Persecuzioni
Il regime ucraino si impadronisce degli edifici del monastero della Lavra di Kiev

Le autorità ucraine hanno sequestrato diversi edifici del monastero canonico della Chiesa Ortodossa Ucraina (UOC) nei locali del monastero della Lavra, ha affermato l’avvocato Nikita Chekman, che rappresenta gli interessi dell’UOC, secondo l’agenzia russa TASS.
«Secondo quanto riferito, gli edifici del monastero sono stati sequestrati», ha scritto Chekman sul suo canale Telegram insieme a filmati e fotografie che ritraggono la polizia e le unità delle forze speciali che isolano gli edifici.
Nel video pubblicato, un rappresentante dell’UOC ha invitato i parrocchiani a venire alla Lavra. Chekman ha affermato che il ministero della Cultura ucraino aveva già rimosso le serrature e sequestrato l’edificio n. 70, nonostante non avessero motivi legali per farlo.
☦️ One of the bodies of the Kiev-Pechersk Lavra is occupied , said lawyer Nikita Chekman, who represents the interests of the canonical UPC.
▪️According to his words, the police broke down the door together with the representatives of the separatists. pic.twitter.com/Wud2xwZ3X8
— Spriter Team (@SpriterTeam) July 6, 2023
'In buildings 69 and 70 in the monastery [Kiev Pechersk Lavra] they [Ukrainian police] have cut through the locks, there's looting.' This was reported by lawyer, Nikita Chekman, who represents the Ukrainian Orthodox Church. pic.twitter.com/j3aWf5mVgL
— Beate Landefeld (@BeateLandefeld) July 6, 2023
Sebbene la Chiesa ortodossa ucraina abbia subito pressioni l’anno scorso per separarsi dalla Chiesa Ortodossa Russa e per denunciare l’operazione militare speciale, le autorità di Kiev hanno portato avanti una campagna incessante, comprese irruzioni contro le chiese e arresti di sacerdoti. La banda di Kiev si è offerta di consentire ai monaci di rimanere nella loro sede storica se si fossero convertiti all’assemblea religiosa recentemente autenticata di Kiev, la «Chiesa Ortodossa dell’Ucraina» (OCU), ma i religiosi UOC si sono rifiutati di farlo.
???????? The police used force against parishioners in the Kiev-Pechersk Lavra.
This was announced by the lawyer of the monastery Nikita Chekman in his Telegram channel. pic.twitter.com/Vk8YH4B0Tk
— Winnie Pooh (@WinniePooh14466) July 6, 2023
"Human rights activist Victoria Kokhanovskaya, following the lawyer of the Kiev-Pechersk Lavra, Archpriest Nikita Chekman, wrote a statement about the illegal actions of the police." pic.twitter.com/5cUtHJIlAt
— Live Not by Lies (@Dana35300026) April 19, 2023
Un video uscito negli ultimi giorni mostrava i monaci dare la comunione ai fedeli, impossibilitati ad entrare nel luogo santo dalla polizia, attraverso la cancellata.
‼️Monks are forced to administer Holy communion through the fence of the Kiev Lavra after Ukrainian President #Zelensky's Police ban believers from accessing the church ????. Is this democracy the west speaks of?! pic.twitter.com/RtXmqxfCYH
— Matreshka ???????????????????????????????????????????? (@MatreshkaRF) July 6, 2023
Zelensky's police are blocking Christians from praying at the Kiev Lavra Monastary. pic.twitter.com/EBCDeE5v7i
— Mats Nilsson (@mazzenilsson) July 6, 2023
Come riportato da Renovatio 21, un mese fa Kiev ha emesso un altro ordine di sgombro contro i monaci dell’UOC, facendo bloccare la zona da agenti dalle forze armate.
