Cina
La Cina svela la nave catamarano madre porta-droni

La Cina ha svelato una nave madre porta-droni, qualcosa di ancora abbastanza inedito nella storia militare.
«Si tratta di un nuovo tipo di nave da guerra che potrebbe cambiare l’equilibrio militare in un conflitto su Taiwan» scrive Asia Times.
Secondo il sito The Warzone la Cina ha appena messo in servizio un catamarano mini-portaerei per droni come parte di una forza di addestramento navale sperimentale. La fonte del sito osserva che la nave da guerra potrebbe simulare sciami di droni nemici, attacchi missilistici anti-nave ad alto volume e attacchi di guerra elettronica distribuiti.
Vi sarebbe una breve clip della China Central Television che mostra brevemente la sezione anteriore del catamarano-portadroni, con cinque punti di atterraggio per droni di tipo elicottero.
Nella clip della CCTV si possono vedere due tipi di droni a rotore tandem, che potrebbero essere varianti militari del drone ZC Aviation ZC300, disponibile in varianti agricole e antincendio. Le versioni militari dello ZC300 possono essere equipaggiate con sensori di immagini laser e piccoli radar per compiti oceanografici.
In un articolo del novembre 2021 The Warzone scriveva che piccoli vettori di droni potrebbero operare come parte di un gruppo di azione di superficie più ampio per dirigere sciami di droni contro obiettivi costieri o difese aeree, consentendo di utilizzare più efficacemente le capacità più tradizionali. Gli sciami di droni possono confondere le difese nemiche, costringendo un avversario a montare una difesa debole sprecando munizioni limitate e costosi missili contro obiettivi usa e getta.
Gli sciami di droni in rete hanno un’immensa flessibilità, poiché i singoli droni possono essere equipaggiati con carichi utili specializzati come sensori, sistemi di guerra elettronica o testate esplosive.
A maggio, la Cina ha lanciato il primo vettore di droni al mondo alimentato da intelligenza artificiale, una nave madre senza equipaggio che può essere utilizzata per la ricerca marina, la raccolta di informazioni e persino il lancio di sciami di droni.
La nave, chiamata Zhu Hai Yun, ha un sistema operativo di intelligenza artificiale che le consente di trasportare 50 droni di superficie, sotterranei e volanti che possono essere lanciati e recuperati autonomamente. Tuttavia, la Zhu Hai Yun non è progettata per navigare in porti marittimi trafficati e funziona in modalità remota finché non raggiunge acque aperte. A quel punto, la sua intelligenza artificiale assume le attività di navigazione.
Questo nuovo tipo di nave da guerra potrebbe svolgere un ruolo decisivo in uno scontro tra la terraferma e Taiwan. La Cina potrebbe scegliere di lanciare attacchi di sciami di droni da questo tipo di nave da guerra per abbattere le difese aeree di Taiwan, inseguendo radar e batterie missilistiche per consentire una campagna di bombardamenti per eliminare militari critici, governo e infrastrutture civili.
Come riportato da Renovatio 21, provocazioni contro Formosa a base di semplici droni consumer si sono già avute di recente. Test su batterie di droni militari erano stati invece annunciati già nel 2020.
La Cina, grande esportatrice anche di droni armati ad ala fissa, pare avanzata anche nella tecnologia di droni terrestri cerca-persone, in grado di inseguire in sciame individui che si avventurano nelle foreste.
L’Australia, di contro, sta sviluppando sciami di droni suicidi da impiegare nel caso di un’invasione cinese.
Immagine screenshot da YouTube
Cina
La Cina contro un vescovo «sotterraneo»: multa e ordinanza di demolizione, le nuove armi contro mons. Shao

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Al vescovo cinese che nella provincia dello Zhejiang ha rifiutato l’adesione agli organismi ufficiali, le autorità hanno comminato una nuova ammenda da 200mila Yuan e minacciano di abbattere il suo «edificio abusivo». La colpa? Aver celebrato una Messa con 200 fedeli. A Natale aveva scritto ai fedeli della diocesi invitando a vivere il Giubileo della speranza in comunione con la Chiesa universale.
