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Geopolitica

La Comunità Politica Europea: un buco nell’acqua

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

Le relazioni internazionali sono immobili dall’inizio dell’operazione militare russa in Ucraina. Le posizioni non mutano. Il presidente Macron ha creduto di poter modificare le regole del gioco rimescolando le carte in una riunione dei fratelli-nemici europei, la Comunità Politica Europea. Ma il presidente Putin l’ha battuto sul tempo, cambiando i confini della Russia e quindi il gioco stesso.

 

 

Il presidente francese Emmanuel Macron non sa prendere decisioni che risolvano le crisi, si limita a rimescolare le carte per aprire spiragli di nuove soluzioni.

 

Un atteggiamento che, a maggio scorso, rilevando l’assenza di confronto sul conflitto ucraino, l’ha indotto a lanciare un’iniziativa: la Comunità Politica Europea.

 

Dopo la Confederazione Europea di François Mitterrand e l’Unione per il Mediterraneo di Nicolas Sarkozy, l’Eliseo si è perciò sforzato di convincere i partner dell’utilità di questa nuova «cosa».

 

Detto per inciso, la Francia cambia spesso idea: la Confederazione di Mitterrand caldeggiava l’alleanza fra l’Europa Occidentale e l’Europa Orientale, fra Bruxelles e Mosca; la Comunità di Macron vuole invece aizzare l’una contro l’altra.

 

La Francia, che nel primo semestre 2022 presiedeva il Consiglio Europeo, ha ovviamente sollecitato il suo presidente permanente, l’ex primo ministro belga Charles Michel, che vi si è buttato a capofitto: pensava di far da collante attorno alla UE, ritagliandosi un ruolo da primadonna, a scapito della presidente della Commissione, la rivale Ursula von der Leyen. I diplomatici francesi l’hanno pazientemente rimesso al suo posto, tant’è che durante la conferenza stampa finale non era sul palcoscenico. Quanto a von der Leyen, è stata invitata solo per salvare la forma.

 

La CPE è stata allestita con le risorse dell’Unione, ma non in suo nome. Infatti le riunioni preparatorie non si sono svolte nei locali dell’Unione, bensì al castello belga di Val Duchesse. Non si sarebbe potuto fare altrimenti, dal momento che all’iniziativa sono stati associati Regno Unito e Turchia. La Londra post-Brexit è ferma nel rifiuto di una struttura sovranazionale; dal canto suo Ankara bussa alla porta dell’Ue da troppo tempo per non temere di essere dirottata su un altro binario morto. Il Regno Unito ha persino sottilizzato sulla denominazione Comunità Politica Europea, che gli rammenta l’ormai sepolta Comunità Economica Europea, antenata dell’Unione Europea. La Turchia ha da parte sua preteso garanzie che la partecipazione alla CPE non sarebbe stata l’ennesimo diversivo per indurla a pazientare.

 

Alla fine al forum sono intervenuti 44 Stati: tutti quelli europei, a eccezione ovviamente di Russia e Bielorussia, i nemici dichiaratamente designati.

 

Malauguratamente ci sono voluti sei mesi per preparare la rimpatriata, che quindi arriva troppo tardi. Nella fase preparatoria si trattava di alleare il continente contro i sempiterni nemici russi, che hanno invaso la giovane democrazia ucraina.

 

Ovviamente alcuni Stati non la vedevano così. La Turchia badava a barcamenarsi tra alleati ucraini e occidentali da un lato e l’alleato russo dall’altro; nonché la Serbia che, come la Turchia, rifiutava di applicare le sanzioni contro la Russia, senza nemmeno darsi la pena di nascondere la propria russofilia.

 

Nella UE, Austria e soprattutto Ungheria manifestavano palesemente la loro amicizia con Mosca, pur ripetendo a fior di labbra le tesi degli altri. Ma ecco che all’ultimo momento il presidente Vladimir Putin ha giocato la carta vincente mobilitando 300 mila veterani e facendo aderire quattro oblast’ ucraine alla Federazione di Russia. In questo modo ha scompigliato le carte molto meglio di Emmanuel Macron, che se l’è presa solo con le regole del gioco.

