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Storia

La vera storia dei Fratelli Musulmani, il gruppo islamista che ha generato Hamas

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Renovatio 21 pubblica su gentile concessione dell’autore William F. Engdahl il VI capitolo del suo libro The Lost Hegemon — Whom the Gods Would Destroy… («L’egemone perduto: chi gli dei vorrebbero distruggere»). La comprensione delle origini della Fratellanza Musulmana – il movimento prototipo di tutto l’islamismo contemporaneo, terrorista o meno – è più che mai necessaria: Hamas, l’organizzazione che controlla la striscia di Gaza, è nata durante la prima Intifada come ramo operativo palestinese dei Fratelli Musulmani nei campi profughi. La Fratellanza era già presente nella Striscia di Gaza a fine anni Sessanta, e dopo vari passaggi attraverso associazioni islamiche nel 1987 creò un braccio combattente chiamato Hamas. Nel 2017 Hamas ha preso le distanze dai Fratelli Musulmani. Non sappiamo, tuttavia, quanti dei legami tra islamismo e occidente discussi in questo testo siano ancora attivi. 

 

Da Monaco alle steppe sovietiche: la CIA scova i Fratelli Musulmani

«La fusione dell’Islam ultra-conservatore saudita wahhabita con il fanatico attivismo politico dei Fratelli Musulmani è stata una combinazione mortale e altamente astuta che non ha mai perso di vista il suo obiettivo di costruire un nuovo Califfato islamico globale che sarebbe diventato la religione mondiale. L’alleanza della Fratellanza con il wahhabismo saudita sarebbe rimasta dall’inizio degli anni ’50 per più di settant’anni».

F. William Engdahl

 


 

Un fatidico raggruppamento a Monaco

La fine della Seconda Guerra Mondiale e la sconfitta della Germania nazista non segnarono affatto la fine dell’influente circolo di nazisti che avevano trascorso la guerra collaborando con il Gran Mufti Al-Husseini e la Fratellanza Musulmana di Al-Banna. Per ironia della sorte, Monaco, profondamente cattolica, divenne il centro del raggruppamento dei quadri della Jihad islamica riuniti da Gerhard von Mende, che in tempo di guerra aveva guidato l’Ostministerium, il ministero per i territori orientali occupati.

 

Nel caos e nel crollo dell’ordine degli ultimi giorni di guerra, von Mende riuscì a far sì che molti dei suoi stimati quadri islamici che avevano combattuto a fianco della Wehrmacht contro i loro governanti sovietici durante la guerra fossero catturati nelle zone americane, britanniche o francesi di quella che, nel 1948, divenne la Repubblica Federale della Germania (Ovest). Sapeva che la cattura sovietica significava morte certa. I suoi jihadisti erano la sua merce di scambio per iniziare una nuova carriera lavorando per l’ex nemico, l’Occidente.

 

Gli esuli sovietici si erano concentrati a Monaco, nel sud della Germania, provenienti dalle regioni di etnia turca del Tatarstan, dell’Uzbekistan, della Cecenia e di altri territori musulmani dell’Unione Sovietica. Era una confraternita di acerrimi veterani di guerra anticomunisti, ma di un tipo molto strano. (1)

 

Mentre von Mende lavorava per riunire i suoi amici musulmani nella zona bavarese, dove l’esercito americano aveva il controllo, la neonata Central Intelligence Agency stava cercando di costruire una nuova capacità di propaganda per trasmettere la propaganda americana nell’Unione Sovietica. Alla fine fu chiamata Radio Liberty, e il suo braccio di propaganda gemello si chiamava Radio Free Europe.

 

I musulmani di Von Mende erano destinati a svolgere un ruolo chiave nelle operazioni di propaganda della CIA da Monaco.

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I Rockefeller si uniscono alla crociata di Billy Graham

All’inizio degli anni ’50, la Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica era in pieno vigore. Entrambe le parti usarono la propaganda per cercare di convincere i paesi terzi neutrali a schierarsi dalla parte della libera impresa capitalista americana o dal comunismo sovietico.

 

Ben presto, la famiglia Rockefeller, la famiglia più influente dell’establishment americano emersa dalla seconda guerra mondiale, insieme alla neonata CIA, decisero che il fondamentalismo cristiano poteva essere usato come strumento per aiutare a demonizzare il comunismo sovietico agli occhi dei comuni americani praticanti.

 

Abraham Vereide, un ministro evangelico norvegese-americano, tra le altre imprese, rivendicò la responsabilità di convertire a Cristo un ex ufficiale delle SS naziste, il principe Bernhard dei Paesi Bassi, all’inizio degli anni ’50. Fu più o meno nello stesso periodo in cui Bernhard divenne il capo fondatore nominale degli incontri dell’anglo-americano Gruppo Bilderberg. Vereide avrebbe giocato un ruolo chiave nella politicizzazione dei gruppi cristiani per la Guerra Fredda.

 

Insieme, Vereide e Frank Buchman, fondatore del Movimento di Oxford, che fu influente nella «rieducazione» della Germania dopo il 1945, si assicurarono la sponsorizzazione di qualcosa che chiamarono il movimento Prayer Breakfast. Erano molto politiche, le loro preghiere e colazioni. I due uomini fondarono presto una Fellowship House a Washington, DC, come «centro di servizio spirituale» per i membri del Congresso.

 

Alla fine degli anni Quaranta, Vereide aveva circa un terzo dell’intero Congresso degli Stati Uniti che partecipava ai suoi incontri di preghiera settimanali. All’inizio degli anni ’50, ottenne il sostegno del presidente Eisenhower quando Vereide arrivò a svolgere un ruolo importante nelle attività anticomuniste del governo degli Stati Uniti. (2)

 

Il Los Angeles Times descritto il processo:

 

«Funzionari del Pentagono si incontrarono segretamente alla Washington Fellowship House del gruppo nel 1955 per pianificare una campagna mondiale di propaganda anticomunista approvata dalla CIA, come dimostrano i documenti degli archivi della Fellowship e la Eisenhower Presidential Library. Conosciuto allora come International Christian Leadership, il gruppo finanziò un film intitolato “Militant Liberty” utilizzato dal Pentagono all’estero». (3)

 

Il cristianesimo, almeno nella versione del governo statunitense, era sul punto di diventare un’arma nella Guerra Fredda.

 

Nel 1953, la Fellowship Foundation tenne la prima colazione di preghiera presidenziale alla Casa Bianca.

 

Il reverendo Billy Graham era un oratore regolare alle «Prayer Breakfasts» di Washington. Graham predicava una sorta di anticomunismo di fuoco e zolfo che era stato fortemente promosso dal governo degli Stati Uniti e dall’establishment mainstream americano. Graham chiamò le sue grandi manifestazioni all’aperto «le Crociate di Billy Graham».

 

Le immagini di una nuova «santa crociata contro il comunismo sovietico senza Dio» furono trasmesse dalla televisione e dalla radio americane a milioni di case americane (4). All’inizio degli anni ’50, le maratone di risveglio di Billy Graham attraverso gli Stati Uniti stavano convertendo decine di migliaia di americani comuni ad «accettare Gesù Cristo come loro salvatore personale».

 

Nel 1957, i fratelli Rockefeller donarono discretamente 50.000 dollari, una somma enorme per quei tempi, per lanciare la Crociata di Graham a New York. Fu un successo in forte espansione, spinto dall’uso allora innovativo della televisione e dal sostegno nascosto e dai legami aziendali dei Rockefeller. Il risultato fu che, per la prima volta dal famigerato Scopes Monkey Trial del 1925 [famoso caso legale che costituisce una pietra miliare nell’avanzata del laicismo in USA a danno del cristianesimo, che consentì l’insegnamento della teoria dell’evoluzione nelle scuole americane, ndt], il fondamentalismo cristiano poté rialzare la testa in pubblico, rivestito con l’ardente abito anticomunista di Madison Avenue. (5) 

 

I titani del business americano, tra cui Phelps Dodge, ereditiere dell’industria del rame, Cleveland Dodge, Jeremiah Milbank e George Champion della Chase Manhattan Bank dei Rockefeller, Henry Luce di Time e Life (l’autore del famoso editoriale del 1941 della rivista Life che proclamava l’alba del «secolo americano»), Thomas Watson dell’IBM e il partner di Laurance Rockefeller presso la Eastern Airlines, Eddie Rickenbacker, erano tutti tra i sostenitori selezionati del nuovo movimento evangelico di Graham. (6)

 

Evidentemente avevano motivazioni diverse dalla promozione della fede cristiana o dal sostegno dell’amore fraterno.

