Spirito
Il Purgatorio esiste?
Renovatio 21 pubblica questo articolo previamente apparso su FSSPX.news.
In questo mese di novembre, la Chiesa ci invita a pregare per i morti. Dopo aver celebrato tutti i Santi in Cielo, osserviamo con compassione le anime del Purgatorio. Ma che dire del Purgatorio? Esiste, dove si trova, cosa vi accade?
Ringraziamo padre Louis-Marie Carlhian della Fraternità San Pio X per aver risposto a queste domande.
Il Purgatorio è una teoria dei teologi medievali?
Questa è la classica accusa degli scismatici ortodossi e dei razionalisti… Eppure l’esistenza del Purgatorio è un dogma di fede, creduto da sempre nella Chiesa, e ne si trovano tracce nelle Scritture.
In effetti, si parla di preghiere per i morti. Ora, se i morti sono in Paradiso, non c’è bisogno di pregare per loro, e nemmeno se sono all’Inferno, poiché il soggiorno in questi luoghi è definitivo!
La pratica di queste preghiere e sacrifici è quindi un segno sufficiente per stabilire la credenza in un posto intermedio tra la Terra e il Cielo, da cui possiamo essere liberati dalle preghiere. Questo punto è stato definito dai Concili di Lione, Firenze e Trento.
Il Purgatorio è presente nella Sacra Scrittura?
Il secondo libro dei Maccabei racconta che, all’indomani di una battaglia contro i siriani, Giuda Maccabeo scoprì, sotto la tunica dei suoi soldati uccisi in battaglia, degli idoli provenienti dal saccheggio di Iamnia. Questa era un’offesa alla legge di Mosè e Giuda giudicò che la morte di questi uomini fosse una punizione di Dio:
«Perciò tutti, benedicendo l’operato di Dio, giusto giudice che rende palesi le cose occulte, ricorsero alla preghiera, supplicando che il peccato commesso fosse pienamente perdonato. Il nobile Giuda esortò tutti quelli del popolo a conservarsi senza peccati, avendo visto con i propri occhi quanto era avvenuto per il peccato dei caduti. Poi fatta una colletta, con tanto a testa, per circa duemila dramme d’argento, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio espiatorio, agendo così in modo molto buono e nobile, suggerito dal pensiero della risurrezione. Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Ma se egli considerava la magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato». (2 Mac 12, 41-46).
Nel Nuovo Testamento, l’esistenza del Purgatorio non è esplicitamente dichiarata da nessuna parte. Tuttavia, possiamo citare diverse allusioni a uno stato di purificazione che non è un inferno: Perciò io vi dico: «Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. A chiunque parlerà male del Figlio dell’uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro». (Matteo 12, 31-32).
I primi cristiani credevano nel Purgatorio?
I primi cristiani celebrarono i santi Misteri intorno alle tombe dei martiri. Molto presto iniziarono a pregare per coloro che, non essendo martiri, avrebbero potuto aver bisogno di suffragi.
Così gli Acta Ioannis, intorno al 160, parlano di San Giovanni che prega su una tomba e celebra la Fractio Panis il terzo giorno dopo la morte di un cristiano. Sant’Agostino la vede come una pratica universalmente praticata, San Giovanni Damasceno fa risalire questa tradizione agli Apostoli, anche Dionigi assicura che si prega per i morti.
Qui possiamo applicare il principio teologico: «Lex orandi, lex credendi» (la legge della preghiera è una regola di fede, perché è una testimonianza certa della credenza comune a tutta la Chiesa).
Dov’è il Purgatorio?
Né la Sacra Scrittura né la Tradizione ci forniscono informazioni precise su questo argomento. Parliamo degli «inferni», espressione latina che significa i luoghi inferiori, sotto la terra, dove le credenze pagane ponevano l’aldilà.
La tradizione cristiana usa questa espressione per opporre il Cielo, che è al di sopra, agli inferi, che sono al di sotto… Si distinguono diversi luoghi: l’Inferno dei dannati, il Limbo dei bambini morti senza battesimo, il Limbo dei patriarchi, e il Purgatorio.
Ma questi sono propriamente dei luoghi, dal momento che quelli che sono lì sono privati del proprio corpo? La teologia mantiene un cauto silenzio su questo argomento, sottolineando che la risposta non influisce sulla nostra salvezza …
Poiché siamo redenti dai meriti sovrabbondanti di Nostro Signore, a che serve una nuova purificazione?
