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Il conflitto in Ucraina accelera la fine del dominio dell’Occidente

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

 

Il conflitto ucraino, presentato come un’aggressione della Russia, è invece l’applicazione della risoluzione 2202 del 17 febbraio 2015 del Consiglio di Sicurezza. Francia e Germania non hanno tenuto fede agli impegni assunti con l’Accordo di Minsk II, quindi per sette anni la Russia si è preparata allo scontro attuale. Mosca ha previsto le sanzioni occidentali con molto anticipo, sicché le sono bastati due mesi per aggirarle. Le sanzioni scompaginano la globalizzazione statunitense, perturbano le economie occidentali spezzando le catene di approvvigionamento, facendo rifluire i dollari verso Washington e provocando un’inflazione generale, causando infine una crisi energetica. Chi la fa l’aspetti: gli Stati Uniti e i loro alleati si stanno scavando la fossa con le proprie mani. Nel frattempo le entrate del Tesoro russo in sei mesi sono aumentate del 32%.

 

 

Nei sette anni appena trascorsi spettava alle potenze garanti dell’Accordo di Minsk II (Germania, Francia, Ucraina e Russia) farlo rispettare. Non l’hanno fatto, sebbene l’intesa sia stata avallata e legalizzata il 17 febbraio 2015 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e a dispetto delle affermazioni sulla necessità di proteggere i cittadini ucraini, minacciati dal loro stesso governo.

 

Il 31 gennaio 2022, allorquando cominciavano a circolare notizie su un possibile intervento militare russo, il segretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale di Difesa ucraino, Oleksy Danilov, sfidava Germania, Francia, Russia e Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dichiarando: «Il rispetto degli Accordi di Minsk significa la distruzione del Paese. Quando furono firmati sotto la minaccia armata dei russi e sotto lo sguardo di tedeschi e francesi era già chiaro a tutte le persone razionali che sarebbe stato impossibile applicarli». (1)

 

Sette anni dopo, quando il numero di ucraini uccisi dal governo di Kiev ha superato i 12 mila secondo la versione ucraina e i 20 mila secondo la Commissione d’inchiesta russa, solo allora Mosca ha lanciato un’«operazione militare speciale» contro i «nazionalisti integralisti» ucraini (come vogliono essere chiamati), che i russi definiscono «neonazisti».

 

Sin dall’inizio dell’operazione la Russia ha dichiarato che si sarebbe limitata a soccorrere le popolazioni e a «denazificare» l’Ucraina, non già a occuparla.

 

Ciononostante gli Occidentali hanno accusata la Russia di voler prendere Kiev, di voler rovesciare il presidente Zelensky e annettere l’Ucraina; azioni che evidentemente i russi non hanno fatto. Soltanto dopo l’esecuzione di uno dei negoziatori ucraini, Denis Kireev, ucciso dai servizi di sicurezza del proprio Paese (SBU), e la sospensione dei colloqui da parte del presidente Zelensky, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato di voler inasprire le pretese russe.

 

Ora la Federazione reclama la Novorussia, ossia tutto il sud dell’Ucraina, territorio storicamente russo dai tempi della zarina Caterina II, salvo un’interruzione di 33 anni.

 

Deve essere chiaro che, se la Russia non ha fatto nulla per sette anni, non è stato per insensibilità verso il massacro delle popolazioni russofone del Donbass, ma perché si preparava a fronteggiare la prevedibile risposta occidentale.

 

Secondo la classica citazione del ministro degli esteri dello zar Alessandro II, principe Alessandro Grotchakov: «È ferma intenzione dell’imperatore consacrare la propria sollecitudine preferibilmente al benessere dei sudditi, allo sviluppo delle risorse interne del Paese; questi sforzi potrebbero essere riversati all’esterno solo se gli interessi positivi della Russia lo esigessero imperativamente. Si rimprovera alla Russia l’isolamento e il silenzio di fronte a fatti che contrastano con il diritto e l’equità. Si dice che la Russia tenga il broncio. La Russia non tiene il broncio: si raccoglie».