 

L’establishment americano, almeno la fazione vicina alla famiglia Rockefeller, aveva deciso nel 1957 che un «risveglio» mondiale della religione era necessario per «affermare la leadership morale degli Stati Uniti nel mondo libero». La ripresa doveva, tuttavia, essere attentamente coltivata e, quando necessario, finanziata, per promuovere i potenti interessi bancari e aziendali statunitensi.

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La CIA trova i musulmani di Mende

Anche la neonata Central Intelligence Agency degli Stati Uniti, diretta da Allen Dulles sotto la presidenza conservatrice di Dwight D. Eisenhower, era ansiosa di trovare altri modi oltre alle aggressive invettive anticomuniste cristiane di Billy Graham per indebolire l’Unione Sovietica.

 

La religione doveva essere ancora una volta la chiave, ma questa volta sarebbe stato l’Islam politico.

 

La CIA aveva scoperto un gruppo di islamisti politici che von Mende era riuscito a radunare a Monaco e dintorni come rifugiati dopo la guerra. Migliaia di ex musulmani sovietici, che avevano combattuto con i nazisti contro l’Armata Rossa sovietica, avevano cercato rifugio nella Germania occidentale, costruendo una delle più grandi comunità musulmane nell’Europa degli anni ’50.

 

Nell’aprile del 1951, la CIA apprese per la prima volta che von Mende aveva raccolto i musulmani chiave nell’area di Monaco e stava creando un think tank nel tentativo di ricostruire il suo Ostministerium nazista, questa volta per conto di Konrad Adenauer e del governo cristiano-democratico tedesco piuttosto che per Adolf Hitler (7). La CIA era interessata a cooptare il gruppo di von Mende per i propri scopi.

 

La CIA scoprì che questi esperti «guerrieri di Allah» musulmani, che erano stati coltivati ​​e schierati da von Mende, avevano competenze linguistiche inestimabili, nonché preziosi contatti in Unione Sovietica. Iniziarono un progetto per reclutarli come guerrieri per la crociata anticomunista americana.

 

Durante la guerra, von Mende e il suo Ostministerium aveva organizzato un progetto con un piano approvato da Hitler per liberare i prigionieri che avrebbero preso le armi contro i sovietici. Allestirono le «Ostlegionen» – Legioni Orientali – composte principalmente da minoranze non russe, principalmente musulmane, disposte a combattere la Jihad contro la leadership comunista sovietica come vendetta per decenni di oppressione sovietica.

 

Fino a un milione di musulmani sovietici si erano uniti alle Ostlegionen di Hitler, e un gruppo selezionato era sbarcato a Monaco, sede del nuovo progetto Radio Liberty della CIA. La CIA li reclutò presto per lavorare contro i comunisti sovietici in varie forme di attività della Guerra Fredda.

 

Il nuovo servizio di intelligence americano stava imparando per la prima volta a lavorare con l’Islam politico. (8)

 

La Fratellanza si unisce alla CIA

Quando gli ex combattenti nazisti musulmani iniziarono a lavorare per la CIA a Monaco, anche i Fratelli Musulmani in Egitto trovarono una nuova «casa» presso la CIA. Nel 1957 fu annunciata la Dottrina Eisenhower, che prometteva l’intervento armato degli Stati Uniti e della NATO contro qualsiasi minaccia di aggressione in Medio Oriente, trasformando di fatto la regione in una sfera di interesse degli Stati Uniti.

 

La dottrina Eisenhower mirava alla crescente incursione dei sovietici, soprattutto in Egitto, dove un colpo di stato militare riformista guidato dal colonnello Gamal Abdel Nasser aveva detronizzato il fantoccio britannico, re Farouk, nel 1952.

 

Nel 1948, come istruttore presso l’Accademia militare reale egiziana, Nasser aveva inviato emissari per cercare di negoziare un’alleanza del suo gruppo di Ufficiali Liberi, un gruppo anti-britannico e anti-monarchia di giovani colonnelli e ufficiali, con i Fratelli Musulmani di Hassan Al-Banna.

 

Ben presto si rese conto che la rigida agenda teocratica della Fratellanza era antitetica alla sua agenda di riforme laiche nazionaliste. Nasser ha quindi deciso di adottare misure per limitare l’influenza dei Fratelli Musulmani all’interno delle forze armate. Fu l’inizio di un’aspra ostilità tra Nasser e la Fratellanza di Al-Banna. (9)

 

Nasser era stato l’architetto della rivolta degli ufficiali dell’esercito egiziano del 1952 che rovesciò la monarchia. Durante gli anni ’40, il re egiziano Farouk, molto filo-britannico, aveva sovvenzionato finanziariamente i Fratelli Musulmani per contrastare il potere dei nazionalisti e dei comunisti. Ciò li rese un diretto oppositore ideologico del nazionalismo riformista di Nasser.

 

Nel 1949, tuttavia, anche il re iniziò ad avere dubbi sulla collaborazione con l’organizzazione di Al-Banna poiché l’influenza dei Fratelli crebbe notevolmente. Il suo primo ministro, Mahmud al-Nuqrashi, è stato assassinato da un membro dell’«apparato segreto» dei Fratelli Musulmani. Il re rispose con una massiccia repressione, arrestando oltre cento membri di spicco.

 

Nel febbraio 1949, lo stesso fondatore della Fratellanza Hassan al-Banna fu assassinato. L’assassino non fu mai trovato, ma era opinione diffusa che l’omicidio fosse stato compiuto da membri della polizia politica egiziana su ordine del re. Un rapporto dell’MI6 era inequivocabile e affermava: «l’omicidio è stato ispirato dal governo, con l’approvazione del Palazzo». (10)

 

Nel 1953, con la monarchia egiziana formalmente abolita e la Fratellanza Musulmana in fuga, gli Ufficiali Liberi di Nasser furono in grado di governare come Consiglio del Comando Rivoluzionario (RCC), con Nasser come vicepresidente. Ben presto prese il potere guida come presidente e procedette a bandire tutti i partiti politici. Non essendo comunista, Nasser divenne uno dei principali portavoce del nazionalismo arabo e si unì all’emergente Movimento dei Non Allineati, con la Jugoslavia di Tito e Nehru dell’India. Il gruppo di Nazioni non allineate cercò di definire una «via di mezzo» tra il comunismo sovietico e il libero mercato capitalista americano. (11)

 

Nel 1953, Nasser introdusse riforme agrarie di vasta portata e stava adottando misure per rinazionalizzare la Compagnia del Canale di Suez controllata dagli inglesi. Londra non era contenta dell’emergere di Nasser. In effetti, l’Intelligence segreta britannica dell’MI6 tentò ripetutamente di assassinarlo. (12)

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L’assassinio fallito della Fratellanza

Il 26 ottobre 1954, anche Mohammed Abdel Latif, un membro dei Fratelli Musulmani, tentò di assassinare Nasser mentre Nasser teneva un discorso ad Alessandria per celebrare il ritiro militare britannico dall’Egitto. Il forte sospetto era che dietro l’attentato della Fratellanza contro Nasser ci fosse l’Intelligence britannica.

