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La Disney licenzia Gina Carano per un’analogia con i nazisti. Il suo collega di sinistra (figlio di un ladro di embrioni), no

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La polemica è scoppiata sul doppio standard hollywoodiano, dopo che due star della serie The Mandalorian prodotto e distribuita dal canale streaming Disney + hanno fatto analogie con il nazismo e con l’olocausto. La Lucasfilm, casa di produzione di Star Wars ora di proprietà della Disney, ha però licenziato solo la star di posizioni conservatrici .

 

Il protagonista della serie Pedro Pascal ha pubblicato un post su Instagram ora cancellato a novembre paragonando i sostenitori di Trump che hanno perso le elezioni del 2020 ai Confederatu USA (i sudisti) e alla Germania nazista.

 

Il protagonista della serie Pedro Pascal ha pubblicato un post su Instagram ora cancellato a novembre paragonando i sostenitori di Trump che hanno perso le elezioni del 2020 ai Confederatu USA (i sudisti) e alla Germania nazista.

Nel giugno del 2018, Pascal ha paragonato gli ebrei in un campo di concentramento nazista ai  «bambini in gabbia», una bufala anti-trumpiana messa in circolo utilizzando, in questo caso, una foto del 2010 di bambini palestinesi in attesa di essere nutriti in una mensa per i poveri.

 

Tuttavia, pochi giorni fa settimana la collega Gina Carano – che in The Mandalorian interpretava l’ex soldato dell’Alleanza Ribelle Cara Dune– è stata licenziata dalla serie e abbandonata dalla sua agenzia dopo aver condiviso un post su TikTok che confrontava l’attuale clima politico diviso con il trattamento degli ebrei nella Germania prima della seconda guerra mondiale, dicendo che «il governo prima ha fatto in modo che i propri vicini li odiassero semplicemente per essere ebrei».

 

«Gli ebrei venivano picchiati per le strade, non dai soldati nazisti ma dai loro vicini … anche dai bambini… La maggior parte delle persone oggi non si rende conto che per arrivare al punto in cui i soldati nazisti potevano facilmente radunare migliaia di ebrei, il governo aveva fatto in modo che i propri vicini li odiassero semplicemente per essere ebrei. Com’è diverso dall’odiare qualcuno per le loro opinioni politiche»

 

Carano in precedenza ha attirato critiche per aver deriso i pronomi della cultura gender (le bizzarre parole con cui nell’America impazzita si dichiara le parole con cui essere chiamati secondo l’identità sessuale«percepita») inserendo nel suo profilo  Twitter i pronomi canzonatorii «boop / bop / beep».

«Gina Carano non è attualmente impiegata da Lucasfilm e non ci sono piani per lei in futuro», ha detto un portavoce di Lucasfilm in un comunicato. «I suoi post sui social media che denigrano le persone sulla base delle loro identità culturali e religiose sono abominevoli e inaccettabili»

 

«Gina Carano non è attualmente impiegata da Lucasfilm e non ci sono piani per lei in futuro», ha detto un portavoce di Lucasfilm in un comunicato. «I suoi post sui social media che denigrano le persone sulla base delle loro identità culturali e religiose sono abominevoli e inaccettabili».

 

Carano, già campionessa di MMA (arti marziali miste),  ha anche deriso l’isteria intorno alle mascherine, ricevendo oltre 40.000 «Mi piace» su Twitter.

 

Oltre al licenziamento da parte di Lucasfilm, Carano è stata anche licenziata come cliente dalla sua agenzia, UTA, secondo The Hollywood Reporter.

 

«Hanno cercato un motivo per licenziarla da due mesi, e oggi è stata l’ultima goccia», ha detto una fonte a conoscenza della situazione.

 

L’ipocrisia di licenziare Carano mantenendo Pascal per la stessa cosa non è patente.

Carano in precedenza ha attirato critiche per aver deriso i pronomi della cultura gender (le bizzarre parole con cui nell’America impazzita si dichiara le parole con cui essere chiamati secondo l’identità sessuale«percepita») inserendo nel suo profilo  Twitter i pronomi canzonatorii «boop / bop / beep»

 

Vogliamo ricordare qualcosa riguardo a Pedro Pascal.

 

Si tratta di un momento d’oro per l’attore cileno naturalizzato statunitense, in un momento dove i latinos stanno guadagnando sempre più ruoli, visto che persino gli Oscar daranno un premio per i film con maggiore «diversità» etnica e sessuale. Le due stagioni del Mandalorian sono andate benissimo; la sua fugace apparizione su Game of Thrones pare aver lasciato il segno.