Zelens’kyj a inizio anno aveva tolto la cittadinanza a sacerdoti della UOC. Vi era stato quindi un ordine di cacciata dalla cattedrale della Dormizione dell’Abbazia delle Grotte di Kiev proprio per il Natale ortodosso. Una tregua di Natale sul campo di battaglia proposta da Putin era stata sdegnosamente rifiutata da Kiev.
Di recente il regime si è spinto a vietare le preghiere in russo.
Il regime Zelens’kyj da mesi sostiene la repressione religiosa, annunciando nuove misure volte a vietare le istituzioni religiose ritenute avere legami con la Russia nel tentativo di salvaguardare «l’indipendenza spirituale» della nazione.
Le immagini di resistenza dei fedeli e dei religiosi, in cui la UOC è stata sfrattata dal monastero della Lavra, hanno fatto il giro del mondo, ispirando tante persone.
Immagine screenshot da Telegram
Cina
Cina, agli arresti anche padre Ma, l’ex responsabile «patriottico» della diocesi di Wenzhou

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Nella Chiesa cattolica della provincia dello Zhejiang dove mons. Shao è vittima della repressione adesso nel mirino c’è anche il sacerdote che amministrava la diocesi «ufficiale». Sparito da novembre andrà a processo per un libro di inni sacri pubblicato senza permesso in un’altra provincia, mentre si fanno circolare voci sui suoi conti bancari. Ma secondo alcune fonti la sua vera colpa sarebbe una non sufficiente fedeltà al Partito.
Nella provincia cinese dello Zhejiang, non è solo la comunità cattolica clandestina ad essere colpita dalla dura repressione delle autorità locali in corso nella diocesi di Wenzhou (o Yongjia secondo la denominazione originaria delle diocesi data dalla Santa Sede). Da qualche mese nell’occhio del ciclone è finito anche lo stesso padre Ma Xianshi, il sacerdote «patriottico» che fino all’anno scorso era il responsabile della Chiesa ufficiale e la cui autorità era contrapposta a quella di mons. Shao, il vescovo sotterraneo più volte arrestato negli ultimi anni.
Padre Ma Xianshi – che era anche vicepresidente del Comitato degli affari cattolici dell’intera provincia dello Zhejiang – sarebbe stato sostituito e si troverebbe lui stesso agli arresti dallo scorso mese di novembre. E la notizia di questi giorni è che il processo nei suoi confronti, originariamente previsto per l’inizio di questo mese presso il tribunale della città di Yiwu, è stato rinviato. Il motivo ufficiale dell’arresto di padre Ma è la «vendita pubblica in un’altra regione» del libro di inni Tianlu Miaoyin («Melodie Celesti»), compilato dalla diocesi, fatto questo che violerebbe i regolamenti statali. In quanto rappresentante legale della diocesi, Ma sarebbe dunque ritenuto penalmente responsabile.
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Il libro Tianlu Miaoyin in realtà è una raccolta di inni in cinese utilizzata in molte parrocchie delle province dello Jiangsu, Zhejiang, a Shanghai e nel Fujian. Fu raccolta e curata da sacerdoti e seminaristi formati al seminario di Sheshan, e pubblicata nel 2001 dalla casa editrice «Fede» come parte della collana liturgica (n. 119). Nel 2005, la stampa fu affidata alla Nanjing Amity Printing Co. Entrambe le edizioni hanno i diritti di copyright della diocesi di Wenzhou.
La versione in questione è un libro di alta qualità editoriale con copertina in pelle e carta pregiata, ristampato otto volte fino al marzo 2022. Il libro è stato distribuito all’ingrosso nel mercato dei piccoli articoli di Yiwu da una società cattolica fondata da Zhuang Qiantuan, un fedele di Wenzhou, che è stato arrestato insieme a padre Ma.
Secondo quanto riportato, il processo era previsto per il 1º luglio presso il tribunale di Yiwu, ma tre giorni prima, dopo che oltre 300 fedeli di Wenzhou avevano fatto richiesta per assistere all’udienza, il tribunale ha improvvisamente annunciato il rinvio a data da destinarsi.