 

Gli Occidentali hanno qualificato l’operazione di polizia russa «aggressione». Passo dopo passo, sono arrivati a dipingere la Russia una «dittatura» e la sua politica estera «imperialismo». Nessuno sembra aver letto l’Accordo di Minsk II, benché validato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. In un colloquio telefonico, rivelato dall’Eliseo, fra i presidenti Putin e Macron, quest’ultimo manifesta disinteresse per le sorti della popolazione del Donbass, ossia disprezzo per l’Accordo di Minsk II.

 

Oggi i servizi segreti occidentali soccorrono i «nazionalisti integralisti» ucraini (i «neonazisti», secondo la terminologia russa) e, invece di cercare una soluzione pacifica, tentano di distruggere la Russia dall’interno. (2)

 

Per il diritto internazionale, Mosca ha solo applicato la risoluzione del 2015 del Consiglio di Sicurezza. Si può deplorarne la brutalità, ma non la si può rimproverare di aver agito precipitosamente (sette anni!), né di essere nell’illegalità (risoluzione 2202).

 

I presidenti Petro Poroshenko, François Hollande, Vladimir Putin e la cancelliera Angela Merkel si erano impegnati, in una dichiarazione «congiunta allegata alla risoluzione, a fare rispettare l’Accordo. Se una di queste potenze fosse intervenuta prima, si sarebbero potute scegliere altre modalità per mettere alle strette l’Ucraina, ma non l’hanno fatto.

 

La logica avrebbe voluto che il segretario delle Nazioni Unite richiamasse all’ordine i membri del Consiglio affinché non condannassero un’operazione di cui avevano accettato il principio sette anni prima, ma ne fissassero le modalità. Non l’ha fatto. Anzi, la Segreteria generale, travalicando il proprio ruolo e schierandosi a favore del sistema unipolare, ha dato istruzione agli alti funzionari presenti sui teatri di guerra di cessare ogni incontro con i diplomatici russi.

 

Non è la prima volta che la Segreteria generale contravviene allo statuto delle Nazioni Unite.

 

Durante la guerra contro la Siria redasse un piano di cinquanta pagine per la deposizione del governo siriano che implicava la decadenza della sovranità popolare siriana e la de-baathificazione del Paese. Un testo che non è mai stato pubblicato, ma che con sgomento abbiamo analizzato su queste colonne.

 

Alla fine, l’inviato speciale del segretario generale a Damasco è stato costretto a firmare una dichiarazione in cui ne riconosceva la nullità. In ogni caso, la nota del Segretariato generale che vieta ai funzionari dell’ONU di partecipare alla ricostruzione della Siria (3) è tutt’ora in vigore e paralizza il rientro in patria degli esiliati, con grave danno non solo per la Siria, ma anche per il Libano, la Giordania e la Turchia.

 

Durante la guerra di Corea, gli Stati Uniti approfittavano della politica sovietica del seggio vuoto per fare la loro guerra dietro la bandiera delle Nazioni Unite (all’epoca la Cina Popolare non faceva parte del Consiglio). Dieci anni fa utilizzavano il personale dell’ONU per fare una guerra totale alla Siria. Oggi vanno oltre, prendendo posizione contro un membro permanente del Consiglio di Sicurezza.

 

Dopo essere diventata con Kofi Annan un’organizzazione sponsorizzata dalle multinazionali, con Ban Ki-moon e António Guterres l’ONU si è trasformata in succursale del Dipartimento di Stato.

 

La Russia e la Cina sono consapevoli, come del resto anche gli altri Stati, del fatto che l’ONU ha cessato del tutto di svolgere la propria funzione. L’Organizzazione infatti acuisce le tensioni e partecipa ai conflitti, perlomeno in Siria e nel Corno d’Africa. Mosca e Pechino s’impegnano nel potenziamento di altre istituzioni.

 

 

La Russia non concentra più i propri sforzi sulle strutture ereditate dall’Unione Sovietica, come la Comunità degli Stati Indipendenti, la Comunità Economica Euroasiatica, persino l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva; nemmeno sulle strutture ereditate dalla guerra fredda, come l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. S’impegna invece su quelle istituzioni che consentiranno di ridisegnare un mondo multilaterale.

