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Sport e Marzialistica

Il Ju-jitsu in Italia negli ultimi 35 anni: intervista ad un testimone dell’evoluzione della scena delle arti marziali

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Matteo Biscottini ha quarantanove anni, due figlie, ed un lavoro presso una multinazionale americana. Soprattutto, Matteo è un lottatore che ha seguito l’evolversi del Ju-jitsu e delle arti marziali quasi 35 anni. La sua conoscenza della storia del Ju-jitsu in Italia – una storia che al momento non ha ancora scritto nessuno – è quindi piuttosto approfondita, soprattutto per quanto riguarda le sensazioni, il clima del mondo della lotta che si viveva negli Novanta e Duemila. Un mondo che è cresciuto e cambiato. Renovatio 21 lo ha intervistato per avere uno scorcio della scena di questi ultimi decenni.

 

Hai fatto Ju-jitsu tradizionale o Brazilian Ju-Jitsu?

Ho iniziato a 15 anni con il Ju-Jitsu tradizionale che ho praticato a lungo. Dopo una pausa di un anno – una delusione amorosa – sono tornato alla disciplina scoprendo però che c’era dell’altro, così da avvicinarmi al Brazilian Ju-jitsu. Erano gli anni Novanta, il tempo dei primi UFC… Ecco che quindi mi sono avvicinato a quella che io chiamo semplicemente «lotta». La differenza tra un’arte e l’altra è fondamentalmente il regolamento a cui ti sottoponi per combattere a livello sportivo. Il corpo umano è uno: il braccio, se porti la mano al viso, si piega, al contrario va contro l’articolazione. Una leva è una leva: indipendentemente dal nome con cui la chiami. Può dire arm-bar, oppure ude-ishigi-jugi-gatame, sempre quello è.

 

Che cintura hai conseguito?

Non do molto valore alle cinture, sono pezzi di stoffa lunghi. Quello che è davvero conta è la persona che avvolgono. Ho un secondo Dan di Ju-jitsu tradizionale e sono una delle prime cinture nere di Brazilian Ju-jitsu in Italia. Nel 1999 ho preso il primo diploma dato in Italia per il corso istruttori tenuto dai fratelli Vacirca, una famiglia di brasiliani di stanza a Zurigo. Ho ricevuto il titolo di «Basic Instructor», all’epoca era per noi una cosa da non credere. 

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Che altri maestri hai avuto?

Il maestro Fabio Tumazzo, ad oggi ancora una leggenda, uno dei maestri più preparati in Italia. Ai tempi non c’era nemmeno una vera specialità: andavamo e lottavamo, potevi chiamarlo grappling, o quello che ora si chiama «Ju-jitsu no gi». Tumazzo è maestro di Judo e di Sambo, un personaggio che ha una conoscenza talmente profonda che travalica quella che è un’arte marziale presa singolarmente. Frequentavo almeno tre volte alla settimana le sue lezioni alla vecchia Polisportiva Affori, a Milano.

 

E tu hai fatto il maestro?

Sì, ho insegnato per una decina di anni, assieme ad altre due persone. Abbiamo portato avanti un dojo al CUS [Centro Universitario Sportivo, ndr] di Como assieme a Luca Foggetta e a Roberto Sanavio, due amici fraterni colleghi insegnanti di arti marziali. Poi la palestra è chiusa per vicissitudini personali: io ad esempio mi sono trasferito per lavoro nel Regno Unito. Una cosa va detta: non abbiamo mai chiesto un soldo per insegnare. Le persone pagavano l’assicurazione e l’iscrizione alla palestra del CUS, ma il nostro corso era gratuito. 

 

Che soddisfazioni ti ha dato gestire il dojo?

L’esperienza al CUS ci ha permesso di trasmettere la conoscenza, che è una delle cose più importanti nelle arti marziali: senza tradizione, non avremmo nessuna eredità, non avremmo Ju-jitsu, non avremmo Karate, Judo, Aikido… Non avremo niente. Abbiamo avuto il privilegio di poter decidere a chi insegnare e a chi non insegnare – le teste di c… le tenevamo lontane dalla palestra.

 

Racconta.

