Pensiero
I Macron denunziano Candace Owens per l’accusa secondo cui Brigitte sarebbe un trans: scontro metapolitico tra la Francia cattolica e quella rivoluzionaria

La giornalista americana Candace Owens ha promesso di combattere una causa per diffamazione intentata dal presidente francese Emmanuel Macron e da sua moglie Brigitte, dopo che lo YouTuber conservatore ha ripetutamente affermato che la first lady era transgender.
La causa, depositata all’inizio di questa settimana presso un tribunale statunitense, accusa Owens di aver diffuso «affermazioni false e diffamatorie», tra cui il fatto che Brigitte Macron sia nata maschio, che la coppia sia imparentata con il sangue e che Emmanuel Macron sia il prodotto di un programma di controllo mentale della CIA.
Secondo quanto riportato nella denuncia, le accuse sono state mosse «per promuovere la sua piattaforma indipendente, ottenere notorietà e fare soldi» e costituiscono «un bullismo incessante su scala mondiale».
In un video pubblicato mercoledì sul suo canale YouTube, la Owens ha condiviso con i suoi 4,5 milioni di iscritti un messaggio destinato a Brigitte Macron: «Sei nato uomo e morirai uomo», aggiungendo di essere «pienamente pronta ad affrontare questa battaglia a nome del mondo intero» e che incontrerà la moglie del presidente francese in tribunale.
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I Macron hanno presentato ieri una causa di 219 pagine nello stato americano del Delaware, accusando Owens di 22 capi d’accusa per diffamazione. La denuncia include 99 pagine di affermazioni fattuali e prove, come le foto d’infanzia di Brigitte Macron, i certificati di nascita e la documentazione dei suoi tre figli avuti con il primo marito.
Nel documento si afferma che la Owens ha trasformato la vita della coppia «in preda di menzogne motivate dal profitto». Citare in giudizio la podcaster è stata «l’ultima risorsa», dato che ha ignorato tutte le richieste di interrompere le sue attività, ha detto alla CNN Tom Clare, avvocato principale di Macron.
La Owensa ha ripetutamente attaccato la signora Macron sui social media. Nel 2024, aveva dapprima pubblicato un video intitolato «La First Lady francese è un uomo?». All’inizio di quest’anno, ha mandato in onda un’intera inchiesta in varie puntate intitolata Becoming Brigitte («Diventare Brigitte»).
Le voci su Brigitte risalgono al 2021, quando Amandine Roy e Natacha Rey pubblicarono un video di quattro ore in cui sostenevano che fosse nata uomo. Tuttavia pochi giorni fa la Corte d’Appello di Parigi ha annullato le multe inflitte alle blogger in seguito alla causa intentata dalla signora Macron nel 2022. La corte ha escluso che le donne avessero agito in «buona fede» e che le loro accuse fossero espressione di convinzioni.
Nel suo podcast la Owens ha detto che anche il principale giornalista francese del caso, Xavier Poussard, sarebbe stato oggetto di una visita da parte delle forze dell’ordine italiane. Il Poussardo infatti si sarebbe trasferito dalla Francia in Italia dopo aver pubblicato la sua versione della vita della premiere Dame – che, per essere chiari, Renovatio 21 trova incredibile.
Renovatio 21 ha sempre sottolineato la strana, goffa propensione della presidenza Macron per la smentita che, come insegna un adagio caro agli uffici stampa, costituisce «una notizia data due volte».
Il vertice della Repubblica di Francia si affrettò a smentire quando in rete si cominciò a dire che sul tavolo del famigerato treno per Kiev dove eranovi anche il cancelliere tedesco Federico Merz e il premier britannico Keir Starmer era visibile un sacchetto di sostanza stupefacente.
DEVELOPING SCANDAL: Macron, Starmer, and Merz caught on video on their return from Kiev. A bag of white powder on the table. Macron quickly pockets it, Merz hides the spoon. No explanation given. Zelensky, known cocaine enthusiast, had just hosted them. All three of the “leaders”… pic.twitter.com/M2h5Fhzo5h
— Alex Jones (@RealAlexJones) May 11, 2025
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«Quando l’unità europea dà fastidio, la disinformazione arriva fino al punto da far passare un semplice fazzoletto per della droga, false informazioni diffuse dai nemici della Francia, siate vigili contro le manipolazioni» scriveva la nota diramata dall’Eliseo.
Più recentemente era stata la volta della smentita sul litigio con Brigitta sul volo presidenziale atterrato in Vietnam, con le mani della consorte in faccia ad Emmanuel in mondovisione.