In un video online su Baidu dal 13 febbraio scorso un avvocato afferma che padre Ma rischierebbe una pena detentiva di 6 anni e mezzo, con possibilità di riduzione in caso di collaborazione, ma comunque non sotto i 3 anni e 3 mesi. La stessa fonte ha aggiunto che, dato il prezzo di vendita dei libri (25–30 yuan a copia) per un incasso totale inferiore a 3,5 milioni di yuan, non si capisce il motivo di una pena così lunga. Inoltre, il libro avrebbe inoltre avuto l’approvazione di un vescovo ufficiale, per cui la responsabilità economica complessiva non dovrebbe ricadere tutta su padre Ma.
Altri affermano che il governo stia cercando sistematicamente di screditare padre Ma: è stato detto ai fedeli che, all’insaputa anche dei sacerdoti a lui più vicini, teneva 200 milioni di yuan (circa 25 milioni di euro ndr) sul suo conto personale, affermazione questa che molti sacerdoti ritengono poco credibile. Triste è però il fatto che nessun sacerdote ufficiale ora osi difenderlo pubblicamente. Da oltre sei mesi in carcere, nessuno ha potuto comunicare con lui, e un confratello avrebbe commentato: «In Cina non si può non ascoltare il Partito Comunista».
Anche i colleghi di padre Ma nel Comitato provinciale cattolico della Zhejiang, del quale lui era vicepresidente, sono rimasti in silenzio, definendo il caso troppo delicato. Alcuni, addirittura, hanno chiesto la sua rimozione dagli incarichi ufficiali e la revoca del suo status sacerdotale. Secondo alcuni, padre Ma sarebbe stato colpito con durezza per aver resistito all’imposizione di un vescovo governativo nella diocesi di Wenzhou e per aver incontrato funzionari vaticani durante un pellegrinaggio, senza autorizzazione.
Situazioni simili non sono nuove nello Zhejiang. Nel luglio 2015, durante la campagna per la rimozione delle croci dalle chiese, l’Associazione Cristiana Provinciale protestò pubblicamente. Sei mesi dopo, il presidente dell’associazione, il pastore Joseph Gu, della nota chiesa evangelica Chongyi, fu rimosso e arrestato con l’accusa di appropriazione indebita. Anche se fu assolto e rilasciato la vigilia di Natale del 2017, passò oltre due anni agli arresti domiciliari. Il suo caso evidenzia tragicamente la «selezione inversa» nella leadership religiosa in Cina.
La stessa fonte rivela che né padre Ma né Zhuang Qiantuan hanno potuto incontrare familiari in questi sei mesi di detenzione; solo gli avvocati hanno avuto accesso, e solo con forti pressioni a far confessare il sacerdote per ottenere una pena ridotta. Più di un avvocato è stato cambiato, poiché i familiari non si fidavano dei legali nominati dalla diocesi di Wenzhou. Le autorità stanno esaminando a fondo i conti della diocesi per incriminarlo, ma finora non emergono problemi personali o economici gravi. L’unico “errore” di p. Ma sembrerebbe essere la sua lealtà alla Chiesa e ai suoi principi.
Il fatto che centinaia di fedeli di tutte le parrocchie che lui ha servito volessero assistere al processo, testimonia l’importanza che p. Ma (un uomo sui cinquant’anni) ha avuto nella vita della comunità. «È davvero un peccato, una vergogna e una tragedia! Un bravo sacerdote sacrificato, e una diocesi, quella di Wenzhou, profondamente ferita», ha commentato la fonte.
Wenzhou è conosciuta come la «Gerusalemme della Cina», per l’alta concentrazione di cristiani, sia cattolici che protestanti, e la generosità e unità della comunità. Dieci anni fa, il protestantesimo locale fu duramente colpito dalla campagna di demolizione delle croci.