 

Innanzitutto la Russia mette in risalto le azioni economiche dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). Non le rivendica come iniziative proprie, ma come sforzi comuni cui partecipa. 13 Stati ambiscono entrare nei BRICS, ma gli attuali membri al momento non sono favorevoli ad accogliere nuove adesioni.

 

Già ora i BRICS hanno un potere molto superiore a quello del G7: agiscono. Per contro, il G7 proclama da diversi anni di voler fare grandi cose, mai realizzate, e dispensa voti, buoni o cattivi, agli Stati che non ne fanno parte.

 

In particolare, la Russia preme per una più ampia apertura e per una più profonda trasformazione dell’Organizzazione di Cooperazione di Shangai (SCO), che finora è stata solo una struttura di contatto dei Paesi dell’Asia centrale, attorno a Russia e Cina, per prevenire i disordini che i servizi segreti anglosassoni tentavano di fomentare.

 

Poco a poco i Paesi membri hanno imparato a conoscersi meglio. Inoltre l’OCS si è allargata, in particolare a India e Pakistan, infine all’Iran. Di fatto essa oggi incarna i principi di Bandung, fondati sulla sovranità degli Stati e sulla negoziazione, in contrasto con quelli degli Occidentali, basati sulla conformità all’ideologia anglosassone.

 

Appunto: gli Occidentali concionano, Russia e Cina agiscono. Dico concionano perché credono che il loro agitarsi sia efficace.

 

Così Stati Uniti e Regno Unito, poi Unione Europea e Giappone, hanno adottato misure economiche molto dure contro la Russia. Non osando dire che si trattava di mosse di una guerra finalizzata a mantenere il dominio Occidentale sul mondo, le hanno definite «sanzioni», benché non ci siano stati né un processo né un’arringa della difesa né una sentenza.

 

Ovviamente si tratta di sanzioni illegali perché decise fuori dalle istituzioni delle Nazioni Unite. Ma gli Occidentali, che hanno la pretesa di essere i difensori delle regole internazionali, non sanno che farsene del diritto internazionale.

 

Ovviamente il diritto di veto dei cinque membri permanenti del Consiglio impedisce che si prendano sanzioni contro uno di loro; questo perché la finalità dell’Onu non è conformarsi all’ideologia anglosassone, ma preservare la pace mondiale.

 

Riprendo l’osservazione fatta precedentemente: Russia e Cina avanzano, ma a un ritmo completamente diverso da quello degli Occidentali. Tra l’impegno russo d’intervenire in Siria e il dispiegamento dei soldati trascorsero due anni; due anni necessari per completare le armi che ne avrebbero garantito la superiorità sul campo di battaglia. Ne sono occorsi sette perché la Russia passasse dall’impegno assunto con Minsk II all’intervento militare in Donbass; sette anni usati a preparare l’aggiramento delle sanzioni economiche occidentali.

 

Per questa ragione le sanzioni non sono riuscite a mettere in ginocchio l’economia russa, ma colpiscono in profondità chi le ha volute.

 

I governi tedesco e francese prevedono gravissimi problemi energetici; già ora alcune imprese girano a rilento e presto saranno costrette alla chiusura. L’economia russa invece è in piena espansione.

 

Dopo due mesi in cui il Paese ha vissuto sulle riserve, ora è tempo di abbondanza. Nel primo semestre c’è stato un boom delle entrate del Tesoro russo, che sono aumentate del 32% (4).

 

Non soltanto il rifiuto occidentale del gas russo ha fatto salire i prezzi, a vantaggio del primo esportatore, la Russia, ma questo strappo alla concezione liberale ha spaventato gli altri Stati che, per rassicurarsi, si sono girati verso Mosca.

 

La Cina, che gli Occidentali presentano come venditrice di paccottiglia, nonché Stato rapace che fa cadere le sue prede in una spirale d’indebitamento, ha in realtà annullato la maggior parte dei debiti di 13 Stati africani.