 

Pascal, al secolo José Pedro Balmaceda Pascal, non viene dalla povertà sudamericana, tuttavia. Cresciuto in un dorato asilo politico prima danese e poi californiano, già da bimbo ha potuto tornare con frequenza a Santiago a trovare l’ampia famiglia.  Sua madre fa parte della famiglia Allende – suo cugino Andrés Pascal Allende, nipote del presidente Salvador Allende che voleva installare missili sovietici in Cile, condusse la guerriglia urbana contro Pinochet.

 

Il caso del padre di Pascal è tuttavia molto interessante per un sito come il nostro. José Balmaceda, un medico specializzato in fertilità, a metà degli anni Novanta scappò dagli USA per tornare in Cile a causa di una dozzina di querele e di un’investigazione criminale sulle sue attività. Balmaceda era accusato assieme ai suoi partner di scambio di ovuli  senza il consenso dei pazienti e di illeciti finanziari presso la clinica UC Irvine dove operava. La famiglia fu imbarcata in aereo per fatta stabilire nel quartiere più elegante di Santiago, Las Condes, dove aveva immediatamente trovato lavoro in un’altra clinica della fertilità, una delle poche del Paese.

Il caso del padre di Pascal è tuttavia molto interessante per un sito come il nostro. José Balmaceda, un medico specializzato in fertilità, a metà degli anni Novanta scappò dagli USA per tornare in Cile a causa di una dozzina di querele e di un’investigazione criminale sulle sue attività

Tuttavia, la sua nuova vita in Cile è stata sconvolta da una tragedia personale quando sua moglie si è suicidata nel 1999, lasciando Balmaceda con i quattro figli

>Il 17 gennaio 2001 è stato arrestato all’aeroporto Ezeiza di Buenos Aires, in Argentina, e trattenuto per estradizione negli Stati Uniti con l’accusa di frode postale ed evasione fiscale. È stato rilasciato su cauzione con l’ordine di non lasciare l’Argentina, ma non si è presentato all’udienza in tribunale di febbraio. Balmaceda è tornato in Cile.

In interviste televisive e suoi giornali, l’uomo ha sempre professato la sua innocenza.

 

Il Padre di Pascal  nel 1984 aprì la strada alla tecnica di fecondazione chiamata GIFT – o «trasferimento intra-Falloppio dei gameti» – una procedura in cui gli ovuli e lo sperma vengono impiantati nelle tube di Falloppio.

Balmaceda avrebbe rubato non solo ovuli, ma anche embrioni di dozzine di donne, impiantandoli in altre pazienti del «Centro per la salute riproduttiva» dell’Università della California – Irvine

 

Nel maggio 1995 l’università della California – Irvine interruppe i rapporti con Balmaceda e soci (tra cui il dottor Ricardo Asch, che fuggì anche lui per poi essere acciuffato quindici anni dopo in Messico), accusandoli di trapiantare ovuli senza il consenso dei pazienti, di condurre ricerche sull’uomo senza permesso, di ostacolare le indagini universitarie e prescrivere un farmaco per la fertilità non approvato. Il Pascal senior inoltre oggetto di indagine per possibili frodi fiscali e assicurative.

 

Anni dopo, emerge che Balmaceda avrebbe rubato non solo ovuli, ma anche embrioni di dozzine di donne, impiantandoli in altre pazienti del «Centro per la salute riproduttiva» dell’Università della California – Irvine.

 

Ora, quel che Renovatio 21 pensa, e non si stancherà mai di ripetere, è che la fecondazione in vitro, la produzione extracorporea di embrioni, è forse il più grande e pericoloso crimine perpetrato dall’umanità contro se stessa.

Chi crede nell’umanità dell’embrione, non può non vedere come i dottori delle provette di fatto uccidano migliaia, milioni di persone (l’embrione è persona: è una credenza religiosa che non ci toglierete mai), come Stalin e Pol Pot

 

Per ogni bambino artificiale che nasce, decine di embrioni «fratellini» vengono sacrificati: scartati a prescindere (perché non belli al microscopio) oppure impiantati in utero dove la percentuale che attecchiscono e bassa (per questo ne impiantano più di uno).

 

In pratica, si tratta di una pratica stragista. Dietro alla «medicina della fertilità», c’è un oceano di morte – o meglio, di micromorte, di morte che, a differenza di omicidi ed aborti, è del tutto invisibile.

