Geopolitica
Immigrazione, ex commissario europeo chiede uno stop per «3-5 anni»
Michel Barnier, politico francese assurto al ruolo di Commissario europeo plurime volte nonché capo negoziatore per parte di Bruxelles durante il processo della Brexit, ha chiesto una sospensione di 3-5 anni dell’immigrazione nei Paesi dell’UE, avvertendo che i confini esterni del blocco sono diventati un «setaccio» per criminali e terroristi.
«Penso che dobbiamo prenderci il tempo di tre o cinque anni per sospendere l’immigrazione», ha detto Barnier ai media francesi.
«Penso che dobbiamo prenderci il tempo di tre o cinque anni per sospendere l’immigrazione»
L’ex euronegoziatore della Brexit ha citato i collegamenti tra immigrazione e «reti terroristiche che si infiltrano nei flussi migratori» come parte del suo ragionamento per chiedere la chiusura, evidenziando anche la questione delle reti di tratta di esseri umani.
I commenti sono particolarmente degni di nota perché Barnier è conosciuto come un centrista/globalista che mai si pensava osasse toccare questi temi cari, di solito, ai politici di destra.
Alla domanda se i commenti contraddicessero la sua reputazione «moderata», Barnier ha risposto: «I problemi dell’immigrazione non sono moderati. So, in qualità di politico che sono, di vedere i problemi come sono e di come i francesi li vivono e di trovare soluzioni».
L’ex euronegoziatore della Brexit ha citato i collegamenti tra immigrazione e «reti terroristiche che si infiltrano nei flussi migratori»
L’avvertimento di Barnier arriva mentre la Francia è contemporaneamente presa dalla polemica di una lettera scritta da personale militare in servizio attivo che avverte il presidente Macron che il Paese si sta dirigendo verso la guerra civile, in parte a causa dell’immigrazione di massa incontrollata.
«Una guerra civile è in fermento in Francia e lo sapete perfettamente», avvertono alcuni membri del corpo militare, aggiungendo che il governo francese deve agire rapidamente per garantire «la sopravvivenza del nostro Paese».
Come scrive Summit News, «la Francia ospita milioni di immigrati, molti dei quali clandestini, che hanno rifiutato di integrarsi nella società e vivono in ghetti indisciplinati decrepiti ai margini delle grandi città dove la legge e l’ordine sono praticamente inesistenti e in cui le autorità temono di avventurarsi».
«I problemi dell’immigrazione non sono moderati. So, in qualità di politico che sono, di vedere i problemi come sono e di come i francesi li vivono e di trovare soluzioni»
Si tratta delle famose «no-go zones», aree dove di fatto la Repubblica Francese cessa di esistere, e al diritto dello Stato si sostituisce la sharia o più semplicemente una belluina legge della jungla. Tali zone vietate sono servite anche a proteggere criminali violenti e terroristi perché la polizia è spesso attaccata violentemente da folle islamiche quando cercano di effettuare arresti.
Vi potrebbe essere nella manovra un tentativo di erodere i voti alla destra che a breve potrebbe divenire inarrestabile: il Barnier dovrebbe sfidare il presidente Macron nelle elezioni del prossimo anno, che non è detto che stavolta riesca a superare i consensi di Marine Le Pen.
«Una guerra civile è in fermento in Francia e lo sapete perfettamente»
Lo stesso Macron sta cercando nell’ultimo periodo di mandare sui giornali sparate che potrebbe sembrare sovraniste. Anche se oramai lo si dice da venti anni (cioè da quando Jean-Marie Le Pen arrivò al ballottaggio presidenziale contro Chirac nel 2002), le prossime elezioni potrebbero davvero sconvolgere la Francia e l’Europa.
Prima, però, potrebbe scoppiare la guerra civile.
Geopolitica
Hamas accetta l’accordo di cessate il fuoco
Hamas ha accettato la proposta di cessate il fuoco avanzata dai mediatori egiziani e del Qatar, ha detto lunedì ad Al Jazeera un portavoce del gruppo. L’annuncio è arrivato poco dopo che Israele ha ordinato l’evacuazione della città di Rafah in vista di un assalto pianificato da tempo.
Il leader di Hamas Ismail Haniyeh ha avuto telefonate con il primo ministro del Qatar Sheikh Mohammed bin Abdul Rahman Al Thani e il ministro dell’Intelligence egiziano Abbas Kamel, informandoli «dell’approvazione da parte del movimento Hamas della loro proposta riguardante l’accordo di cessate il fuoco», ha detto il gruppo in una dichiarazione ad Al Jazeera.
I dettagli della proposta non sono ancora stati resi pubblici. Hamas ha precedentemente chiesto che qualsiasi cessate il fuoco fosse permanente e includesse il ritiro di tutte le truppe israeliane dall’enclave palestinese assediata. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha rifiutato di fornire queste garanzie, avvertendo la scorsa settimana che Israele non permetterà ad Hamas di rimanere al potere a Gaza e invaderà Rafah con o senza un accordo di cessate il fuoco.
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Netanyahu, tuttavia, ha affermato che Israele è pronto per una pausa temporanea nei combattimenti per consentire lo scambio di ostaggi israeliani con prigionieri palestinesi.