 

Infatti, se la NATO continuerà a trasferire armi, non sarà più per attaccare le repubbliche non riconosciute del Donbass, nonché le non-invitate forze armate russe in Ucraina, ma direttamente la Federazione di Russia, colpendo quello che ora è diventato un suo territorio. Trent’anni fa i britannici ritenevano russi Crimea, Novorossia e Donbass. Il fatto di giudicare oggi l’adesione di queste regioni «annessione» non cambierà la realtà.

 

La NATO calpesterà per giunta il diritto all’autodeterminazione dei popoli, che legittima l’indipendenza di queste regioni e la loro libera adesione alla madrepatria. Agli Stati ex-colonie apparirà allora chiaramente la natura dell’Alleanza: una coalizione di revanscisti che cerca disperatamente di salvare il secolare dominio sul mondo.

 

Ma d’altro canto, se la NATO decidesse di fermarsi, i suoi capi, che hanno continuato a proclamarsi a gran voce difensori della pace e della giustizia, sembrerebbero «tigri di carta», secondo la formula di Mao Zedong. Sarà così evidente a tutti che il dominio degli Occidentali è finito.

 

La riunione è stata aperta dall’accanito russofobo Petr Fiala, primo ministro ceco, che ha immediatamente dato il la alla seduta in chiave anti-Putin – la propaganda personalizza sempre i politici degli Stati. Fedele a se stesso, l’inevitabile presidente ucraino, l’attore Volodymyr Zelensky, intervenendo da remoto ha annunciato che i carrarmati russi avrebbero molto presto «marciato su Praga [sede della riunione] e su Varsavia» (sic). Con stoicismo, l’uditorio si è limitato ad applaudire educatamente, senza entusiasmo.

 

Le riunioni a margine del summit sono state fallimentari, a eccezione del vertice armeno-azerbaijanese che, dopo un tiepido avvio, è continuato in serata.

 

Gli incontri tematici hanno permesso di conoscere l’opinione nel merito di ciascuno. Il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream ha indotto i partecipanti ad accennare a una protezione delle infrastrutture comuni; non era però chiaro se si trattava di semplice preoccupazione oppure anche di una denuncia della sovranità statunitense.

 

L’atto terroristico contro il ponte di Crimea non c’era ancora stato.

 

Dietro le quinte tutti si mettono d’accordo per acclamare le prodezze delle Forze Speciali Usa, ma al tempo stesso si domandano fino a che punto si spingerà Washington.

 

Non era prevista una dichiarazione comune a conclusione del vertice; né sarebbe stata possibile. È stato però concordato il calendario dei prossimi incontri: fra sei mesi in Moldavia, l’anno prossimo in Spagna, poi nel Regno Unito. Nessuno dei partecipanti sa però perché parteciparvi né se la CPE sussisterà.

 

È inutile combattere la propria natura. La riunione è stata coperta da Eurovision, struttura creata negli anni Cinquanta dalla NATO, che nell’ultimo concorso canoro ha premiato l’Ucraina.

 

Alla riunione della Comunità Politica Europea è seguita una seduta informale del Consiglio Europeo, ove i 27 membri hanno tratto le conclusioni di questo vertice ciarliero e inutile.

 

 

Thierry Meyssan

 

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

Immagine di president az via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

 

 

 

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Geopolitica

La giunta militare birmana vieta agli uomini di andare a lavorare all’estero

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Si tratta di un provvedimento che si accompagna all’obbligo di leva obbligatoria imposto a febbraio agli uomini fino a 35 anni (e alle donne fino a 27). Negli ultimi tre mesi 100mila uomini hanno fatto domanda di espatrio e molti altri, per sfuggire al reclutamento, sono fuggiti in Thailandia.

 

La giunta militare al potere in Myanmar ha vietato agli uomini che hanno i requisiti per essere arruolati di andare a lavorare all’estero. La misura, annunciata dal ministero del Lavoro, è entrata in vigore due giorni fa, dopo che a febbraio era stata imposta la leva obbligatoria per gli uomini tra i 18 e i 35 anni e le donne tra i 18 e i 27 a causa delle continue perdite e sconfitte riportate dall’esercito birmano nel conflitto civile. Nei mesi successivi almeno 100mila uomini avevano fatto richiesta di espatrio.