 

Ogni giorno ascoltiamo i nobili discorsi occidentali e le loro accuse alla Russia e alla Cina. Ma ogni giorno, se guardiamo i fatti, constatiamo che la realtà è differente.

 

Per esempio, gli Occidentali ci spiegano, senza darcene prova, che la Cina è una «dittatura» e che «ha incarcerato un milione di uiguri». Mancano statistiche recenti ma è noto a tutti che in Cina ci sono meno carcerati che negli Stati Uniti, sebbene questi ultimi abbiano una popolazione pari a un quarto di quella cinese. Ci spiegano anche che in Russia gli omosessuali sono perseguitati, ma a Mosca ci sono discoteche gay più grandi di quelle di New York.

 

La cecità occidentale porta a situazioni grottesche, ove i dirigenti occidentali sono incapaci di vedere l’impatto delle proprie contraddizioni.

 

Il presidente Emmanuel Macron è stato nei giorni scorsi in Algeria per tentare di riconciliare le due nazioni e comperare il gas necessario a sopperire alla carenza che egli stesso ha contribuito a causare.

 

Il presidente francese è consapevole di essere arrivato tardi: le alleate Italia e Germania hanno già fatto i loro acquisti. In compenso, Macron ostenta di credere, a torto, che il principale problema franco-algerino sia la colonizzazione. Non si rende conto che l’Algeria non può avere fiducia nella Francia perché Parigi sostiene i suoi peggiori nemici, gli jihadisti della Siria e del Sahel. Macron non coglie il nesso tra l’assenza di relazioni diplomatiche con la Siria, l’estromissione della Francia dal Mali (5) e la freddezza con cui è stato ricevuto ad Algeri.

 

Vero è che i francesi non sanno chi siano gli jihadisti: hanno recentemente giudicato, nel più grande processo del secolo, gli attentati di Saint-Denis, dei caffè di Parigi e del Bataclan (13 novembre 2015) senza porsi il problema dei sostegni degli Stati agli jihadisti. Non hanno certo dimostrato senso della giustizia, hanno manifestato invece codardia. Si sono lasciati terrorizzare da un pugno di uomini; l’Algeria invece ne ha dovuti affrontare durante la guerra civile decine di migliaia e ne affronta altrettanti nel Sahel.

 

Mentre Russia e Cina avanzano, l’Occidente regredisce. E continuerà a precipitare se non chiarirà la propria politica, se non la farà finita con la duplice morale e non smetterà il doppio gioco.

 

 

Thierry Meyssan

 

 

NOTE

1) «Ukraine security chief: Minsk peace deal may create chaos», Yuras Karmanau, Associated Press,  31 gennaio 2022.

2) «La strategia occidentale per smantellare la Federazione di Russia», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 16 agosto 2022.

3) «Paramètres et principes de l’assistance des Nations Unies en Syrie», di Jeffrey D. Feltman, Réseau Voltaire, 15 ottobre 2017.

5) «Il Mali e le contraddizioni francesi», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 23 agosto 2022.

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0), immagine modificata.

 

 

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Geopolitica

La «Legione georgiana» di Kiev pianifica una Maidan a Tbilisi questo autunno

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Il Servizio di Sicurezza dello Stato della Georgia (SSS) ha pubblicato un comunicato il 18 settembre in cui afferma che il Paese si trova ad affrontare la minaccia di violenti disordini orchestrati dalla cerchia ristretta dell’ex presidente Mikheil Saakashvili e «attraverso il coordinamento e il sostegno finanziario dei Paesi esteri».

 

La Sicurezza di Stato georgiana precisa che i golpisti pianificano, nei prossimi tre mesi, il «rovesciamento violento» del governo georgiano, usando come modello il colpo di Stato ucraino di Maidan del 2014.

 

Il documento cita come probabile fattore scatenante un prossimo rapporto dell’Unione Europea che respinge la candidatura della Georgia: «le aspettative dei cospiratori che pianificano di rovesciare il governo statale sono adattate alla circostanza in cui la conclusione [dell’UE] rilasciata sarà negativa, il che creerà un terreno fertile di disordini civili e ulteriori rivolte attraverso entrambe le reti di informazione a loro disposizione, nonché etichettando artificialmente il governo come “filo-russo”».