 

Il discorso di Nasser veniva trasmesso via radio a tutto il mondo arabo. L’uomo armato ha mancato il bersaglio dopo aver sparato otto colpi. In risposta, Nasser ordinò una massiccia repressione della Società dei Fratelli Musulmani di Al-Banna, nonché dei principali comunisti. Otto leader della Fratellanza furono condannati a morte. Migliaia andarono in clandestinità. (13)

 

Nel 1956, Nasser aveva ottenuto un sostegno popolare sufficiente da sentirsi in grado di nazionalizzare il Canale di Suez come rappresaglia per il taglio degli aiuti finanziari promessi da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna per la costruzione della diga di Assuan. Riconobbe anche la Cina comunista e stipulò accordi sugli armamenti con i paesi comunisti del blocco orientale.

 

Nasser, mai comunista ma piuttosto un volitivo anticolonialista e nazionalista arabo, stava diventando un grosso problema per l’agenda americana della Guerra Fredda in Medio Oriente.

 

I sauditi incontrano i Fratelli: un matrimonio infernale

L’amministrazione Eisenhower iniziò a considerare la monarchia arciconservatrice del re Ibn Saud in Arabia Saudita come una risposta all’interno del mondo arabo alla crescente influenza del nasserismo. Ciò avrebbe portato a un fatidico matrimonio tra l’Islam politico sotto forma di membri della Fratellanza egiziana in esilio e la monarchia saudita.

 

Il capo della stazione della CIA del Cairo, Miles Copeland, officiò la cerimonia del matrimonio, organizzando la fuga dei membri della Fratellanza egiziana in Arabia Saudita in quella che avrebbe trasformato nei decenni successivi la mappa politica del mondo.

 

L’Arabia Saudita è forse il Paese musulmano più conservatore e severo del mondo. La terra deserta, solo decenni prima una terra sottosviluppata governata da beduini nomadi, praticava una forma unica di Islam chiamata Wahhabismo. Prende il nome da Muhammad ibn Abd al-Wahhab, morto nel 1792, il primo estremista fondamentalista islamico moderno.

 

Abd al-Wahhab stabilì il principio secondo cui assolutamente ogni idea aggiunta all’Islam dopo il terzo secolo dell’era musulmana, intorno al 950 d.C., era falsa e doveva essere eliminata. Questo era il punto centrale del suo movimento. I musulmani, per essere veri musulmani, insisteva al-Wahhab, devono aderire esclusivamente e rigorosamente alle credenze originali stabilite da Maometto.

 

E, naturalmente, solo coloro che seguivano i rigorosi insegnamenti di al-Wahhab erano veri musulmani perché solo loro seguivano ancora il percorso tracciato da Allah. Accusare qualcuno di non essere un vero musulmano era significativo perché era proibito a un musulmano ucciderne un altro; ma se qualcuno non era un «vero musulmano» come definito dal wahhabismo, allora ucciderlo in guerra o in un atto di terrorismo diventa legale. (14)

 

Lì, secondo le parole di John Loftus, un ex funzionario del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti incaricato di perseguire e deportare i criminali di guerra nazisti, con l’unione dei Fratelli Musulmani egiziani e dell’Islam rigoroso saudita, «hanno combinato le dottrine del nazismo con questo strano culto islamico, il wahhabismo». (15)

 

La CIA di Allen Dulles persuase segretamente la monarchia saudita ad aiutare a ricostruire la Fratellanza Musulmana bandita, creando così una fusione con l’Islam wahhabita fondamentalista saudita e le vaste ricchezze petrolifere saudite per brandire un’arma in tutto il mondo musulmano contro le temute incursioni sovietiche. Da questo matrimonio infernale tra la Fratellanza e l’Islam saudita wahhabita sarebbe poi nato un giovane di nome Osama bin Laden. (16)

 

In un incontro del 1957 con il direttore delle operazioni segrete della CIA, Frank Wisner, Eisenhower dichiarò che gli Stati Uniti avrebbero dovuto impegnarsi nell’aspetto della «Guerra Santa» dei musulmani arabi per convincerli a combattere il comunismo. I Fratelli Musulmani furono disposti ad obbedire, e così ebbe inizio l’empia alleanza dell’Intelligence americana con il culto della morte chiamato Fratellanza Musulmana. (17)

 

Nel 1954, l’Arabia Saudita era diventata il centro dell’attività mondiale dei Fratelli Musulmani. La monarchia saudita aveva stretto un grande patto con la Fratellanza: in cambio di un sostegno finanziario inaudito proveniente dai proventi del petrolio saudita, la Fratellanza avrebbe concentrato la propria attività politica all’estero, al di fuori del Regno saudita, diffondendo la propria influenza in Paesi come Egitto, Afghanistan, Pakistan, Sudan e Siria. Non si sarebbero organizzati politicamente all’interno dell’Arabia Saudita, dove la Monarchia aveva bandito tutti i partiti politici. (18)

 

Figure di spicco dei Fratelli Musulmani, come il dottor Abdullah Azzam, sono diventati insegnanti nelle madrasse saudite, le scuole religiose. I Fratelli mantennero la loro struttura organizzativa segreta «familiare» all’interno dell’Arabia Saudita e avviarono attività di successo, diventando anche redattori di influenti giornali sauditi, come El Medina.

 

Nel 1961, i Fratelli Musulmani riuscirono a persuadere il re saudita a creare l’Università Islamica di Medina, dove si stabilirono dozzine di studiosi egiziani che erano segretamente Fratelli Musulmani.

 

Significativamente, l’università, centro degli ideologi islamici estremisti conservatori del wahhabismo saudita, combinato con la militanza politica della Fratellanza egiziana, è diventata la piastra di Petri per la formazione della prossima generazione di jihadisti islamici e salafiti.

 

In particolare, circa l’85% degli studenti dell’università di Medina provenivano dall’esterno del Regno Saudita. Questo internazionalismo ha permesso ai Fratelli Musulmani di diffondere i quadri della Fratellanza in tutto il mondo islamico. (19)

 

Il veicolo per la loro missione mondiale utilizzato dai Fratelli Musulmani in esilio saudita era la Lega Mondiale Musulmana (MWL). Nel 1962, un anno dopo il successo della Fratellanza nella fondazione dell’Università Islamica di Medina, convinsero la famiglia reale saudita a finanziare e sostenere anche la loro lega.

 

La Lega Mondiale Musulmana aveva sede alla Mecca, in Arabia Saudita, con il governo saudita come sponsor ufficiale. Si descrive come un’organizzazione islamica e non governativa coinvolta nella «propagazione dell’Islam e nella confutazione di dichiarazioni dubbie e false accuse contro la religione».

 

Il loro obiettivo dichiarato era «aiutare a realizzare progetti che coinvolgono la diffusione della religione, dell’educazione e della cultura e sostenere l’applicazione delle regole della shari’a da parte di individui, gruppi o stati» (20). In realtà la Lega Mondiale Musulmana rappresentava la fusione dell’interpretazione rigorosa wahhabita degli insegnamenti del Profeta Maometto con la Jihad politica attivista della Fratellanza: una combinazione molto pericolosa.

 

La Lega Mondiale Musulmana ha creato uffici in tutto il mondo musulmano, così come nelle regioni a maggioranza non musulmana dell’Occidente con uffici a Washington, New York e Londra. Secondo quanto riferito, l’organizzazione ha utilizzato la sua rete e il denaro saudita per finanziare centri e moschee islamici e per distribuire materiali che promuovevano la sua interpretazione fondamentalista dell’Islam. Il suo segretario generale è sempre stato un cittadino saudita.

 

La fusione saudita tra l’Islam ultraconservatore wahhabita e il fanatico attivismo politico dei Fratelli Musulmani è stata una combinazione mortale ed estremamente astuta, che non ha mai perso di vista il suo obiettivo a lungo termine di costruire un nuovo Califfato islamico globale che sarebbe diventato la religione mondiale.

