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Geopolitica

Kabul, si muore di fame e freddo nei campi degli sfollati

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews

 

 

La crisi umanitaria diventa sempre più grave in Afghanistan. Gli ospedali sono al collasso senza gli aiuti umanitari. I funzionari pubblici non ricevono lo stipendio da 4 mesi. Gli sforzi della diplomazia sembrano non portare da nessuna parte.

 

 

A Kabul, nei campi per gli sfollati interni, nei giorni scorsi sono morti cinque bambini per il freddo e la fame. Le famiglie erano scappate dalle province per sfuggire alle rappresaglie dei talebani prima che questi arrivassero alla capitale.

 

Nei campi non ci sono strutture sanitarie, i bambini che nascono restano senza vestiti per ore. Senza i soldi degli aiuti internazionali anche gli ospedali sono al collasso.

 

«Eravamo abituati a far nascere 70 bambini al giorno, ma ora siamo scesi a meno di 15. Avevamo più di 100 ostetriche, ora ne abbiamo 6»

«Non siamo in grado di pagare gli stipendi e le forniture a causa della situazione economica», ha raccontato Atiqullah Kariq, direttore dell’ospedale Dasht-e-Barchi a Kabul. «Eravamo abituati a far nascere 70 bambini al giorno, ma ora siamo scesi a meno di 15. Avevamo più di 100 ostetriche, ora ne abbiamo 6. Stiamo facendo del nostro meglio, ma senza un maggiore aiuto internazionale, non possiamo tornare a lavorare come prima».

 

Circa 9 miliardi di dollari (oltre 7,5 miliardi di euro) di riserve della banca centrale afghana restano bloccati nelle banche americane, per cui i salari dei dipendenti pubblici non vengono ancora pagati.

 

A Herat centinaia di insegnanti si sono uniti in protesta perché da quattro mesi non ricevono lo stipendio. La gente non riesce a pagare le bollette, gli insegnanti lamentano di non avere i soldi e i mezzi per portare i figli dal medico. «Guadagnano i soldi per vivere vendendo elettrodomestici ma ora non hanno più nulla da vendere», ha detto Mohammad Sabir Mashal, capo dell’associazione degli insegnanti.

 

Prima della creazione dell’Emirato islamico dell’Afghanistan, il 75% della spesa pubblica era finanziato da aiuti internazionali.

Prima della creazione dell’Emirato islamico dell’Afghanistan, il 75% della spesa pubblica era finanziato da aiuti internazionali

 

Intanto i Paesi confinanti hanno chiuso le porte ai richiedenti asilo afghani: il governo talebano ha detto che in meno di un mese ricomincerà a rilasciare passaporti, ma intanto la sofferenza di chi è rimasto bloccato in Afghanistan aumenta.

 

Human Rights Watch ha chiesto alle Nazioni unite e alle altre agenzie internazionali di aumentare il sostegno agli afghani che sono fuggiti o vogliono fuggire dal Paese. Chi è già scappato in Occidente ha bisogno di «soluzioni sicure e durature», mentre per chi è rimasto dovrebbe essere stabilito «un programma di partenze controllate».

 

È in questo contesto che va inserita la partecipazione dei talebani alla conferenza internazionale tenutasi ieri a Mosca, alla quale hanno partecipato i rappresentanti di Russia, Cina, Pakistan, India, Iran e cinque «stan» dell’Asia centrale. Nella dichiarazione finale chiedono l’intervento dell’ONU per evitare una crisi umanitaria di proporzioni catastrofiche, soprattutto ora che arriva l’inverno.

 

«L’onere principale dovrebbe essere sostenuto dalle forze i cui contingenti militari sono stati presenti in questo Paese negli ultimi 20 anni», hanno affermato, riferendosi agli Stati Uniti.

