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La religione infernale che separa la Cattedra di Pietro dall’altare: omelia di mons. Viganò

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Renovatio 21 pubblica l’omelia di monsignor Carlo Maria Vigano per la festa della Cattedra di San Pietro in Roma (18 gennaio).

 

 

CATHEDRA VERITATIS

Omelia nella festa della Cattedra di San Pietro in Roma

 

 

 

Deus, qui beato Petro Apostolo tuo,
collatis clavibus regni cælestis,
ligandi atque solvendi pontificium tradidisti:
concede; ut, intercessionis ejus auxilio,
a peccatorum nostrorum nexibus liberemur.

 

Sia lodato Gesù Cristo.

 

Oggi la Chiesa in Roma celebra la festa della Cattedra di San Pietro, con la quale l’autorità che Nostro Signore conferì al Principe degli Apostoli trova nella Cattedra il suo simbolo e la sua espressione ecclesiale.

 

Troviamo tracce di questa celebrazione sin dal sec. III, ma fu in occasione dell’eresia luterana che Paolo IV, nel 1588, stabilì che la festa della Cattedra qua primum Romae sedit Petrus avesse luogo il 18 Gennaio, in risposta alla negazione della presenza dell’Apostolo nell’Urbe. L’altra festa, per la Cattedra della prima Diocesi fondata da San Pietro, Antiochia, è celebrata dalla Chiesa universale il 22 Febbraio.

 

Permettetemi di farvi notare questo aspetto importante: come il corpo umano sviluppa gli anticorpi al sorgere della malattia, in modo da poterla sconfiggere quando ne viene contagiato; così il corpo ecclesiale si difende dal contagio dell’errore al suo presentarsi, affermando con maggiore incisività quegli aspetti del dogma minacciati dall’eresia.

 

Per questo, con grande saggezza, la Chiesa ha proclamato delle Verità di Fede in determinati momenti e non prima, poiché quelle Verità erano sino ad allora credute dai fedeli in forma meno esplicita e articolata e non occorreva ancora precisarle.

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Alla negazione ariana della natura divina di Nostro Signore rispondono i sacri Canoni del Concilio Ecumenico di Nicea e ad essi fanno eco le splendide composizioni della liturgia antica; alla negazione del valore sacrificale della Messa, della Transustanziazione, dei suffragi, delle indulgenze rispondono i sacri Canoni del Tridentino, e con essi i testi sublimi della Liturgia.

 

Alla negazione della fondazione della Diocesi di Roma da parte dell’Apostolo Pietro in chiave antipapale risponde la festa odierna, voluta da Paolo IV proprio per ribadire la verità storica impugnata dai Protestanti e rafforzare la dottrina che ne deriva.

 

In modo opposto agiscono gli eretici e i loro epigoni neomodernisti che infestano la Chiesa di Cristo da ormai sessant’anni. E dove essi non negano sfrontatamente il Magistero cattolico, ecco che tentano di indebolirlo tacendolo, omettendolo, formulandolo in modo da renderlo equivocabile e quindi accettabile anche da chi lo nega. Così agirono gli eresiarchi del passato; così hanno agito i novatori al Vaticano II; così agiscono oggi coloro che, per non essere accusabili di eresia formale, cercano di cancellare quelle «difese immunitarie» di cui si era dotata la Chiesa, in modo da far cadere in errore i fedeli e contagiarli con la peste dell’eresia.

 

Quasi tutto ciò che, crescendo armoniosamente come un fanciullo che diventa adulto e si rafforza nel corpo e nello spirito, il Corpo Mistico aveva sapientemente sviluppato nel corso dei secoli – ed in particolare durante il secondo millennio dell’era di Cristo – è stato volontariamente oscurato e censurato, con la scusa ingannatrice di ritornare alla primigenia semplicità dell’antichità cristiana, e con lo scopo inconfessabile di adulterare la Fede cattolica per compiacere i nemici della Chiesa.

 

Se prendete il Messale montiniano, non troverete in esso eresie esplicite; ma se lo confrontate con il Messale tradizionale, vi accorgerete che l’aver omesso tante preghiere composte in difesa della Verità rivelata è stato più che sufficiente per rendere la Messa riformata accettabile anche per i Luterani, come hanno essi stessi ammesso dopo la promulgazione di quel rito funesto ed equivoco.