 

L’alleanza della Fratellanza con il wahhabismo saudita sarebbe rimasta dall’inizio degli anni ’50 fino al 2010 circa, quando la monarchia saudita, nel mezzo degli sconvolgimenti della Primavera Araba, cominciò a temere sempre più che la Fratellanza, ad un certo punto, si sarebbe rivoltata contro la monarchia che aveva li ha nutriti così a lungo.

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Princeton celebra Ramadan

Mentre molti importanti Fratelli Musulmani in esilio furono portati con l’aiuto della CIA in Arabia Saudita, il genero ed erede ideologico di Hassan Al-Banna, Said Ramadan, fu invitato a Princeton all’inizio degli anni ’50 per incontrare i servizi segreti americani, stringere la mano in un incontro personale con il presidente Eisenhower e discutere quella che sarebbe diventata una collaborazione fatale e mortale.

 

Said Ramadan era stato a Damasco, in Siria, per una conferenza il giorno dell’attentato contro Nasser e, in tal modo, era sfuggito alla retata della polizia egiziana contro i membri della Fratellanza. Alla fine finì in esilio a Ginevra, in Svizzera, sotto la protezione del governo svizzero, che vide utile il suo anticomunismo durante la Guerra Fredda. Documenti declassificati degli Archivi svizzeri rivelarono che gli svizzeri consideravano Ramadan un «agente dei servizi segreti degli inglesi e degli americani». (21)

 

Dal suo Centro islamico a Ginevra, Ramadan mantenne la sua influenza in tutto il mondo insieme ai suoi confratelli dopo l’omicidio di suo suocero, Al-Banna. Ha viaggiato spesso in Pakistan, dove ha contribuito a organizzare una fanatica società studentesca islamica jihadista, IJT, che combatteva gli studenti di sinistra nelle università. Il suo IJT è stato organizzato da Ramadan sul modello della Fratellanza egiziana. (22)

 

 Il gruppo studentesco IJT è stato il precursore del classico jihadismo islamico radicale che in seguito avrebbe addestrato il progetto talebano dei Fratelli Musulmani in Afghanistan con l’aiuto dell’agenzia di intelligence segreta pakistana ISI.

 

Nel settembre del 1953, Said Ramadan fu invitato a partecipare a un «colloquio islamico» che si sarebbe tenuto con i principali intellettuali islamici di tutto il mondo presso la prestigiosa Università di Princeton nel New Jersey. L’invito e l’idea di organizzare un incontro tra Said Ramadan e il presidente Eisenhower sono venuti dal cofondatore e vicedirettore dell’Agenzia di informazione statunitense (USIA) collegata alla CIA, Abbott Washburn. Washburn era il collegamento tra l’USIA e la Casa Bianca. (23)

 

Washburn aveva convinto C.D. Jackson, esperto di guerra psicologica di Eisenhower, dell’importanza dell’idea. Jackson era un alto ufficiale della CIA seduto alla Casa Bianca come collegamento tra il Presidente, la CIA e il Pentagono. (24)

 

La conferenza di Princeton è stata co-sponsorizzata dall’USIA di Washburn, dal Dipartimento di Stato, dall’Università di Princeton e dalla Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Washburn scrisse a Jackson che il suo obiettivo nella conferenza e nell’incontro presidenziale con Ramadan e altri era «che i musulmani rimanessero impressionati dalla forza morale e spirituale dell’America». Washburn e la CIA avevano in mente altri obiettivi inespressi oltre a cercare di impressionare Ramadan sulla forza morale e spirituale dell’America. (25)

 

John Foster Dulles, un fanatico repubblicano conservatore della Guerra Fredda ed ex avvocato di Wall Street per gli interessi dei Rockefeller, che era stato un aperto simpatizzante nazista all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, era Segretario di Stato. Suo fratello, Allen Dulles, un altro avvocato della famiglia Rockefeller, era direttore della CIA. Erano entrambi pronti a mettere alla prova i Fratelli Musulmani come forza in grado di danneggiare l’influenza sovietica.

 

I fascicoli della CIA su questa parte della storia della Guerra Fredda sono ancora chiusi per ragioni di «sicurezza nazionale», ma ciò che è noto è che il dirigente di Radio Liberty Robert Dreher, un agente militante della CIA che credeva non nel contenimento, ma in un attivo «ritiro» dell’influenza sovietica nell’Europa orientale durante la Guerra Fredda, invitò Said Ramadan a Monaco nel 1957 per entrare a far parte del consiglio del Centro islamico di Monaco. Lì Ramadan sarebbe diventato l’architetto chiave della moschea di Monaco come futuro centro per la diffusione dell’Islam in Europa e nel mondo.

 

Ramadan era carismatico, molto intelligente e cortese, un perfetto portavoce delle operazioni della CIA contro l’Unione Sovietica. Nello stesso anno, il Consiglio di coordinamento delle operazioni della CIA creò un gruppo di lavoro ad hoc sull’Islam che comprendeva alti funzionari dell’Agenzia governativa statunitense per l’informazione, del Dipartimento di Stato e della CIA. (26)

 

Le relazioni tra i Fratelli Musulmani e la CIA nel decennio successivo e negli anni ’70 si concentrarono principalmente sul contrasto all’influenza sovietica nel Medio Oriente arabo, dove il socialismo arabo di Nasser aveva acquisito una grande influenza in Iraq, Siria e in tutto il mondo arabo. minacciando l’agenda islamista della Fratellanza.

 

La nazionalizzazione del Canale di Suez da parte di Nasser e la sua presenza carismatica lo resero una personalità magnetica in tutto il mondo arabo. Il fatto che si fosse rivolto a Mosca per chiedere aiuto, pur rimanendo non allineato, gli conferiva ulteriore attrattiva.

 

L’alleanza dell’Arabia Saudita con i Fratelli Musulmani è diventata il principale veicolo – a parte i consueti colpi di stato orchestrati dalla CIA, come quello contro Mossadegh in Iran, o gli omicidi – attraverso cui Washington ha indirettamente e segretamente contrastato il fascino del nasserismo e del nazionalismo nel mondo arabo del Anni ’50 e ’60.

 

L’Islam politico jihadista era ormai saldamente nel radar della CIA. Il connubio tra i due – le agenzie di Intelligence segrete statunitensi, i fanatici Fratelli Musulmani e l’Islam jihadista – avrebbe formato un pilastro principale dell’intelligence segreta e della politica estera segreta degli Stati Uniti per più di settant’anni.

 

Fino agli sconvolgenti eventi dell’11 settembre 2001 e alla rivelazione che Osama bin Laden era stato addestrato in Afghanistan dalla CIA negli anni ’80, pochi avevano la minima idea di questa sinistra alleanza.

 

Nel 1979, la CIA si rivolse più attivamente a quella che ora era la Fratellanza Musulmana di Said Ramadan quando l’Unione Sovietica invase l’Afghanistan. Il loro progetto è stato chiamato Mujaheddin, o persone che compiono la Jihad, e una delle loro giovani reclute era un saudita che era stato educato in Arabia Saudita dalla Fratellanza.

 

Il suo nome era Osama bin Laden.

 

William F. Engdahl 

 

NOTE

1) Ian Johnson, The Beachhead: How a Mosque for Ex-Nazis Became Center of Radical Islam, The Wall Street Journal, 12 luglio 2005, consultato in http://www.moralgroup.com/NewsItems/Islam/p20.htm.

2) Lisa Getter, Showing Faith in Discretion, The Los Angeles Times, 27 settembre 2002.

3) Ibid.

4) William Martin, The Riptide of Revival, Christian History and Biography (2006), NUMERO 92, pp. 24–29.

5) Gerard Colby, Charlotte Dennett, Thy Will Be Done: The Conquest of the Amazon : Nelson Rockefeller and Evangelism in the Age of Oil, Harper Collins, 1996, pp. 292–295.

6) Ibid.

7) Ian Johnson, A Mosque in Munich: Nazis, the CIA and the Rise of the Muslilm Brotherhood in the West, Houghton, Mifflin Harcourt, Boston, 2010, p. 69.

