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Omelia di Mons. Viganò: la Chiesa contro «la sinagoga di Satana, l’antichiesa conciliare e sinodale» e i suoi «corrotti ministri» della «setta di traditori e rinnegati»

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Renovatio 21 pubblica questa omelia di monsignor Carlo Maria Viganò.

 

Celebriamo la festa di San Carlo Borromeo, Cardinale Arcivescovo di Milano, Confessore della Fede, Patrono della Città e della Diocesi ambrosiana.

 

Un Santo che, come tutti i Santi proclamati dalla Chiesa prima della rivoluzione conciliare, oggi sarebbe additato come divisivo, intollerante e integralista dall’inquilino di Santa Marta, ritenuto Successore di quei Papi che vollero questo grande Prelato a Roma prima come membro del Sant’Uffizio e Segretario di Stato – sotto lo zio Pio IV – e poi come consultore al Concilio Tridentino ed esecutore della riforma che esso mise in atto alla fine del Cinquecento, regnante San Pio V.

 

Fu presidente della commissione di teologi incaricati dal Papa di elaborare il Catechismus Romanus insieme a grandi personaggi della Riforma cattolica come San Pietro Canisio, San Turibio da Mogrovejo e San Roberto Bellarmino. Lavorò alla revisione del Messale, del Breviario e della musica sacra; si impegnò nella fondazione dei Seminari – istituzione eminentemente tridentina – e nella difesa degli Ordini Sacri, del Celibato sacerdotale, del Matrimonio. Fu zelantissimo Pastore, munifico verso i poveri e i malati, implacabile avversario dei Riformati e degli eretici protestanti, caritatevole e accogliente verso i Cattolici inglesi rifugiatisi in Italia per sfuggire alle persecuzioni di Elisabetta I. 

 

San Carlo fu insomma a pieno titolo un vero Vescovo conciliare, che dello spirito del postconcilio si fece promotore indefesso tanto nella Chiesa universale quanto nella Chiesa ambrosiana.

 

Immagino che, formulata così, questa affermazione possa suscitare qualche sbalordimento; ma se vi prestiamo attenzione, il ruolo di questo Santo Vescovo rispetto al Concilio di Trento fu analogo a quello che, quattrocento anni dopo, ebbero altri Vescovi e Prelati nel Concilio indetto da Giovanni XXIII.

 

Analogo, ma di segno diametralmente opposto. Ed è in questo che possiamo comprendere la differenza che sussiste tra l’essere buoni Pastori fedeli a Cristo e l’essere mercenari al soldo del nemico. In questo possiamo vedere la differenza tra il servo buono e fedele che fa fruttare i talenti ricevuti dal suo Signore e il servo malvagio che li sotterra (Lc 19, 22). 

 

Cosa dunque costituisce la differenza tra San Carlo Borromeo – e insieme a lui tutti i Santi Confessori della Fede – e l’attuale Episcopato?

 

La Carità, ossia l’amore di Dio sopra ogni cosa e l’amore del prossimo per amor Suo. Fu infatti il fuoco di Carità, illuminata dalla Fede, ad animare di zelo apostolico San Carlo in tutta la sua vita. Senza Carità, egli avrebbe lasciato gli eretici nell’eresia e non avrebbe combattuto i loro errori.

 

Senza Carità non avrebbe aiutato i poveri, i malati, gli appestati.

 

Senza Carità non avrebbe provveduto alla formazione dei chierici, alla disciplina dei sacerdoti e dei religiosi, alla riforma dei costumi dei parroci, al decoro della Santa Liturgia.

 

Senza Carità egli avrebbe chiesto ai Cattolici inglesi, in nome dell’inclusività, di dialogare con la loro regina eretica, feroce nemica dei «papisti».

 

Senza la Carità, che ci fa amare Dio nella Sua sublime Verità e detestare tutto ciò che offusca il Suo insegnamento, San Carlo non avrebbe partecipato al Concilio di Trento per definire con maggior forza i punti della dottrina cattolica impugnati dai Luterani e dai Calvinisti, ma avrebbe anzi cercato di smussare ogni divergenza teologica per non farli sentire esclusi e giudicati.