 

La Sicurezza dello Stato fa il nome di «Mamuka Mamulashvili, comandante della “Legione georgiana” operante in Ucraina».

 

 

Di cecchini provenienti dalla Georgia si parlò riguardo al massacro di Maidan, quando alcuni uomini misteriosi piazzati sui tutti sopra la piazza centra di Kiev spararono a manifestanti e polizia, creando dissidio fra le parti e aumentando il caos, con una conta di almeno 80 morti. I morti di Maidan distrussero l’accordo di pace negoziato dal governo eletto ucraino di Viktor Yanukovich e dai leader dei manifestanti.

La narrazione ufficiale non ha mai identificato chi sparò a Maidan, tuttavia sei anni fa Il Giornale intervistò un uomo che raccontava di aver sparato seguendo l’ordine di colpire forze dell’ordine e manifestanti «senza far differenza». L’intervistato è georgiano, come lo sarebbero altri due cecchini. Il documentario racconta la vicenda, Ucraina, verità nascoste, andò in onda in seconda serata su Canale 5 nel 2017.

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La Legione Nazionale Georgiana (GNL) di Mamulashvili è stata quindi schierata nel Donbass, dove è balzata sulle cronache internazionali per le accuse di aver giustiziato prigionieri di guerra russi a sole otto chilometri da Bucha il 30 marzo, cioè, se ciò fosse veritiero, appena 48 ore prima che i corpi di Bucha divenissero un caso planetario attribuito alle truppe di Mosca.

 

Secondo Grayzone, Mamulashvili sarebbe stato inviato in Ucraina dal perenne agente occidentale, l’ex presidente georgiano Mikheil Saakashvili (di cui si sostiene fosse il «consigliere militare»), l’uomo già protagonista della rivoluzione colorata di Tbilisi ma poi scappato all’estero per essere messo incredibilmente a capo dell’oblast’ ucraina di Odessa dalla presidenza post-Maidan dell’amico personale Petro Poroshenko.

 

Secondo Il Corriere della Sera, Mamuka Mamulashvili avrebbe rivendicato i video dell’eccidio apparsi su Telegram. «”L’abbiamo detto sin dal principio, noi non facciamo prigionieri” è l’allucinante spiegazione del comandante», scriveva il quotidiano italiano.

 

Sempre secondo Grayzone, la GNL «al centro del sistema di vie che incanala armi statunitensi e militanti stranieri fascisti nell’esercito ucraino, mentre il Congresso e i media americani la acclamano».

 

Tra i cospiratori del colpo di Stato pianificato in Georgia, la Sicurezza di Stato di Tbilisi ha nominato anche Giorgi Lortkiphanidze, ex vice dell’ex ministro degli Interni georgiano, che ha assunto la carica di vice capo dell’Intelligence militare ucraina nel 2022.

 

Il rapporto del Servizio di Sicurezza di Tbilisi scrive inoltre che« il piano menzionato sarà realizzato attraverso il coordinamento e il sostegno finanziario di paesi stranieri. Secondo informazioni confermate e verificate, un gruppo abbastanza numeroso di individui di origine georgiana che combattono in Ucraina, così come una parte dei giovani georgiani… saranno utilizzati per l’attuazione del piano elaborato da Giorgi Lortkiphanidze, che sono attualmente addestrati/ riqualificato nelle vicinanze del confine di stato Polonia-Ucraina. (…) il gruppo giovanile (…) dovrebbe partecipare allo scenario rivoluzionario».

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La Sicurezza di Stato georgiana cita, tra le altre tattiche, l’occupazione di Tbilisi con tendopoli, l’uso di barricate attorno agli edifici governativi e l’uso di bombe contro i civili per scatenare scontri con la polizia, «è accertato che gli organizzatori stanno considerando l’attuazione di uno scenario in Georgia, che è simile all’”Euromaidan” tenutasi in Ucraina nel 2014».