8) Ibid., p. 129.

9) Said K. Aburish, Nasser, the Last Arab, 2004, New York, St. Martin’s Press, p. 26.

10) Mark Curtis, Britain and the Muslim Brotherhood Collaboration during the 1940s and 1950s, 18 dicembre 2010, consultato in, http://markcurtis.wordpress.com/2010/12/18/britain-and-the-muslim-brotherhood-collaboration-during-the-1940s-and-1950s/.

11) Steven A. Cook, The Struggle for Egypt: From Nasser to Tahrir Square, 2011, New York, Oxford University Press, p. 66.

12) Robert Dreyfuss, Devil’s Game, 2005, New York, Metropolitan Books, p. 104.

13) Richard P. Mitchell, The Society of the Muslim Brothers, 1969, New York, Oxford University Press, pp. 151–155.

14) Austin Cline, Wahhabism and Wahhabi Islam: How Wahhabi Islam Differs from Sunni, Shia Islam, consultato in http://atheism.about.com/od/islamicsects/a/wahhabi.htm.

15) John Loftus, The Muslim Brotherhood, Nazis and Al-Qaeda, 10 aprile 2006, Jewish Community News.

16) Robert Dreyfuss, op. cit., pp. 121–126.

17) Ian Johnson, A Mosque in Munich…, p. 127.

18)Robert Dreyfuss, op. cit., pp. 126–127.

19) Ibid.

20) Pew Center, Muslim World League and World Assembly of Muslim Youth, 15 settembre 2010, consultato in http://www.pewforum.org/2010/09/15/muslim-networks-and-movements-in-western-europe-muslim-world-league-and-world-assembly-of-muslim-youth/.

21) Citato in Dreyfuss, op. cit., p. 79.

22) Ibid., p. 75.

23) Ian Johnson, A Mosque in Munich…, pp. 116–117.

25) Ibid., pp. 116–117.

26) Ibid., pp. 127–136.

 

F. William Engdahl è consulente e docente di rischio strategico, ha conseguito una laurea in politica presso la Princeton University ed è un autore di best seller sulle tematiche del petrolio e della geopolitica. È autore, fra gli altri titoli, di Seeds of Destruction: The Hidden Agenda of Genetic Manipulation («Semi della distruzione, l’agenda nascosta della manipolazione genetica»), consultabile anche sul sito globalresearch.ca.

 

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Pensiero

«Ci inseguiranno con le loro torce fiammeggianti fino al fuoco dell’inferno». Israele, il sacrificio dell’Innocente: cosa ha compreso Toaff

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Sta circolando da ieri con insistenza un post fatto su Facebook dadi Ariel Toaff. Molti lo conoscono già: professore di Storia presso l’Università israeliana Bar-Ilan, è figlio di Elio Toaff, già rabbino capo di Roma, noto per gli episodi di vicinanza con Giovanni Paolo II.   Le parole di Toaff, ebreo italo-israeliano, sono di una durezza tremenda. Sarebbero immediatamente condannate come «antisemitismo», e bannate dai social, se a pronunziarle fosse stato un goy, un non-ebreo.   «Israele sotto Netanyahu sta imboccando, come un ciuco ubriaco, la strada verso una debacle economica senza precedenti e l’isolamento internazionale» scrive lo storico medievale, evocando un animale, l’asino, di certo sapore biblico.

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«Se riusciremo ad uscirne, ci vorrà del tempo per rimetterci in sesto. Dell’immagine morale di Israele non parlo, perché l’ha persa da tempo». Un’ammissione drastica, ma oramai condivisibile da chiunque: il disastro morale di Israele è ora sotto gli occhi del mondo, e le denunce all’Aia e i futuri riconoscimenti promessi alla Palestina (in ultimis, in queste ore, è arrivata anche l’Australia, che pure ha una storia di lotta contro il cosiddetto «negazionismo olocaustico») ne sono la prova schiacciante. Al punto che perfino Donald Trump, accusato ora dalla sua stessa base di favorire gli israeliani rispetto agli americani in tradimento totale del principio MAGA dell’America First, ad aprile aveva dichiarato che Israele a Gaza «sta perdendo gran parte del mondo» e alimentando l’antisemitismo.  
  «Gaza non rischia di essere la tomba di Netanyahu e dei suoi folli seguaci, ma la nostra» continua Toaff, senza specificare se stia parlando degli ebrei o degli israeliani. «E non abbiamo fatto niente per impedirlo. Di fatto siamo suoi complici, ignobilmente complici». Parole coraggiose, di sincerità che va ben al di là dell’autocritica di rito. Si tratta di un giudizio spirituale che sa di definitivo, di epocale.   «La giusta e crudele punizione non tarderà a raggiungerci. È uno dei capitoli più infami della storia del sionismo moderno» scrive ancora lo storico nato ad Ancona. «I morti ammazzati di Gaza, donne e bambini, ci inseguiranno con le loro torce fiammeggianti fino al fuoco dell’inferno».   Qui scatta un’immagine ancora più potente, che l’esperto di storia ha studiato e raccontato in profondità: i pogrom, gli atti di persecuzione contro gli ebrei di cui è costellata la storia di, praticamente, ogni regione del mondo. Una punizione che, incredibilmente, viene qui definita «giusta e crudele». Inseguiti con le fiamme, e poi l’inferno: sono immagini di portata spaventosa. Davanti a tanta intensità, davanti a un tale coraggio di visione e percezione, può venire la pelle d’oca. Ci togliamo il cappello.   «E ora provate a bloccarmi e a cancellare il mio post ipocriti, pavidi e vigliacchi» conclude Toaff. «Siete una vergogna nella storia del popolo di Israele». Non sappiamo a chi stia parlando ora: a chi controlla i social media? È un’implicita ammissione al fatto che gli ebrei (o i sionisti, fate voi) controllano il pubblico discorso su internet e oltre?   La carne al fuoco è tantissima. Specie se consideriamo chi sta parlando. E ricordiamo quanto accadde nel febbraio 2007, quando uscì il libro più celebre di Toaff, Pasque di sangue.   Lo studio storico, edito dalla prestigiosa casa editrice Il Mulino (in zona, diciamo così, prodiana) esamina il contesto storico e culturale dell’ebraismo ashkenazita medievale in diaspora, dove nacque l’accusa agli ebrei di compiere omicidi rituali di bambini cristiani durante la Pasqua, utilizzando il loro sangue per presunti riti anticristiani.