 

Per chi crede nel fatto che l’embrione sia un essere umano, si tratta di un fatto intollerabile. Di più: chi crede nell’umanità dell’embrione, non può non vedere come i dottori delle provette di fatto uccidano migliaia, milioni di persone (l’embrione è persona: è una credenza religiosa che non ci toglierete mai), come Stalin e Pol Pot.

Chi produce la vita umana in laboratorio, deve per forza sprecarla, usare tanti individui come schiavi, come carne da cannone: cosa c’è di più nazista di questo?

 

Chi produce la vita umana in laboratorio, deve per forza sprecarla, usare tanti individui come schiavi, come carne da cannone: cosa c’è di più nazista di questo?

 

Il divo hollywoodiano Pascal, prima di paragonare gli elettori di Trump ai nazisti, ha mai provato a guardarsi in casa? Gli serve un microscopio?

 

 

 

 

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Attrici giapponesi che si vestono da uomini bullizzano collega fino a spingerla al suicidio

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Dal Giappone arriva l’eco di un episodio di bullismo e violenza sistematica sfociati in un suicidio all’interno di una struttura esclusivamente femminile. Una sorta di suicidio femminicida, ma ad opera di femmine.

 

Teatro della vicenda è per il corpo teatrale Takarazuka, un’istituzione più che secolare nel mondo dello spettacolo giapponese. Il concetto alla base del corpo teatrale è che sono soltanto attrici a salire in scena, interpretando anche i ruoli maschili. Tale idea, di per sé spiazzante, inverte completamente la tradizione del teatro tradizionale Kabuki, dove sono gli attori maschi a ricoprire tutti i ruoli.

 

Gli spettacoli del Takarazuka sono tuttavia distanti anni luce dal rigido formalismo del Kabuki: qui si tratta di musical che attingono dalle fonti più disparate, da West Side Story all’Evgenij Onegin, spesso spingendo a tavoletta su elementi che qualche anno fa si definivano camp o kitsch, in italiano lo si potrebbe semplicemente chiamare «pacchianeria», benché estremamente professionale e ben fatta.

 

 

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Il seguito che hanno questi spettacoli nel contesto nipponico è impressionante, ancora di più perché per la grandissima maggioranza femminile: lo scrivente ricorda di essersi imbattuto in una lunghissima coda in attesa di entrare nel teatro di Tokyo – in zona centralissima, vicino al palazzo imperiale – dove si esibisce la compagnia. Si poteva constatare che gli uomini tra la folla erano appena una manciata.

 

Un ambiente quindi quasi completamente femminile, al sicuro da patriarcato e maschilismo tossico.

 

E allora, come si spiegano allora vessazioni di gruppo, ustioni procurate con le piastre per i capelli, carichi di lavoro insostenibili assegnati al solo scopo di umiliare e di lasciare soltanto tre ore di sonno al giorno? È questa l’ordalia che ha portato la 25enne Aria Kii a gettarsi nel vuoto per porre fine alla sua vita nel settembre del 2023.

 

La vicenda era stata prontamente insabbiata dall’azienda che gestisce la compagnia teatrale ma è stata riportata a galla dall’ineffabile Shuukan Bunshun, testata con una lunga e gloriosa tradizione di caccia agli scheletri negli armadi. Nella primavera di quest’anno i dirigenti dell’azienda in questione hanno pubblicamente ammesso la loro responsabilità nel non essere stati in grado di vigilare adeguatamente l’ambiente lavorativo delle attrici.

 

Duole dire che per la società giapponese uno scenario così è tutto fuorché inconsueto: il proverbio «il chiodo che sporge verrà martellato» illustra ancora con una certa fedeltà le dinamiche sociali che si formano all’interno delle istituzioni giapponesi – siano esse scuole, aziende, partiti.

 

Negli ultimi tempi c’è un evidente cambiamento in atto soprattutto per quanto riguarda il mondo del lavoro, ma il bullismo allo scopo di creare coesione all’interno di un gruppo è una pratica a cui i giapponesi ricorrono abitualmente e che non sembra soffrire di particolare disapprovazione sociale.

 

Dal Giappone ci chiediamo con sincerità come un giornalista italiano – di area woke, ma anche solo attento a seguire i dettami del politicamente corretto elargiti ai corsi di deontologia dell’Ordine – potrebbe riportare la notizia della triste morte di Aria, con lo stuolo di angherie subite in un contesto esclusivamente femminile.