 

A conferma di ciò, anche le feste della Cattedra di San Pietro in Roma e in Antiochia sono state unificate, in nome di quella cancel culture che la setta modernista ha adottato in ambito ecclesiastico ben prima che la sinistra woke se ne appropriasse in ambito civile.

 

Oggi celebriamo le glorie del Papato, di cui è appunto simbolo la Cathedra Apostolica che il genio del Bernini ha artisticamente composto sull’altare dell’abside della Basilica Vaticana, sovrastata dalla vetrata di alabastro con lo Spirito Santo e retta da quattro Dottori della Chiesa: Sant’Agostino e Sant’Ambrogio per la Chiesa latina, Sant’Atanasio e San Giovanni Crisostomo per la Chiesa greca.

 

Nel progetto originale, rimasto intatto attraverso i secoli, la Cattedra si trovava sopra un altare, che la furia devastatrice dei novatori non ha risparmiato, spostandolo tra l’abside e il baldacchino della Confessione. Eppure proprio nell’unità architettonica di altare e cattedra – oggi volutamente cancellata – troviamo il fondamento della dottrina del Primato di Pietro, che è fondato su Cristo, lapis angularis, così come è di pietra l’altare del sacrificio, anch’esso simbolo di Cristo.

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Celebriamo il Papato in una fase storica di grave crisi e di apostasia, assurta sino a quel Soglio su cui Pietro sedette per primo. E mentre ci si strazia il cuore nel contemplare le rovine causate dalla devastazione dei novatori in danno di tante anime e della gloria della Maestà divina; mentre imploriamo al Cielo una luce che ci permetta di comprendere come coniugare il Non prævalebunt con lo stillicidio di eresie e scandali diffusi da colui che la Provvidenza ci ha inflitto a capo del corpo ecclesiale come punizione per i peccati compiuti dalla Gerarchia in questi decenni; mentre vediamo serpeggiare la divisione tra quanti si illudevano di avere ancora un Papa segregato nel Monastero… e lo scisma nelle Diocesi dell’Europa del Nord con il loro sciagurato cammino sinodale fortissimamente voluto da Bergoglio, ci cade sotto gli occhi la profezia di Leone XIII di felice memoria, il quale volle inserire nella preghiera dell’Esorcismo contro Satana e gli angeli apostatici quelle tremende parole che all’epoca dovevano suonare quasi scandalose, ma che oggi comprendiamo nel loro senso soprannaturale:

 

Ecclesiam, Agni immaculati sponsam, faverrimi hostes repleverunt amaritudinibus, inebriarunt absinthio; ad omnia desiderabilia ejus impias miserunt manus. Ubi sedes beatissimi Petri et Cathedra veritatis ad lucem gentium constituta est, ibi thronum posuerunt abominationis et impietatis suæ; ut percusso Pastore, et gregem disperdere valeant.

 

Nemici terribili hanno riempito la Chiesa, sposa dell’Agnello immacolato, di amarezze, l’hanno avvelenata con l’assenzio; hanno messo le loro empie mani su tutte le cose desiderabili. Là dove la sede del beatissimo Pietro e la Cattedra della verità fu costituita per illuminare le genti, ivi hanno posto il trono della loro abominazione ed empietà, affinché abbattendo il Pastore potessero disperdere anche il gregge.

 

Non sono parole scritte a caso: esse vennero redatte dopo che Leone XIII, alla fine della Messa, ebbe una visione in cui il Signore concedeva a Satana un periodo di tempo di circa cent’anni per mettere alla prova gli uomini di Chiesa. Esse riecheggiano il messaggio della Vergine Santissima a La Salette, cinquant’anni prima: «Roma perderà la fede e diverrà sede dell’Anticristo», e precedono di poco più di un decennio quella terza parte del Segreto di Fatima in cui, con ogni verosimiglianza, la Madonna prediceva l’apostasia della Gerarchia con il Concilio Vaticano II e la riforma liturgica.

 

Qualsiasi fedele, nel corso dei secoli, ha potuto guardare a Roma come a un faro di verità. Nessun Papa, nemmeno i più controversi della Storia come Alessandro VI, ebbero mai l’ardire di usurpare la propria sacra Autorità Apostolica per demolire la Chiesa, adulterarne il Magistero, corromperne la Morale, banalizzarne la Liturgia. Nelle tempeste più sconvolgenti, la Cattedra di Pietro è rimasta inconcussa e, nonostante le persecuzioni, essa non è mai venuta meno al mandato conferitole da Cristo: Pasci i miei agnelli. Pasci le mie pecorelle (Gv 21, 15-19).