I talebani continuano a rassicurare il mondo di essere in grado di controllare il Paese, ma in realtà non hanno i mezzi per tenere a bada i combattenti dello Stato Islamico che nei giorni scorsi hanno condotto l’ennesima serie di attacchi, anche a Kandahar, culla del potere talebano

 

I talebani continuano a rassicurare il mondo di essere in grado di controllare il Paese, ma in realtà non hanno i mezzi per tenere a bada i combattenti dello Stato Islamico che nei giorni scorsi hanno condotto l’ennesima serie di attacchi, anche a Kandahar, culla del potere talebano.

 

La Russia e tutti gli altri Paesi vogliono evitare l’instabilità e l’infiltrazione di «estremisti islamici» (cioè l’ISISs e al-Qaeda), ma restano reticenti a riconoscere il governo dell’Emirato.

 

Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha però dichiarato che bisogna prendere atto che «una nuova amministrazione è ora al potere». E ha chiesto ai talebani un governo più inclusivo, in cui cioè siano rappresentate tutte le fazioni etniche del Paese. Ma su questo punto la diplomazia incontra l’ennesimo stallo, perché i talebani non danno segno di voler fare concessioni.

 

 

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Renovatio 21 ripubblica questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

 

Immagine di ResoluteSupportMedia via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

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Geopolitica

L’Iran minaccia ancora una volta di spazzare via Israele

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Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha minacciato Israele di annientamento se tentasse di attaccare nuovamente l’Iran.

 

Raisi è arrivato in Pakistan lunedì per una visita di tre giorni. Martedì ha parlato delle recenti tensioni tra Teheran e Gerusalemme Ovest in un evento nel Punjab.

 

«Se il regime sionista commette ancora una volta un errore e attacca la terra sacra dell’Iran, la situazione sarà diversa, e non è chiaro se rimarrà qualcosa di questo regime», ha detto Raisi all’agenzia di stampa statale IRNA.

 

Israele non ha mai riconosciuto ufficialmente un attacco aereo del 1° aprile sul consolato iraniano a Damasco, in Siria, che ha ucciso sette alti ufficiali della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC). Teheran ha tuttavia reagito il 13 aprile, lanciando decine di droni e missili contro diversi obiettivi in ​​Israele.

 

L’Iran si è scrollato di dosso una serie di esplosioni segnalate vicino alla città di Isfahan lo scorso venerdì, che si diceva fossero una risposta da parte di Israele. Lo Stato degli ebrei non ha riconosciuto l’attacco denunciato, pur criticando un ministro del governo che ne ha parlato a sproposito. Teheran ha scelto di ignorarlo piuttosto che attuare la rapida e severa rappresaglia promessa.

 

La Repubblica Islamica ha promesso in più occasioni di spazzare via, distruggere o annientare il «regime sionista», espressione con cui spesso chiama Israele.

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Martedì, parlando a Lahore, il Raisi ha promesso di continuare a «sostenere onorevolmente la resistenza palestinese», denunciando gli Stati Uniti e l’Occidente collettivo come «i più grandi violatori dei diritti umani», sottolineando il loro sostegno al «genocidio» israeliano a Gaza.

 

Nel suo viaggio diplomatico il Raisi ha promesso di incrementare il commercio iraniano con il Pakistan portandolo a 10 miliardi di dollari all’anno. Le relazioni tra i due vicini sono difficili da gennaio, quando Iran e Pakistan hanno scambiato attacchi aerei e droni mirati a “campi terroristici” nei rispettivi territori.

 

Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni Teheran ha dichiarato pubblicamente di sapere dove sono nascoste le atomiche israeliane. Nelle scorse settimane lo Stato Ebraico aveva dichiarato di essere pronto ad attaccare i siti nucleari iraniani.

 

Negli ultimi mesi l’Iran ha accusato Israele di aver fatto saltare i suoi gasdotti. Hacker legati ad Israele avrebbero rivendicato un ulteriore attacco informatico al sistema di distribuzione delle benzine in Iran.

 

Sei mesi fa l’Iran ha arrestato e giustiziato tre sospetti agenti del Mossad. All’ONU il ministro degli Esteri iraniano aveva dichiaato che gli USA «non saranno risparmiati» in caso di escalation.