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Ora tocca alla Chiesa cattolica, sia ufficiale che sotterranea: ai bambini è vietato l’ingresso nelle chiese, gli insegnanti spaventano gli alunni dicendo che «chi va in chiesa non potrà accedere all’università». Anche gli studenti universitari e i funzionari pubblici evitano le chiese. Tutte le chiese sono ora videosorvegliate. Un fedele riferisce: «Da quando il parroco nominato dal governo ha fondato l’Associazione Patriottica, tutto è cambiato. Ha detto testualmente: “In Cina non si può non ascoltare il Partito Comunista”». I principi della dottrina della Chiesa vengono messi da parte, e l’unità della parrocchia, un tempo orientata alla costruzione della nuova chiesa, è svanita.
L’ultima apparizione pubblica documentata di padre Ma è del 2 novembre 2024, durante la liturgia del giorno dei Defunti. La data del processo rimane incerta, ma una cosa è chiara: se verrà condannato, il suo certificato sacerdotale sarà revocato.
Alla domanda su cosa si aspetta dal nuovo papa, un fedele di Wenzhou ha risposto dopo un attimo di riflessione: «che la Santa Sede dia più importanza alla tutela della fede della Chiesa. Se il rispetto dei principi di fede viene sacrificato in cambio di compromessi politici, se la fede diventa merce di scambio per ottenere spazio e visibilità, allora la stiamo uccidendo alla radice. Una Chiesa che non testimonia la verità è destinata a dividersi. Speriamo che il Vaticano cambi rotta e, almeno sul piano morale e spirituale, ci sostenga apertamente, affinché non ci sentiamo abbandonati nella nostra stessa famiglia».
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Persecuzioni
I sacerdoti dell’ultima città completamente cristiana della Cisgiordania chiedono aiuto durante l’assedio israeliano

Taybeh—the only fully Christian town left in the West Bank – is under siege. Israeli settlers are torching holy sites, destroying farmland, and terrorizing families. The priests of Taybeh are crying out for help. The world must hear them—and act. #ChristiansForPalestine… pic.twitter.com/NNjzZr2teW
— The Jason Jones Show (@JasonJonesVPP) July 9, 2025
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Persecuzioni
Anche la cattedrale turca di Ani diventa moschea, come Hagia Sophia e Chora

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È l’allarme lanciato dal deputato cristiano del movimento curdo Dem George Aslan. In una interrogazione parlamentare si rivolge al ministro della Cultura sul futuro del secolare luogo di culto, in attesa di restauro. Costruita nel X secolo, è considerata uno degli esempi più significativi dell’architettura armena medievale.
Dopo Hagia Sophia e Chora, le due celebri ex basiliche cristiane di Istanbul trasformate prima in musei e ora in moschee dalla politica nazionalismo e islam impressa dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan, un altro celebre luogo di culto cristiano rischia di subire la stessa sorte.
Il deputato George Aslan, del movimento filo-curdo Peoples’ Equality and Democracy (Dem) Party, ha presentato un’interrogazione parlamentare in riferimento a resoconti secondo cui la storica cattedrale armena di Ani, secolare chiesa di Kars, riaprirà come luogo di culto musulmano. A dare per primi la notizia i media di Stato, i quali hanno parlato della prossima apertura della «moschea» senza fare riferimento alle sue origini.
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Nel suo intervento, Aslan, anch’egli cristiano, ha riferito che la cattedrale di Ani, nota anche come Surp Asdvadzadzin, o Santa Madre di Dio, è una delle centinaia di chiese e monasteri storici della Turchia che si trovano in stato di abbandono. Sottolineando il valore storico, culturale e religioso della cattedrale, il parlamentare ha fatto riferimento a notizie circolate di recente su diversi organi di informazione in base ai quali emergerebbe l’intenzione di cambiare la destinazione di utilizzo dell’edificio stesso.