 

Oggi, e da ormai dieci anni, pascere gli agnelli e le pecorelle del gregge del Signore è considerato da colui che occupa il Soglio di Pietro come una «solenne sciocchezza», e il comando che il Signore ha dato agli Apostoli – Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato (Mt 28, 19-20) – è visto come deplorevole «proselitismo», quasi la missione divina della Santa Chiesa fosse paragonabile alla propaganda ereticale delle sette.

 

L’ha detto il 1ᵒ ottobre 2013; il 6 Gennaio 2014; il 24 Settembre 2016; il 3 Maggio 2018; il 30 Settembre 2018; il 6 Giugno 2019; il 20 Dicembre 2019; il 25 Aprile 2020 e ancora lo scorso 11 Gennaio. E qui crolla l’ultimo, vetusto fastigio di quello che fu il Vaticano II, che della missionarietà fece la propria parola d’ordine, senza comprendere che per annunciare Cristo a un mondo paganizzato occorre anzitutto credere nelle Verità soprannaturali che Egli ha insegnato agli Apostoli e che la Chiesa ha il dovere di custodire fedelmente.

 

Annacquare la dottrina cattolica, tacerla, tradirla per compiacere la mentalità del secolo non è opera di Fede, perché questa virtù si fonda su Dio, che è Verità somma; non è opera di Speranza, perché non si può sperare la salvezza o l’aiuto di un Dio di Cui si rifiuta l’autorità rivelante e l’amore salvifico; non è opera di Carità, perché non si può amare Colui del Quale si nega l’essenza.

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Qual è il vulnus che ha colpito il corpo ecclesiale, rendendo possibile questa apostasia dei vertici della Gerarchia, al punto da destare scandalo non solo nei Cattolici, ma anche nelle persone del mondo? È l’abuso dell’autorità.

 

È il credere che il potere connesso all’autorità possa essere esercitato per lo scopo opposto a quello che legittima l’autorità stessa.

 

È prendere il posto di Dio, usurpandoGli la suprema potestà per decidere cosa è giusto e cosa non lo è, cosa si può ancora dire alle persone e cosa dev’esser considerato fuori moda o sorpassato, in nome del progresso e dell’evoluzione.

 

È usare il potere delle Sante Chiavi per sciogliere quel che deve essere legato e legare quel che deve essere sciolto.

 

È non comprendere che l’autorità appartiene a Dio e a nessun altro, e che tanto i governanti delle Nazioni quanto i Prelati della Chiesa sono tutti gerarchicamente sottoposti a Cristo Re e Pontefice.

 

È insomma separare la Cattedra dall’altare, l’autorità del Vicario e del Reggente da quella di Colui che la rende sacra, ratificata dall’alto, perché ne possiede la pienezza e ne è l’origine divina.

 

Tra i titoli del Romano Pontefice ricorre, assieme a Christi Vicarius, anche quello di Servus servorum Dei. Se il primo è stato sdegnosamente rifiutato da Bergoglio, la sua scelta di mantenere il secondo suona come una provocazione, come dimostrano le sue parole e le sue opere.

 

Verrà il giorno in cui ai Presuli della Chiesa sarà chiesto di chiarire quali intrighi e quali cospirazioni abbiano potuto condurre sul Soglio chi agisce come servo dei servi di Satana, e per quale motivo essi abbiano assistito pavidamente alle sue intemperanze o si siano resi complici di questo orgoglioso tiranno eretico.

 

Tremino coloro che sanno e che tacciono per falsa prudenza: col loro silenzio essi non proteggono l’onore della Santa Chiesa, né preservano dallo scandalo i semplici. Al contrario, essi sprofondano la Sposa dell’Agnello nell’ignominia e nell’umiliazione, e allontanano i fedeli dall’Arca di salvezza proprio nel momento del diluvio.