La soddisfazione offerta da Nostro Signore sulla Croce è ovviamente più che sufficiente per riscattare tutti i nostri peccati. Tuttavia, dobbiamo considerare due aspetti nel peccato: da un lato, la disobbedienza al Creatore, dall’altro, l’attaccamento disordinato alla creatura. Se il primo aspetto è completamente riparato dalla contrizione e dalla confessione, in virtù dei meriti di Nostro Signore, il secondo deve esserlo dal nostro contributo.
Dio ci consente così di partecipare alla nostra redenzione. San Paolo non dichiara forse: «completo nella mia carne ciò che manca alla Passione di Gesù Cristo»?
In altre parole, dobbiamo ancora espiare il nostro attaccamento alle cose di questo mondo, che impedisce a Dio di regnare totalmente sulle nostre anime. Se ci liberiamo delle gravi colpe incompatibili con l’amore di Dio, restano nella nostra anima le imperfezioni da eliminare: peccati veniali non confessati, pene temporali dovute per i peccati mortali addebitati, i resti di vizi non del tutto epurati.
La teologia confronta prontamente questa purificazione con un fuoco che non consuma la materia pesante, ma distrugge le «schegge» o «scorie» che rimangono nell’anima. Questa espiazione ha luogo su questa terra, con le buone opere, o nel Purgatorio.
Si può aggiungere che sarebbe improprio per Dio trattare tutte le anime o come santi o come dannati. È logico che esista uno stato intermedio per coloro che non hanno espiato tutti i loro difetti. Perfino alcuni popoli pagani hanno ammesso l’esistenza di una condanna temporanea dopo la morte.
In cosa consistono le pene del Purgatorio? Sono molto dure?
«Ci sono due pene nel Purgatorio: la pena del danno, ovvero il rinvio della vista di Dio; la pena dei sensi, cioè il tormento inflitto dal fuoco. Il minimo grado dell’uno e dell’altro supera il più grande dolore che può essere sopportato in vita».
San Tommaso d’Aquino, Somma teologica, IIIa Pars, Q.70 articolo 3. La nostra anima, alla fine di questa vita, sente un desiderio violento di essere unita a Dio, perché non è più limitata dal corpo e intravede l’immensità della felicità del Cielo.
Il tormento che prova per il dolore del danno è quindi terribile, ed è mitigato solo dalla certezza che finirà. Per quanto riguarda il dolore dei sensi, raggiunge l’anima direttamente nella sensibilità che essa dà al corpo e si fa sentire con maggior forza.
Tuttavia, le pene nel Purgatorio sono molto diverse da quelle infernali perché purificano le anime invece di punirle. Le anime del Purgatorio possiedono le virtù della speranza e della carità, a differenza dei dannati. Hanno quindi un grande desiderio di essere uniti a Dio e accettano la penitenza che viene loro inflitta come mezzo di salvezza.
Questa punizione, imposta da Dio, non possono accettarla liberamente, altrimenti la si renderebbe un mezzo di merito. La carità non aumenta in loro, ma, man mano che gli ostacoli che ancora impediscono di produrre il suo pieno effetto diminuiscono, la sentono sempre più forte mentre si avvicinano alla salvezza.
Dovremmo aiutare le anime del Purgatorio? Come?
Abbiamo il dovere di aiutare i morti che stanno aspettando di entrare in Paradiso:
– è un atto di carità che tocca le anime amate di Dio
– queste anime possono pregare per noi una volta entrate in Paradiso
– a volte siamo responsabili dei peccati commessi su questa terra dai defunti
– dobbiamo pregare in particolare per i nostri cari e la nostra famiglia
La Chiesa ha sempre rivolto le sue suppliche per le anime dei defunti nella maniera più sollecita e ufficiale: il Memento dei Morti, al Canone della Messa, ci fa pregare ogni giorno affinché i defunti trovino «il luogo del ristoro, della luce e della pace». La Messa è quindi il primo e più efficace modo per alleviare le loro pene, offrendo loro il Sacrificio o semplicemente offrendo loro la comunione.
La Chiesa apre inoltre per loro il tesoro delle Indulgenze. Infine possiamo offrire anche le grandi opere della vita cristiana, la preghiera, il digiuno e l’elemosina. Questo si chiama suffragio. La ragione è che queste anime sono unite a noi dalla Comunione dei Santi, vale a dire dall’unione in Nostro Signore per mezzo della Carità.