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L’esempio più noto è quello di Simonino di Trento, noto da tutti come San Simonino (1472-1475), bambino di due anni e mezzo trovato morto durante la Pasqua del 1475, venerato come beato dalla Chiesa cattolica sino al Concilio Vaticano II. A seguito del ritrovamento in una roggia del corpo (che, secondo voci, da qualche parte ancora dovrebbe esserci…), quindici ebrei di Trento furono interrogati con la tortura, e confessarono. Furono messi a morte. Il culto di Simonino divenne nei secoli, e non solo per il mondo cattolico, la prova dell’esistenza dell’omicidio rituale ebraico, la cosiddetta «Accusa del sangue»: l’idea, diffusa dall’Inghilterra Medievale all’Europa rinascimentale alla Germania nazista al mondo arabo odierno, secondo cui gli ebrei consumano sangue umano, specialmente di bambini, durante la Pasqua ebraica (Pesach) per scopi magici o rituali.   In Pasque di sangue, se da un lato Toaff rigetta l’idea di omicidi rituali come mito cristiano, in linea con la storiografia tradizionale che considera tali accuse una montatura delle autorità cristiane, dall’altro suggerisce che, pur mancando prove dell’uso magico o superstizioso del sangue, non si può escludere che singoli individui, forse legati a gruppi estremisti ashkenaziti, possano aver compiuto tali pratiche. In particolare, vi sarebbero elementi che farebbero pensare a collegamenti con culti cabalistici dell’ebraismo dell’Europa orientale.   In pratica, Toaff ammette che l’omicidio rituale ebraico potrebbe essere realtà. Secondo Toaff, non è corretto rigettare completamente i documenti processuali, ritenuti dalla vulgata attuale come «inattendibili». Ad esempio, si riscontra una chiara corrispondenza tra le confessioni del processo di Trento e le fonti ebraiche relative all’uso magico e simbolico del sangue in riti e liturgie specifiche durante la Pasqua ebraica, tipici di gruppi estremisti ashkenaziti, con intenti anticristiani (il cosiddetto «rituale della maledizione»). Ciò conferma che, nonostante le confessioni ottenute sotto tortura, è possibile estrarne elementi autentici della cultura sotto processo. Nelle confessioni del processo di Trento emergono frasi in ebraico ashkenazita – invettive anticristiane corroborate da altre fonti – trascritte erroneamente dai notai, dimostrando che i giudici non conoscevano né l’ebraico né lo yiddish, il che avvalora l’autenticità di tali espressioni.   Lo scandalo all’uscita del libro fu immediato. In una reazione di velocità e potenza mai prima vedute, il volume fu ritirato prepotentemente dalle librerie (un fenomeno che avremo visto anni dopo con il libro sul COVID dell’allora ministro della Sanità Speranza), ma l’effetto fu l’opposto di quello desiderato dai censori: in un classico della golemica ebraica, l’interesse verso le tesi del libro accrebbero ancora di più. Nel momento in cui scrivo, su eBay una copia di Pasque di sangue prima edizioni si può comprare per 550 euro, mentre se volete risparmiare e comprarlo su Amazon dovete sborsarne 480. Racconterò pure di aver scoperto che un’amica serba, moderatamente religiosa, aveva pure lei sentito parlare del caso, che evidentemente viene discusso anche dalle comunità ortodosse in Italia.   Sì, Golem. Il mostro sfugge dal controllo: la seconda edizione, uscita nel 2008, pure ribadiva in qualche modo le tesi, ma voleva mettere in chiaro i concetti espressi «per non consentire equivoci di sorta», ma lo scandalo non viene dimenticato, il segno lasciato dal saggio è indelebile.   Vale la pena qui notare come dentro al mondo ebraico le reazioni non siano state univoche, e per un motivo che tenteremo di spiegare.

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Le reazioni dell’ebraismo italiano, e di conseguenza dell’intellighenzia democratica tutta (con paginoni su Corriere e Repubblica, ma anche, ma guarda un po’, sul giornale dei vescovi Avvenire) fu di rigetto alle tesi di Toaff. Valga la risposta del rabbino Elio Toaff, massimo rappresentante del giudaismo nazionale, nonché padre dell’autore: «la cultura ebraica è basata sulla pace e sul perdono. Si tratta di leggende che non hanno nessun fondamento».   Al contrario, l’università di Tel Aviv dove insegna il professor Toaff, la Bar-Ilan, difese le ricerche del suo cattedratico. Lì per lì, uno si potrebbe chiedere perché: stiamo parlando di un rito diabolico, di combustibile per l’antisemitismo nei millenni, di un argomento ancora usato oggi da palestinesi e altri musulmani mediorientali. Com’è possibile che non abbiano negato a basta?   Il motivo riesco a spiegarmelo ricordando le parole di uno sconosciuto incontrato per caso nell’estate del 2007. Ero a Roma, e non potevo resistere all’idea di una passeggiata serale. Davanti alla fontana di Piazza Navona incontro, incredibilmente, un amico compaesano trasferitosi a Los Angeles, che era lì con la famiglia messa su in America – che coincidenza incredibile trovarlo lì. Quando ci salutiamo, vedo seduto lì a fianco un ragazzo calvo, dall’aspetto anglo. Sta leggendo una fotocopia con un articolo su Pasque di Sangue. Non resisto e attacco bottone.   Voglio chiedergli come mai si interessa della questione. Nasce una conversazione più generale, durata ore, del perché si trovava a Roma: è un ragazzo britannico, che viveva in America, mi racconta la sua storia di conversione, lavorava per una ricca signora cattolica, ma lui non aveva tanta fede. Poi un giorno davanti a altre persone si mette a parlare di Cristo e della sua chiesa, e si rende conto di avere dentro di sé qualcosa di simile ad una vocazione. Era volato nel centro della cristianità, quindi, per capire il da farsi: non so se sia entrato in qualche seminario, non so se ora sia un consacrato, posso però dire che credevo completamente all’energia della sua conversione.   E allora, caro amico, perché ti interessi di Pasque di sangue? Al momento trovai la risposta ingenua, «dilettantistica», direi, ma ora capisco meglio. «Perché gli ebrei stanno rivendicando questo segno di forza sanguinaria, di violenza a fondamento della loro storia. I cattolici non hanno niente del genere». Parlava quasi come la cosa gli dispiacesse, forse perché lui sognava uno Stato Cattolico come Israele è lo Stato Ebraico, e nella sua foga di neoconvertito si rendeva conto che la chiesa moderna ha tolto ogni fondamento all’idea di uno Stato Cristiano.   È la prima parte del discorso di questo ragazzo conosciuto casualmente (che ha un nome, che non farò) che ora mi risuona dentro: gli ebrei rivendicano la propria forza sanguinaria. Pure se essa è ingiusta, orrenda, crudele, inumana – esoterica, infernale. E quindi: per sfuggire all’immagine di passività inane, gli ebrei rivendicano il sacrificio umano…?   Ciò sicuramente può venire dalla vulgata ebraica del Novecento, che vedeva l’ebreo come debole prima, come vittima poi: si va dall’idea dell’ebreo come razza femmina espressa in Sesso e Carattere (1903) di Otto Weininger – libro apparso in Italia con traduzione di Giulio Evola e apprezzato da Adolfo Hitler, malgrado l’autore fosse ebreo: il führer tuttavia apprezzava il fatto che il Weininger si fosse suicidato – alla successiva presentazione dell’ebreo come vittima definitiva con i campi di sterminio, quella che Norman Finkelstein ha chiamato L’industria dell’Olocausto. Lo sfruttamento della sofferenza degli ebrei (2000).   L’etichetta di razza debole, insomma, non va più bene agli ebrei. Non è vero che sono stati eterne vittime, e mai hanno alzato un dito contro i cristiani maggioritari: «Anche gli ebrei avevano voce. E non era sempre una voce sommessa e soffocata dalle lagrime» scrive Toaff in Pasque di Sangue.

