia
Lavaggio del cervello: come i libri delle scuole turche raccontano il genocidio armeno

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Lo scrive il giornalista di inchiesta Uzay Bulut in un approfondimento pubblicato sul Gatestone Institute. Una narrazione degli eventi che «stravolge la storia», negando anche che armeni, assiri e greci siano popolazioni autoctone. E i bambini diventano adulti «ripetendo a memoria le bugie insegnate loro nelle scuole».
Un vero e proprio «lavaggio del cervello». Così il giornalista di inchiesta turco Uzay Bulut definisce, in un’inchiesta pubblicata sul sito web del Gatestone Institute in un articolo intitolato «I libri di testo turco: stravolgere la storia», i libri di testo che Ankara usa per gli studenti nella sezione dedicata alla storia del genocidio armeno e assiro.
«Le autorità governative turche – scrive il reporter – hanno preso di mira i propri popoli indigeni dell’Anatolia, vale a dire i greci pontici e gli armeni. Nel ventesimo secolo, la Turchia ottomana ha sterminato in gran parte questi popoli attraverso un genocidio».
Ciononostante, nei testi si parla di «richieste infondate di greci e armeni». In precedenza le sezioni erano definiti, prosegue nell’analisi, «Pontus Issue» e «Armenian Question». Ora «sono cambiati in “Rivendicazioni infondate del Ponto” e “Rivendicazioni infondate armene”».
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Ankara nega anche che armeni, assiri e greci siano popolazioni autoctone della terra in cui i turchi si sono insediati secoli dopo, occupando il territorio e sterminando chi già vi abitava. Fra gli elementi più critici, sottolinea Uzay Bulut, «è che ai giovani scolari turchi, che non hanno alcuna idea della vera storia del loro Paese, viene fatto il lavaggio del cervello con falsità sull’origine del loro Paese e viene alimentato l’odio verso i resti delle minoranze».
Di conseguenza, questi bambini diventano adulti ripetendo a memoria le bugie insegnate loro nelle scuole, negando che l’impero ottomano abbia commesso un genocidio contro gli armeni, gli assiri e i greci autoctoni. Questi bambini, afferma, «non hanno alcuna colpa se non conoscono la vera storia del loro Paese, né i fatti relativi al genocidio commesso contro le minoranze».
A loro viene propinata la menzogna che le minoranze hanno vissuto «felici» nell’impero per secoli, fino a quando le potenze europee «non le hanno istigate a ribellarsi al loro governo. Al contrario, le minoranze che vivevano nell’Impero Ottomano – avverte – sono sempre state oppresse, ridotte in schiavitù, attaccate, derubate, rapite, violentate e massacrate, fino al genocidio del 1915. Queste minoranze non erano nemmeno considerate cittadini di seconda classe».
Le minoranze «non avevano alcun diritto ed erano alla mercé dei loro brutali governanti» sottolinea il giornalista, che definisce l’educazione degli studenti turchi come «disinformazione, distorsione intenzionale e revisionismo storico».
«Non si tratta solo di una disputa tra armeni e turchi», perché Ankara «sa meglio di chiunque altro che le accuse di genocidio sono reali». Prova ne sono «gli archivi ottomani in suo possesso» che spiegano «la verità, anche dopo essere stati selettivamente ripuliti da qualsiasi prova incriminante».
Secondo il dottor Gregory H. Stanton, presidente di Genocide Watch, la negazione è l’ultimo stadio del genocidio: «la negazione è la continuazione di un genocidio perché è un tentativo continuo di distruggere psicologicamente e culturalmente il gruppo vittima, per negare ai suoi membri persino il ricordo degli omicidi dei loro parenti».
Il governo turco dovrebbe finalmente affrontare «la realtà dei fatti» e insegnare «agli innocenti studenti turchi i tragici fatti della storia sui massacri e sul genocidio» conclude il giornalista. Perché non sono responsabili «né la giovane generazione di oggi né l’attuale governo turco, che non esisteva nemmeno durante questi omicidi».
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Immagini di Gerry Popplestone via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
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Storia
Casse di documenti nazisti riemergono in Argentina

L’Argentina ha annunciato una «scoperta di importanza mondiale» dopo aver riportato alla luce una serie di documenti della Germania nazista conservati in casse di champagne vecchie di decenni, nel seminterrato della Corte Suprema del Paese.