Una multa di 200mila yuan (l’equivalente di oltre 26mila eurom ndr) per aver celebrato una Messa in pubblico con 200 fedeli. Con in più anche un’ingiunzione di abbattimento dell’edificio dove tiene le sue «attività illegali», che sono poi la casa e la cappella dove vive. Sono le ultime misure prese dalle autorità della provincia orientale dello Zhejiang contro mons. Pietro Shao Zumin, il vescovo della diocesi di Wenzhou non riconosciuto da Pechino per il suo rifiuto di aderire agli organismi «ufficiali» controllati dal Partito comunista cinese.
Come AsiaNews ha più volte raccontato, mons. Shao Zumin, oggi 61enne, venne ordinato vescovo coadiutore con un mandato papale nel 2011 ed è dunque succeduto al suo predecessore mons. Vincent Zhu Wei-Fang, alla morte di quest’ultimo nel settembre 2016. Non ha però mai ottenuto il riconoscimento da parte delle autorità che considerano la sede «vacante» e sostengono come guida della locale comunità cattolica padre Ma Xianshi, un sacerdote «patriottico». Per questo motivo il vescovo «clandestino» mons. Shao negli ultimi anni è stato ripetutamente arrestato, di solito in concomitanza con le solennità, per evitare che i fedeli partecipino a riti da lui presieduti.
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Proprio una Messa da lui celebrata il 27 dicembre con la partecipazione di un folto gruppo di cattolici sarebbe all’origine dei nuovi provvedimenti.
Come mostrano due documenti condivisi da fonti locali con AsiaNews, le autorità del distretto di Longwan hanno comminato la pesante sanzione amministrativa sulla base di fotografie scattate sul posto e verbali di interrogatorio. Allegano il piano quinquennale della diocesi di Wenzhou (compilato dagli organismi «ufficiali» della diocesi) per dimostrare che la Messa presieduta da mons. Shao era un atto illegale. E ritenendo il fatto una violazione grave dell’articolo 71 del Regolamento sugli Affari religiosi viene stabilita la pena dell’ammenda da 200mila yuan.
Contemporaneamente, sempre per quella stessa Messa del 27 dicembre, un altro ufficio dell’amministrazione locale di Wenzhou ha emesso una seconda ordinanza che mette nel mirino l’edificio dove il rito si è svolto, che è poi la chiesa della residenza stessa dove mons. Shao vive. Il vescovo viene accusato di «costruzione non autorizzata» per una superficie di «circa 200 metri quadrati».
Si sostiene che questo comportamento viola l’articolo 40 della legge sulla pianificazione urbanistica, decretando una seconda sanzione da 200mila Yuan e la demolizione della struttura.
Dunque, dopo gli arresti, ora sono i bastoni tra le ruote posti per via amministrativa la strada adottata dalla provincia dello Zhejiang contro il vescovo «sotterraneo». Provvedimenti arrivati nelle stesse settimane in cui la stretta contro i vescovi e sacerdoti che non accettano di registrarsi aveva colpito anche mons. Guo Xijing a Mindong, nella provincia del Fujian.
Vale la pena di aggiungere che proprio in occasione del Natale il vescovo Shao a Wenzhou aveva diffuso una lettera in cui esortava i fedeli a vivere in comunione con la Chiesa universale il Giubileo 2025. Nel testo il presule esortava ogni parrocchia a riunirsi per studiare e riflettere sulla bolla di indizione di papa Francesco, a recitare ogni giorno al termine della Messa la preghiera dell’Anno Santo e designava ogni chiesa della diocesi come luogo in cui vivere il pellegrinaggio giubilare.
«Spero che questo Giubileo possa rafforzare la nostra fede, stimolare la nostra speranza e farci crescere nella carità. Perché la speranza nasce dall’amore e “la speranza non delude” (Romani 5,5)», scriveva mons. Shao a conclusione del suo messaggio natalizio. Parole inaccettabili per le autorità di Pechino, se pronunciate senza prima sottomettersi al rigido controllo del Partito.