Ad esempio c’era un ragazzo che chiedeva di finire prima l’allenamento. Quando gli abbiamo chiesto perché ci ha risposto che aveva l’obbligo di firma: tornava in carcere. Con lui nessuna questione. Non abbiamo nessun problema di razza, religione, dimensioni, gusti sessuali: sul tatami si è tutti uguali… Non ci importava nulla. Bastava che si allenassero e si comportassero bene e come gli altri in allenamento. Non tutti però sono sempre stati così, Quelli che non si allineavano o che si comportavano in maniera inappropriata, sono stati messi alla porta. È capitato di avere allievi palesemente interessati alla violenza extra palestra, è in questi frangenti che preferisci non insegnare ed allontanare la persona

Matteo Biscottini in allenamento no gi

Avete avuto qualche risultato agonistico?

Sì, c’è stata qualche vittoria a livello italiano ed Europeo, ma il nostro non è mai stato un corso finalizzato solo all’agonismo… Negli ultimi anni, il proliferare di numerose federazioni minori ha portato alla divisione degli atleti in molte sotto-categorie, regalando medaglie anche a chi non le avrebbe meritate. È un po’ come mia figlia, che al termine di un incontro di Judo a 7 anni, prendeva la medaglia come quelli che non avevano vinto.

 

Quando ha iniziato a praticare Ju-jitsu?

Come ho detto, ho iniziato a 15 anni. Facevo sia Ju-jitsu, ma parallelamente mi sono allenato nel Judo. Ho fatto anche lotta greco-romana, pugilato, Thai Boxe, Kick Boxing… ne ho fatte tante e ne ho prese tante! Il Ju-jitsu mi aveva attirato perché mi ero documentato, avevo studiato – avendo sempre avuto passione per il Giappone – e avevo saputo che si trattava dell’arte di combattimento praticata dal Samurai quando non ha la spada a disposizione.

 

Che tipo di Ju-jitsu c’era all’epoca in Italia?

A quei tempi c’era il Ju-jitsu che chiamo «reale». Fino agli anni Novanta il Ju-jitsu le arti marziali erano irreali. Tori praticava l’attacco, Uke glielo lasciava fare. Erano d’accordo. Questo era irreale: ha reso persone sicure di sé quando non possono esserlo, mettendo a rischio la loro incolumità facendo loro credere di poter rispondere ad un’aggressione.

 

E poi?

Poi si è cominciato a rispondere alla domanda delle domande: qual è l’arte marziale più forte? La risposta cominciava ad arrivare dalle gabbie dell’UFC: un’arte marziale contro l’altra. Lì si è vista nascere l’evoluzione del Judo e del Ju-jitsu fatta dalla famiglia Gracie.

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Dove hai praticato?

A Milano, innanzitutto. Mi sono allenato tantissimo negli USA, dove per sette otto anni sono andato a praticare grappling e Brazilian Ju-jitsu per l’estate. Andavo in vacanza con la fidanzata dell’epoca, divenuta poi mia moglie, prendendo l’albergo di fianco alle palestre che mi interessavano. Sono stato alla Legends MMA di Los Angeles, dove ai tempi allenava Eddie Bravo, che è un personaggione. Mi porto ancora a spasso una tecnica che mi ha insegnato. Sono stato alla palestra Gracie di Miami. A New York sono stato ad allenarmi di recente alla Renzo Gracie Ju-jitsu a Wall Street. 

 

Cosa ricordi dell’ambiente agli inizi?

Il primo Ju-jitsu era l’«UFC di casa nostra». Alla Polisportiva Affori arrivavano combattenti di tutte le discipline. C’era confronto, c’era curiosità, c’era apertura mentale nei confronti di tutte le tecniche che si potevano assimilare. Chiunque arrivasse ed avesse voglia di confrontarsi, era benvenuto. Dal ragazzo americano che faceva lotta libera, al ragazzo senegalese esperto di Laamb, ho combattuto contro chiunque. Era un ambiente pulito, dove ci si gonfiava di mazzate, ma si andava via sorridendo. Purtroppo questa situazione si è persa. Adesso ci sono palestre attrezzate ed insegnare è diventato un lavoro, la professionalità ha un po’ fatto perdere il romanticismo dei film di Van Damme che da ragazzini guardavamo con occhi sognanti.