 

Avrebbe emarginato i buoni sacerdoti e fedeli, accusandoli di essere rigidi e deridendoli nei suoi scritti o nelle sue omelie. Non si sarebbe preoccupato di vigilare sulla moralità del Clero, promuovendo anzi gli indegni per assicurarsi la loro complicità.

 

Avrebbe cioè agito come i Vescovi del Vaticano II o come i cortigiani di Santa Marta, abbandonando le anime al pericolo della dannazione eterna e trascurando i propri doveri di Pastore e di Successore degli Apostoli.

 

Avrebbe dimostrato di non amare Dio, perché chi non Lo riconosce per come Egli Si è rivelato, non può amarLo nelle Sue divine perfezioni; e chi lascia che anche una sola anima si perda lontano dal Signore senza cercare di convertirla, non ama il prossimo perché non vuole il suo bene, ma la sua approvazione o peggio la sua complicità.

 

Se il Borromeo si fosse comportato in questo modo avrebbe insomma amato se stesso e la proiezione ideologica di una «sua» chiesa, vanificando i talenti ricevuti, ed oggi non lo celebreremmo nella gloria dei Santi, ma lo ricorderemmo nel novero degli eresiarchi. Se il Borromeo si fosse comportato secondo il «tutti, tutti dentro» dell’inquilino di Santa Marta, le anime messe dalla Provvidenza lungo il suo cammino per essere salvate, si sarebbero perdute. 

 

Se vogliamo avere una prova ulteriore dell’abisso che separa i Santi Pastori – e San Carlo tra questi – dai mercenari che oggi infestano la Chiesa di Cristo, è sufficiente che ci immaginiamo come egli giudicherebbe i partecipanti al Sinodo sulla Sinodalità, e cosa direbbe della condanna di Bergoglio a chi «si limita a riproporre astrattamente formule e schemi del passato», del suo invito ad una «evoluzione dell’interpretazione» delle Sacre Scritture, del culto della Pachamama, del suo starsene in piedi coram Sanctissimo, della Dichiarazione di Abu Dhabi, del presunto ruolo delle donne nel governo della Chiesa, della volontà di abolire il Sacro Celibato, dell’ammissione dei concubinari e dei divorziati alla Comunione, della benedizione delle unioni omosessuali e della promozione dell’ideologia LGBTQ+, dell’aver promosso un farmaco dannoso e mortale, dell’essersi fatto zelante sostenitore dell’Agenda 2030.

 

E non pensiamo che la reazione di San Carlo sarebbe un’eccezione: non vi è uno solo dei Santi, dei Dottori, dei Papi sino a Pio XII incluso che approverebbe nulla di quanto si sta consumando in Vaticano. Al contrario, tutti indistintamente riconoscerebbero nell’azione di governo e di pseudo-magistero di questi ultimi decenni – e del presente «pontificato» in particolare – l’opera del Nemico infiltrato nel sacro recinto, e non esiterebbero a condannarla senza appello, e con essa i suoi artefici, esattamente come tutti condannarono gli errori del loro tempo e moltiplicarono gli sforzi per proteggere il gregge loro affidato e confermarlo nella Verità. 

 

Chiesa e anti-chiesa si fronteggiano, in questo momento epocale, perché appaia in tutta la sua cruda realtà quel mysterium iniquitatis che sinora avevamo visto emergere episodicamente – ed energicamente combattere da parte di santi Pastori – nel corso della Storia. 

 

Da un lato la Chiesa di Cristo, acies ordinata, mossa dalla Carità nella Fede per la gloria di Dio e la santificazione delle anime, nella gratuità della Grazia. Semper eadem, nella immutabilità che le viene dal suo Capo, che è Dio perfettissimo e la cui Parola è stabile nei secoli.

 

Dall’altro la sinagoga di Satana, l’antichiesa conciliare e sinodale, i cui corrotti ministri sono spinti dall’interesse personale, dalla sete di potere e di piaceri, accecati dall’orgoglio che fa loro anteporre se stessi alla Maestà di Dio e alla salvezza delle anime: una setta di traditori e rinnegati che non riconoscono alcun principio immutabile ma che si nutrono di provvisorietà, di contraddizioni, di equivoci, di inganni, di menzogne, di turpi ricatti.