 

Come riportato da Renovatio 21, anche da Israele a novembre 2023 erano partite minacce secondo le quali l’Iran potrebbe essere «cancellato dalla faccia della terra».

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Immagine di duma.gov.ru via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

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Geopolitica

Fosse comuni negli ospedali di Gaza

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Il capo dei diritti delle Nazioni Unite Volker Turk ha dichiarato martedì di essere «inorridito» dalla distruzione delle strutture mediche di Nasser e Al-Shifa a Gaza da parte delle truppe israeliane e dalle notizie di fosse comuni scopertevi.   Le autorità palestinesi hanno riferito di aver trovato decine di corpi in fosse comuni presso l’ospedale Nasser di Khan Younis questa settimana, dopo che era stato abbandonato dall’IDF. Sono stati segnalati corpi anche nel sito di Al-Shifa a seguito di un’operazione delle forze speciali israeliane.   Secondo il servizio di emergenza civile di Gaza gestito da Hamas, citato dall’agenzia Reuters, finora sono stati trovati un totale di 310 corpi in una fossa comune presso l’ospedale Nasser, la principale struttura sanitaria nel sud di Gaza. Secondo quanto riferito, altre due fosse comuni sarebbero state identificate ma non ancora scavate.   «Sentiamo il bisogno di lanciare l’allarme perché chiaramente sono stati scoperti più corpi», ha detto Turk, rivolgendosi a un briefing delle Nazioni Unite tramite un portavoce.   «Alcuni di loro avevano le mani legate, il che ovviamente indica gravi violazioni del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale, e queste devono essere sottoposte a ulteriori indagini”, ha affermato il responsabile dei diritti umani delle Nazioni Unite.

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L’ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha detto che sta lavorando per corroborare i rapporti dei funzionari palestinesi, sostenendo che alcuni dei corpi erano sepolti sotto cumuli di rifiuti e includevano donne e anziani.   Israele afferma di essere stato costretto a combattere all’interno degli ospedali perché i militanti di Hamas usano le strutture come basi, un’affermazione che il personale medico e lo stesso gruppo militante negano. Il governo dello Stato Ebraico ha riferito che le sue forze hanno ucciso circa 200 militanti ad Al-Shifa e hanno evitato di danneggiare i civili.   Turk ha anche criticato gli attacchi israeliani su Gaza degli ultimi giorni, che secondo lui hanno ucciso soprattutto donne e bambini.   Il dirigente onusiano ha messo ancora una volta in guardia Israele da un’incursione su vasta scala nella città di Rafah, nel sud di Gaza, dove circa 1,4 milioni di sfollati palestinesi hanno cercato rifugio dall’inizio del conflitto Hamas-Israele. L’offensiva potrebbe portare a «ulteriori crimini atroci», ha avvertito il Turk.   Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sostiene che Israele non può raggiungere il suo obiettivo di «vittoria totale» senza lanciare un’offensiva su Rafah.   Come riportato da Renovatio 21, il Turko ha dichiarato il 18 marzo che «la portata delle continue restrizioni poste da Israele all’ingresso di aiuti a Gaza, insieme al modo in cui continua a condurre le ostilità, possono equivalere all’uso della fame come metodo di guerra, che è un crimine di guerra».   Il portavoce di Türk, Jeremy Laurence, ha sottolineato che «Israele, in quanto potenza occupante, ha l’obbligo di garantire la fornitura di cibo e assistenza medica alla popolazione in misura adeguata ai suoi bisogni e di facilitare il lavoro delle organizzazioni umanitarie per fornire tale assistenza».   Un mese fa l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani aveva affermato che gli insediamenti illegali di Israele in Cisgiordania sono aumentati a livelli record e rischiano di eliminare ogni possibilità pratica di uno Stato palestinese.  

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Immagine di IDF Spokeperson’s Unit via Wikimedia pubblicata su licenza Pubblico Dominio CC0.
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Geopolitica

«Slava Ukraini» e «morte ai MAGA» dice il politico democratico

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Un politico democratico di Nuova York ha risposto all’approvazione di sabato di un disegno di legge sugli aiuti all’Ucraina da parte della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti augurando la morte il movimento politico MAGA dell’ex presidente Donald Trump.