 

Nyunt Win, segretario permanente del ministero del Lavoro, ha dichiarato che il provvedimento non si applica a coloro che hanno già ottenuto il permesso di partire. «Coloro che hanno già ottenuto l’autorizzazione sono esenti da questo divieto. Quando lo aboliremo dipende dalle circostanze. Questo è tutto ciò che posso dire per ora», ha spiegato.

 

Una fonte anonima ha rivelato a Myanmar Now che durante un incontro precedente all’annuncio i vertici militari si erano lamentati «del fatto che troppi giovani lasciano il Paese per sfuggire alla legge sulla leva obbligatoria».

 

Secondo lo United States Institute of Peace. l’esercito birmano è composto da appena 130mila soldati, di cui solo la metà pronti a essere dispiegati. Gli esperti concordano nel ritenere l’obbligo di leva un tentativo disperato per aumentare il numero di truppe, che si è progressivamente ridotto negli oltre tre anni di conflitto.

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Con l’inizio della guerra civile dopo il colpo di Stato del febbraio 2021, quando l’esercito ha spodestato il precedente governo guidato da Aung San Suu Kyi, migliaia di cittadini birmani sono fuggiti all’estero, cercando lavoro soprattutto in Thailandia, Malaysia, Singapore, Corea del Sud e anche Emirati Arabi Uniti.

 

Prima dell’introduzione della leva obbligatoria, il regime militare birmano, a corto di liquidità oltre che di uomini, aveva già introdotto due misure economiche che hanno penalizzato i lavoratori migranti: questi sono stati obbligati a utilizzare canali ufficiali per l’invio delle rimesse, versando (a tassi meno vantaggiosi) un quarto del loro stipendio, pena un divieto di espatrio per i tre anni successivi, e sono stati poi costretti a pagare le imposte sul reddito estero (su cui già pagano le tasse).

 

Ma ora, con l’imposizione del divieto di espatrio, «tutti hanno perso la speranza nel futuro», ha detto alla BBC un uomo che si stava preparando a lasciare il Myanmar per il Giappone. «Non ci sono opportunità di lavoro nel Paese e ora ci hanno anche proibito di lasciarlo. Non ci è permesso fare nulla?», ha aggiunto.

 

Molti giovani in età per essere arruolati nelle ultime settimane sono fuggiti in Thailandia grazie alle conquiste delle forze della resistenza, che sembrava avessero preso il controllo della città commerciale di Myawaddy. Un controllo, da parte delle milizie etniche locali e altri gruppi armati, durato però solo due settimane.

 

Circa 15mila persone sono fuggite durante gli scontri, rifugiandosi in monasteri e campi improvvisati lungo il fiume Moei, che separa il Myanmar dalla Thailandia. Secondo le Nazioni unite il numero totale di sfollati a causa del conflitto è di almeno 2,6 milioni.

 

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Immagine di EU Civil Protection and Humanitarian Aid via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NoDerivs 2.0 Generic

 

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Geopolitica

Borrell lamenta che alcuni Stati UE ancora considereno la Russia «un buon amico»

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Il capo della politica estera dell’UE, Josep Borrell, ha ammesso che non tutti gli Stati membri vedono la Russia come «la minaccia più esistenziale» per l’Europa, sostenendo che le controversie tra i membri impediscono al blocco di assumere una posizione unitaria su Mosca e frenano gli aiuti militari all’Ucraina.   Parlando venerdì all’Università di Oxford, nel Regno Unito, Borrell ha affermato di vedere «più confronto e meno cooperazione» negli affari mondiali, e ha sollevato esempi di dissenso tra i membri dell’UE quando si tratta del presidente russo Vladimir Putin e del conflitto in Ucraina.   «Oggi Putin rappresenta una minaccia esistenziale per tutti noi. Se Putin avrà successo in Ucraina, non si fermerà qui», ha dichiarato il Borrell, aggiungendo che una vittoria russa minerebbe la sicurezza dell’Europa. Tuttavia «non tutti nell’Unione europea condividono questa valutazione», ha sottolineato.   «Alcuni membri del Consiglio europeo dicono: “Ebbene, no, la Russia non è una minaccia esistenziale. Almeno non per me. Considero la Russia un buon amico”», ha detto al pubblico oxoniano l’alto funzionario della diplomazia UE, senza nominare contee specifiche. «In un’unione governata all’unanimità, le nostre politiche nei confronti della Russia sono sempre minacciate da un unico veto: ne basta uno».   L’UE ha imposto molteplici serie di sanzioni alla Russia da quando Mosca ha lanciato la sua operazione militare in Ucraina nel febbraio 2022.

