Economia
Il salvataggio del Credit Suisse è il salvataggio di Wall Street

Il sito web finanziario svizzero In$ide Paradeplatz fornisce oggi interessanti informazioni sul motivo per cui la Banca Nazionale svizzera è stata costretta a intervenire nel Credit Suisse con 54 miliardi di dollari, in pratica «il più grande salvataggio della storia» in Svizzera, anche se, formalmente, il salvataggio di UBS nel 2008 è stato maggiore, ma includeva il denaro dei contribuenti, mentre questa volta si tratta solo di denaro della Banca Centrale di Berna.
Un primo colpo era stato infero dalla Securities and Exchange Commission (SEC), l’ente per il controllo finanziario statunitense, che, l’8 marzo, aveva bloccato la pubblicazione del rapporto annuale di Credit Suisse. Perché?
Sono state menzionate alcune irregolarità, ma si può presumere che fossero così grandi, ed essendo Credit Suisse già condannata in questo campo, probabilmente la SEC questa volta non se la è sentita di praticare un laissez-faire. Ad ogni modo, benché ancora sottotraccia rispetto all’opinione pubblica globale, l’azione della SEC è stata un duro colpo per la credibilità del Credit Suisse nei circoli finanziari.
Un secondo colpo sarebbe quindi arrivato dal governo saudita (9,8% di azionisti), che si è rifiutato di intervenire nel piano di salvataggio.
Il presidente Ammar Abdul Wahed Al Khudairy della Saudi National Bank (la più grande banca commerciale del Regno), in un’intervista a Bloomberg TV il 15 marzo, aveva escluso categoricamente qualsiasi ulteriore aiuto.
Sebbene Bloomberg citi ragioni «regolatorie», l’esternazione saudita è comunque un dato molto interessante, dato il riposizionamento di Riyadh lontano dal sistema occidentale al collasso, soprattutto perché salvare Credit Suisse significava salvare Wall Street.
Terzo aspetto: secondo In$ide Paradeplatz, alla Banca Nazionale svizzera sono stati dati «ordini» per salvare Credit Suisse, data l’elevata esposizione di quest’ultima presso banche americane. Credit Suisse può ora far fronte ai suoi impegni in dollari, grazie all’accordo di swap tra la Federal Reserve (la banca centrale USA) e la Banca Nazionale svizzera.
Come riporta EIRN, le dimensioni del salvataggio sono di per sé uno scandalo. Con quei soldi potresti costruire tre gallerie del San Gottardo, la più grande infrastruttura finora costruita in Svizzera. Sicuramente avrà ripercussioni politiche. È anche più del PIL annuale di tutti tranne 12 paesi in Africa.
Ma la domanda è: sarà sufficiente? Il sito Wall Street on Parade sottolinea accuratamente il fatto che le banche statunitensi sono controparti dei derivati di Credit Suisse e che quattro banche detengono l’88,6% di tutti gli importi nozionali dei derivati nel sistema bancario statunitense.
Inoltre, le banche statunitensi che non sono direttamente esposte con Credit Suisse, sono esposte a banche che lo sono.
Tutti gli occhi erano puntati oggi su Christine Lagarde, che ha annunciato la decisione della Banca Centrale Europea sui tassi. Come se niente fosse, Lagarde ha annunciato un altro rialzo da falco di 50 punti base.
Come riportato da Renovatio 21, a fine 2022 è stato ipotizzato che dietro il raddoppio degli swap in dollari tra la Federal Reserve statunitense e la Banca Nazionale Svizzera (BNS) ci sarebbe stata una domanda senza precedenti di dollari da parte delle banche svizzere generatasi nel contesto di massicce richieste di margini sui fondi pensione britannici e di una presunta crisi di Credit Suisse, già allora considerata una delle principali controparti di derivati.
Secondo alcuni alla fine di questa crisi bancaria spunterà, illuminata di una luce salvifica, la moneta digitale di Stato. Apparirà d’un tratto, se non ora, tra breve tempo – come dice la stessa BCE – e pensano così la FED e le altre banche centrali come la Banca di Inghilterra.
Immagine di Ank Kumar via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)
Economia
Il debito francese è un pericolo per tutta l’Eurozona