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Quello dell’ebreo che non ne può più del senso di vittimismo, della narrativa dell’impotenza della propria genìa è un tema che meglio di ogni saggio accademico descrive il film capolavoro The Believer (2001), con un giovane e bravissimo Ryan Gosling nei panni di uintern naziskin americano che in realtà è ebreoUna storia che riprende quella, vera, di Dan Burros (1937-1965), esponente del Partito Nazismo Americano (ANP) e della frangia più violenta del Ku Klux Klan che era in realtà di una famiglia di ebrei di Nuova York.   Burros, definito come non plus ultra post-bellico di jüdische selbsthass («odio dell’ebreo verso se stesso»), finì, come Weininger, suicida. Non era l’unico ebreo a finire ai vertici dell’ANP. Era il giro che parlava di Washington come il luogo dello ZOG, cioè Zionist occupied Government («Governo di occupazione sionista»), espressione classica dei neonazisti statunitensi desunta dal loro libro-manifesto The Turner Diaries, di cui anni fa era apparsa finalmente una traduzione in italiano chiamata La seconda guerra civile americana. I diari di Turner, ora – abbiamo appena visto – misteriosamente sparita da Amazon, dove poco tempo fa pure l’avevamo comprata. Notiamo che che in questi giorni l’espressione del «governo occupato dagli israeliani» sionisti si sente tranquillamente in bocca a commentatori americani critici dell’influenza di Israele che magari nemmeno sono di destra.   Qui si introduce un discorso più ampio, che è quello della sostituzione dell’olocausto. Alcuni hanno sostenuto che la propaganda del dopoguerra ha tentato di sostituire presso la spiritualità cristiana l’Agnello, cioè l’Innocente, cioè Cristo, con il massacro degli ebrei: di fatto, proprio il termine per descrivere il sacrificio, «Olocausto», è ora occupato dalla questione dello sterminio operato dai tedeschi.   Il popolo ebraico massacrato diviene il vero Agnello, il vero sacrifizio dell’Innocente. Per questo, è stato detto, si può considerare l’Olocausto come «unica religione rimasta», l’unica di cui lo Stato moderno, Stato laico (cioè, massonico) obbliga il culto: ecco le «Giornate della Memoria». Ecco le leggi sul «negazionismo dell’Olocausto». Ecco la censura sui social se anche solo si prova a dire qualcosa contro non l’ebraismo, ma il sionismo…   Tutto questo è finito, e non solo Toaff sembra averlo capito. La vittima è divenuta carnefice. L’abusato, abusatore. Chi ha gridato per quasi un secolo al genocidio subìto, ora è accusato all’Aia di genocidio.   Il nuovo agnello mostra le forme di un lupo sanguinario: bombarda civili, uccide bambini, affama un intero popolo. Il rovesciamento del paradigma, sembrano dire tanti come Toaff, è incontrovertibile. Nessuna carta di vittimismo pare funzionare più: non il genocidio nazista, non la strage del 7 ottobre 2023.   Per chi scrive è evidente che la volgare esibizione di potenza di Israele, mostrata in tutta la sua crudeltà gratuita non solo sui canali social interni dei soldati IDF, sia animata proprio dalla volontà di sembrare, finalmente, non più vittime. Con il problema che, dicotomicamente, se non si è vittime, si diviene carnefici…   Dal dolore della vittima, all’estasi del carnefice: non possiamo non vedere come, davvero, ciò avvicini alle versioni più caricaturali, fumettistiche, del nazismo, inteso come sadismo massivo nei confronti del più debole.   Memento Golem: quello che non viene calcolato qui, come non lo era stato l’altra volta, sono le conseguenze di quanto si fa. Certo non ce lo dice la storiografia dell’establishment, ma sappiamo che i nazisti pagarono non solo con la distruzione del loro Stato (e la creazione di uno Stato castrato, uno Stato in istato di umiliazione e impotenza permanente) ma con l’uccisione e la diaspora, nel dopoguerra, di milioni di tedeschi.   Toaff sembra averlo capito quando parla della punizione in arrivo, con «i morti ammazzati di Gaza, donne e bambini, ci inseguiranno con le loro torce fiammeggianti fino al fuoco dell’inferno». L’inferno di Israele, al di là della questione personale e metafisica, potrebbe coincidere con la sua fine: non si tratta di un’idea peregrina, almeno non più, nemmeno presso gli stessi ebrei, con alcuni che si stanno convincendo della «maledizione dell’ottava decade»: lo Stato degli ebrei non dura più di ottant’anni, non visse più a lungo il Regno di re Davide, né il regno di Giudea (140-37 a.C.) degli asmonei che, per beghe interne tra fazione giudaiche, finì come protettorato romano.   Ora ci avviciniamo all’ottantesimo anniversario della nascita di Israele. Che sia questo che forza la mano dei sionisti? Che vi sia questo senso di apocalisse politica dietro alla frenesia assassini di questi mesi? Non sappiamo rispondere. Vediamo, tuttavia, come costoro possono immaginare, e temere, un mondo post-Israele…

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Se la sono cercata, potrebbe essere il commento superficiale. Forse in realtà non avevano scelta: con boria, ti prendi gioco dell’Innocente, sgozzi sghignazzando l’Agnello, pretendendo pure di essere tu, l’Agnello – e credi che ciò non chiamerà l’Ira di Dio?   Chiudo con una nota personale. Sono stato a Trento, per un gita domenicale, mesi fa. Parcheggiato davanti al Duomo, siamo entrati, e dopo un po’ abbiamo cercato qualcosa che ricordasse San Simonino, da qualche parte nella mia testa c’è l’idea che ci fosse una statua, forse poi cancellata con l’abolizione voluta dal Concilio Vaticano II del culto del beato bambino. Non si tratta di una figura minore per la città e per la Chiesa cattolica: fino al 1965, il Martirologio Romano in data 24 marzo segnava la celebrazione a Trento della «passione di san Simone, fanciullo trucidato crudelmente dai Giudei, autore di molti miracoli».   Chiediamo a quello che sembra un lavoratore della cattedrale. Ci dice che sì, c’è un segno rimasto, è un dipinto, dove, tra tanti altri soggetti, si intravede San Simonino… andiamo a vederlo, sulla navata sinistra: c’è, il bimbo beato è appena accennato. Quindi chiediamo dove sia la chiesa di San Simonino, e il ragazzo ci risponde che non c’è, c’è una cosa che si chiama «Aula del Simonino», è uno spazio pubblico, «laico», è un luogo FAI, ci fanno conferenze, cose così, è in fondo alla via fuori dal Duomo, che si chiama ancora via del Simonino. Andiamo a verificare: tutto vero. Tuttavia, apprendiamo che lo scorso 27 gennaio (l’immancabile «giorno della memoria») è stata piazzata in Piazza Duomo una targa commemorativa degli ebrei uccisi nel processo di quasi sei secoli fa…   Ora non ci sorprenderemmo se l’interesse per San Simonino, sepolto da decenni come hanno cercato di sotterrare il libro di Toaff, facesse un’impennata. Magari tracimando pure in altri casi della zona, come quello di Lorenzino da Marostica, bambino trovato cadavere nel 1485 e per il cui omicidio furono accusati gli ebrei di Bassano: un altro infanticidio rituale giudaico, con culto del bambino martire abolito, anche quello, dal Concilio nel 1965.   Simonino, Lorenzino, potrebbero essere tra quei «bambini, ci inseguiranno con le loro torce fiammeggianti fino al fuoco dell’inferno». Qualcuno lo sta capendo. Sta capendo che le conseguenze, quando si tocca l’Innocente, possono davvero seguirti sino alla fine, sino al giudizio. Perché il giudizio, alla fine, ci sarà.   Sì: il sacrificio umano ha un costo. Lo diciamo non solo per quanto riguarda la guerra di Gaza, ma anche per i nostri ospedali: forse chi uccide i bambini, ad un certo punto, dovrà pagare.   Davvero.   Roberto Dal Bosco

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Immagine: Bassorilievo rappresentante l’assassino di San Simonino di Trento Immagine di Andreas Caranti via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic; immagine modificata  
     
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Economia

Gruppi ebraici chiedono un nuovo risarcimento per i conti bancari svizzeri legati ai nazisti

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Il colosso bancario svizzero UBS potrebbe dover chiedere miliardi di dollari di risarcimento ai sopravvissuti all’Olocausto se venissero provate le accuse dei gruppi ebraici riguardo a conti bancari segreti nazisti ereditati dal fallito Credit Suisse. Lo riporta Bloomberg.

 

Secondo la testata economica neoeboracena, UBS sta completando le sue indagini sulla questione.

 

Ronald Lauder, presidente del Congresso Mondiale Ebraico e figura chiave dietro l’accordo da 1,25 miliardi di dollari con le banche svizzere del 1998, ha dichiarato a Bloomberg di credere che le banche debbano molto di più.

 

«Probabilmente abbiamo lasciato sul tavolo dai 5 ai 10 miliardi di dollari», ha affermato il miliardario della cosmetica a capo del grande ente giudaico internazionale.

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Nel 2020, il Simon Wiesenthal Center, un’organizzazione ebraica per i diritti umani, ha accusato Credit Suisse di non aver divulgato i conti collegati a clienti nazisti. In risposta, la banca ha commissionato un’indagine interna.