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Tuttavia, i primi ministri ungherese Viktor Orban e slovacco Robert Fico si sono rifiutati di inviare armi all’Ucraina e hanno sottolineato che il conflitto dovrebbe essere risolto attraverso i negoziati.   L’Ungheria ha bloccato per diversi mesi il pacchetto di aiuti da 50 miliardi di euro dell’Ue all’Ucraina, finché Orban non ha revocato il suo veto nel febbraio 2024.   All’inizio di questa settimana, il presidente francese Emmanuel Macron ha rifiutato ancora una volta di escludere l’invio di truppe NATO in Ucraina, sostenendo che è in gioco «la sopravvivenza del continente». Le sue osservazioni sono state pesantemente criticate dal ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto, che ha affermato che l’invio di forze NATO in Ucraina potrebbe innescare una guerra globale a tutto campo.   Mosca, nel frattempo, ha accusato Macron di aver causato una pericolosa «escalation verbale» che potrebbe portare il conflitto fuori controllo.   Il catalano Borrell, nominato come cosiddetto mister PESC (come viene chiamato l’Alto rappresentante della Politica Estera e di Sicurezza Comune) dalla Commissione Von der Leyen, a novembre si era vantato pubblicamente della «donazione» di 27 miliardi di euro che l’UE avrebbe fatto a Kiev. L’irriguardosa e poco diplomatica osservazione di Borrell arrivava dopo che il capo della Chiesa cattolica aveva dichiarato in un’intervista all’emittente svizzera RSI lo scorso fine settimana che sarebbe una dimostrazione di coraggio da parte di Kiev se alzasse «bandiera bianca» e avviasse negoziati di pace con la Russia.   Due mesi fa il Borrell aveva attaccato il papa per la sua posizione su negoziati in Ucraina, dichiarando che il romano pontefice era entrato in un giardino dove nessuno lo aveva invitato».   Come riportato da Renovatio 21, bizzarre uscite del Borrello si sono accumulate anche durante la crisi ucraina, con sparate guerrafondaie e insulti alla Federazione Russa – in particolare la storia per cui la Russia sarebbe «una stazione di benzina con armi atomiche», una frusta offesa al Paese orientale che rimbomba nei circoli diplomatici dall’Ottocento, molto prima delle armi nucleari, passando perfino per la penna di Leone Tolstoj.

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Geopolitica

Macron dice che con l’Ucraina sconfitta i missili russi minacceranno la Francia. Crosetto parla di «spiralizzazione del conflitto»

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Una vittoria totale della Russia sull’Ucraina, nella quale l’intero paese venisse sconfitto, sarebbe dannosa per la sicurezza europea e della NATO, poiché potrebbe consentire a Mosca di piazzare missili alle porte dell’UE, ha affermato il presidente francese Emmanuel Macron.

 

Sabato, in un’intervista al quotidiano francese La Tribune, Macron, che notoriamente ha rifiutato di escludere l’invio di truppe occidentali in Ucraina, ha ancora una volta sostenuto una politica di «ambiguità strategica» nei confronti della Russia, sostenendo che l’idea chiave alla base di tale approccio è per proiettare forza «senza fornire troppi dettagli».

 

Descrivendo la Russia come «un avversario», il presidente francese ha sottolineato che stabilire «limiti a priori» sarebbe interpretato come debolezza. «Dobbiamo togliergli ogni visibilità, perché è ciò che crea la capacità di deterrenza», ha sostenuto.