Il primo ministro israeliano minaccia da diversi mesi di lanciare un’invasione di terra di Rafah, una città nel sud di Gaza che attualmente ospita circa 1,4 milioni di palestinesi sfollati da altre parti del territorio. Nonostante la condanna di Stati Uniti, Unione Europea e decine di altri Paesi, lunedì l’esercito israeliano ha ordinato ai civili di lasciare Rafah, avvertendo che di lì a poco avrebbe colpito la città con «forza estrema», scrive RT.
Non è chiaro se la minaccia di invasione abbia influenzato la decisione di Hamas di accettare la proposta di cessate il fuoco. Nonostante l’insistenza di Netanyahu nell’entrare a Rafah, altri funzionari israeliani hanno suggerito che Hamas potrebbe evitare un’invasione accettando la tregua temporanea di Israele.
Non è inoltre chiaro se l’accordo proposto da Egitto e Qatar abbia il sostegno di Israele. Un anonimo funzionario israeliano ha detto a Reuters che Hamas ha accettato una versione «ammorbidita» dell’offerta iniziale dello Stato degli ebrei, che includeva conclusioni «di vasta portata» che Israele non avrebbe sostenuto.
Secondo le autorità sanitarie palestinesi, il bilancio delle vittime della ritorsione israeliana nell’enclave si avvicina a 35.000 persone uccise dalle forze israeliane.
Come riportato da Renovatio 21, il ministro israeliano Itamar Ben Gvir ha minacciato di far cascare il governo Netanyahu, di cui è membro con il suo partito ultrasionista Otzma Yehudit («Potere ebraico») qualora l’esercito israeliano non entrasse a Rafah.
«Il Primo Ministro ha ascoltato le parole, ha promesso che Israele entrerà a Rafah, ha promesso che la guerra non sarebbe finita e ha promesso che non ci sarebbero stati accordi dissoluti» ha dichiarato il ministro sionista il ministro sionista a seguito di un incontro chiesto ed ottenuto con il premier, avvenuto peraltro dopo un mostruoso incidente d’auto che ha coinvolto in Ben Gvir.
«Penso che il primo ministro capisca molto bene cosa significherebbe se queste cose non si verificassero», ha detto il ministro.
Come riportato da Renovatio 21, il ritorno al potere Netanyahu è dovuto al boom del partito sionista Otzma Yehudit. Il ministro del patrimonio culturale Amichai Eliyahu, che appartiene al partito sionista, ha dichiarato la disponibilità di nuclearizzare la Striscia di Gaza.
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Il Ben Gvir da ministro l’anno scorso ha vietato le bandiere palestinesi, mentre quest’anno un altro membro del partito ha minimizzato riguardo gli sputi degli ebrei contro i pellegrini cristiani (un’«antica tradizione ebraica»), mentre sul territorio si moltiplicano gli attacchi e le profanazioni ai danni dei cristiani e dei loro luoghi in Terra Santa.
Come riportato da Renovatio 21, in un altro editoriale Haaretz scriveva che «il governo di Netanyahu è tutt’altro che conservatore. È un governo rivoluzionario, di destra, radicale, messianico che ha portato avanti un colpo di Stato e sogna di annettere i territori».
Il Ben Gvir era tra i relatori del grande convegno sulla colonizzazione ebraica di Gaza, celebrato con balli sfrenati su musica tunza-tunza.
Come gli accordi con Hamas si concilino con l’estremismo giudaico al governo non è dato sapere, ma lo scopriremo a breve.
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Immagine di Council.gov.ru via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
Geopolitica
Zelens’kyj: gli ucraini sono il popolo eletto di Dio. Mosca: «overdose di droga»
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Geopolitica
La Colombia rompe i rapporti con Israele
Il governo colombiano ha ufficialmente notificato all’ambasciatore israeliano la fine delle relazioni diplomatiche e l’intenzione di ritirare il personale correlato, ma ha deciso che i servizi consolari dovrebbero essere mantenuti sia a Tel Aviv che a Bogotá, secondo il Ministero degli Esteri.
Il presidente Gustavo Petro ha annunciato la decisione di farlo il 1° maggio, con effetto dal 2 maggio, perché l’assalto israeliano a Gaza costituisce un «genocidio».
Bolivia e Belize hanno interrotto le relazioni con Israele all’inizio della guerra, mentre Cile e Honduras hanno richiamato i loro ambasciatori da Israele.
Come riportato da Renovatio 21, il presidente venezuelano Maduro ad inizio anno aveva dichiarato che Israele ha lo stesso sostegno occidentale di Hitler. Il Nicaragua è andato oltre, attaccando anche i Paesi «alleati» dello Stato ebraico come la Repubblica Federale Tedesca, portando Berlino davanti alla Corte Internazionale per complicità nel genocidio di Gaza.
In Sud America Israele sembra godere del favore parossistico – definito «chiaro ed inflessibile sostegno» – del presidente argentino Milei, uomo consigliato da rabbini che sarebbe in procinto di «convertirsi» al giudaismo, che ha addirittura fatto partecipare l’ambasciatore israeliano ad un gabinetto di crisi del governo di Buenos Aires, destando scandalo nella comunità diplomatica del suo Paese.
Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso il Milei ha definito il presidente colombiano Petro «assassino terrorista», provocando così l’espulsione di tutti i diplomatici argentini da Bogotá.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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