 

Preghiamo perché il Signore si degni di concederci un santo Papa e dei santi governanti. ImploriamoLo di porre fine a questo lungo periodo di prova, grazie al quale – come ogni evento permesso da Dio – stiamo comprendendo quanto sia fondamentale instaurare omnia in Christo, ricapitolare tutto in Lui; quanto sia infernale – letteralmente – il mondo che rifiuta la Signoria di Cristo, e quanto ancor più infernale una religione che si spoglia con spregio delle sue vesti regali – vesti tinte del Sangue dell’Agnello sulla Croce – per farsi serva dei potenti, del Nuovo Ordine Mondiale, della setta globalista.

 

Tempora bona veniant. Pax Christi veniat. Regnum Christi veniat.

 

E così sia.

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

18 Gennaio 2023
Cathedra sancti Petri Apostoli, qua primum Romae sedit

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Chiesa 2.0 del cardinale Walter Kasper

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Riforma radicale dell’ecclesiologia attraverso l’instaurazione di una forma di bicameralismo all’americana: è più o meno questa la strada che il cardinale Walter Kasper auspica vedere intrapresa dalla Chiesa all’indomani del Sinodo sulla sinodalità.   Il 10 aprile 2024, l’arciabbazia di San Pietro a Salisburgo (Austria) – il più antico monastero benedettino del mondo di lingua tedesca – pullula di curiosi accorsi per ascoltare la conferenza introduttiva tenuta da un illustre ospite come parte del simposio «Cardinali e Benedettini».   Il cardinale Kasper, che difende una linea progressista nell’interpretazione del Concilio Vaticano II – che un tempo lo metteva in opposizione con il cardinale Josef Ratzinger – ha intitolato il suo intervento «Cardinali al servizio della Chiesa e del papato».   Il porporato, che ha avuto un ruolo di primo piano negli ultimi due conclavi – ma che ora è privato del diritto di voto a causa dell’età – resta una voce ascoltata dall’attuale Romano Pontefice. Secondo lui il Sinodo sulla sinodalità sarebbe un’occasione per riportare i cardinali al loro vero posto.   L’ex vescovo di Rottenburg-Stoccarda ritiene che, nel quadro del Sinodo, papa Francesco abbia lanciato un grande movimento per il decentramento della Chiesa: occorrerebbe inoltre fare un nuovo passo verso la riforma del collegio cardinalizio, in senso di un cosiddetto ritorno alle fonti.   In questa prospettiva ai cardinali verrebbe attribuita una nuova prerogativa: quella di presiedere i consigli plenari nelle regioni da cui provengono. Al fine di istituire una sorta di sistema bicamerale nel governo della Chiesa, composto dal Sinodo dei vescovi e dal Consiglio dei cardinali. Mai visto prima nella Storia della Chiesa.  

Un’interpretazione molto personale dell’evoluzione della funzione cardinale

Radicata inizialmente nella liturgia, la funzione cardinalizia si sarebbe, secondo le parole dell’ex professore dell’Università di Tubinga, «politicizzata» per diventare il giocattolo delle grandi famiglie romane fino a essere coinvolte nel declino della Roma decadente del tardo Medioevo.   In epoca moderna, la funzione cardinalizia si sarebbe poi ridotta all’esercizio del ruolo di funzionario della Curia Romana, prima della grande «riscoperta» di questa veneranda istituzione durante il Concilio Vaticano II, che costituisce tuttora l’alfa e l’omega della Chiesa per Mons. Kasper.

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Un’affermazione molto discutibile