 

«Slava Ucraina», ha postato su X (ex Twitter) il candidato al Congresso Nate McMurray poco dopo che la Camera ha votato per approvare 61 miliardi di dollari di finanziamenti aggiuntivi per il conflitto di Kiev con la Russia. «Morite MAGA, morite. Avete perso» ha quindi aggiunto.

 

Alcuni alleati di Trump al Congresso si sono opposti all’invio di più armi e denaro in Ucraina, sostenendo che Washington sta semplicemente prolungando lo spargimento di sangue senza riuscire ad affrontare priorità più grandi in patria, come la crisi del confine. Sabato la maggior parte dei repubblicani USA ha votato contro la legislazione sulla spesa di emergenza, ma il presidente della Camera Mike Johnson ha avuto la meglio sul suo stesso partito facendo approvare la legge ucraina con il sostegno unanime dei democratici.

 

 

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McMurray ha dovuto affrontare una reazione online per la sua retorica incendiaria. Il suo post è stato razionato e gli utenti di X hanno suggerito che dovrebbe essere indagato per incitamento alla violenza.

 

Un osservatore ha chiesto: «Ti candidi al Congresso e chiedi che metà del paese venga assassinato? Strana flessibilità, fratello». Un altro ha detto: «Questo fascista ha letteralmente detto: “muori Make America Great Again, muori”».

 

McMurray, un avvocato che in precedenza ha lavorato come supervisore della città di Grand Island, New York, è in corsa per un seggio alla Camera nel distretto precedentemente rappresentato da Brian Higgins, un democratico che ha lasciato il Congresso a febbraio. Il candidato ha raddoppiato il suo attacco MAGA dopo il respingimento, dicendo: «non puoi semplicemente far morire di fame l’estremismo con il silenzio; devi parlare apertamente”».

 

«Non ferirò mai fisicamente un’anima, ma ferirò i tuoi sentimenti» ha quindi aggiunto oscuramente il candidato democratico.

 

Anche l’uso della frase «Slava Ukraini» ha sollevato alcune perplessità. L’espressione, che significa «Gloria all’Ucraina», ha una storia lunga e controversa nell’ex repubblica sovietica.

 

Lo slogan è stato originariamente utilizzato dai nazionalisti ucraini, compresi quelli che collaborarono con i nazisti durante la seconda guerra mondiale, ma è diventato un canto patriottico diffuso dopo il rovesciamento del governo eletto di Kiev nel 2014.

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Come riportato da Renovatio 21, contro la proliferazione dello slogan «Slava Ukraini» si era speso pubblicamente il presidente croato Zoran Milanovic, che aveva paragonato lo slogan allo ZDS («Za dom spremni»: Per la patria, pronti») degli ustascia, che guidavano il governo alleato dei nazisti in Croazia durante la seconda guerra mondiale. «Ho sofferto come Gesù per convincere la gente a smettere di usare lo ZDS», ha detto Milanovic ai giornalisti a Zagabria, riferendosi allo slogan ustascia «Za dom spremni» («Per la patria, pronti»). «Se lo non capite perché, non posso istruirvi».

 

«Non c’è differenza tra ZDS e Gloria all’Ucraina», ha affermato il presidente croato. «Questo è il canto degli sciovinisti più radicali dell’Ucraina occidentale, che hanno lavorato con i nazisti e ucciso migliaia di ebrei e polacchi. Non voglio sentirlo in Croazia. Non mi interessa che ad alcuni leader sembri piacere. Dovrebbero inventare uno slogan diverso».

 

Lo slogan «Slava Ukraini», talvolta seguito dalla risposta «geroyam slava» («gloria agli eroi») è stato udito ovunque, dai nazisti americani agli eurodeputati di Bruxelles, che hanno acclamato una visita di Zelens’kyj utilizzando proprio il saluto del collaborazionista nazista Stepan Bandera, gettando una luce tetra sul significato storico dell’Unione Europea stessa.

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