 

Taro Negishi

Corrispondente di Renovatio 21 da Tokyo

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Lucerna annulla il concerto della Netrebko, Berlino la invita a cantare

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Il concerto in Svizzera della cantante lirica russa Anna Jur’evna Netrebko, previsto per il 1° giugno, è stato annullato su richiesta delle autorità locali, hanno riferito ai media i rappresentanti della sala da concerto della città di Lucerna.   In una dichiarazione al quotidiano Luzerner Zeitung, la direzione del KKL (Kultur und Kongresszentrum Luzern) ha spiegato che «la percezione pubblica del solista resta controversa», riferendosi alle accuse secondo cui Netrebko rimane vicino al presidente russo Vladimir Putin, avendo rifiutato di prendere le distanze da lui dopo l’avvio del conflitto in Ucraina.   La sede del KKL ha inoltre affermato che la vicinanza del concerto alla data e al luogo della prossima Conferenza di pace in Ucraina, prevista per il 15 giugno al Burgenstock, nella città di Nidvaldo, avrebbe causato «una minaccia all’ordine pubblico», secondo quanto affermato da un politico lucernese, riporta EIRN. Ci sarebbero stati «almeno un migliaio» di manifestanti all’esibizione di Netrebko.

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Anche il consigliere comunale di Lucerna, Armin Hartmann, ha dichiarato ai media che l’ufficio del sindaco ha chiesto esplicitamente al KKL di annullare l’esibizione di Netrebko, affermando che «non riteniamo appropriato che un artista russo presumibilmente fedele al regime si esibisca a Lucerna».   Il sindaco Beat Zusli ha anche affermato che «un artista che ha preso le distanze dalla guerra ma non ha mai rinunciato al regime russo, non dovrebbe apparire in città», per non causare «danni alla reputazione» della regione.   In risposta, gli uffici della Netrebko ha rilasciato una dichiarazione in cui condanna l’annullamento unilaterale della sua esibizione «contrariamente agli obblighi contrattuali» degli organizzatori e sottolinea che la conferenza di pace in Ucraina si terrà due settimane dopo il concerto previsto.   I rappresentanti della cantante hanno sottolineato che «nessuna delle quasi 100 esibizioni di Anna Netrebko dal marzo 2022 ha portato a un disturbo dell’ordine pubblico».   Il management della cantante ha anche sottolineato che, dopo lo scoppio del conflitto ucraino nel 2022, Netrebko si è espressa pubblicamente contro i combattimenti e ha chiesto la pace in Ucraina. Da allora non è più tornata in Russia, poiché vive in Austria dal 2006.   La questione Netrebko ha portato giovedì anche il ministero degli Esteri ucraino a denunciare la decisione dell’Opera di Stato di Berlino di riportare indietro il soprano russo di fama mondiale, una grande artista che era stata precedentemente «cancellata» per essersi rifiutata di denunciare il suo Paese.   «La voce dell’Ucraina in Germania dovrebbe essere ascoltata più forte del soprano Anna Netrebko», ha affermato il ministero di Kiev in un post su Facebook, rivelando che il regime ucraino aveva compiuto sforzi per impedire alla cantante russa di esibirsi a Berlino, ma i suoi sforzi «non hanno avuto la risposta adeguata».   La Netrebko prenderà parte alla première di venerdì del Macbeth. L’Ucraina intende protestare contro la sua presenza inviando l’ambasciatore Oleksiy Makeev alla mostra anti-russa allestita accanto al teatro dell’opera, accompagnato dal senatore per la cultura di Berlino Joseph Chialo, ha detto il ministero. Makeev ha anche pubblicato un editoriale in cui denuncia Netrebko in diversi organi di stampa tedeschi.

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La Staatsoper Unter den Linden, come viene ufficialmente chiamata l’opera berlinese, ha annunciato alla fine di agosto che intende riprendere la collaborazione con la Netrebko, adducendo che non si è esibita in Russia di recente.   Come riportato da Renovatio 21, la battaglia dell’Ucraina contro la Netrebko in Germania è risalente, e non si tratta della sola Germania: lo scorso settembre era emerso che pure le autorità ceche, sotto pressione, hanno annullato l’esibizione programmata di Netrebko a Praga il mese scorso.   La musica classica – settore di eccellenza di tanti artisti russi, dall’opera al balletto e oltre – è sempre più teatro della guerra della russofobia, con le pretese allucinanti del regime di Kiev spesso assecondate dai Paesi occidentali, nonché episodi al limite del tollerabile come quello della nona di Beethoven, cioè L’Inno alla gioia, dove viene ora inserita la parola «Slava», che ricorda ovviamente da vicino lo slogan banderista, cioè neonazista, «Slava Ukraini».   Come riportato da Renovatio 21, la furia russofoba era tracimata anche in Italia, facendo saltare in provincia di Vicenza il balletto Il lago dei cigni di Tchaikovskij, compositore che ha la colpa di essere russo.  