Gli studi concordano nel vedere la lontana origine dei cardinali nel presbyterium, un’assemblea di sacerdoti e diaconi che assistono e consigliano il vescovo nella guida del suo gregge. Sant’Ignazio di Antiochia lo menziona come «il Senato del vescovo», al quale i fedeli devono rispetto perché rappresenta il vescovo, ma al di sotto di lui.   Anche il vescovo di Roma era circondato da un presbyterium. Ma, «dalla somiglianza di origine e dal fatto che il nome di cardinale era comune all’alto clero romano e all’alto clero di altre città vescovili, sarebbe errato concludere», precisa il Dizionario di Teologia Cattolica, «che questo nome rispondeva in entrambi i casi a identiche prerogative».   «Il titolo di papa veniva anticamente dato indiscriminatamente a tutti i vescovi e non venne mai in mente a nessun cattolico di metterli tutti, per questa ragione, sullo stesso rango. È il caso del nome cardinale: in origine era generico e non implicava di per sé alcun ruolo specifico; nessun grado uniforme di potere; il suo valore esatto è stato determinato in base alle circostanze».   «I cardinali di una determinata diocesi diversa da quella di Roma non hanno mai potuto ricevere dal loro vescovo, per condividerlo con lui, nessun altro potere se non quello contenuto entro i limiti di quella diocesi; ma i dignitari associati dal Sommo Pontefice all’amministrazione degli affari che gli spettavano acquistarono necessariamente potere e influenza estendendosi a tutta la Chiesa».   Bastano queste righe autorevoli per rimettere in discussione i meriti storici di questo «bicameralismo» che il cardinale Kasper difende, e che equivarrebbe a diluire ulteriormente l’autorità del Romano Pontefice.   «Speriamo di mantenere Francesco ancora per qualche anno e che i suoi successori completino le sue riforme», ha detto il cardinale Kasper.   Una conclusione carica di incertezza, che lascia intendere che il progressismo è ancora lungi dall’aver vinto e che nel prossimo conclave resta l’elezione di tutte le possibilità, sotto la benevola grazia dello Spirito Santo.

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Ritorno all’affare del catechismo olandese (1966-1968)

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È utile raccontare la vicenda del Catechismo olandese, che è stata richiamata da mons. Peter Kohlgraf come punto di paragone con l’evoluzione della Chiesa in Germania.

 

Sfondo

I cattolici olandesi sono da tempo noti per la loro fede, perché fin dal XVI secolo hanno dovuto lottare contro un clima protestante ostile. Nel XX secolo sono diventati la maggioranza, con strutture importanti, una forte identità e numerosi missionari in tutto il mondo.

 

Ma dopo la guerra, il materialismo trasformò la vita. La pratica, superiore al 70%, era in declino. Dall’inizio degli anni ’60, tra i cattolici olandesi si diffuse l’uso dei contraccettivi, con la conseguente riduzione delle dimensioni delle famiglie, del numero dei candidati al seminario e una diminuzione del senso di fede. La tradizionale presa di distanza dai protestanti non aveva più senso.

 

Contesto

Dal 1956 i professori dell’Istituto catechetico superiore di Nimega furono incaricati dall’episcopato olandese di comporre un catechismo per i bambini. Nel 1960 si decise di realizzarlo per adulti. Fu pubblicato nel 1966 con l’imprimatur del cardinale Bernardus Alfrink.

 

La direzione si deve al gesuita olandese Piet Schoonenberg (1911-1999) e al domenicano belga Edward Schillebeeckx (1914-2009), professori dell’Istituto. Fr. Schillebeeckx era una voce ascoltata al Concilio Vaticano II, anche se non era stato nominato esperto.

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Le origini delle gravi carenze del Catechismo

Il testo considera la situazione del mondo, cercando di cogliere in modo positivo le diverse religioni, compreso il marxismo, come espressioni della ricerca di Dio. Integra la prospettiva delle scienze e quella dell’evoluzione. Questo approccio era difettoso.

 

Ciò nonostante, la cosa peggiore non fu questa. Sono stati scoperti gravi errori, la cui radice risiedeva in due intenzioni sottostanti. Il primo: andare d’accordo con la parte protestante del Paese, cercando di migliorare le spiegazioni cattoliche, ma evitando anche ciò che potrebbe dispiacere ai riformati.

 

La seconda: si trattava di raggiungere il mondo moderno. Ciò ha portato alla ricerca di formule morbide, a evitare argomenti difficili (il peccato originale, i miracoli) e a interpretare altri, «meno credibili», come il concepimento verginale, gli angeli e la risurrezione, come metafore. Gli scrittori si erano convinti che questi punti non fossero propriamente questioni di fede e che fossero liberi di cercarne un’interpretazione simbolica.

 

Infine, gli scrittori hanno cercato espressioni alternative alle formule tradizionali della Fede, sostituendo la terminologia «filosofica». Ciò ha portato a ricostruzioni difficili e insolite dei dogmi centrali – la Trinità, la personalità di Gesù Cristo, il peccato, i sacramenti – che hanno perso precisione. Il problema sta in ciò che non è stato affermato o in ciò che è stato reinterpretato.

 

Opposizione cattolica

L’opposizione sorse subito da parte dei cattolici ben formati. Hanno denunciato le carenze in un giornale (Confrontatiie) e hanno inviato una lettera al Papa, pubblicata sulla stampa cattolica (De Tijd). Gli autori del catechismo hanno reagito molto male.