 

Una nuova rivoluzione colorata 2.0 – dove, cioè, entra di prepotenza la violenza – a Tbilisi costringerebbe la Russia a dividere la sua attenzione su un ulteriore fronte, dove peraltro ha già combattuto e vinto una brevissima guerra nel 2008 quando Saakashvili attaccò le énclave etniche russe dell’Abcazia e dell’Ossetia.

 

Da notare che anche a poco distanza, su un altro confine russo, si sta riaprendo un altro conflitto mai risolto, quello di Armenia e Azerbaigian.

 

Tale operazione del genere potrebbe essere l’unico modo per i sostenitori della «guerra permanente» di continuare il loro tentativo di spezzare strategicamente la Russia dopo il fallimento della controffensiva Ucraina.

 

 

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Immagine di Zaraza  via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)

 

 

 

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Lukashenko: l’Occidente si prepara a «scaricare» Zelens’kyj

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Washington ha dato il via libera ai suoi partner per «scaricare» il presidente ucraino Vladimir Zelenskyj poiché è diventato un fastidio, ha affermato il leader bielorusso Alexander Lukashenko durante una riunione del governo venerdì. Lo riporta il sito russo RT.   Lukashenko ha indicato la disputa sul grano in corso tra Polonia e Ucraina come un esempio di questa nuova politica, sottolineando che Varsavia era stata uno dei più fedeli sostenitori di Zelens’kyj ma ora è fortemente critica nei confronti del suo partner.   Questo cambiamento è avvenuto dopo che la Polonia, insieme ad Ungheria e Slovacchia, ha vietato unilateralmente l’importazione di grano ucraino nonostante l’UE avesse scelto di revocare il suo embargo a livello di blocco. A sua volta, Kiev ha intentato una controversia contro i tre paesi presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO).   «Pensate che oggi la Polonia stia esercitando pressioni sulla povera Ucraina senza motivo? No, hanno avuto il via libera dall’estero: dobbiamo scaricare questo Zelens’kyj, siamo stanchi di lui», ha dichiarato il presidente bielorusso osservando che negli Stati Uniti sono imminenti le elezioni presidenziali e ha suggerito che a quel punto nessuno si preoccuperà di Zelens’kyj.   Allo stesso tempo, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha sottolineato venerdì che Washington resterà al fianco di Zelens’kyj durante il conflitto Russia-Ucraina e ha annunciato che i carri armati Abrams di fabbricazione statunitense inizieranno ad arrivare in Ucraina la prossima settimana.   Nel frattempo, Zelens’kyj, che è alla sua seconda visita in tempo di guerra a Washington, ha insistito sul fatto che la continua lotta di Kiev contro la Russia si basava sull’assistenza militare statunitense e, secondo quanto riferito, ha affermato che se non ricevesse gli aiuti, «perderebbe la guerra».

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Finora, l’amministrazione Biden ha speso 115 miliardi di dollari in aiuti militari e finanziari a Kiev, chiedendo recentemente l’approvazione di ulteriori 24 miliardi di dollari entro la fine del mese.   Tuttavia, un numero crescente di deputati e senatori, prevalentemente del Partito Repubblicano, hanno iniziato a opporsi al finanziamento del governo Zelens’kyj con i soldi dei contribuenti statunitensi.   Il senatore repubblicano Josh Hawley del Missouri ha sottolineato mercoledì che gli Stati Uniti dovrebbero smettere di versare denaro all’infinito in Ucraina, soprattutto perché Kiev «non ha nulla da mostrare in merito». A quanto pare il senatore si riferiva alla tanto pubblicizzata controffensiva estiva di Kiev, che non è riuscita a produrre alcun guadagno territoriale significativo.   Hawley ha insistito sul fatto che gli Stati Uniti non dovrebbero spendere «un centesimo in più per l’Ucraina» e dovrebbero invece condurre una verifica dei miliardi già forniti. Ha anche suggerito che la Germania e gli altri alleati europei «si facciano avanti» per aiutare Kiev.   Il viaggio di Zelens’kyj negli USA non sembra essere stato proficuo. Lo speaker della camera Kevin McCarthy ha rifiutato di farlo parlare in aula.   Il discorso contorto e grottesco alle Nazioni Unite ha lasciato il segno: l’allucinante riferimento al cambiamento climatico e le insinuazioni con evidenza rivolte verso la Polonia che non accetta il grano ucraino – e per questo, secondo il comico, farebbe il gioco della Russia – hanno lasciato pensare al sempre più grave stato confusionale del regime di Kiev.   La disputa aperta con la Polonia, che rifiuta di mandare armi e presenta sardonicamente (iniziativa di un deputato) un conto per milioni euro a Kiev, ha dimostrato che l’immagine dell’Ucraina vittima sacra non è più inscalfibile. Fino a quando il mondo tollererà i suoi capricci, i suoi insulti e le sue minaccel’ultima verso i Paesi europei che raccolgono i profughi ucraini – non è dato sapere, ma l’incantesimo filoucraino potrebbe, di colpo, sparire.   Il crollo della banda di Kiev potrebbe essere l’unica via necessaria alla pace che salverà migliaia di vite ucraine e russe. E che impedirà lo scatenarsi della Terza Guerra Mondiale, vero obiettivo di Zelens’kyj.