 

Questa antichiesa non può che essere intrinsecamente rivoluzionaria, perché il suo sovvertimento dell’ordine divino non accetta a priori alcunché di eterno, ed anzi lo aborrisce proprio in quanto immutabile, perché non può manometterlo, dal momento che alla perfezione non vi è nulla da aggiungere o da modificare.

 

La rivoluzione permanente, cifra dell’attuale compagine ecclesiastica, ha sedotto molti fedeli e chierici con le lusinghe della mentalità liberale e del pensiero hegeliano, facendo credere a tanti moderati, che il loro momentaneo quieto vivere sia sufficiente a garantire un’impossibile coesistenza tra Tradizione e Rivoluzione, per il solo fatto che li si lasci celebrare la Messa antica in cambio dell’accettazione del compromesso e del non mettere in discussione il Vaticano II, come gli Ebrei con i sacerdoti di Baal al tempo del profeta Elia.

 

L’adagio cattolico Nihil est innovandum – Nulla dev’essere cambiato – non è uno sterile arroccarsi su posizioni preconcette per paura di affrontare ciò che è nuovo, come vorrebbero farci credere i falsi pastori infiltrati nella Chiesa. Esso esprime al contrario la serena consapevolezza che la Verità di Cristo – che è Cristo stesso, Λόγος, Verbo eterno del Padre, Alfa e Omega – non conosce la corruzione del tempo, perché appartiene alla perfezione di Dio: veritas Domini manet in æternum (Sal 116, 2).

 

Per questo non vi è, né vi può essere, cambiamento sostanziale nell’insegnamento della Chiesa: perché il suo Magistero è e dev’essere quello del suo divino Fondatore. E semmai vi è qualcosa che il bene delle anime richiede di porre in maggior luce, ciò deve sempre e comunque consistere in una nostra riforma personale, ossia nel ricondurre alla fedeltà della forma originaria la nostra risposta all’immutabile insegnamento di Nostro Signore. Perché non è l’eterna perfezione di Dio che deve adeguarsi alla nostra miserabile mutevolezza, bensì la nostra infedeltà che deve avere come modello e meta il conformarsi alla volontà di Dio: sicut in cœlo et in terra. 

 

Per la prima volta nella Storia, in questa battaglia tra Chiesa e anti-chiesa, la prima non è solo emarginata e perseguitata, ma si trova anche defraudata della suprema autorità del Romano Pontefice, un’autorità usurpata e usata per demolirla dalle fondamenta, per rendere ufficiale una transizione iniziata sessant’anni fa. Nave senza nocchiere in gran tempesta (Inf. VI, 77).

 

Se non avessimo la promessa di Cristo con il Non prævalebunt, verrebbe da credere che le porte degli inferi siano ormai trionfanti. Ma sappiamo che l’apparente vittoria del Nemico è tanto più prossima alla fine quanto maggiore è l’arroganza di chi osa sfidare Nostro Signore, e che le nostre tribolazioni sono la benedetta punizione terrena con cui Egli ci purifica, mettendoci dinanzi l’orrore dell’apostasia di un papa e con lui di tanti vescovi. Ringraziamo dunque la Maestà divina di aver fatto cadere tante maschere, dietro le quali si nascondevano anime perdute. Maschere cadute soprattutto durante la farsa del Sinodo sulla Sinodalità, e che ci permettono di comprendere quanto vere ed attuali siano le parole del Signore: Nessuno può servire due padroni (Lc 16, 13).

 

Insieme alla Carità vi è sempre la santa Umiltà, nutrice di questa Virtù teologale. San Carlo fu uomo e pastore veramente umile. Non nello spogliarsi della dignità cardinalizia o episcopale; non nel comportarsi o nel parlare in modo rozzo affettando semplicità; non nell’ostentare una finta povertà seguito dai fotografi, o nel baciare la mano ai grandi usurai della Sinagoga, o nel simulare compassione per i poveri usati come bandiera ideologica

 

San Carlo fu umile e povero nel segreto, lontano dagli occhi della massa, dove solo il Signore vede la purezza delle nostre intenzioni e la sincerità del nostro cuore. 