📱 “Un moment de complicité” entre Emmanuel et Brigitte #Macron.
✋ L’Élysée a voulu désamorcer la polémique après que des images très relayées sur les réseaux sociaux ont montré le président français recevoir une main au visage de la part de son épouse pic.twitter.com/l4eCTzaS2G
— FRANCE 24 Français (@France24_fr) May 26, 2025
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«C’è un video in cui io e mia moglie litighiamo e scherziamo, e in qualche modo questo diventa una specie di catastrofe geoplanetaria, con la gente che arriva persino a elaborare teorie per spiegarla», aveva detto il presidente, condannando chi aveva un’altra impressione come «complottista».
Ci fu quindi anni addietro il caso Benalla: nel 2018, i giornali francesi parlarono di un signore di origini maghrebine che si intrufolava tra le file della Gendarmeria nelle manifestazioni pubbliche e aggrediva le persone che protestavano. Si scoprì che Alexandre Benalla, giovane forte e prestante, era «collaboratore» della sicurezza dell’Eliseo, e molto vicino alla coppia presidenziale, al punto che, dissero, aveva accesso ad appartamenti «presidenziali».
Nel frattempo si moltiplicavano storie su vari passaporti diplomatici, rapporti diretti con leader africani, se non con oligarchi russi… tuttavia l’attenzione del grande pubblico era concentrata sullo spuntare qua e là delle immagini del moro virgulto in giro assieme al presidente sorridente. Eccoli insieme in strada, nei palazzi del potere, in bici. Dissero che partecipava, unico membro del gabinetto, a esclusive giornate sugli sci del presidente.
E quindi, cosa fa Macron? Parlando ai deputati della maggioranza riuniti alla Maison de l’Amérique Latine dice: «Alexandre Benalla non è il mio amante e non ha i codici nucleari». E pensare che a difesa della virilità di Macron erano scese in campo, in precedenza, pure istituzioni pubbliche transnazionali. Nel 2017, a pochi giorni dal ballottaggio presidenziale tra Macron e Marine Le Pen, la campagna di Macron avrebbe subito un attacco da parte di hacker – subito definiti «russi» – che portò alla luce anche dettagli scabrosi: si parlò di Macronleaks. Renovatio 21 ricorda un corso di aggiornamento dell’Ordine dei giornalisti (obbligatorio se si vuole mantenere il tesserino professionale) di deontologia a tema fake news. Nel Test finale a risposta multipla per capire se si era stati attenti, veniva posta la domanda: quale fake news ha riguardato il presidente francese? La risposta esatta era, andiamo a memoria, quella per cui sarebbe stato a capo di una banda di omosessuali, indicata come bufala a prescindere.
Quindi, un’altra bella smentita anche nel caso dell’aitante bodyguard maghrebino. Cioè, una notizia data due volte. Ora, la notizia della querela negli USA – Paesi con regole sulla diffamazione particolarmente difficili – dei Macron contro la Owens ha fatto il giro del mondo, finendo su notiziari TV in Arabia Saudita, Taiwan, ovunque. Se una smentita è una notizia data due volte, una querela è la notizia moltiplicata per n volte – per tutte le volte che essa riapparirà nel processo, che sarà sempre un grande produttore di notizie…
I Macron sono sposati dal 2007. Secondo la narrazione ufficiale si sono conosciuti quando lui era studente al Lycée la Providence di Amiens, dove lei insegnava. Su quanti anni avesse ci sono versioni diverse: c’è chi dice 17, chi 15, chi 14 – una differenza che secondo alcuni potrebbe essere rilevante. Brigitte, secondo i dati offerti, avrebbe 24 anni più dell’attuale marito.
Come noto, la coppia è stata oggetto di continue speculazioni pure riguardo al sesso di nascita della première dame, accuse che hanno ripetutamente negato e contro cui hanno intrapreso azioni legali. Anche qui, sono piovute le smentite più categoriche dell’Eliseo.
La più tenace assertrice della teoria secondo cui Brigitta sarebbe in realtà un uomo biologico è la giornalista americana Candace Owens, che ha ricevuto diverse lettere di diffida dagli avvocati dei Macron per la sua serie di podcast sul loro caso.
Qualora queste teorie rispondessero al vero, il significato metapolitico e metastorico della questione diviene questione da riflessioni abissali.
Ripetiamo tuttavia, dopo aver visto la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi, la costituzionalizzione dell’aborto e il comportamento di Macron riguardo la guerra atomica, siamo pronti a molte idee pazzesche.
