Cina
Ha fatto peggio dei suoi predecessori, ma Xi Jinping otterrà il terzo mandato

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Il leader cinese ha aperto ieri il 20° Congresso del Partito comunista cinese. Rallentamento crescita economica, debito in crescita, disoccupazione giovanile e calo demografico: Xi offre molti slogan e poche ricette. La carta del nazionalismo (e Taiwan) per trovare un nuovo collante tra regime e società cinese.
Xi Jinping si avvia a ottenere un terzo, storico mandato al potere. Si eleverà rispetto ai suoi più recenti predecessori, anche se Hu Jintao e Jiang Zemin hanno fatto meglio di lui, almeno dal punto di vista economico, che è quello che interessa ai cinesi per accettare la leadership incontrastata del Partito comunista (PCC).
Il rapporto sul suo secondo quinquennio alla guida del Partito (e dello Stato), con cui ieri ha aperto il 20° Congresso del PCC, ha offerto molti slogan e poche ricette per i problemi che il Paese si trova ad affrontare. La riunione, che si chiuderà tra il 22 e il 23 ottobre, disegnerà una nuova geografia del potere in Cina, con Xi sempre al timone.
Il presidente cinese, e segretario generale del Partito, immagina per i prossimi cinque anni un’economia nazionale che offra opportunità e garantisca una equa distribuzione della ricchezza.
I dati del PIL di quest’anno saranno però poco entusiasmanti per il leader supremo e per la popolazione. La draconiana politica di azzeramento del COVID-19, insieme al giro di vite contro le grandi compagnie hi-tech e la crisi immobiliare non permetteranno il raggiungimento dell’obiettivo annuale di crescita economica del 5,5% (probabile un rallentamento intorno al 3%).
Se come enfatizzato in questi giorni, nei 10 anni di leadership di Xi la Cina ha raddoppiato la propria economia, nel decennio di Jiang Zemin (1993-2002) è più che triplicata, mentre durante il doppio mandato di Hu Jintao (2003-2012) è cresciuta di quasi sei volte. Come Xi, entrambi i leader hanno avuto a che fare con gravi crisi economiche: Jiang la crisi finanziaria in Asia del 1997-1998; Hu la crisi dei mutui USA del 2007-2008.
Poi ci sono i debiti accumulati nell’era Xi, soprattutto dalle amministrazioni provinciali. Secondo calcoli della Reuters, nei primi otto mesi del 2022 le 31 province del Paese hanno registrato un deficit complessivo di 6.740 miliardi di yuan (960 miliardi di euro).
L’azzeramento della povertà assoluta vantato da Xi nel 2021, a 100 anni dalla fondazione del PCC, era uno dei suoi obiettivi primari. Uno studio del South China Morning Post rivela però che lo scorso anno il 13% della popolazione cinese si trovava ancora in stato di bisogno.
Vi sono poi dubbi sulla veridicità delle statistiche ufficiali. Osservatori fanno notare che spesso i dirigenti locali falsificano i dati, facendo passare familiari e amici come poveri così che possano ottenere sussidi statali. Il premier Li Keqiang ha spesso accusato i leader provinciali di presentare un quadro irreale della situazione.
Xi parla con insistenza di «rinnovamento» nazionale, ma la disoccupazione giovanile viaggia in modo stabile sul 20%: un problema non solo per i tanti giovani laureati in cerca di lavoro, ma per chi dovrà andare in pensione nei prossimi anni.
Il mix tra frenata dell’economia e calo demografico obbliga Xi a trovare un nuovo collante tra Partito e società cinese. La carta nazionalista, con l’impresa della riconquista di Taiwan, potrebbe offrirgli una opportunità.
Rimane però un rischio, un terreno «inesplorato» per un regime che per decenni ha fatto affidamento sul volano economico per assicurarsi stabilità interna. Senza contare che il disordine geopolitico nato dall’invasione russa dell’Ucraina potrebbe presentare al «nuovo Mao Zedong» una sfida di non poco conto ai confini settentrionali (…).
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Immagine screenshot da YouTube
Cina
Cina, Bambini presi di mira da politiche antireligiose

L’estate del 2025 ha visto una nuova escalation nella sinizzazione delle religioni in Cina. I bambini sono diventati i bersagli preferiti del regime comunista, che organizza attività di propaganda mirate a scoraggiarli dall’aderire a qualsiasi religione che si discosti dai principi decretati dal Partito Comunista sotto l’onnipotente Xi Jinping.