Lunedì, la Corte Suprema dell’Argentina ha rivelato di aver aperto sette scatole di legno contenenti champagne, contenenti propaganda nazista, documenti di appartenenza al partito, quaderni, foto e persino cartoline.
Un dipendente del tribunale, che aveva fatto la scoperta iniziale durante i preparativi per un nuovo museo, aveva aperto una delle scatole e riferito di aver trovato materiali apparentemente «destinati a consolidare e diffondere l’ideologia di Adolf Hitler in Argentina, durante la seconda guerra mondiale».
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Le restanti sei scatole di champagne sono state aperte venerdì in tribunale alla presenza dei membri del Museo dell’Olocausto di Buenos Aires e del rabbino capo del centro comunitario ebraico Amia, noto per il sanguinario attentato subito negli anni Novanta che cagionò 85 morti e un mistero su cui non c’è ancora alcuna chiarezza.
Secondo un comunicato stampa della Corte Suprema, i primi riscontri indicano che le scatole arrivarono in Argentina il 20 giugno 1941 insieme a una spedizione proveniente dall’ambasciata tedesca a Tokyo a bordo del piroscafo giapponese «Nan-a-Maru».
All’epoca, i diplomatici nazisti in Argentina sostenevano che le scatole contenessero solo oggetti personali. Tuttavia, preoccupato per il rischio che l’Argentina neutrale venisse coinvolta in guerra, l’allora Ministro degli Esteri Enrique Ruiz Guiñazú aveva sequestrato le scatole.
Si è temuto che la propaganda trovata nelle scatole potesse essere utilizzata anche per danneggiare le democrazie degli alleati dell’Argentina.
Due mesi dopo, i funzionari della dogana e del Ministero degli Esteri ispezionarono cinque delle scatole, trovando migliaia di documenti del partito nazista e quaderni rossi con il simbolo del Fronte del lavoro tedesco, che sostituì i sindacati indipendenti in Germania durante la nazificazione del paese negli anni Trenta.
I documenti non sono mai stati restituiti all’ambasciata tedesca e sono rimasti, a quanto pare intatti, fino ad ora nei sotterranei della Corte Suprema.
Il presidente della Corte Suprema, Horacio Rosatti, ha dichiarato lunedì che, data la «rilevanza storica» della scoperta, ha ordinato un’indagine completa sui materiali per cercare nuove informazioni sull’Olocausto o altri aspetti sconosciuti della Germania nazista, come la proliferazione di denaro nazista a livello internazionale.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Argentina divenne un punto di riferimento per simpatizzanti e funzionari nazisti, che cercavano di sfuggire ai processi per i loro crimini di guerra. Membri di alto rango del regime, tra cui il medico «Angelo della Morte» Josef Mengele, l’architetto dell’Olocausto Adolf Eichmann e il comandante delle SS Erich Priebke, furono tra coloro che cercarono rifugio nella nazione peronista.
Come noto, Eichmann, che conduceva una vita da mite impiegato in periferia con il nome di Ricardo Klement (i documenti gli furono dati dal vicario di Bressanone e rilasciati dal comune dell’Alto Adige), fu catturato dal Mossad e portato in Israele per essere sottoposto ad un processo che divenne spettacolo internazionale e infine giustiziato.
Secondo le cronache avrebbe detto «ci rivedremo presto» ai suoi boia israeliani prima di morire. Ma vi sono diverse versioni delle sue ultime parole.
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Il caso di Priebke, considerato responsabile del massacro delle Fosse Ardeatine a Roma, interessò per quasi due decenni l’opinione pubblica italiana: assolto da un primo processo in Italia, fu sottoposto nuovamente a giudizio dopo il clamore mediatico unito alle veementi proteste della comunità ebraica romana. Priebke, che si era convertito nel frattempo al cattolicesimo, fu protagonista, anche da morto, di un’indegna canea montata da chi voleva perfino impedirne funerali e sepoltura.
Come riportato da Renovatio 21, due mesi fa l’Argentina aveva promesso di pubblicare anche i documenti sui rifugiati nazisti nel Paese.
Il mese scorso era emerso come la CIA aveva continuato segretamente la ricerca di Hitler in Sud America negli anni Cinquanta: con evidenza, i servizi di Intelligence americani non avevano certezza della sua morte.
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Immagini della Corte Suprema de Justicia de la Nacion.
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