L’ultima domanda, che talvolta sembra porsi anche la Candace è: chi comanda davvero in Francia? Quali poteri stanno dietro alla Repubblica?
Candace si è convertita al cattolicesimo, la religione del marito, il devotissimo e coltissimo (e bellissimo) teologo George Farmer, figlio di Lord Michael Farmer, miliardario già ministro britannico – George e Candace hanno praticamente fatto quattro figli in quattro anni di matrimonio – la conversione giocoforza doveva arrivare, e l’ha celebrata a Londra, presumibilmente in ambienti cattolici molto conservatori se non apertamente tradizionisti.
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In un evento pubblico in cui raccontava ad un pubblico cattolico la sua conversione, alla domanda su quale santo prediligesse, lei disse, alla faccia del marito inglese, che ad ispirarla era Santa Giovanna d’Arco, la patrona di Francia. Non è impossibile, pensiamo a questo punto, che sia imbeccata da determinati milieu tradizionalisti e monarchici, ostili alla Macronie (chiamano così il regno di Macron) come mai prima.
Ora è chiaro che quello che è in atto, nello scontro tra la Owens e i Macron, è più di quello che sembra: la Francia antica, la Francia cattolicissima, la Francia dei re – una Francia che si pensa sia morta e sepolta, ma con evidenza non è così – ha trovato incredibilmente un’eroina in una ragazza nera americana, contro la Francia rivoluzionaria, la Francia che odiava, odia e odierà per sempre trono e altare, la Francia che uccide e i re e, ancora oggi, incendia le chiese.
È la Francia che l’anno scorso rese le Olimpiadi uno spettacolo sadico – nel senso letterale di relativo De Sade, pornografo della violenza crudele che fu ispiratore della Rivoluzione, celebrata in ogni modo nella cerimonia di apertura, con – oltre al Cristo-Dioniso-Shiva circondato da trans – la regina Maria Antonietta decapitata tra cascate di sangue che dal palazzo della sua prigionia si riversavano in istrada.
Per il lettore di Renovatio 21 è tutto molto chiaro. La Francia della Corona e della Croce, la Francia di Santa Giovanna, contro la Francia del 1789, la Francia di De Sade e Robespierre, non ancora paga delle catastrofi umane che ha cagionato.
Di base, il conflitto è questo: è qualcosa di metapolitico, è metastoria francese. Per questo il processo che scaturirà dalla denuncia avrà molta più importanza di quanto i giornali internazionali daranno a vedere.
E l’esito di questa battaglia metafisica avrà effetto ben al di là di Parigi.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Pensiero
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Bizzarria
Ecco la catena alberghiera dell’ultranazionalismo revisionista giapponese

Per chi è stato in viaggio in Giappone il nome APA hotels potrebbe risultare familiare. La catena di alberghi dalla caratteristica insegna arancione è onnipresente nel Paese del Sol Levante, possiede circa 900 strutture alberghiere e in alcune zone urbane la loro densità è incredibile: così a memoria direi che ce ne sono almeno 5 nella zona tra Asakusa e Asakusabashi (due fermate di metro o mezz’ora scarsa a piedi).
La catena ha anche già iniziato la sua espansione nell’America settentrionale, con 40 strutture tra Stati Uniti e Canada.
Di recente ho avuto l’occasione di provare per la prima volta un hotel APA a Kanazawa, dove la catena è nata nei primi anni ottanta. Il giudizio complessivo è positivo: pulito, molto pratico da usare, al netto di stanze piuttosto anguste (ma nella norma nipponica) non posso dire che mi sia mancata alcuna comodità.
Anzi, le stanze dispongono del «bottone buonanotte» (oyasumi botan) cioè un pulsante vicino al comodino che spegne tutte le luci in un colpo solo. Di questo sono particolarmente grato perché mi ha risparmiato la classica caccia agli interruttori che contraddistingue le serate passate negli alberghi meno recenti qui in Giappone – in alcuni ryokan ci sono persone che si rassegnano a dormire con le luci accese per la disperazione, spossati dalla caccia all’interruttore nascosto.
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Un’altra caratteristica degli hotel APA è l’onnipresenza dell’effigie della presidentessa dell’azienda, la buffa Fumiko Motoya, sempre accompagnata da uno dei suoi vistosissimi cappelli (la sua collezione ne conta circa 240).