 

Hai mai utilizzato le tecniche di Ju-jitsu fuori dal dojo?

Mi sono mantenuto l’università facendo il buttafuori e la guardia del corpo. È bene non usare le tecniche che si apprendono in palestra fuori dalla palestra. Tuttavia, se apprese in maniera corretta, possono tornare utili.

 

E recentemente?

Per soccorrere una donna e tre bambini che gridava aiuto sono stato aggredito da un signore nordafricano apparentemente ebbro che per fortuna ad un certo punto ha preferito me come obiettivo invece che la signora. Ho proiettato e controllato, immobilizzato: mai percosso. Poi sono arrivati i carabinieri, che avevo chiamato in precedenza. È importante che ognuno di noi intervenga in aiuto dei più deboli, quando necessario, e che non chiuda gli occhi davanti ad un sopruso.

 

Che consigli dai a chi può trovarsi in una situazione simile?

Ti rispondo in latino: «Aequam memento rebus in arduis servare mentem». Significa: mantenere sempre la mente lucida anche nelle situazioni più difficili. E poi consiglio una lettura: Onset Mindset: mentalità aggressiva in una società difensiva, di Alberto Gallazzi, probabilmente il più grande esperto italiano in sicurezza e close protection. È un bel libro che potrebbe essere utile a tante persone.

 

Sei stato ad allenarti in Giappone?

Sì, mi sono allenato al Takada Dojo, a Tokyo.

 

E quindi hai incontrato Kazushi Sakuraba, il cosiddetto «Gracie Killer»?

No, lui in quel periodo non c’era. Però ho lottato con Gengo Tanaka, uno dei suoi sparring partner. Una bella lotta interessante. Abbiamo finito 1-1. A quei tempi ero forte. No gi. [significa combattimento senza l’abito tradizionale giapponese, ndr]

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Sei tra quelli che ritengono il Judo una disciplina da seguire, e da temere, anche per chi fa Ju-jitsu?

Il Judo va sempre bene. Se hai un giorno libero dagli allenamenti in settimana, vai a fare Judo. Se hai un bambino, mandalo a fare Judo. Puoi essere un fighter di MMA, di Ju-jitsu, ma se ti fai un po’ di Judo va sempre bene.

 

In Giappone hai visto cosa succede anche al Kodokan, il quartier generale mondiale del Judo dove insegnava il fondatore Jigoro Kano…

Il Kodokan è un altro mondo. Si respira tradizione. Sinceramente, per il mio livello di Judo, non ho avuto il coraggio di allenarmi: ero in Giappone per lavoro e non potevo rischiare. Avevo trovato un signore fuori che mi ha invitato a vedere una gara. È stato impressionante. Erano tutti ragazzi giovani che combattevano puliti, avevano un Judo bello, non quello agonistico fatto soprattutto di grande forza. 

 

Chi ammiri nel panorama del Ju-jitsu oggi?

Nel panorama di Ju-jitsu in realtà nessuno. Nel panorama della lotta ho due riferimenti: il primo è sempre Kazushi Sakuraba, che con la sua fantasia rende ogni incontro divertente, oltre che marzialisticamente efficace. Il secondo è Josh Barnett, detto «Warmaster», grande atleta di catch wrestling, discendente della scuola del «catch as catch can» (prendi come riesci a prendere») di Karl Gotch. Il 22 di giugno a Tokyo ci sarà un meraviglioso evento chiamato Bloodsport Bushido dove combatteranno sia Barnett che Sakuraba.

 

Dove ti alleni ora?

Adesso mi alleno alla Grappling Varese dai fratelli Fabrizio e Tommaso Foresio, due fortissimi agonisti del team Stance di Milano. Qui un gruppo agonistico di giovani permette ad un vecchietto come me di sorridere ancora facendolo lottare e facendolo gioire nel vedere l’evoluzione dell’arte marziale.

 

Come sono i giovani che oggi trovi nei dojo di Ju-jitsu?

Ce ne sono di due tipi: quelli che sanno soffrire e quelli che non sanno soffrire. I primi faranno strada, i secondi devono imparare a soffrire per fare strada e migliorarsi. Trovo comunque che sia una generazione più preparata fisicamente. Si tratta di un Ju-jitsu che si è evoluto e richiede una fisicità maggiore di quello di una volta.