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La nona di Beethoven trasformata nel canto banderista «Slava Ukraini»

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La direttrice Keri-Lynn Wilson, moglie del direttore generale del Metropolitan Opera di Nuova York Peter Gelb, ha annunciato che la sua «Ukrainian Freedom Orchestra» eseguirà la famosa nona sinfonia di Beethoven, quella ispirata all’ode Inno alla gioia (An die Freude) del drammaturgo tedesco Friedrich Schiller. Lo riporta EIRN.

 

Tuttavia, secondo quanto si apprende, la Wilson starebbe sostituendo la parola «Freude» nel testo con «Slava». «Slava ukraini» o «Gloria all’Ucraina» era il famigerato canto delle coorti ucraine di Hitler guidate dal collaborazionista Stepan Bandera durante la Seconda Guerra Mondiale. Da allora è stato conservato come canto di segnalazione dalle successive generazioni di seguaci di Bandera, i cosiddetti «nazionalisti integrali», chiamati più semplicemente da alcuni neonazisti ucraini o ucronazisti.

 

A causa di quanto accaduto nella prima metà del secolo, in Germania non si può cantare «Heil!» in tedesco senza invocare «Heil Hitler!», né si può dichiarare ad alta voce «Slava!» in Ucraina senza invocare lo «Slava Ukraini» canto dei sanguinari collaboratori locali del Terzo Reich, in particolare il Bandera.

 

La Wilson, che si vanta delle sue origini ucraine via nonna materna e della sua comunità ucraina di Winnipeg, Canada (Paese, come è emerso scandalosamente con il caso Trudeau-Zelens’kyj, pieno di rifugiati ucronazisti), ha rilasciato ieri il suo comunicato stampa.

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«La decisione di cantare il grande testo di Schiller per la Nona Sinfonia di Beethoven in ucraino è stata per noi un’importante dichiarazione artistica e culturale più ampia» ha dichiarato il direttore. «Putin sta letteralmente cercando di mettere a tacere una nazione. Non saremo messi a tacere. Il nostro unico emendamento a Schiller è che invece di cantare “Freude” (Gioia) canteremo “Slava” (Gloria), dal grido della resistenza ucraina di fronte alla spietata aggressione russa, Slava Ukraini! (Gloria all’Ucraina!)».

 

Notiamo l’interessante inversione in corso presso la sinistra e l’establishment: la «resistenza», oggi, la fanno i nazisti…

 

 

 

«Mentre l’Ucraina continua la sua lotta a nome del mondo libero, ha bisogno più che mai del nostro sostegno e porteremo con orgoglio il nostro messaggio in tutta Europa e negli Stati Uniti» ha continuato la Wilsona, che ha eseguito per la prima volta la sua versione banderizzata di Beethoven il 9 nel dicembre 2022 a Leopoli con la sua Ukraine Freedom Orchestra.

 

Nel 2023, l’importante casa discografica della classica Deutsche Grammophon ha registrato l’esecuzione del suo primo tour europeo a Varsavia, e quest’anno vi sarà la pubblicazione, proprio nel bicentenario dell’opera di Beethoven. Vi sarà quindi una tournée quest’estate che toccherà Parigi, Varsavia, Londra, Nuova York e Washington.

 

Secondo quanto riporta EIRN, «si dice inoltre che il prossimo progetto della Wilson coinvolga la sostituzione della parola “agape”» (cioè, in greco, amore disinteressato, infinito, universale), termine contenuto nella lettera di San Paolo ai Corinzi (capitolo 13), «con «agon» o «eris» (cioè, contesa, lotta, conflitto)».

 

Se fosse vero, sarebbe un altro tassello del quadro che si sta dipanando dinanzi ai nostri occhi. Dalla gioia alla guerra. Da Cristo a Nietzsche.

 

Va così, perfino nella musica classica.

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