In una preoccupante dimostrazione di propaganda orchestrata dallo Stato, il governo cinese sta ancora una volta rivolgendo il suo apparato ideologico verso i membri più vulnerabili della società: i bambini.
A Shanghai, più precisamente nel distretto di Baoshan, sono state organizzate attività estive per trasformare i giovani in «piccoli guardiani» della comunità, come rivelato dal sito web di notizie Bitter Winter, che si impegna a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla persecuzione della religione, cristiana o di altro tipo, in Cina.
Scoraggiati dall’essere motivati dalla curiosità o dalla compassione, questi bambini indottrinati sono armati di slogan e narrazioni volte a denigrare i cosiddetti gruppi religiosi «illegali», chiamati xie jiao, spesso tradotti come “sette malvagie”, ma che in realtà si riferiscono a organizzazioni religiose non riconosciute dallo Stato e non affiliate al Partito Comunista Cinese (PCC). A partire dall’inizio dell’estate del 2025, i bambini del distretto di Baoshab sono stati mobilitati per distribuire volantini contro gli xie jiao.
Sotto la maschera di concetti come «servizio alla comunità» o «alfabetizzazione scientifica», queste attività sono puro e semplice condizionamento ideologico. I bambini sono incoraggiati a recitare discorsi ostili agli xie jiao, distribuire opuscoli e mettere in scena sketch che demonizzano le minoranze religiose. L’obiettivo è chiaro: instillare fin dalla tenera età una lealtà incrollabile alla dottrina ufficiale di Xi Jinping e normalizzare la repressione di ogni espressione religiosa.
Ciò che colpisce è il tono celebrativo con cui viene presentata questa manipolazione. I contenuti digitali resi pubblici dall’Associazione Cinese Anti-Xie Jiao esaltano la «purezza» della forza dei bambini nel difendere la loro «patria armoniosa». Uno dei momenti più inquietanti della campagna di propaganda è stata l’organizzazione di un processo simulato in una reale aula di tribunale.
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Sotto la supervisione dei giudici, i bambini hanno assunto i ruoli di «giudici», «pubblici ministeri», «imputati» e «avvocati difensori», rievocando con agghiacciante realismo un caso penale in cui i membri degli xie jiao sono stati condannati a lunghe pene detentive.
Presentata come una lezione di alfabetizzazione giuridica, questa performance aveva uno scopo ben più sinistro: radicare nella mente dei bambini una visione di «moralità» definita dallo Stato ed equiparare il comportamento «illegale» all’espressione religiosa.
Gli xie jiao sono da tempo uno strumento utilizzato dalla Cina per delegittimare e criminalizzare i gruppi religiosi che si discostano dalla dottrina ufficiale del PCC. Dal Falun Gong al culto di Dio Onnipotente, fino alle chiese cristiane clandestine, questa etichetta ha giustificato programmi di sorveglianza, detenzione e rieducazione. Coinvolgendo i bambini in questa crociata, lo Stato non solo perpetua la sua repressione, ma ne garantisce anche la longevità.
Per inciso, è comico vedere uno Stato totalitario comunista ufficialmente ateo conferire un attestato di merito alle buone religioni che accettano di sottomettersi ai suoi criteri. Da quando ha stretto la morsa sull’apparato statale cinese, Xi Jinping ha intrapreso una feroce campagna di «sinizzazione» delle religioni che, con il pretesto di acculturare ogni forma di religiosità allo spirito cinese, in realtà si sforza di rendere le religioni sempre più subordinate al PCC e alla sua dottrina.
È in questo contesto di tensione che si pone il dilemma dell’accordo provvisorio firmato nel 2018 tra la Santa Sede e la Cina: uno sforzo per porre fine allo scisma delle consacrazioni episcopali avvenute senza mandato papale per alcuni, e una capitolazione di fronte alle richieste comuniste per altri.