Proprio come i membri dello stesso corpo possono sostenersi a vicenda, i membri della Chiesa possono comunicare tra loro alcuni dei loro meriti.
Possiamo chiedere delle grazie alle anime del Purgatorio?
Come abbiamo appena detto, queste anime sono unite a noi dalla carità e possono pregare per noi. Dio nella sua misericordia può informarle delle preghiere fatte per loro o dei bisogni dei loro cari e, una volta in Paradiso, ne saranno certamente consapevoli.
Tuttavia, non possono più meritare e, come sottolinea San Tommaso, si trovano in uno stato in cui hanno bisogno più delle nostre preghiere che di pregare per noi.
Possiamo anche aggiungere che la Chiesa non rivolge mai loro la preghiera liturgica. È quindi possibile pregare per loro, ma senza dare loro un potere superiore ai santi del Cielo!
Come evitare di andarci?
Ogni cristiano deve cercare di evitare il Purgatorio, non solo per evitare la punizione, ma anche per adempiere la volontà di Dio: «Siate perfetti come il vostro Padre celeste è perfetto». Ciò è possibile preservandoci dai più piccoli difetti ed espiando attraverso la penitenza i peccati dai quali siamo stati perdonati.
Da La Couronne de Marie n° 45, novembre 2016
Articolo previamente apparso su FSSPX.news.
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Spirito
Io difendo Ambrogio e Ambrogio difende me
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Devozione
Fu con quella cartolina in tasca che un pomeriggio d’inverno, senza saper neanche bene perché, entrai per la prima volta nella Basilica di Sant’Ambrogio. Vagai per la navata, che rispetto a quella del Duomo, notai, era più luminosa, e non so quanto la cosa mi piacesse. Osservai quella colonna stranissima che si erge a metà chiesa, che sopra monta un serpente di bronzo. Ero confuso. C’era pace. Quello, sì, lo sentivo distintamente. Non passò molto prima di venir magnetizzato verso il fondo della Basilica. E di lì, giù per quella mezza manciata di scalini. Ero entrato nella cripta. Non ero preparato: non mi aspettavo di trovare, in quel cunicolo buio sotto l’altare, tre scheletri — gli unici punti illuminati — e una grande cancellata di metallo a dividermi da essi. Di quella prima volta, conservo il ricordo nitido di una sola figura umana che stava dinanzi a me. Una ragazzina, che non arrivava ai vent’anni. Composta, nel suo cappottino elegante, stivali alti, gli occhi azzurri, che potevo scorgere con un bagliore proveniente dall’esterno, trasmettevano fierezza, ma non solo quella. Era in ginocchio davanti alla cancellata, rivolta verso i Santi. Le mani erano giunte in preghiera. Con le stesse, poi si aggrappava alle barre di metallo. Come se fossero le inferriate di un carcere, come se ardesse per liberare se stessa o qualcos’altro, tenuto appena oltre quelle sbarre. Cosa stava facendo? Perché una ragazza così — una ragazza di buona famiglia, che trovavo anche carina — aveva bisogno di fare una cosa simile? Pregare con tutto lo spirito uno scheletro? La risposta è in qualcosa che imparai a comprendere tempo dopo: devozione. La devozione era, in realtà, quella fierezza che avevo fugacemente letto negli occhi di Penelope, e che ora veniva irradiata da questa ragazzina. Una devozione speciale, personale, locale: quella fanciulla stava pregando il protettore della città. Il difensore proprio di quella città specifica. Passarono gli anni, passarono le fidanzate, le fortune, le sventure, gli studi, i lavori, le gioie, le disgrazie, i sindaci e i governi: eppure mi ritrovai sempre, e sempre più spesso, immerso in quella cripta. Con il tempo, mi ritrovai ad emulare quella ragazzina che non vidi mai più: in ginocchio, le mani a stringere forte quella grata, di cui anche ora che scrivo percepisco il freddo del metallo mentre tocca i miei palmi. A volte, su quella grata appoggio anche la testa, così, tra una sbarra e l’altra, nell’impossibilità di fare passare attraverso il mio cranio, così, in quello che è anche un appoggio di sollievo, sempre con il ferro gelido a toccarmi fino alle ossa. In ginocchio, a parlare con il Patrono. A