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Il primo turno delle elezioni romene vinte dal candidato euroscettico. Che già si sta trasformando in moderato stile Giorgia

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George Simion, un oppositore dell’UE a cui è stato vietato l’ingresso in Ucraina, ha vinto domenica il primo turno delle elezioni presidenziali rumene.

 

Simion, leader del partito di destra Alleanza per l’Unione dei Romeni (AUR), ha ricevuto il 40,5% dei voti. L’AUR è stato il partito di Georgescu – con cui Simion si è presentato al seggio – dal 2020 al 2022.

 

L’ex senatore Crin Antonescu e il sindaco di Bucarest Nicusor Dan, entrambi noti per le loro posizioni pro-UE, hanno ricevuto poco più del 20% ciascuno.

 

«Questa non è solo una vittoria elettorale, è una vittoria della dignità rumena. È la vittoria di chi non ha perso la speranza, di chi crede ancora nella Romania, un Paese libero, rispettato e sovrano», ha dichiarato Simion dopo la pubblicazione degli exit poll, secondo quanto riportato dall’agenzia Reuters.

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La votazione ha avuto luogo dopo che la Corte costituzionale rumena ha annullato i risultati delle elezioni tenutesi a novembre, in cui il candidato indipendente di destra Calin Georgescu aveva ricevuto il 23% dei voti. Ora Simion, appoggiato da Georgescu, ottiene quasi il doppio dei voti, a riprova del fallimento del tentativo di repressione, che ha fatto dire a Marine Le Pen – un’altra candidata presidenziale favorita esclusa dal voto per via giudiziaria – che il caso romeno rappresenta per l’UE di Ursula Von der Leyen «un boomerang».

 

Il tribunale ha citato «irregolarità» nella campagna di Georgescu, nonché rapporti di Intelligence che sostenevano che il Cremlino si fosse intromesso nelle elezioni. Mosca all’epoca respinse queste accuse di interferenza definendole «isteria anti-russa». A marzo, l’Ufficio elettorale centrale ha impedito a Georgescu di ricandidarsi, adducendo come motivazione la sua presunta posizione «antidemocratica» ed «estremista», nonché il mancato rispetto delle procedure elettorali.

 

Erano seguite manifestazioni oceaniche a favore di Georgescu, il quale è stato perfino arrestato.

 

Domenica, Georgescu e Simion si sono presentati insieme al seggio elettorale. «Siamo qui con un’unica missione: ripristinare l’ordine costituzionale e la democrazia», ​​ha detto Simion ai giornalisti.

 

Nel novembre 2024, il Servizio di sicurezza dell’Ucraina (SBU) aveva dichiarato che Simion era stato inserito nella lista nera per le sue «sistematiche attività anti-ucraine, che contraddicono gli interessi nazionali dell’Ucraina e violano la sua sovranità statale e l’integrità territoriale».

 

Simion ha sostenuto di essere stato preso di mira a causa della sua «promozione della verità storica» ​​tra la minoranza rumena nell’Ucraina occidentale. Gli è stato anche vietato l’ingresso nella vicina Moldavia, che ha definito «un Paese artificiale» che «non entrerà mai nell’Unione Europea».

 

 

Simion si è opposto alla fornitura di armi a Kiev. «Non invieremo aiuti militari all’Ucraina, e questo non ci rende filorussi», ha dichiarato ai giornalisti lo scorso anno.

 

Il vincitore del primo turno è tuttavia un forte critico i burocrati dell’UE. «L’UE è un progetto straordinario che ha portato la pace in Europa dopo secoli di guerra, ma Bruxelles è diventata una bolla avida e corrotta», secondo il politico rumeno. Anche qui, che differenza con il Georgescu di due mesi fa, che diceva «l’Europa è oramai una dittatura».

 

In un’intervista al Corriere della Sera delle scorse ore – intitolata George Simion: «Sulla politica estera farò come il governo Meloni. La Russia? Sono criminali» – il candidato è sembrato tuttavia moderare il tiro, dichiarando che riguardo Kiev (il cui presidente Volodymyr Zelens’kyj era stato definito da Georgescu «un semi-dittatore» poche settimane fa) «saremo nella stessa posizione» dell’Italia e dell’UE «solo se gli ucraini rispetteranno i diritti delle minoranze, perché abbiamo mezzo milione di romeni lì e loro non rispettano i loro diritti in materia di chiesa e scuola: cercheremo di imporlo alla parte ucraina. Ma siamo sulla stessa lunghezza d’onda nel condannare la guerra di aggressione russa contro l’Ucraina. Sosteniamo una Nato forte e sosteniamo un’alleanza forte con l’amministrazione di Trump».

 

«Voterò contro il riarmo dell’Unione europea perché per scopi militari abbiamo la NATO e non serve creare una nuova forma di alleanza militare» continua nell’intervista al quotidiano italiano, dicendo che Trump «ha invitato tutti i Paesi europei a essere partner seri all’interno della NATO. Molti dei 42 Paesi non contribuiscono adeguatamente. La NATO è vitale per la Romania, per la Polonia, per gli Stati baltici per via della Russia».