 

Dinanzi alla crisi che travaglia la Santa Chiesa e all’apostasia della Gerarchia, dobbiamo prendere esempio da ciò che San Carlo fece, e allo stesso tempo evitare di compiere ciò che San Carlo evitò: una regola aurea che ci permetterà di discernere come comportarci in questi tempi terribili. Questo vale certamente per i fedeli, ma eminentemente per i Ministri di Dio e per i Religiosi, che nel grande Arcivescovo di Milano possono trovare un modello di vita e di santità.

 

Un modello che rimane valido proprio perché ha come unico scopo l’amore di Dio e del prossimo, e non rincorre lo spirito del tempo né cerca di compiacere il Principe di questo mondo.

 

È quello che ci invita a compiere l’orazione della Messa: O Dio, che hai ornato la tua Chiesa con le salutari riforme operate da San Carlo, tuo Confessore e Pontefice, concedi a noi propizio di sentire la sua celeste protezione, mentre in terra imitiamo il suo esempio. E così sia.

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

4 Novembre 2023
In Festo S.cti Caroli Borromæi,
Episcopi Mediolanensis et Confessoris

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Immagine di Orazio Borgianni (1574–1616) di pubblico dominio CCO via Wikimedia, tagliata

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Celebrato in chiesa un «quasi matrimonio» omosessuale

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Il sito della Catholic News Agency, ripreso dal National Catholic Register e da altri media, riporta una cerimonia celebrata da un sacerdote dell’arcidiocesi di Chicago, padre Joseph Williams, responsabile della parrocchia di San Vincenzo de’ Paoli, amministrata dai sacerdoti della Congregazione della Missione (CM) o Lazzaristi.  

I fatti

Un video, disponibile su un account Instagram, mostra una cerimonia che sembra un matrimonio, ma le due persone coinvolte sono donne: Kelli Beard e Myah Knight, quest’ultima per 14 anni pastore delle comunità metodiste unite intorno a Chicago.   Contattato da OSV News, il sacerdote ha ammesso di essere il celebrante visibile nel video e che la benedizione, che ha detto di aver impartito su richiesta delle interessate, si è svolta nella parrocchia di San Vincenzo de’ Paoli. La scena è stata girata utilizzando un cellulare. La chiesa sembra vuota, ma il sacerdote indossa camice e stola.   Il sacerdote si rivolge alle due donne e chiede loro: «vi impegnate di nuovo liberamente ad amarvi come santi sposi e a vivere insieme in pace e concordia per sempre?» – «Noi lo facciamo, io lo faccio», rispondono. Padre Williams continua: «Dio d’amore, aumenta e consacra l’amore che Kelli e Myah nutrono l’una per l’altra».   Anche se non c’è scambio di anelli, il sacerdote dice: «Possano gli anelli che si sono scambiati essere un segno della loro lealtà e del loro impegno. Possano continuare a prosperare nella tua grazia e benedizione. Questo te lo chiediamo per Cristo nostro Signore». Conclude facendo il segno della croce, dicendo: «Scenda su di voi la benedizione di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo».

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Spiegazioni confuse e contraddittorie

Nella sua risposta a OSV News, padre Williams ha giustificato l’uso del camice e della stola: «Io lo faccio così. Quando vado a casa di qualcuno per benedire la sua casa, indosso il camice e la stola. (…) Questo è quello che faccio come prete. Fa parte del mio abbigliamento».   Quanto a Fiducia Supplicans, ha spiegato che il suo agire derivava dalla sua «comprensione del testo». Aggiunge che «il Santo Padre ha detto che le coppie dello stesso sesso possono essere benedette purché non rifletta una situazione matrimoniale (…) purché sia ​​chiaro che non si tratta di un matrimonio».   Si difende in ogni caso. Quando la signora Knight aveva chiesto la benedizione, padre Williams le aveva detto: «Per favore, capisca che questo non è in alcun modo un matrimonio, un matrimonio vero e proprio, o qualcosa del genere. È semplicemente una benedizione delle persone».   Tuttavia, ha spiegato ulteriormente a OSV News che l’uso del termine «santi sposi» nella benedizione da lui scritta intendeva significare «coppia». – Deve essere uno scherzo… «santi sposi» per persone in situazione di peccato oggettivamente grave!   OSV News è stata piuttosto aggressiva nell’inviare un collegamento al video all’arcidiocesi di Chicago per un commento; nonché al cardinale Victor Manuel Fernández, prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF) che ha prodotto Fiducia supplicans, per un parere su questo atto.  