chiedergli di proteggermi, e di proteggere tutta la città dove vivevo. Proteggere Milano, perché a Milano, talvolta a distanza talvolta no, avevo visto ogni sorta di cosa. Avevo visto la gente brutalizzarsi nel modo più abietto; avevo visto la cattiveria dei potenti; avevo visto la cattiveria degli impotenti; avevo visto uomini combattersi e ammalarsi; avevo visto amici accumulare danari perdendo l’umanità e anche la famiglia; avevo visto un uomo spararsi davanti all’ex fidanzata nel bar sottocasa; avevo visto coetanei inghiottiti da abissi notturni per non riemergere più; avevo visto la droga (sia quella illegale che quella legale) consumare le menti di una o due generazioni per non lasciare niente; avevo visto una bella conterranea fucilata dal convivente impasticcato psichiatricamente, un’altra fu squartata dal rampollo suo convivente; avevo visto luoghi di perdizione vera, che ancora oggi mi chiedo come facciano ad esistere; avevo visto il crimine convivere tranquillo con la quotidianità; avevo visto l’ambizione delle persone renderle squallide, mostruose, deformi; avevo visto tradimenti, adulterii, ogni sorta di sovversione sessuale e morale; avevo visto ragazze rifiutare i propri figli, e ucciderli; altre ne avevo viste uccidere in provetta quantità indefinite di bambini per alla fine averne uno solo in braccio. Perversione, decadenza, morte. Milano è davvero una metropoli. Come non invocare la protezione di Ambrogio? La cosa mi era impensabile. Come non immaginare, mentre stringo quelle sbarre, che egli stenda un manto santo sopra la città? Che blocchi il Male che correva libero per quelle strade? Finii col credere fermamente che Ambrogio fosse ciò che tratteneva Milano dallo sprofondare in quell’Inferno di fuoco che avrebbe inghiottito quell’inferno umano che registravo con i miei occhi. Per questo, la preghiera in quella cripta divenne per me assidua.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Tales ambio defensores
Non posso enumerare le volte in cui sono finito davanti alle spoglie mortali di Ambrogio, Gervaso e Protaso. Per dei periodi, è stato un affare quotidiano. Mi sono aggrappato a quelle sbarre migliaia di volte; spesso sono stato mandato via dal solerte signore filippino (credo) che arriva con l’enorme, tintinnante mazzo di chiavi per chiudere tutta la basilica. Ho fatto ogni sorta di meravigliosi incontri in quel luogo santo. Ricordo quando, inciampandole addosso, dissi «izvinite» («mi scusi») a una anziana signora velata. Si faceva multipli segni della croce ed era, chiaramente, una delle tante signore ortodosse — per lo più immagino badanti, ma vi sono talvolta anche veri e propri gruppi di pellegrini — che vanno ad omaggiare Ambrogio. La signora, usciti dalla cripta, volle scambiare quattro chiacchiere con me, entusiasta del misero russo che stavo studiando. Pretese che salissi immediatamente con lei in metropolitana fino al Duomo, dove mi schiuse le porte di una chiesa ortodossa, che prima di allora mai avevo saputo esistere, appena dietro la cattedrale. La visita ad Ambrogio era una fermata che ella faceva prima di andare nella sua chiesa. C’erano tante signore (moldave, ucraine, bielorusse, russe, kazake…), alcune ho pensato fossero impiegate nell’assistenza di malati o anziani, altre, più giovani ed eleganti, lavoravano chiaramente nella moda; altre ancora, più formose e appariscenti, probabilmente si occupavano di altro – tutte, però, portavano il velo. C’erano i pope con barbe e vesti scure e lunghissime, le candele, l’iconostasi immensa con i suoi bagliori dorati. Tutto sembrava solenne anche se non vi era una funzione in corso. Anche la signora moldava, come Penelope, mi passò una cartolina, e cioè quel che poteva donarmi di più vicino ad una icona. Capii di essere finito un’altra volta in un circuito invisibile il cui termine era sempre e comunque Ambrogio. La devozione. Sì, il circuito della devozione, la cui fermata principale era quella cripta, in cui sono finito non perché ho letto un libro (ignoravo, e tuttora ignoro tutto del Santo!) ma perché sospinto da