Il crescente debito sovrano della Francia, unito alle lotte politiche interne, potrebbe minacciare la stabilità fiscale dell’Eurozona. Lo riporta l’emittente pubblica tedesca Deutsche Welle, citando un esperto.
La Francia ha uno dei debiti nazionali più elevati dell’UE, attualmente pari a 3,35 trilioni di euro (3,9 trilioni di dollari), pari a circa il 113% del PIL. Si prevede che il rapporto salirà al 125% entro il 2030. Il deficit di bilancio è previsto al 5,4-5,8% quest’anno, ben al di sopra del limite del 3% previsto dall’Unione.
Friedrich Heinemann del Centro Leibniz per la Ricerca Economica Europea ZEW di Mannheim, in Germania, ha dichiarato alla testata in un articolo pubblicato sabato: «dovremmo essere preoccupati. L’eurozona non è stabile in questo momento».
Un drastico piano di austerità proposto dal primo ministro francese François Bayrou, membro del governo di minoranza, ha innescato un voto di sfiducia, che ha perso lunedì sera, portando al collasso il governo francese.
Il piano del Bayrou prevedeva tagli ai posti di lavoro nel settore pubblico, una riduzione della spesa sociale e la soppressione di due festività. Il Rassemblement National di Marina Le Pen, i Socialisti e il partito di sinistra La France Insoumise si sono opposti con veemenza alla proposta.
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Anche un sondaggio Elabe condotto prima del voto ha mostrato che la maggior parte degli intervistati era contraria alle misure.
Lo Heinemann ha dichiarato a DW di dubitare che la Francia troverà presto una via d’uscita, visti gli aspri scontri politici.
A luglio, Bloomberg, citando gli esperti di ING Groep NV, ha affermato in modo analogo che il crescente debito della Francia potrebbe rappresentare una «bomba a orologeria» per la stabilità finanziaria dell’UE.
Nonostante il considerevole deficit di bilancio, la Francia prevede di aumentare la spesa militare a 64 miliardi di euro nel 2027, il doppio di quanto speso nel 2017.
Il presidente Emmanuel Macron ha ripetutamente citato una presunta minaccia russa. Il Cremlino ha costantemente liquidato le accuse come «assurdità», accusando l’UE di una rapida militarizzazione.
A maggio, gli Stati membri hanno approvato un programma di debito da 150 miliardi di euro per l’approvvigionamento di armi.
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Immagine di Philippe Druesne via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
Economia
Trump porge il ramoscello d’ulivo a Musk. Cui Tesla prepara un possibile pagamento da un trilione

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Economia
La Turchia interrompe totalmente gli scambi commerciali con Israele

La Turchia ha interrotto tutti i legami commerciali ed economici con Israele, chiudendo il suo spazio aereo ad alcuni voli israeliani, ha annunciato il Ministro degli Esteri Hakan Fidan. I due Paesi sono in conflitto da mesi a causa della campagna militare israeliana a Gaza, con la Turchia che accusa il Paese di aver commesso un genocidio.
In un discorso al parlamento nazionale di venerdì, il Fidan ha affermato che la Turchia ha «completamente interrotto i nostri scambi commerciali con Israele» e «chiuso i nostri porti alle navi israeliane».
«Non permettiamo alle navi portacontainers che trasportano armi e munizioni verso Israele di entrare nei nostri porti e agli aerei di entrare nel nostro spazio aereo», ha aggiunto il ministro di Ankara, affermando che alle navi battenti bandiera turca è vietato fare scalo nei porti israeliani e che alle imbarcazioni israeliane è vietato entrare nei porti turchi.
Come riportato da Renovatio 21, la guerra commerciale con Israele era partita un anno fa con la sospensione degli scambi.
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Una fonte diplomatica turca ha dichiarato all’agenzia Reuters che le restrizioni ai voli riguardano solo i voli ufficiali israeliani e gli aerei con armi o munizioni, non il transito di routine dei vettori commerciali.
L’agenzia ha inoltre riferito che le autorità portuali turche stanno ora richiedendo informalmente agli agenti marittimi di attestare che le navi non sono collegate a Israele e non trasportano carichi militari o pericolosi diretti nel Paese.
Tuttavia, un funzionario israeliano ha dichiarato al Jerusalem Post che la Turchia aveva «già annunciato in passato la rottura delle relazioni economiche con Israele, e che tali relazioni sono continuate», riferendosi apparentemente alla sospensione delle importazioni ed esportazioni da parte di Ankara a maggio.
I commenti del ministro sono l’ultimo segnale del deterioramento delle relazioni tra Turchia e Israele, rese ancora più tese dalla guerra a Gaza. La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.
Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.
Come riportato da Renovatio 21, in settimana i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.
Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.
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Immagine di Rob Schleiffert via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 4.0
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