Una deriva prevedibile e inevitabile

Non c’era bisogno di essere profeti per dire che questa situazione si sarebbe verificata prima o poi, una volta pubblicata Fiducia supplicans. E questa probabilmente è solo la punta dell’iceberg. La situazione continuerà a peggiorare e le cerimonie diventeranno esplicitamente «matrimoni».   Non esistono trentasei modi per fermare questa deriva mostruosa: eliminare la deriva iniziale, cioè la dichiarazione stessa. Intanto il responsabile in primis di questa cerimonia di Chicago è il prefetto del DDF. È lui che dovrà rispondere innanzitutto a Dio.

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Immagine di Richie D. via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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Spirito

Il mese di Maria: la sua storia

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La dedicazione di un mese a una particolare devozione è una forma relativamente recente di pietà popolare, che non trova riscontro nella pratica generale fino al XVIII secolo.

 

Così il mese di San Giuseppe (marzo), iniziato a Viterbo, fu approvato da Pio IX il 12 giugno 1855; il mese del Rosario (ottobre), nato in Spagna, fu approvato da Pio IX il 28 luglio 1868 e raccomandato da Leone XIII (1883); il mese del Sacro Cuore (giugno), nato nel Convento di Notre Dame des Oiseaux di Parigi nel 1833 e promosso da Mons. de Quelen, fu approvato da Pio IX l’8 maggio 1873.

 

Il mese del SS. Nome di Gesù fu approvato da Leone XIII nel 1902 (gennaio), e il mese del Preziosissimo Sangue approvato da Pio IX nel 1850 (luglio); il mese dell’Addolorata fu approvato da Pio IX nel 1857 (settembre), il mese delle Anime del Purgatorio approvato da Leone XIII nel 1888 (novembre).

 

Il mese di Maria

Già nel XIII secolo ne troviamo menzione nei poemi a Maria (Cantigas de Santa Maria) del re Alfonso X di Castiglia, detto il Saggio (1252-1284). Paragona la bellezza di Maria a quella del mese di maggio. Nel secolo successivo, il beato domenicano Henri Suso aveva, nel tempo dei fiori, l’abitudine di intrecciare corone per offrirle, il primo giorno di maggio, alla Vergine.

 

Nel 1549 un benedettino, V. Seidl, pubblicò un libro intitolato Il mese spirituale di maggio, quando già san Filippo Neri esortava i giovani a mostrare speciale culto a Maria durante il mese di maggio, in cui radunava i fanciulli intorno all’altare della beata Vergine per offrirle, con i fiori di primavera, le virtù che aveva fatto sbocciare nelle loro giovani anime.

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La diffusione del «mese di Maria» deve molto ai gesuiti italiani che, all’inizio del XVIII secolo, pubblicarono numerose opere sull’argomento. Così il padre gesuita Alfonso Muzzarelli pubblicò nel 1785 a Ferrara (Italia) Il mese di Maria, osìa di Maggio consacrato a Maria SS., che ebbe larga diffusione. Offre meditazioni sulle virtù della Vergine per ogni giorno del mese di maggio.

 

I Camilliani rivendicano l’onore di aver inaugurato il mese mariano nella sua forma attuale, nel 1784. I Gesuiti ne sottolinearono l’aspetto familiare raccomandando che, alla vigilia del primo maggio, in ogni casa fosse eretto un altare a Maria, ornato di fiori, davanti al quale la famiglia si riuniva per recitare preghiere in onore della Beata Vergine ogni giorno del mese, prima di estrarre a sorte un biglietto che indicasse la virtù da praticare il giorno successivo.

 

Queste pratiche caddero in disuso negli anni ’70.

 

Il mese di Maria in Francia

Grazie all’opera dei Gesuiti, il «mese di Maria» giunse in Francia alla vigilia della Rivoluzione. La venerabile Luisa di Francia, figlia di Luigi XV e priora del Carmelo di Saint-Denis, ne fu una zelante propagatrice. Questa pratica ebbe un carattere generale solo con le missioni popolari della Restaurazione, e la sua approvazione ufficiale da parte della Santa Sede (21 novembre 1815).