 

Che consiglio daresti loro dopo 35 anni di pratica?

Se dovessi dare un consiglio direi: restate sempre cinture bianche, non abbiate paura di imparare anche dall’ultimo arrivato in palestra!

 

Quanto è cambiata la scena da vent’anni a questa parte?

La scena è varia. Il Ju-jitsu permette a tutti di praticare, perché può essere praticato anche in maniera non esageratamente violenta. Anche chi è un po’ più timoroso riesce ad affacciarsi in palestra. Questo lo ho visto negli ultimi anni. È comunque lo sport con maggiore crescita negli ultimi due decenni.

 

Quali sono i motivi dell’esplosione di interesse nei confronti del Ju-jitsu?

Sicuramente la moda fa la sua parte. Tuttavia credo che la base di questo successo sia la possibilità di confrontarsi in un mondo dove il confronto è messo al bando. 

 

Parliamo di cosa ti ha spinto verso le arti marziali. Sulla custodia del tuo telefono è stampata l’immagine de L’Uomo Tigre

Non c’è solo lui. Sono stato spinto a fare arti marziali da Naoto Date, certo, ma c’era anche Kenshiro, di cui sto ancora studiando la tecnica degli tsubo, ma non sono ancora riuscito a far esplodere nessuno… 

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Immagine di Earl Walker via Flickr pubblicata su licenza CC BY-ND 2.0.

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Sport e Marzialistica

La federazione olimpica di Judo consente agli atleti russi di competere sotto la propria bandiera

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La Federazione Internazionale di Judo (IJF) ha riammesso gli atleti russi a competere nei tornei internazionali sotto la propria bandiera nazionale, con inno e simboli, diventando così la prima federazione olimpica a revocare completamente le restrizioni imposte dopo l’inizio del conflitto in Ucraina nel 2022.   Atleti russi e bielorussi erano stati esclusi dalla quasi totalità delle manifestazioni sportive mondiali in seguito alle sanzioni adottate da decine di federazioni olimpiche, che avevano colpito centinaia di concorrenti. In un secondo momento, diverse discipline avevano riaperto la porta in forma molto limitata, consentendo la partecipazione solo a singoli atleti rigorosamente neutrali e senza riferimenti nazionali.   In un comunicato diffuso giovedì, l’IJF ha reso noto che il proprio Comitato Esecutivo ha deliberato il ritorno pieno della Russia a partire dal Grande Slam di Abu Dhabi 2025, con la possibilità di sfilare «sotto bandiera, inno e insegne nazionali». La decisione, si legge, «riconferma il carattere autenticamente globale della federazione» e «rafforza l’impegno verso una gestione equa, trasparente e fondata sui valori».   «Storicamente la Russia è una delle potenze mondiali del Judo e il suo ritorno completo arricchirà la competizione a ogni livello, nel pieno rispetto dei principi di fair play, inclusività e reciproco riguardo che animano l’IJF», ha aggiunto l’organismo.

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L’IJF ha poi ribadito che «lo sport deve restare neutrale, indipendente e svincolato da ogni condizionamento politico», sottolineando come il Judo promuova «amicizia, rispetto, solidarietà e pace».   Con questo passo l’IJF è la prima federazione olimpica a ripristinare integralmente bandiera e inno per gli atleti russi.   Le sanzioni sullo sport russo permangono in molti altri ambiti, seppur attenuate: nelle discipline estive la maggior parte delle federazioni accetta ora atleti neutrali ai campionati mondiali, mentre quasi tutti i principali organismi degli sport invernali mantengono il divieto assoluto. Di conseguenza, solo pochissimi russi si sono finora qualificati per le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026.   Le autorità sportive russe hanno più volte denunciato la «politicizzazione dello sport» da parte dei paesi occidentali e le pressioni esercitate sulle federazioni per escludere i propri atleti, ricordando che nel solo biennio 2022-2023 il Paese ha perso 186 eventi internazionali, tra cui 36 manifestazioni di primo piano.   La presidente del CIO, Kirsty Coventry, ha di recente invitato governi e organizzatori a garantire «pari accesso a tutti gli atleti qualificati» e a preservare lo sport come spazio neutrale, definendolo «un faro di speranza» e «un terreno comune privo di discriminazioni».   Come noto, il presidente russo Putin pratica il Judo sin da quando era piccolo. Ha ottenuto nella disciplina l’8° dan, uno dei gradi più alti, difficilmente assegnato nel mondo.   La passione del presidente della Federazione Russa per l’arte marziale sviluppata da Jigoro Kano è stata spessissimo messa in mostra, mentre non vi è ancora un ragionamento completo su come il Judo abbia influenzato la sua mentalità tattico-strategica nei conflitti – a scrivervi qualcosa si impegna Renovatio 21 per i prossimi mesi.    