questo flusso intangibile che scorreva a Milano attraverso perfino i cuori degli stranieri. In quella cripta ho portato tutto: dalle gioie dei primi (piccoli) incassi per i lavori compiuti alla morte di un genitore, dalla speranza di prosperità alla frantumazione del mio essere che a volte gli eventi milanesi potevano cagionare. Soprattutto, ho portato la mia pochezza. Il mio bisogno di essere protetto, difeso. «Tales ambio defensores» disse Ambrogio quando rinvenne i corpi dei due martiri Gervaso e Protaso che ora giacciono con lui (fu l’esito di uno scavo che egli volle commissionare guidato da un presagio interiore; l’evento gli permise di vincere definitivamente il cuore di Milano, che all’epoca contava molti eretici ariani). Me lo sono ripetuto anche io tante volte: «Tali difensori io desidero».Sostieni Renovatio 21
Nemici di Ambrogio
Al contempo, mi sento in dovere di difendere Ambrogio. Perché, per quanto possa sembrare incredibile, Ambrogio ha dei nemici. Forze che bramano la distruzione di Ambrogio e di quel fiume invisibile che mi ha portato da lui. Nel 1799 i napoleonici della Repubblica Cisalpina vollero che la Basilica venisse trasformata in un ospedale militare. Altre forze figlie della Rivoluzione — i nostri «liberatori» angloamericani — bombardarono vigliaccamente dal cielo Sant’Ambrogio nel 1943. Poi, il 28 giugno 2000 il Male e la sua manovalanza terrena passano all’attacco diretto, penetrando sino al cuore ambrosiano. Nascondono in un inginocchiatoio della nostra cripta uno zaino con due bottiglie contenenti benzina, collegate a un innesco chimico alimentato da una pila. Una bomba incendiaria. (Bruciare Ambrogio e il suo tempio, lo dirò più sotto, potrebbe avere un suo significato di nemesi precisa). L’ordigno è trovato dalla Digos, perché un quotidiano riceve un volantino di rivendicazione. Gli esecutori dovrebbero essere gli anarchici della sigla «Solidarietà Internazionale»; protesterebbero per una cerimonia della polizia penitenziaria. Io in realtà so che, da secoli, vogliono colpire qualcosa di più grande, qualcosa di fondamentale per l’equilibrio di tutta la città – e della mia vita. Vogliono colpire Ambrogio. Vogliono colpire la sua devozione. Perché so tutto questo, non mi son sorpreso quando qualche anno fa uscì sotto forma di libro un attacco ad Ambrogio. Il libro, incensato dall’intero arco delle gazzette nazionali, da Il Sole 24 ore a Il Manifesto, portava la firma di una vecchia conoscenza, diciamo così, tale Franco Cardini. Il titolo non è molto sibillino: Contro Ambrogio.Aiuta Renovatio 21
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Tradidi quod et accepi
Voglio concludere. Molto ci sarebbe da dire, come per esempio il mio disgusto per i ciellini (e il loro vescovoni trombati e infelici) che cianciano di «libertà religiosa» quando il Santo della loro capitale ne è stato il più acerrimo nemico, e su di essa — in ispecie contro i pagani — ha combattuto una guerra infuocata, e l’ha vinta. Qualcuno mi accuserà: perché parli, sei uno storico? Un teologo? Un sapiente? No, non lo sono. Sono un uomo ignorante, e l’unica storia che conosco davvero, riguardo Ambrogio, è quella che mi ha portato a lui. Sono solo una persona che riesce ancora a struggersi davanti alla devozione; qualcuno di così ottuso da stupirsi del fatto che esiste ancora; qualcuno di così scemo da credere che la devozione sia non solo necessaria, ma perfino «efficace». Sono un peccatore: sono uno che ad Ambrogio chiede aiuto. Non ci ho scritto libri, non ho studiato a fondo la sua vita e le sue opere. Una cosa però l’ho fatta. Ho portato ad Ambrogio una ragazza, S., tedesca, come Ambrogio. S. aveva un problema, non riusciva più ad entrare in chiesa senza avere un attacco di pianto. Il motivo, ho ipotizzato, era legato a delle vicende personali. La sua famiglia ha attraversato momenti bui, in parte irrisolti, in parte risolti, che hanno lasciato un segno sul suo spirito. In chiesa, mi ha poi spiegato, non riusciva ad entrare perché «non mi sentivo pura a sufficienza», anche se S. è una delle persone