 

Dopo i giansenisti, il clero costituzionale si oppose ferocemente a questa devozione e sappiamo che mons.Belmas, vescovo concordatario di Cambrai, già vescovo costituzionale dell’Aude, ne fu risoluto oppositore. Ma grazie all’approvazione di Pio VII, la devozione finì per trionfare.

 

Ricordiamo infine che, dal 10 febbraio 1638, la Francia è stata ufficialmente consacrata alla Beata Vergine in seguito al voto pronunciato dal re Luigi XIII.

 

Approfittiamo di questo mese a Lei dedicato per chiedere alla Madre del Salvatore la sua potente protezione su di noi, sulla nostra Patria e sulle nostre famiglie, e per pregarla di affrettare il trionfo del suo Cuore Immacolato.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine: Gerard David (circa 1450/1460–1523), La vergine tra le vergini, Musée des Beaux-Arts, Rouen

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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La Dignitas Infinita di papa Francesco contraddice la dottrina della Chiesa su pena di morte e sulla guerra: parla il vescovo Eleganti

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Renovatio 21 riporta questo testo del vescovo svizzero Marian Eleganti apparso su LifeSiteNews.   Si intitola Dignitas infinita l’ultimo documento del Dicastero per la dottrina della fede e attribuisce «dignità infinita» all’essere umano. Preferisco il termine «dignità inviolabile». Dovremmo invece riservare a Dio la categoria «infinito», perché si applica realmente solo a Lui. Tutte le creature sono «finite» o «contingenti». La «dignità infinita» per gli esseri umani sembra grandiosa e in qualche modo irrazionale.   Nel Libro della Genesi la pena di morte è giustificata dal fatto che l’uomo è fatto a immagine di Dio. Secondo il primo libro delle Sacre Scritture, se qualcuno uccide un altro essere umano, merita di morire. Perché? Perché ha misconosciuto la dignità di essere immagine di Dio nel prossimo e non ha rispettato l’inviolabilità ad essa connessa. Commettendo un omicidio, perde (latae sententiae) il proprio diritto alla vita. Viene punito con la morte.   La pena di morte viene così giustificata qui con la dignità dell’uomo come immagine di Dio, mentre nel documento del Dicastero per la Dottrina della Fede viene respinta con la stessa argomentazione. Questa è una contraddizione.   Papa Francesco e il suo protetto e ghostwriter, il cardinale Fernandez, con la loro posizione si allontanano dalla tradizione e si confrontano con grandi studiosi cattolici che hanno pensato diversamente al riguardo e hanno giustificato la dottrina tradizionale della guerra giusta e della pena di morte con criteri basati sulla giustizia in modo razionale vincolato dalla teologia della rivelazione.   Le loro argomentazioni dovrebbero essere affrontate e se ne dovrebbero fornire di migliori. Ma aspettiamo invano. Allora come può essere giustificata l’autodifesa dell’Ucraina se gli atti di guerra o le guerre non possono essere giustificate in nessun caso – nemmeno nell’autodifesa (cfr. la tradizionale dottrina della guerra giusta)? A questo scopo devono esistere criteri oggettivi e razionali. L’insegnamento tradizionale della Chiesa ce li ha forniti. Oggi riscriviamo semplicemente il catechismo.   Non sono un sostenitore della pena di morte, e l’esperienza di come e da chi è stata ed è praticata in tutto il mondo nel passato e nel presente dà motivo di metterla in discussione e rifiutarla in questa forma. Ma chi la mette al bando in ogni caso come ultima ratio, mette in discussione la Parola di Dio e, su questa base, la tradizione pedagogica della Chiesa. Presumono di saperne di più oggi. I dubbi sono appropriati.   Si ricorda (CCC [ Il Catechismo della Chiesa Cattolica ] 1997/2003):   2267 [sulla pena di morte] L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani.   Se, invece, i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall’aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana.   Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l’ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo «sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti»( Evangelium Vitae 56).   2309 [sulla guerra giusta]: Si devono considerare con rigore le strette condizioni che giustificano una legittima difesa con la forza militare. Tale decisione, per la sua gravità, è sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale. Occorre contemporaneamente:   — che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo;   — che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci;   — che ci siano fondate condizioni di successo;   — che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione.   Marian Eleganti Vescovo

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