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Cina
Pechino vieta agli uiguri le «nazioni sensibili» a maggioranza musulmana

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Cina
Regista cinese condannato a 3 anni e mezzo di carcere per un documentario sulla tirannide COVID

Un regista cinese è stato condannato a tre anni e sei mesi di prigione per aver realizzato un documentario sulle proteste contro le pesanti restrizioni imposte dal governo cinese durante l’era del COVID. Lo riporta LifeSiteNews.
Un tribunale di Shanghai ha condannato Chen Pinlin, 33 anni, ha riferito la CNN, in seguito alla sua condanna per «aver provocato liti e disordini», un’accusa usata solitamente per colpire gli attivisti politici cinesi dissidenti, tra cui i giornalisti.
Il crimine apparente di Pinlin è stata la creazione di Urumqi Middle Road, un film che mostrava uno scorcio della tirannica repressione del COVID-19 da parte del governo cinese e presentava le conseguenti proteste del «Libro bianco», chiamate così per i fogli di carta bianchi tenuti in mano dai dimostranti di strada al posto dei cartelli, per evitare la censura del Partito Comunista Cinese (PCC).
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Il movimento di protesta è stato innescato da un incendio mortale in un appartamento a Urumqi 0 città nell’estremo Ovest cinese dell’inquieta provincia dello Xinjiang, un tempo chiamata «Turkestan cinese» – che ha causato almeno 10 vittime, presumibilmente a causa delle misure di blocco del COVID che hanno impedito sia la fuga degli abitanti sia i tempestivi sforzi di soccorso. Le veglie di strada sono spuntate a fine novembre 2022 per ricordare i defunti, trasformandosi in proteste che hanno preso piede in diverse grandi città della Cina, tra cui Pechino, Shanghai, Guangzhou e Xi’an.
Le proteste sono diventate uno sfogo per l’indignazione e l’angoscia causate dalle politiche draconiane anti-COVID in tutto il paese e hanno chiesto la fine delle politiche zero-COVID del presidente cinese Xi Jinping, che hanno imposto ai cittadini di essere crudelmente rinchiusi nelle proprie case per settimane intere. A Shanghai, ad esempio, il governo ha imposto il confinamento in alcuni casi sigillando o chiudendo a chiave le porte.
Secondo la CNN, le proteste del Libro Bianco, che spesso attaccavano direttamente Xi Jinping, erano le più grandi che la Cina avesse visto dalla manifestazione studentesca di Piazza Tienanmen del 1989. Il documentario di Pinlin, ancora disponibile su YouTube fuori dalla Cina, include filmati dei manifestanti del Libro Bianco che gridavano: «vogliamo la dignità!» «Vogliamo la verità!» «Vogliamo i diritti umani!»
Masse di manifestanti hanno erano arrivate a chiedere le dimissioni di Xi Jinping. Alcuni hanno gridato per la «rimozione del traditore Xi Jinping», e si può sentire un uomo gridare: «Senza il Partito Comunista, ci sarebbe una nuova Cina!»
Il titolo della versione inglese del film di Pinlin è Not the Foreign Force («Non la forza straniera»), in obiezione alle affermazioni del PCC secondo cui «forze straniere» avrebbero fomentato proteste contro il governo cinese.
«Spero di esplorare perché, ogni volta che sorgono conflitti interni in Cina, le forze straniere vengono sempre rese il capro espiatorio», ha scritto Pinlin. «La risposta è chiara a tutti: più il governo inganna, dimentica e censura, più dobbiamo parlare, ricordare agli altri e ricordare. Solo ricordando la bruttezza possiamo tendere verso la luce. Spero anche che un giorno la Cina abbracci la propria luce e il proprio futuro».
Sin dal suo arresto, i gruppi per i diritti umani chiedono il rilascio di Pinlin.
Come riportato da Renovatio 21, il lockdown di Shanghai a visto scene di crudeltà incredibile, come la separazione delle famiglie e l’uccisione di animali domestici, rivolte popolari (come nella fabbrica che produce i prodotti Apple), scontri con la polizia, nonché l’utilizzo di droni e robocani per il controllo della popolazione.
Secondo alcuni il numero dei morti creati dal megalockdown di Shanghai sarebbe stato maggiore di quello causato dal COVID.
Il regime fu scosso dalle proteste al punto da mandare i carri armati in strada, facendo presagire una nuova Tien’an Men.
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