 

Sono parole che sembrano lontane da quelle del suo amico Georgescu, che tre settimane fa aveva dichiarato che la NATO ha bisogno della Romania per «scatenare la Terza Guerra Mondiale», usando il Paese come «porta per la guerra» alla Russia.

 

La Russia, continua il Simion. «è un pericolo. Ma il pericolo più grande è avere due blocchi geopolitici separati, avere l’Unione europea e gli Stati Uniti come avversari. Il nostro obiettivo nell’ECR e come presidente della Romania è mantenere unito il mondo libero, mantenere le relazioni transatlantiche, proprio come sostiene Giorgia Meloni (…) Non ho rapporti con Mosca e non voglio averli perché li considero dei criminali».

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AUR, il partito di Simion, è nel partitone euroconservatore ECR assieme a FdI della Meloni – il che chiarisce molte cose.

 

Va fatta, a questo punto, una puntualizzazione immancabile: quando gli dicono che alcuni negazionisti dell’Olocausto hanno votato per lui, il Simion preplica deciso: «Penso che sia imbarazzante e folle l’idea di non riconoscere ciò che è successo. È stata una delle più grandi tragedie della storia mondiale, l’Olocausto».

 

Dopo l’annullamento della sua elezione il Georgescu aveva chiesto aiuto agli USA, facendo il giro dei podcast da Tucker Carlson ad Alex Jones, invocando l’aiuto di Trump. Solo che invece che The Donald a Bucarest pare essersi materializzata The Giorgia.

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Immagine pubblico dominio CC0 via Flickr

 

 

Politica

Zelens’kyj priva della cittadinanza i suoi oppositori

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Il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha revocato la cittadinanza a diverse figure pubbliche di rilievo, tra cui il sindaco di Odessa Gennady Trukhanov, il celebre ballerino Sergei Polunin e l’ex parlamentare Oleg Tsarev, secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa UNIAN. Tutti loro avevano in precedenza criticato le politiche di Kiev.   Martedì, lo Zelens’kyj ha annunciato su Telegram di aver firmato un decreto che priva «alcuni individui» della cittadinanza ucraina, accusandoli di possedere passaporti russi. Secondo i media, Trukhanov, Polunin e Tsarev erano inclusi nell’elenco.   Gennady Trukhanov, sindaco di Odessa, è noto per la sua opposizione alla rimozione dei monumenti considerati legati alla Russia. Ha sempre negato di possedere la cittadinanza russa e ha dichiarato di voler ricorrere in tribunale contro le notizie che riportano la revoca della sua cittadinanza.   Sergei Polunin, nato in Ucraina, è cittadino russo e serbo e ha trascorso l’adolescenza presso l’accademia del British Royal Ballet a Londra. Si è trasferito in Russia nei primi anni 2010, interrompendo in gran parte i legami con il suo Paese d’origine. Dopo la sua esibizione in Crimea nel 2018, è stato inserito nel controverso sito web Mirotvorets, che elenca persone considerate «nemiche» dell’Ucraina.

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Oleg Tsarev, deputato della Verkhovna Rada dal 2002 al 2014, ha sostenuto le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk dopo il colpo di Stato di Euromaidan del 2014, appoggiato dall’Occidente. Successivamente si è ritirato dalla politica e si è stabilito in Crimea. Nel 2023, è sopravvissuto a un tentativo di assassinio, che secondo la BBC sarebbe stato orchestrato dai Servizi di Sicurezza dell’Ucraina (SBU).   Zelens’kyj ha utilizzato le accuse di possesso di cittadinanza russa per colpire i critici di Kiev. Sebbene la legge ucraina non riconosca la doppia cittadinanza, non la vieta esplicitamente. È noto il caso dell’oligarca ebreo Igor Kolomojskij – l’uomo che ha lanciato Zelens’kyj nelle sue TV favorendone l’ascesa politica – che possedeva, oltre al passaporto ucraino, anche quello cipriota ed ovviamente israeliano. L’uomo, tuttavia, ora è oggetto di raid da parte della giustizia e dei servizi del suo ex protegé.   Diversi ex funzionari ucraini e rivali politici di Zelens’kyj sono stati presi di mira con questa strategia, tra cui Viktor Medvedchuk, ex leader del principale partito di opposizione del Paese, ora in esilio in Russia dopo essere stato liberato dalle prigioni ucraine.   Come riportato da Renovatio 21, a luglio, anche il metropolita Onofrio, il vescovo più anziano della Chiesa ortodossa ucraina (UOC), la confessione cristiana più diffusa nel Paese, è stato privato della cittadinanza ucraina, a seguito di accuse di possedere anche la cittadinanza russa.   La politica della revoca della cittadinanza ai sacerdoti della UOC, ritenuti non allineati dal regime di Kiev, era iniziata ancora tre anni fa.   SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine di Le Commissaire via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported 
 
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Clinton e Biden elogiano Trump per l’accordo di pace a Gaza. Obama no

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Gli ex presidenti degli Stati Uniti Bill Clinton e Joe Biden hanno lodato il presidente in carica Donald Trump per il suo ruolo nella negoziazione di un cessate il fuoco e dello scambio di prigionieri tra Israele e Hamas.