Una questione scottante che, come molte altre, è ora sulla scrivania di Papa Leone XIV.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Cina
COVID, blogger cristiana cinese condannata ad altri quattro anni di carcere

🚨🇨🇳CHINA TO RELEASE JOURNALIST JAILED OVER COVID REPORTING
After spending four years behind bars for her reporting of the Covid outbreak and lockdowns in Wuhan, Zhang Zhan is set to be released today after completing her sentence. pic.twitter.com/3d5EPS4S6D — Kacee Allen (@KaceeRAllen) May 14, 2024
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Cina
Trump blocca l’accordo sulle armi con Taiwano

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha deciso di non approvare un pacchetto di armi destinato a Taiwan. Lo riporta il Washington Post, che cita cinque fonti informate.
Il giornale ha collegato questa scelta ai tentativi di Trump di negoziare un accordo commerciale con Pechino e al possibile incontro con il presidente cinese Xi Jinping, previsto a margine del vertice APEC in Corea del Sud il prossimo mese.
Il pacchetto di armi, valutato oltre 400 milioni di dollari, è stato descritto come «più letale» rispetto alle forniture precedenti. Secondo il WaPo, il team di Trump ritiene che Taiwan dovrebbe procurarsi autonomamente le proprie armi, in linea con l’approccio «transazionale» del presidente in politica estera. Un funzionario della Casa Bianca ha dichiarato al giornale che la decisione non è ancora definitiva.
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Pechino, che considera Taiwan parte integrante del suo territorio, si oppone fermamente a qualsiasi assistenza militare straniera a Taipei. Xi ha ribadito che la Cina punta a una riunificazione pacifica, ma non esclude l’uso della forza.
A dicembre, il ministero degli Esteri della Repubblica Popolare ha ammonito Taipei, avvertendo che «cercare l’indipendenza appoggiandosi agli Stati Uniti o con mezzi militari è una via verso l’autodistruzione».
Il ministero della Difesa di Formosa ha scelto di non commentare il rapporto, ma ha sottolineato che «Taiwan e Stati Uniti mantengono una stretta cooperazione in materia di sicurezza, con tutti i programmi di scambio che procedono regolarmente per rafforzare un sistema di difesa completo».
Negli ultimi anni, Washington ha autorizzato diverse vendite di armi a Taiwan, inclusa la fornitura di sistemi missilistici di difesa aerea NASAMS.
Ancora lo scorso dicembre il presidente della Cina comunista Xi Jinpingo ha dichiarato ancora una volta che la riunificazione con l’isola di Taiwano è un processo inarrestabile.
Come riportato da Renovatio 21, anche nel discorso di fine anno 2023 lo Xi aveva dichiarato che la riunificazione con Taipei è «inevitabile». Un anno fa, tuttavia, Xi non aveva fatto menzione della forza militare. Il mese prima, il governo cinese aveva epperò chiarito che una dichiarazione di indipendenza da parte di Taipei «significa guerra».
Sinora, lo status quo nella questione tra Pechino e Taipei è stato assicurato dal cosiddetto «scudo dei microchip» di cui gode Taiwan, ossia la deterrenza di questa produzione industriale rispetto agli appetiti cinesi, che ancora non hanno capito come replicare le capacità tecnologiche di Taipei.
La Cina, tuttavia, sta da tempo accelerando per arrivare all’autonomia tecnologica sui semiconduttori, così da dissolvere una volta per tutte lo scudo dei microchip taiwanese. La collaborazione tra Taiwan e UE riguardo ai microchip, nonostante la volontà espressa da Bruxelles, non è mai davvero decollata.
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Come riportato da Renovatio 21, il colosso del microchip TSMC ha dichiarato l’anno scorso che la produzione dei microchip si arresterebbe in caso di invasione cinese di Formosa.
I microchip taiwanesi sono un argomento centrale nella attuale tensione tra Washington e Pechino, che qualcuno sta definendo come una vera guerra economica mossa dall’amministrazione Biden contro il Dragone, che riprendono politiche della precedente amministrazione Trump.
Come riportato da Renovatio 21, durante il suo discorso per la celebrazione del centenario del Partito Comunista Cinese nel 2021 lo Xi, mostrandosi in un’inconfondibile camicia à la Mao, parlò della riunificazione con Taipei come fase di un «rinnovamento nazionale» e della prontezza della Cina a «schiacciare la testa» di chi proverà ad intimidirla.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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