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La Polonia contro Kiev: stop al grano ucraino e stop all’assistenza. Deputato di Varsavia chiede il conto in milioni di euro

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Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha dichiarato alla stampa che il suo governo è pronto a fermare le spedizioni di armi, evidenziando una crescente spaccatura tra i due vicini dopo più di un anno di forte sostegno da parte di Varsavia.

 

«Non stiamo più trasferendo armi all’Ucraina, perché ora stiamo armando la Polonia con armi più moderne», ha detto Morawiecki. Successivamente ha avvertito che a Kiev potrebbero essere imposti ulteriori divieti commerciali, dato che “le autorità ucraine non capiscono fino a che punto l’industria agricola polacca sia stata destabilizzata» dalle importazioni straniere.

 

I commenti sono arrivati ​​dopo che il presidente ucraino Vladimir Zelenskyj sembrava aver rivolto un velato attacco alla Polonia durante un discorso davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite all’inizio di questa settimana, affermando che «alcuni in Europa recitano la solidarietà in un teatro politico» e stanno «facendo un thriller per il grano».

 

Lo Zelens’kyj nel suo discorso al palazzo di vetro era andato oltre dicendo che è «È inquietante vedere come alcuni in Europa stiano aiutando a preparare il terreno per un attore di Mosca».

 

«Spero che queste parole non siano rivolte alla Polonia», ha risposto un portavoce del governo polacco. In pratica, il presidente ucraino ha insinuato che la Polonia, la cui russofobia forsennata è testimoniata da storie e campanilismi millenari, sta facendo il gioco di Mosca.

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Il conflitto commerciale sul grano tra i due Paesi dell’Europa orientale si è costantemente intensificato negli ultimi mesi. Quando le principali rotte marittime del Mar Nero furono chiuse a causa del conflitto con la Russia, il grano ucraino si riversò nei mercati centrali ed europei, facendo crollare i prezzi e scatenando il caos per i produttori locali.

 

L’eccesso di grano ha portato a un divieto formale di importazione tra cinque membri dell’UE per proteggere gli agricoltori nazionali: Bulgaria, Ungheria, Polonia, Romania e Slovacchia. Sebbene il divieto a livello di blocco sia scaduto la scorsa settimana, Varsavia, Budapest e Bratislava hanno scelto di mantenere la politica in vigore su base individuale, sostenendo ciascuna che è necessaria per stabilizzare i prezzi.

 

Kiev ha insistito sul fatto che i divieti sono illegali, con il ministro dell’Economia Yulia Sviridenko che ha affermato che «è di fondamentale importanza per noi dimostrare che i singoli Stati membri non possono vietare le importazioni di beni ucraini». Da allora il governo ha intentato causa presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), cercando di fermare le restrizioni commerciali, anche se Varsavia ha respinto la manovra ucraina, affermando che «un reclamo davanti all’OMC non ci impressiona».