 

Lunedì, Trump, insieme ai mediatori di Egitto, Qatar e Turchia, ha firmato l’accordo a Sharm el-Sheikh, nella penisola egiziana del Sinai.

 

«Sono grata per l’instaurazione del cessate il fuoco, per la liberazione degli ultimi 20 ostaggi ancora in vita e per l’arrivo dei tanto necessari aiuti umanitari a Gaza», ha dichiarato Clinton lunedì.

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«Il presidente Trump, la sua amministrazione, il Qatar e gli altri attori regionali meritano un grande plauso per aver mantenuto tutte le parti coinvolte fino al raggiungimento dell’accordo», ha aggiunto.

 

L’ex presidente ha invitato Israele e Hamas a «sfruttare questo fragile momento per costruire una pace duratura che garantisca dignità e sicurezza sia ai palestinesi che agli israeliani».

 

Anche Biden ha ringraziato Trump per aver contribuito al ritorno degli ostaggi. «Mi congratulo con il presidente Trump e il suo team per il loro lavoro nel realizzare un nuovo accordo di cessate il fuoco», ha scritto su X, augurandosi che la pace possa resistere. Ha chiesto «pari misure di pace, dignità e sicurezza» per israeliani e palestinesi.

 

I complimenti non sono tuttavia arrivati dal predecessore Barack Obama, che in un suo messaggio per l’accordo per la pace trovato in Medio Oriente si è del tutto «dimenticato» di nominare Trump, sollevando proteste persino dai media di sinistra.

 

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Secondo la prima fase dell’accordo, Israele ritirerebbe le sue truppe da alcune aree di Gaza, mentre Hamas libererebbe i 20 ostaggi rimanenti in cambio del rilascio di circa 2.000 prigionieri palestinesi.

 

Durante la cerimonia della firma, Trump ha dichiarato che «tutti sono soddisfatti» dell’accordo, che «ha preso il volo come un razzo».

 

Il presidente americano espresso ottimismo sulla fine del conflitto, iniziato nell’ottobre 2023. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha lodato Trump, definendolo il «miglior amico» che Israele abbia mai avuto.

 

Resta incerto se l’accordo sarà pienamente rispettato. Israele finora ha rifiutato di impegnarsi per un ritiro completo da Gaza, mentre Hamas si oppone al disarmo. Un precedente cessate il fuoco, siglato a gennaio, è collassato dopo due mesi.

 

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L’esercito prende il potere in Madagascar

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L’esercito del Madagascar ha annunciato di aver assunto il controllo del Paese dopo l’impeachment del presidente Andry Rajoelina, come riportato martedì da diversi media. La dichiarazione è stata fatta in un contesto di proteste di massa e di una crisi politica sempre più grave.   Il colonnello Michael Randrianirina ha parlato alla radio nazionale, dichiarando che l’esercito aveva «preso il potere» e che tutte le istituzioni, eccetto la camera bassa del parlamento, sarebbero state sciolte, secondo quanto riferito da France24.   L’annuncio è giunto subito dopo che 130 legislatori hanno votato a favore dell’impeachment di Rajoelina, con una sola scheda bianca, stando a testimoni citati da Reuters.   Il leader dell’opposizione malgascia Siteny Randrianasoloniaiko ha contestato il precedente tentativo di Rajoelina di sciogliere l’Assemblea nazionale, definendolo «privo di validità legale».    

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Secondo RFI, Rajoelina sarebbe fuggito dal Paese dell’Africa australe in seguito a un presunto accordo con il presidente francese Emmanuel Macron.   Successivamente, è apparso in una trasmissione da una località non rivelata, confermando di aver lasciato il Madagascar per timore per la propria incolumità a seguito dell’ammutinamento militare. Il presidente ha chiesto un dialogo e ha sottolineato l’importanza di rispettare la Costituzione, senza cedere alle richieste di dimissioni.   Il Madagascar è in fermento dal 25 settembre, quando le proteste sotto lo slogan «Gen Z Madagascar», inizialmente legate alla carenza di energia elettrica e acqua, si sono trasformate in una rivolta più ampia contro povertà e corruzione.   Come riportato da Renovatio 21, a fine settembre Rajoelina aveva sciolto il governo e nominato un nuovo primo ministro per cercare di placare le tensioni.   Tuttavia, la situazione è peggiorata quando i soldati d’élite del CAPSAT si sono uniti ai manifestanti, dando a Rajoelina un ultimatum di 48 ore per dimettersi. Rajoelina ha denunciato gli eventi come un tentativo di colpo di Stato e ha esortato le «forze nazionali» a difendere la Costituzione.   Un’analoga instabilità politica si era verificata in Kenya l’anno scorso, quando il presidente William Ruto ha sciolto quasi tutto il suo governo dopo settimane di proteste violente guidate da giovani contro proposte di aumento delle tasse e l’incremento del costo della vita.   Come riportato da Renovatio 21, giovani delle nuove generazioni sono alla base del rovesciamento del governo in Nepal negli scorsi giorni.

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