 

Dopo l’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS nel 2023, ha reintegrato l’ombudsman indipendente Neil Barofsky, ex procuratore statunitense, per condurre un’indagine più approfondita. Secondo Bloomberg, il rapporto finale dovrebbe essere completato all’inizio del prossimo anno.

 

L’indagine ha portato alla luce irregolarità, ha osservato la testata. Il lavoro preliminare di Barofsky ha rivelato centinaia di account, alcuni contrassegnati con etichette interne come «lista nera americana», suggerendo un occultamento intenzionale durante indagini precedenti.

 

«I numeri sono impressionanti. Dove un ebreo poteva aver versato 100.000 dollari, questi nazisti ne versavano 10 o 20 milioni, o l’equivalente», ha detto Lauder, sostenendo che il denaro fosse probabilmente stato rubato alle vittime dell’Olocausto. «Niente di tutto ciò è stato coperto dall’accordo degli anni Novanta».

 

Lauder sostiene che UBS potrebbe ora dover pagare miliardi in più di risarcimento. Altri sostengono che l’accordo del 1998 protegge le banche da future responsabilità finanziarie.

 

Credit Suisse, un tempo la seconda banca svizzera per dimensioni, è stata acquisita da UBS nel 2023 a seguito di una serie di scandali e perdite dovute alle ramificazioni del crash bancario partito con la crisi delle banche regionali USA come la Silicon Valley Bank.

 

La storica fusione, favorita dallo Stato elvetico, ha posto fine ai 167 anni di storia di Credit Suisse e ha scosso la fiducia globale nel settore bancario svizzero.

 

Come riportato da Renovatio 21, le accuse sui conti nazisti nell’istituto creditizio si erano riaccese mezzo anno fa.

 

Le banche svizzere sono ciclicamente accusate altresì di riciclaggio per conto del narcotraffico mondiale.

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Immagine di Ank Kumar via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

 

 

 

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Pensiero

Il samurai di Cristo e il profeta del nulla: un sabato a Kanazawa

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Sabato scorso ho avuto la fortuna di passare la giornata a Kanazawa, un piccolo gioiello di città situato nell’Ovest del Giappone.   Sul lato sud dell’area del castello, il centro ideale della città, poco meno di un chilometro separa due luoghi che rappresentano i due estremi della storia della regione. Vicino alla zona commerciale di Korinbo, si trova la chiesa Cattolica di San Giuseppe, dove, appena entrati, da subito si fa sentire la presenza del Beato Giusto Takayama Ukon.     Ho già avuto modo di rievocare la sua figura sulle pagine di Renovatio 21, ma vale la pena di ricordare ancora una volta la meravigliosa figura di questo samurai cristiano: dopo avere preferito rinunciare alle ricchezze garantite dal suo status di signore feudale pur di non abiurare la sua fede (una specie di San Francesco nipponico), Giusto Takayama passò a Kanazawa gli ultimi anni della sua vita giapponese, prima dell’esilio nelle Filippine e della morte ivi presto soppravvenuta a causa dei lunghi anni di persecuzione.   La sua presenza a Kanazawa ha lasciato tracce che esulano dalla sola testimonianza religiosa: visitando la ricostruzione del castello, si trovano cartelli illustrativi che ricordano il suo ruolo nella progettazione delle mura esterne e del fossato, oltre che del complesso sistema di canali che ancora attraversano la città.   Il clan Maeda, che ha continuativamente detenuto il potere sulla regione fino alla fine dello shogunato di Edo e all’ingresso del Giappone nell’era moderna, aveva dato asilo a Takayama quando questi si era trovato ormai senza più casa né averi a causa della sua fede religiosa, il che fa davvero onore a questo clan di guerrieri e mecenati.   Il beato Giusto, oltre che rinomato capo militare e ingegnere civile, era anche uno dei sette principali maestri della cerimonia del tè dell’epoca. Sul sado (茶道, la via del tè), ovvero la cerimonia del tè giapponese, bisognerebbe aprire un capitolo a parte: la maniera in cui in esso si fondono austerità e disciplina militare, ricercatezza estetica, enfasi sulla finitezza e l’imperfezione delle cose, attenzione nei confronti dell’ospite e umiltà nell’atteggiamento di chi officia rappresenta una delle vette assolute raggiunte dalla cultura di questo popolo contraddittorio e meraviglioso.   La chiesa di Kanazawa è appunto dedicata a San Giuseppe, ma già nel parcheggio ci dà il benvenuto una statua del samurai di Cristo. Nelle vetrate della chiesa, l’unica figura distintamente giapponese è quella del beato (con tanto di chonmage, la caratteristica pettinatura dei samurai!), e, a coronare il tutto, si trova anche in esposizione costante una reliquia della veste del Beato Giusto Takayama (per la sua santificazione si richiedono cortesemente le preghiere dei lettori).     La chiesa risulta suggestiva, vi si celebra una Messa post conciliare un po’ raffazzonata ma visibilmente molto sentita dalla comunità, come spesso capita qui in Giappone.

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Il contrasto con il museo D.T. Suzuki, a soli 15 minuti di distanza, non potrebbe essere più grande. In mezzo al verde delle piccole colline a sud del castello e del meraviglioso giardino Kenrokuen, in una zona punteggiata di musei (e vicino a un santuario shintoista dedicato al demone Inari: Quoniam omnes dii gentium daemonia), si trova questa austera e minimale struttura in cemento: in tutta onestà si tratta di un edificio indiscutibilmente bello, opera dell’architetto Yoshio Taniguchi.     Il problema è il personaggio a cui è dedicato: Daisetsu Teitaro Suzuki, probabilmente il principale divulgatore del nichilismo zen in occidente. Ci sono entrato senza sapere nulla del soggetto, su consiglio di un amico che aveva apprezzato l’architettura del museo, ma dopo pochi metri già la faccenda puzzava.   Foto del Suzuki con Erich Fromm, copia de Le porte della percezione del mefitico Aldous Huxley nella biblioteca del museo e altri cascami del milieu venefico che ha fatto da brodo di cultura ai vari sessantotti, sono gli indizi che mi hanno fatto capire di essere di fronte a una celebrazione del degrado morale e culturale militarizzato.     Una scorsa alla biografia del Suzuki sull’enciclopedia online basta a fare cadere dubbi, braccia e altre appendici. Riporto a seguire: «nel 1911, Suzuki sposò Beatrice Erskine Lane Suzuki, una laureata di Radcliffe e teosofa con molteplici contatti con la fede Baháʼí sia in America che in Giappone. In seguito Suzuki stesso si unì alla Società Teosofica Adyar e fu un teosofo attivo». Perché scrivere semplicemente che era un burattino dei servizi britannici pareva brutto. Direi che può bastare.   Ci tengo a riportare uno dei cartoncini con le profondissime massime del nostro distribuiti nel museo, che vale come promemoria della sconfinata inanità delle bubbole zen che sono state inoculate in occidente negli anni critici del dopoguerra. Si tratta chiaramente di frasette da imbonitore che devono apparire profonde e intimidire il lettore, ma che di fatto non sono degne di un Bacio Perugina scaduto.     Dietro a un linguaggio complesso, che senza definizioni precise non significa niente, si nasconde a stento il nulla. Che vuol dire trascendere? Cos’è un oggetto? Scapellamento a destra come fosse antani per due?   Di fronte a tanta aria fritta si capisce come lo zen d’accatto si sia diffuso così rapidamente in un ambiente culturale perennemente adolescente come quello statunitense, perché un adulto che legge cotante dabbenaggini risponde di regola a pernacchie o, se ha studiato, a rutti.   Il contributo che il popolo giapponese può dare all’umanità risiede altrove, nei gesti sobri di chi, attraverso il linguaggio della sua gente, celebrava la bellezza che emana dall’Unica Verità.   Mi piace pensare che, in questo momento, Giusto Takayama stia servendo il matcha a San Pietro in Paradiso.   Taro Negishi Corrispondente di Renovatio 21 da Tokyo

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