Rivolgendosi al ministro turco della Cultura e del turismo Nuri Ersoy, egli chiede se «è vero che dopo il restauro della cattedrale di Ani, questa sarà aperta come moschea? Se sì, qual è la motivazione di questa decisione?»
«La decisione di cambiare l’identità religiosa di questa struttura storica e di trasformarla in moschea – aggiunge – non sarebbe in contraddizione con il carattere multi-religioso e multiculturale della Turchia?».
«La decisione di trasformare la cattedrale di Ani in una moschea – prosegue nell’interrogazione – sarà riconsiderata rispetto alla sua identità religiosa e culturale originaria?»
Infine, George Aslan chiede anche «quali chiese o monasteri sono stati trasformati in moschee durante il suo mandato? Quante chiese e monasteri sono stati convertiti in moschee negli ultimi 20 anni?» oltre ai casi emblematici di Chora e Santa Sofia.
Il 3 luglio scorso l’agenzia statale Anadolu ha pubblicato un articolo intitolato «La “moschea della conquista” di Ani, dove si tenne la prima preghiera del venerdì in Anatolia, viene restaurata». Nel raccontare il luogo di culto e la sua storia, l’articolo lo chiama solo come «Moschea di Fethiye (della Conquista)», omettendo la sua identità cristiana originaria e il nome storico di cattedrale di Surp Asdvadzadzin. Viene inoltre presentata la conversione della cattedrale nel contesto della «tradizione della conquista turca», senza riconoscere la sua funzione religiosa originaria. E ancora, non si alcuna menzione specifica sul significato culturale della cattedrale per il popolo armeno o la sua importanza per le relazioni armeno-turche.
La cattedrale di Ani sorge all’interno delle rovine dell’omonima città antica, nella provincia nord-orientale turca di Kars, vicino al confine con l’Armenia. Costruita nel X secolo, è considerata uno degli esempi più significativi dell’architettura armena medievale. La sua costruzione ha preso il via nel 987 sotto il re armeno Smbat II ed è stata completata nel 1001 o nel 1010 dalla regina Katramide, moglie di Gagik I del regno Bagratide. L’architetto era Trdat, noto anche per aver restaurato nello stesso periodo la celebre cupola di Santa Sofia nell’antica Costantinopoli (l’odierna Istanbul).
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Il luogo di culto fungeva da centro religioso di Ani, che era la capitale del regno Bagratide Armeno. Oggi è parte del sito archeologico di Ani, classificato come patrimonio mondiale UNESCO. Secondo l’App mobile di Ani sviluppata da Anadolu Kültür, dopo la conquista dei Selgiuchidi nel 1064, la cattedrale è stata utilizzata per breve tempo come moschea col nome di «Fethiye».
Nel 1199, la dinastia georgiano-armena degli Zakaridi ha ripreso il controllo della città e restituito l’edificio all’uso cristiano. La struttura ha subito gravi danni durante il terremoto del 1319, che ne ha distrutto la cupola, mentre un altro terremoto nel 1988 ha provocato il crollo dell’angolo nord-ovest, lasciando in eredità profonde crepe nei muri.
In Turchia vi è libertà di culto, tuttavia negli ultimi 20 anni si sono registrate violazioni alla pratica religiosa, cambi d’uso di ex basiliche cristiane e fatti di sangue a sfondo confessionale come l’assassinio di don Andrea Santoro nel 2006 e mons. Luigi Padovese nel 2010.
In particolare, la conversione in moschee delle antiche basiliche cristiane – poi musei a inizio ‘900 sotto Ataturk – di Santa Sofia e Chora rientra nella politica nazionalista e islamica impressa da Erdogan per nascondere la crisi economica e mantenere il potere.
A seguito del decreto che ne ha sancito la trasformazione, le autorità musulmane hanno coperto con una tenda bianca le immagini di Gesù, affreschi e icone che testimoniano la radice cristiana di Hagia Sophia, millenaria struttura dedicata alla sapienza di Dio e risalente al sesto secolo.
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