 

Paolo VI nominò allora, d’accordo con Alfrink, una commissione mista composta da tre teologi romani (Edouard Dhanis, Jan Visser, Benedict Lemeer) e tre membri dell’Istituto di Nijmegen (Schoonenberg, Schillebeeckx e W. Bless). Si incontrarono a Gazzada (Italia) nell’aprile 1967, ma la delegazione dell’Istituto rifiutò per principio ogni cambiamento.

 

La Commissione Cardinalizia

Paolo VI nominò poi una commissione di sei cardinali (giugno 1967): Josef Frings, Joseph-Charles Lefebre, Lorenz Jaeger, Ermenegildo Florit, Michael Browne, Charles Journet. Sarebbero assistiti da sette teologi. L’elenco dei punti da correggere o chiarire è lungo:

 

L’esistenza degli angeli e dei demoni, la creazione immediata dell’anima da parte di Dio, il peccato originale, il poligenismo, il concepimento verginale di Cristo, la verginità perpetua di Maria, la soddisfazione espiatoria del sacrificio della Croce, la perpetuazione del sacrificio nell’uomo Eucaristia, Transustanziazione, Presenza Reale, infallibilità della Chiesa, sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune, primato di Roma, conoscenza della Trinità, coscienza divina di Gesù, battesimo, sacramento della Penitenza, miracoli, morte e risurrezione, giudizio e del Purgatorio, l’universalità delle leggi morali, l’indissolubilità del matrimonio, il controllo delle nascite, i peccati veniali e mortali e lo stato matrimoniale.

 

La commissione pubblicò una Dichiarazione (15 ottobre 1968), indicando le necessarie correzioni e integrazioni. Come riferisce Omnes, «L’Istituto si rifiutò di correggere il testo e promosse traduzioni in tedesco, francese, inglese e spagnolo, senza rettifiche o nihil obstat […] [E] erano sicuri che la loro proposta fosse il futuro della Chiesa universale ed erano pronti a difenderlo ad ogni costo.

 

«Si è deciso poi di convertire le correzioni in un Supplemento di circa 20 pagine, che potrebbe aggiungersi ai volumi invenduti delle varie edizioni e traduzioni, previo benestare degli editori».

 

Influenza del «Consiglio» pastorale olandese

Questo «concilio», iniziato nel 1966, è stato influenzato dagli errori del Catechismo olandese. In particolare, la terza sessione (1969) fu molto segnata dal clima creato dalla questione del Catechismo e dalla tensione con Roma scaturita dal suo esame e poi dalla Dichiarazione della Commissione Cardinalizia.

 

Ciò spiega in parte gli eccessi che questo «concilio» ha esaminato e poi votato con la benedizione dell’episcopato olandese.

 

Paolo VI, su richiesta di Jacques Maritain e del cardinale Charles Journet, che prepararono l’ossatura del testo, reagì con la pubblicazione del Credo du peuple de Dieu, proclamato solennemente in Vaticano il 30 giugno 1968, per la chiusura dell’Anno della fede. Il Papa ha sostanzialmente riaffermato le verità di fede negate o messe in discussione dal Catechismo olandese senza nominarlo.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Mons. Viganò: omelia per le Rogazioni contro il cancro conciliare

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Renovatio 21 ripubblica questo discorso di monsignor Carlo Maria Viganò.    

FIRMAMENTUM MEUM

Omelia nelle Litanie Maggiori, o Rogazioni Pozzolatico (Firenze). 25 Aprile 2024

     

Dominus firmamentum meum, et refugium meum, et liberator meus. Il Signore è mia roccia, mia fortezza e mio liberatore.

Ps 17, 3

Le Rogazioni riportano molti di noi a tempi remoti, nei quali il 25 Aprile era dedicato alla Benedizione dei campi. Ed era nelle campagne, un tempo nemmeno troppo distanti dalle città, che vedevamo processioni di fedeli e popolo seguire il sacerdote al canto delle Litanie.   Ut fructus terræ dare et conservare digneris… Contadini vestiti con l’abito della festa accompagnavano i nostri parroci fino ai loro poderi, dove la sua preghiera echeggiava in un silenzio rotto solo dal canto degli uccelli. Gli alberi da frutto erano in fiore e nell’aria volavano i semi dei pioppi. E si sapeva, nell’intimo di una coscienza che parlava ancora, che il Signore premia il giusto e punisce il malvagio: non solo perché questo era ciò che si sentiva predicare in chiesa, ma anche perché questa giustizia semplice nella comprensione e divina nelle sue manifestazioni mandava le cavallette nel campo di chi lavorava la domenica, e rendeva feconde le coltivazioni, generosi i fianchi delle mucche e delle pecore di chi viveva in Grazia di Dio. 