 

Il ministro della Difesa polacco Marius Blaszczak ha dichiarato che Varsavia essenzialmente protegge gli agricoltori polacchi dai piani degli «oligarchi ucraini» che vogliono vendere il grano ucraino in Polonia.

 

Il giorno prima delle dichiarazioni di Morawiecki, un deputato polacco, Krzysztof Bosak, ha emesso «fattura» di 23 miliardi di dollari all’ambasciata ucraina, suggerendo che Kiev dovrebbe rimborsare gli aiuti ricevuti dopo aver citato in giudizio Varsavia per aver imposto un divieto sulle importazioni di grano dal paese.

 

Bosak e l’attuale vicepresidente del Movimento Nazionale deputato del blocco della Konfederacja – la Confederazione Libertà e Indipendenza – al Sjem, il Parlamento polacco.

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Il «conto» elencava vari tipi di assistenza fornita direttamente a Kiev dal governo polacco, benefici sociali pagati ai rifugiati ucraini e donazioni private effettuate da cittadini polacchi, come calcolato dall’Istituto Kiel per l’economia mondiale.

 

 

L’importo totale è probabilmente «significativamente sottostimato e incompleto», ha osservato Bosak.

 

Come riportato da Renovatio 21, la tensione tra i due Paesi è salita negli ultimi mesi, con episodi da incidente diplomatico, come la convocazione da parte del regime Zelens’kyj dell’ambasciatore di Varsavia, a cui veniva chiesto di rispondere di alcune affermazioni proferita da un alto funzionario del governo di Morawiecki riguardo una presunta ingratitudine ucraina..

 

La Polonia, stretta tra un rapporto sempre più teso con l’Ucraina e con la percezione di minaccia proveniente dalla Bielorussia, dove stazionano truppe della Wagner, ricorda bene che al termine di tutto il conflitto, potrebbe esserci l’annessione di terre ucraine occidentali che sono state in passato anche polacche. Il presidente russo Vladimir Putin ha parlato di queste mire polacche in recenti discorsi pubblici, facendo abbondanza di riferimenti storici.

 

L’idea di un’annessione di porzioni dell’Ucraina occidentale, che sono state storicamente polacche (Leopoli, Ternopoli, Rivne) aleggia sin dall’inizio nel conflitto nelle chiacchiere sui progetti di Varsavia.

 

Un articolo apparso sul quotidiano turco Cumhuriyet di fine 2022 riportava che il presidente ucraino Zelens’kyj avrebbe negoziato con le autorità polacche la partecipazione delle forze armate polacche al conflitto in Ucraina.

 

La Polonia è stata tra i più accesi sostenitori dell’Ucraina durante il conflitto con Mosca, esortando ripetutamente gli altri membri dell’UE ad aumentare gli aiuti militari e approvando una lunga serie di spedizioni di armi, compresi caccia MiG-29.

 

Il presidente polacco Andrzej Duda ha recentemente esortato Kiev a «ricordare» lo status dell’Ucraina e come hub logistico per le consegne di armi e ha paragonato il Paese a un uomo che sta annegando, che potrebbe trascinare con sé i suoi soccorritori sott’acqua. In un’intervista al Washington Post, Duda aveva detto che combattere la Russia tramite gli ucraini «è più economico».

 

Tutto ciò accade prima delle elezioni parlamentari in Polonia previste per il 15 ottobre, e non è chiaro se i politici polacchi manterranno le loro promesse o se si tratta semplicemente di un tentativo di influenzare gli elettori.

 

Nel frattempo, la Slovacchia, un altro importante sostenitore del regime di Kiev, potrebbe cambiare la sua posizione sul conflitto ucraino dopo le elezioni del 30 settembre nel paese.

 

L’ex primo ministro slovacco Robert Fico, il cui partito socialdemocratico Smer (Direzione) domina gli ultimi sondaggi, ha già dichiarato che la Slovacchia non «invierà più armi o munizioni all’Ucraina» se il suo partito dovesse far parte di un nuovo governo.

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 Immagine screenshot da Twitter

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