più pure che conosco a Milano. Ho fatto fatica. Le prime volte, trascinarla era un vero esercizio di violenza psicologica. «Io vado dentro, devi proprio fare queste scene?». Seguivano occhi sgranati, afasie, imbarazzi paralizzanti, lacrime. Ho iniziato così pian piano a portarla alla messa della domenica sera. Nella pratica, è vero che qualche volta è svenuta, subito soccorsa da fedeli circostanti. Ma ora è tutto alle spalle. Mi esprime, anche troppo spesso, la sua gratitudine per la mia ostinazione. È amica dei sacerdoti come degli altri fedeli, è assidua. Si chiede spesso perché io abbia spinto tanto: il perché lo sa Ambrogio, io sono solo la nanometrica parte del suo circuito invisibile. Qualche giorno fa, S. ha ricevuto finalmente la Cresima, che le mancava. Voleva che facessi da padrino, ma lontano come sono oggi dalla Chiesa conciliare, non per un secondo ho pensato che potessi essere io a sigillare la fine di questa minuscola storia ambrosiana. Nonostante lo stato di aberrazione in cui versa la Chiesa, posso dire che questo è il mio microscopico contributo alla Tradizione: ho tramandato la devozione che ho ricevuto, ho mandato ad Ambrogio qualcuno, come vi ero stato mandato io. Ho conservato, e tramandato, la devozione al cuore di Milano e della vera Cristianità. Io difendo Ambrogio perché Ambrogio difende me. Roberto Dal BoscoIscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Spirito
Notre-Dame brucia e la Madonna viene privata del suo titolo
Il Dicastero per la Dottrina della Fede ha pubblicato la Mater Populi Fidelis il 4 novembre 2025. Approvato da Leone XIV, questo documento priva la Madonna del titolo di Corredentrice.
Si tratta tuttavia di un titolo eminentemente tradizionale, come affermava Leone XIII nell’enciclica Adjutricem Populi del 5 settembre 1895: «Come ella era stata strumento del mistero dell’umana Redenzione, così, con il potere quasi illimitato che le era stato conferito, era dispensatrice della grazia che da questa Redenzione deriva per sempre».
Come ha potuto Leone XIII sbagliarsi così tanto? Non solo lui, ma anche i suoi successori: San Pio X (Ad Diem Illum, 2 febbraio 1904), Benedetto XV (Inter sodalicia, 22 marzo 1918), Pio XI (Discorso del 30 novembre 1933 ai pellegrini di Vicenza in Italia) e Pio XII (Mediator Dei, 20 novembre 1947, e Ad Cæli Reginam, 11 ottobre 1954), che hanno tutti parlato della corredenzione di Maria. Il recente documento romano ha ragione contro tutti questi papi?
Il 15 e 16 aprile 2019, Notre-Dame de Paris è stata devastata dalle fiamme. Di fronte a questo tragico incendio, un’immensa emozione ha scosso il mondo intero, ma si trattava solo di una cattedrale di pietra. Oggi, è la Casa d’Oro, l’Arca dell’Alleanza, la Porta del Cielo, come cantano le litanie della Vergine Maria, a essere privata del titolo di Corredentrice.
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Un’emozione ancora più intensa si impadronisce dell’intera cristianità, sconvolta nel vedere che questa detronizzazione è opera di un dicastero romano incaricato di insegnare la fede nella sua integrità e completezza.
Ieri Notre-Dame è stata incendiata. Ma la cattedrale è stata ricostruita pietra su pietra; i discendenti dei costruttori medievali si sono alternati giorno dopo giorno, con infinita pazienza e notevole abilità. Ancora una volta, la Madonna protegge Parigi con il suo manto materno. È lì, in piedi. Stabat Mater.
Oggi, la Madonna, Corredentrice, è spogliata. Ma la pietà filiale dei cattolici restituirà onore alla Beata Vergine, con tutti i suoi titoli, attraverso la recita fervente del Rosario e delle sue litanie. La fermezza dei costruttori si opporrà all’empietà dei demolitori.
Con questa incrollabile certezza, i documenti degli attuali dicasteri passeranno, e anche i loro autori. La Madonna rimarrà Corredentrice, ai piedi della Croce. Stabat Mater .
Don Alain Lorans
FSSPX
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Immaine di Olivier Mabelly via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
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