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La nostra educazione radicatamente cattolica ci mostrava incastonati in un elaboratissimo disegno della Provvidenza; ed anche se il Creato ci era ostile dopo la cacciata dall’Eden, eravamo nondimeno aiutati dal ritmo sereno delle stagioni e dallo scandire confortante delle ricorrenze religiose a condurre una vita ancora rispondente all’armonia voluta dal Creatore.    Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore…   Potevamo ancora ammirare all’alba, in questa stagione, il cielo che si schiariva e brillava nel suo blu radioso: oggi ci siamo ormai abituati alla grigia coltre di cieli irrorati artificialmente. E comprendiamo, solo oggi, quanto dessimo per scontata la luce del sole, che qualche autoproclamato filantropo vorrebbe schermare:    de te, Altissimo, porta significatione.   Pensiamoci bene: l’odio del Nemico sembra progressivamente mostrarsi con sempre maggior arroganza, e privare il genere umano della luce del sole è un’inquietante figura dell’oscuramento di Cristo, Sol justitiæ, da parte dei servi dell’Avversario.    Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento.   Quella società ancora cattolica, pur essendo minata dagli errori del liberalismo o del materialismo ateo, è riuscita a sopravvivere fino agli Anni Sessanta perché era tenuta in vita dall’opera santificatrice della Chiesa e da una generazione di sacerdoti formati secondo l’impostazione tradizionale.   Per far ingoiare a questi buoni parroci e religiosi l’indigesto boccone del Vaticano II furono necessari anni e anni di rieducazione e di epurazioni, ma nel frattempo – anche dove il rito riformato aveva sostituito la Messa cattolica – dai pulpiti veniva ancora predicata la Fede di Cristo. Solo per questo gli errori moderni non poterono attecchire ovunque: rimaneva nelle anime il timor di Dio, il rispetto della santità della vita, il riconoscimento del ruolo sociale della famiglia, la volontà di Bene.   Nel frattempo il cancro conciliare si diffondeva nelle Università pontificie, nei Seminari, nei Conventi, nelle associazioni cattoliche.    Fu allora che la Gerarchia Cattolica lasciò cadere le Rogazioni, considerandole una vieta manifestazione di fideismo quasi superstizioso. La mente orgogliosa e superba dei novatori non poteva tollerare che il popolo cristiano chiedesse perdono per i propri peccati, invocando la misericordia del Signore e propiziando le Sue benedizioni sui campi.   Era una visione «medievale», indegna delle elevate e adulte coscienze dei modernisti. Era un ostacolo al dialogo religioso, perché riconosceva alla Maestà divina una centralità che l’uomo moderno rivendicava a sé e alla sua dignitas infinita – intelligenti pauca. Così la Provvidenza venne bandita sia nel Suo intervento nella Storia, sia nella nostra possibilità di invocarLa.   Il Vaticano II, con la sua visione orizzontale, ci ha precluso quella consolante consapevolezza di essere parte di un cosmo in cui la nostra esistenza individuale è insostituibile perché frutto dell’amore provvidente del Dio Creatore, Redentore e Santificatore. 