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È altresì noto che l’olimpionico Ezio Gamba (medaglia d’oro alle Olimpiadi di Mosca 1980) ha allenato in varie occasioni Putin, di cui si narra si stato anche allenatore a livello personale.   Il maestro Gamba ha ricoperto il ruolo di coordinatore tecnico della nazionale, e con un certo successo: sotto la guida dell’Italiano, nel 2012 i judoka russi alle Olimpiadi di Londra hanno vinto incredibilmente tre ori, un fatto ricordato spesso con orgoglio da Putin, che assistette alle finali di persona nella capitale britannica, scortato dall’allora premier David Cameron: immagini di un mondo di pace ora distrutte dall’inutile strage ucraina.   Il Gamba, che aveva ricevuto cittadinanza russa una diecina di anni fa, è tornato in Italia dopo aver lottato con una malattia, e si è candidato per la presidenza della FIJLKAM, l’ente CONI per il Judo, la lotta, il Karate e le arti marziali in generale, non venendo tuttavia eletto.  

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 
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Sport e Marzialistica

93enne vince titolo di sollevamento pesi

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Un 93enne soprannominato «Nonno di Ferro», nativo di Uljanovsk (la città natale di Vladimiro Lenin), ha conquistato all’inizio di novembre uno dei più importanti tornei russi di sollevamento pesi.

 

Nikolaj Isakov si è aggiudicato il primo posto nella categoria over 90 alla 29ª Coppa Russa Open di sollevamento pesi, ha reso noto martedì l’amministrazione del governatore della regione. L’Isakov ha eseguito 26 kg nello strappo e 31 kg nello slancio, per un totale di 57 kg, precedendo il 94enne Vasilij Zubov. Alla gara hanno partecipato circa 140 atleti tra i 30 e i 94 anni, in rappresentanza di Russia e Bielorussia.

 

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L’Isakov pratica sport da oltre settant’anni: ha iniziato con la ginnastica, poi è passato all’acrobatica e dal 1957 si è dedicato esclusivamente al sollevamento pesi, diventando uno dei sollevatori senior più titolati del Paese.

 

A Uljanovsk, città che porta il nome di Lenin (nato Uljanov), residenti e tecnici lo indicano da decenni come esempio di disciplina e longevità sportiva. Continua ad allenarsi con regolarità e dichiara di voler sollevare pesi finché la salute glielo consentirà.

 

Il «Nonno di Ferro» vanta più di 30 titoli russi, europei e mondiali nella categoria veterani e oltre 40 medaglie in competizioni nazionali e internazionali. Nel 2019 si è laureato campione europeo ai Masters in Finlandia.

 

Negli ultimi anni la Russia ha fortemente potenziato i programmi sportivi per veterani, promuovendo la partecipazione degli anziani attraverso gare dedicate. La federazione di sollevamento pesi ha istituito divisioni di età fino ai 90 anni e oltre, mentre i ministeri regionali dello sport finanziano iniziative di allenamento per over 60 nell’ambito di una più ampia strategia nazionale per l’invecchiamento attivo.