Fumiko Motoya, di hirune5656 via Wikimedia CC BY 3.0
Insegne, pubblicità, bottiglie di acqua minerale, confezioni di curry liofilizzato: non c’è posto da cui non spunti il sorriso della nostra Fumiko, il tutto ha una lieve sfumatura di culto della personalità da regime totalitario.
Ma quello che porta ripetutamente questa azienda al centro di aspre polemiche non sono i vistosi copricapo del suo presidente, né tanto meno la folle varietà di ristoranti ospitati dagli alberghi APA (a seconda della località mi è capitato di vedere ristoranti italiani, indiani, singaporiani, coreani, caffè in stile europeo, letteralmente la qualsiasi). Si tratta, invece, della cifra politica della catena alberghiera.
Ogni stanza d’albergo ha in dotazione almeno un paio di copie degli scritti del fondatore dell’azienda, Toshio Motoya, storico e ideologo di orientamento decisamente patriottico.
Gli scritti in questione innescano periodicamente polemiche furibonde: il picco era stato raggiunto tra 2016 e 2017, quando il volume che si trovava nelle stanze degli alberghi conteneva una revisione storica del massacro di Nanchino (1937). Apriti cielo: il clima allora era meno liberticida di adesso, si era agli albori dei social media totalitari come li conosciamo oggidì, ma le polemiche in Asia e occidente furono furibonde.
Il bello è che l’autore e l’azienda hanno fatto quello che oggi nessuno fa: nessun passo indietro, nessuna scusa, soltanto ribadire le proprie ragioni in maniera più articolata. In un mondo come quello in cui viviamo, in cui la gogna internettiana ha reso tutti ominicchi, quaquaraquà e, d’altronde love is love, un po’ invertiti, un atteggiamento del genere si può forse definire eroico.
Cotale attitudine mi ha ricordato l’epoca d’oro del movimento ultrà italiano, quando ancora dalle curve, allora libere da qualsiasi controllo da parte di partiti politici, malavita e istituzioni, si alzava il coro liberatorio: «Noi facciamo il cazzo che vogliamo!».
La pagina in inglese dell’azienda usa uno stile revisionistico che in Europa sarebbe ragione sufficiente per arresto, condanna e detenzione. Ve la ricordate la libertà, voi europei? Pensate che brivido trovare in albergo letteratura che rivede il dogma riguardo agli eventi accaduti nei primi anni quaranta tra Polonia, Germania e Austria…
Di fronte alle furiose contestazioni, l’azienda continua imperterrita a fare trovare in ogni camera delle copie di Theoretical modern history (理論近現代文学), i volumi che raccolgono gli scritti del fondatore della catena Motoya. Durante il mio soggiorno a Kanazawa ho avuto modo di leggere alcuni articoli che mi hanno dato una prospettiva diversa della storia giapponese.
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L’insegnamento della storia nel Giappone post bellico ha frequentemente preso l’aspetto di una forma di autoflagellazione (sotto la guida dell’occupante statunitense). Questa colpevolizzazione del paese a scapito di tutte le altre forze coinvolte nel conflitto mondiale raggiunge picchi disturbanti nelle prefetture più sinistrorse del Paese, le così dette H2O (Hiroshima, Hokkaido, Oita).
Ci sono stati casi di genitori che hanno protestato dopo avere sentito che ai figli veniva insegnato che «le bombe atomiche ce le siamo meritate». Dopo decenni di scuse a capo chino, non c’è da stupirsi che parte del Paese inizi a manifestare insofferenza verso questo clima culturale e a volersi riconciliare con la propria storia, senza intenti necessariamente autoassolutori.
L’articolo che riporto nella foto riguardo al pilota suicida (quelli che l’occidente chiama kamikaze, ma che in Giappone sono tokkoutai, 特攻隊、le squadre speciali d’assalto), mi ha ricordato il manifesto elettorale del partito Sanseito, in cui due piloti «kamikaze» sono raffigurati abbracciati e con le lacrime agli occhi, un’immagine dei cosiddetti kamikaze diversa da quella che solitamente ci viene mostrata.
Passare una notte all’APA hotel è stata l’occasione per capire una volta di più che al popolo del Giappone, come a quelli d’Europa, è stato messo sulle spalle il giogo di un senso di colpa che impedisce loro di esistere in quanto tali, costringendoli ad abiurare sé stessi quotidianamente.
Adesso basta, noi facciamo il katsu che vogliamo.
Taro Negishi
Corrispondete di Renovatio 21 da Tokyo
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Immagine di Mr.ちゅらさん via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine tagliata
Geopolitica
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