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Macron ha inoltre sottolineato che l’Ucraina è fondamentale per la sicurezza della Francia perché si trova a soli 1.500 chilometri dai suoi confini. «Se la Russia vince, un secondo dopo, non ci sarà più alcuna sicurezza in Romania, Polonia, Lituania e nemmeno nel nostro Paese. La capacità e la portata dei missili balistici russi ci espongono tutti», ha affermato.

 

I commenti del presidente arrivano dopo che, il mese scorso, aveva suggerito che le nazioni occidentali «dovrebbero legittimamente chiedersi» se dovrebbero inviare truppe in Ucraina «se i russi dovessero sfondare la linea del fronte, e se ci fosse una richiesta ucraina».

 

Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha risposto definendo la dichiarazione del Macron «molto importante e molto pericolosa», aggiungendo che è un’ulteriore testimonianza del coinvolgimento diretto di Parigi nel conflitto. Anche la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha avvertito che delle forze NATO «non rimarrà nulla» se verranno inviate in prima linea in Ucraina.

 

Alcune nazioni occidentali si sono espresse contro l’invio di truppe in Ucraina, compreso il Regno Unito, uno dei più convinti sostenitori di Kiev. Il ministro degli Esteri britannico David Cameron ha insistito venerdì sul fatto che, mentre Londra continuerà a sostenere l’Ucraina, i soldati della NATO nel Paese «potrebbero costituire una pericolosa escalation».

 

Il presidente russo Vladimir Putin, tuttavia, ha ripetutamente respinto l’ipotesi secondo cui Mosca potrebbe attaccare la NATO come «una sciocchezza», affermando che il suo Paese non aveva alcun interesse a farlo.

 

Nel frattempo, il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto ha attaccato Macron per i suoi commenti continui su possibili forze occidentali in Ucraina.

 

Crosetto ha affermato al Corriere della Sera che, se personalmente non può giudicare il presidente di un «Paese amico come la Francia», allo stesso tempo non riesce a comprendere «la finalità e l’utilità di queste dichiarazioni, che oggettivamente innalzano la tensione».

 

Il ministro ha inoltre escluso la possibilità che l’Italia invii le proprie forze per intervenire direttamente nel conflitto ucraino, perché «a differenza di altri, noi abbiamo nel nostro ordinamento il divieto esplicito di interventi militari diretti, al di fuori di quanto previsto dalle leggi e dalla Costituzione». «Possiamo prevedere interventi armati solo su mandato internazionale, ad esempio in attuazione di una risoluzione dell’ONU» ha continuato il capo del Dicastero della Difesa.

 

«Quello ipotizzato in Ucraina non solo non rientrerebbe in questo caso, ma innescherebbe una ulteriore spiralizzazione del conflitto che non gioverebbe soprattutto agli stessi ucraini. Insomma, non esistono le condizioni per un nostro coinvolgimento diretto».

 

Anche il ministro degli Esteri dell’Ungheria – che è Paese NATO – Peter Szijjarto ha condannato le osservazioni del presidente francese, spiegando che se un membro della NATO «impegna truppe di terra, ci sarà uno scontro diretto NATO-Russia e sarà allora la Terza Guerra Mondiale».

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Il primo ministro della Slovacchia – pure nazione NATO – Robert Fico ha anche sottolineato che la NATO non ha alcuna giustificazione per inviare truppe in Ucraina perché il paese non è uno Stato membro e ha promesso che «nessun soldato slovacco metterà piede oltre il confine slovacco-ucraino».

 

Come riportato da Renovatio 21, le minacce francesi hanno invece trovato terreno fertile in Finlandia, Paese appena divenuto membro della NATO.

 

Il presidente francese si è spinto fino al punto di immaginare un ritorno della Crimea all’Ucraina. Putin ha sostenuto che truppe di Stati NATO già stanno operando sul fronte ucraino, e che l’Occidente sta flirtando con la guerra nucleare e la distruzione della civiltà.

 

Gli stessi francesi, secondo un sondaggio, sono contrari all’idea di soldati schierati su territorio ucraino proposta da Macron, il quale, bizzarramente, ha poi chiesto un cessate il fuoco per le Olimpiadi di Parigi della prossima estate.

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