 

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Immagine screenshot da Twitter

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Geopolitica

L’Ucraina aggiunge la stella russa del pattinaggio artistico alla kill list

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La stella russa del pattinaggio artistico Petr Gumennik è stata inserita nella «kill list» del sito ucraino Mirotvorets, sostenuto dallo Stato, che pubblica i dati personali di individui etichettati come «nemici» dell’Ucraina. Lo riporta la stampa russa.   Secondo un articolo del 9 novembre, Gumennik è accusato di «propaganda di guerra» e di «attacchi alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina», ed è considerato «complice» dei presunti «crimini» russi contro il Paese.   L’articolo mostrava foto di Gumennik accanto ad altre personalità pubbliche russe già presenti su Mirotvorets e citava suo padre, Oleg Gumennik, sacerdote della Chiesa ortodossa russa (ROC). Sotto il regime di Kiev, la chiesa ucraina affiliata alla ROC ha subito perquisizioni, arresti e divieti per presunti legami con il Cremlino.

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Gumennik non ha commentato la sua inclusione nella lista. A settembre ha conquistato la qualificazione per le Olimpiadi invernali di Milano 2026 e gareggerà come atleta neutrale a causa delle sanzioni imposte dall’Ucraina alla Russia.   Vladislav Dikidzhi, campione russo in carica del singolare maschile e possibile sostituto di Gumennik a Milano, è stato aggiunto al sito lo stesso giorno con accuse analoghe.   Commentando le inserzioni, la leggendaria allenatrice russa Tatyana Tarasova ha affermato che gli atleti sono probabilmente presi di mira per le loro prospettive olimpiche e ha condannato la pubblicazione dei loro dati personali come «una violazione di tutti i diritti umani».   «Non capisco perché il mondo intero, persino il Comitato Olimpico Internazionale, dia ascolto agli ucraini», ha detto. «Sport e politica sono due cose diverse».   Mirotvorets è stata definita una «lista delle uccisioni» dopo che diverse persone incluse sono state successivamente assassinate o sono morte in circostanze sospette. Ogni scheda include il campo «data di eliminazione» della persona presa di mira, subito sotto la data di nascita.   Il sito ha recentemente aggiunto numerose personalità russe e straniere accusate di legami con il governo russo o di diffondere opinioni filo-russe. All’inizio dell’anno sono stati inseriti il regista Woody Allen, l’attore hollywoodiano Mark Eydelshteyn e persino un gruppo di bambini russi, il più piccolo dei quali aveva solo tre anni.   Nel corso degli anni, sono stati inseriti nella lista nera politici e personaggi pubblici occidentali di alto profilo, tra cui il presidente croato Zoran Milanovic, il primo ministro ungherese Viktor Orban (che intercettazioni emerse sulla stampa americana mostrano essere un obiettivo del regime Zelens’kyj), il segretario di Stato statunitense in pensione Henry Kissinger e il Pink Floyd Roger Waters, nonché Al Bano e Toto Cotugno, nonché, per un breve periodo, Elon Musk.   Definite come liste di «traditori che devono rispondere dei loro crimini», tali liste online dei nemici dell’Ucraina, che comprende anche Al Bano, Toto Cutugno, Henry Kissinger, e anche il defunto Silvio Berlusconi. Poiché nel corso degli anni sono stati assassinati numerosi giornalisti di spicco e altri personaggi pubblici descritti sul sito appunto come «nemici dell’Ucraina», qualcuno ritiene si tratti di una vera «kill list» del regime di Kiev.

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Come riportato da Renovatio 21, quando fu trovato Oleksij Kovaljov – un altro parlamentare di opposizione alla Verkhovna Rada – assassinato nella sua casa, la sua voce nella lista della morte ha apposto sulla foto segnaletica il bollino «likvidovan», ossia «liquidato», scritta apparsa nella voce specifica anche dopo l’uccisione della giornalista russa Darja Dugina, nell’agosto 2022. Kiev ha negato qualsiasi coinvolgimento nell’autobomba che è costata la vita alla figlia dell’eminente filosofo e scrittore Aleksandr Dugin, tuttavia secondo quanto riferito i funzionari dell’Intelligence statunitense ritengono che «parti» del governo ucraino erano responsabili.   Il Gummennik non è l’unico campione di sport sul ghiaccio ad essere finito nella kill list ucraina.   Come riportato da Renovatio 21, il campione dell’hockey russo Aleksandr Ovechkin, che ha recentemente battuto il record di punti segnati nella lega hockeistica nordamericana NHL, è stato aggiunto alla lista.

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Immagine di Divmel ic via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine modificata
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