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La voce della «chiesa conciliare» ci faceva credere che eravamo tutti salvi per il solo fatto che Cristo fosse uomo come noi; e quindi che non vi poteva essere nessuna punizione perché non vi era alcuna colpa da punire; dunque non vi era più un Dio da implorare perché fermasse il braccio della Sua giusta ira su di noi peccatori.   Questo voleva dire – e lo vediamo confermato oggi – che non serviva nemmeno un Redentore, e che il Sacrificio della Croce era inutile. Ma se tutti si salvano, a cosa serve la Chiesa? Se non c’è diluvio, a cosa serve l’Arca? Se il mondo può vivere in pace e in armonia senza Dio, perché dovremmo pregarLo? Se vogliamo la pioggia, ce la facciamo cadere noi, e se i campi inaridiscono facciamo crescere piante ogm in idrocultura, creiamo la carne sintetica, sostituiamo il frumento con gli scarafaggi, la natura con i pannelli solari, la vita con la sua grottesca replica in provetta.    Nelle Rogazioni è riassunta l’anima del popolo cattolico, perché nell’invocare la misericordia e la benedizione di Dio sui frutti della terra che vanno maturando nei campi e lungo i filari, quel popolo si riconosceva con umile realismo peccatore, capace di emendarsi, di far penitenza, di difendere la propria Fede con il generoso e sincero impeto di Pietro: Signore, con Te sono pronto ad andare in prigione e alla morte (Lc 22, 33).   Quel mondo cristiano, cari fratelli, è stato cancellato: in molte nazioni seguirne i principi è considerato un reato. Ma se è umanamente arduo pensare che sia possibile ricostruire quel modello sulle rovine di un’umanità abbrutita e ribelle, abbiamo tuttavia la possibilità di formare piccole comunità in cui sia custodita e conservata la Fede cattolica secondo quel modo di vivere antico e sacro, nella consapevolezza che dovremmo forse adattarci anche alla clandestinità e alla macchia. Sarà allora che i nostri figli scopriranno con stupore e incredulità quanto sia preferibile arare un campo, dissodare un orto, coltivare frutta, allevare il bestiame, pascolare le pecore, saper fare il formaggio e cuocere il pane. Perché quel benedetto sudore della fronte ci riporta alla concretezza della nostra condizione di exsules filii Hevæ ma ci affranca dalla servitù dei call center, dall’usura, dalla necessità di comprare e mangiare quel che altri hanno deciso.    Tornare alla Fede è possibile creando piccole comunità tradizionali, in cui confrontarsi con gli elementi, seguire i ritmi delle stagioni, la fatica dell’estate e il riposo dell’inverno, la preghiera costante a punteggiare le giornate; giornate in cui ci si alza con la luce del Sole e il segno della Croce, e alla fine delle quali ci si corica con il nome di Gesù e di Maria sulle labbra; giornate in cui la grandine si allontana con una giaculatoria e accendendo la candela benedetta, in cui l’agonia di un’anima è accompagnata dal rintocco della campana, e non dall’arroganza di medici corrotti e infermieri senza cuore. 

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Ecco perché preghiamo oggi: perché vi siano agricoltori nei campi, vignaioli nelle vigne, pastori per le greggi, operai infaticabili nei tempi di sereno e di tempesta, nella canicola e con la galaverna. E questo vale per le coltivazioni e il bestiame, ma anche e soprattutto per il campo del Signore, per la Sua vigna, per il Suo gregge: è il motivo per cui nelle Litanie invochiamo di essere risparmiati a fulgure et tempestatea peste, fame et bello, ma anche per cui preghiamo ut domnum Apostolicum et omnes ecclesiasticos ordines in sancta religione conservare digneris.   A questo servono i Ministri dell’Altissimo: a dissodare e seminare la Parola di Dio con la predicazione; a moltiplicare i grappoli dell’unica vite; a pascere le pecore che il Signore ha affidato loro.    L’anniversario dell’Ordinazione sacerdotale di don Lorenzo e don Emanuele e della mia Consacrazione episcopale ci ricordano l’importanza del Sacerdozio cattolico, specialmente in un’epoca in cui i Ministri rimasti fedeli a Cristo sono sempre meno.   Il Collegium Traditionis è appunto un seminarium, un luogo – e lo comprenderanno bene quanti conoscono la vita di campagna – in cui il seme della Vocazione è fatto crescere e portato a sviluppo, prima che la pianta possa esser messa a dimora e irrobustirsi dando frutto.   Chiediamo anche noi, sull’esempio e per l’intercessione del glorioso Apostolo ed Evangelista Marco, di veder benedetti i frutti soprannaturali di questo vivaio di futuri sacerdoti: per la gloria di Dio, l’onore della Chiesa, la salvezza delle anime. E così sia.   + Carlo Maria Viganò Arcivescovo   25 Aprile 2024 S.cti Marci Ev.

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  Immagine: Jules Breton, La Bénédiction des blés en Artois (1867), Museo di Orsay, Parigi. Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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