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Geopolitica

Gli alleati dovranno morire per Kiev?

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

La popolazione ucraina è divisa: una parte appartiene alla cultura europea, l’altra a quella russa. Una specificità che offre a Washington un campo su cui scontrarsi con Mosca. Da qualche settimana risuonano i tamburi di guerra. Ma gli alleati non desiderano morire per Kiev, né sacrificarsi contro la Russia.

 

 

 

Le forze armate USA

I nemici degli anglosassoni:

 

1 – Il nemico storico: i russi. Li considerano persone spregevoli, destinate, dopo Ottone I (X secolo), alla schiavitù, come il nome stesso dell’etnia dice (la cui denominazione deriva dall’inglese slave, che significa anche schiavo). Nel XX secolo gli anglosassoni si opponevano all’URSS, prendendo a pretesto il comunismo, ora sono contro la Russia, senza conoscerne la ragione.

 

Che si sia indipendenti o infeudati all’«Impero americano», dobbiamo smettere di far finta di non vedere. Gli Stati Uniti d’America non hanno altro obiettivo che distruggere la cultura russa, le strutture statali arabe e – per finire – l’economia cinese. Ma tutto questo non ha assolutamente nulla a che vedere con la legittima difesa del popolo statunitense

2 – Secondo avversario, da loro stessi creato con la «guerra senza fine», scatenata dopo l’11 settembre 2001: le popolazioni del Medio Oriente Allargato, di cui distruggono sistematicamente le strutture statali – che siano alleati o avversari non fa differenza – per «rispedirle all’età della pietra» e sfruttare le ricchezze dei loro territori (strategia Rumsfeld/Cebrowski).

 

3 – Terzo avversario: la Cina, il cui sviluppo economico minaccia di relegarli in seconda posizione. Per loro non c’è che un’opzione: la guerra. Perlomeno è quanto pensano i politologi, che parlano persino di «trappola di Tucidide», in riferimento alla guerra che Sparta mosse ad Atene, spaventata dalla sua espansione (1).

 

4 – Seguono, benché a lunga distanza, le questioni dell’Iran e della Corea del Nord.

 

Questo quanto ribadiscono ripetutamente, da angolazioni diverse, la Strategia interinale della Sicurezza Nazionale di Joe Biden (2) e la Valutazione annuale dei rischi (3) della Intelligence Community.

 

Fare tre guerre contemporaneamente è estremamente difficile. Il Pentagono sta cercando di decidere le priorità. Il segreto più assoluto circonda la commissione incaricata della valutazione, che consegnerà il proprio rapporto a giugno. Nessuno sa da chi sia composta. Ma l’amministrazione Biden non aspetta e si focalizza sulla Russia.

 

Che si sia indipendenti o infeudati all’«Impero americano», dobbiamo smettere di far finta di non vedere. Gli Stati Uniti d’America non hanno altro obiettivo che distruggere la cultura russa, le strutture statali arabe e – per finire – l’economia cinese. Ma tutto questo non ha assolutamente nulla a che vedere con la legittima difesa del popolo statunitense.

 

Solo così si spiega che gli Stati Uniti spendano per le forze armate somme astronomiche, sproporzionate rispetto ai Paesi «amici» o «nemici». Secondo l’Institute for Strategic Studies di Londra, la spesa militare degli USA è almeno pari alla somma di quella degli altri 15 Stati meglio armati (4).

 

 

Le ragioni di scontro con la Russia

Gli Stati Uniti sono preoccupati per la ripresa della Russia. Dopo il brusco crollo dell’aspettativa di vita nel periodo 1988-1994 (cinque anni in meno), i russi hanno recuperato, superando ampiamente la durata media della vita dell’epoca sovietica (12 anni in più), sebbene la speranza di vivere in buona salute permanga una delle più flebili in Europa.

 

La spesa militare degli USA è almeno pari alla somma di quella degli altri 15 Stati meglio armati

L’economia russa si diversifica, in particolare in campo agricolo, ma continua a dipendere dalle esportazioni energetiche. Le forze armate russe sono rinnovate, il complesso militare-industriale è più performante di quello del Pentagono, si sono fatte un’esperienza in Siria.

 

Per Washington, la costruzione del gasdotto Nord Stream 2 minaccia di svincolare l’Europa occidentale dalla dipendenza dal petrolio USA, mentre l’annessione della Crimea alla Federazione di Russia, per non dire di quella del Donbass, sono un colpo, sebbene parziale, inflitto alla dipendenza dell’Ucraina dall’Impero americano (Crimea e Donbass non sono di cultura occidentale).

 

Per finire, la presenza militare dei russi in Siria frena il progetto di distruggere politicamente tutti i popoli della regione.

Gli Stati Uniti hanno una visione del mondo a breve termine, non percepiscono la responsabilità del retaggio delle loro azioni

 

 

«Quando si vuole affogare il cane, si dice che ha la rabbia»

È stato senza dubbio il presidente Biden ad aprire le ostilità, definendo «killer» il presidente russo. Mai prima d’ora le due potenze si erano insultate, nemmeno all’epoca del Gulag. Il presidente Putin gli ha risposto educatamente, proponendogli di discuterne in pubblico. Biden ha rifiutato.

 

Gli Stati Uniti hanno una visione del mondo a breve termine, non percepiscono la responsabilità del retaggio delle loro azioni. Secondo loro i russi cattivi: hanno ammassato oltre centomila uomini al confine con l’Ucraina e sono pronti a invaderla, come i sovietici fecero con Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia. Poco importa che allora non si trattasse della Russia, ma dell’URSS, e che non si trattasse della dottrina Putin, ma di quella Brežnev; per inciso, Leonid Brežnev non era russo, ma ucraino.

 

I russi hanno invece una visione del mondo a lungo termine. Secondo loro, con gli attentati dell’11 settembre 2001 i barbari statunitensi hanno compromesso l’equilibrio fra le potenze. Subito dopo, il 13 dicembre 2001, il presidente Bush annunciò il ritiro degli Stati Uniti dal Trattato antimissili balistici (ABM Treaty).

 

I russi hanno invece una visione del mondo a lungo termine. Secondo loro, con gli attentati dell’11 settembre 2001 i barbari statunitensi hanno compromesso l’equilibrio fra le potenze

Successivamente, gli Stati Uniti fecero entrare nella NATO, uno via l’altro, quasi tutti i Paesi membri del Patto di Varsavia e dell’URSS, violando l’impegno assunto al crollo di quest’ultima. Una politica confermata dalla Dichiarazione di Bucarest del 2008 (5).

 

Tutti conoscono la particolarità dell’Ucraina: a ovest la cultura occidentale, a est la cultura russa.

 

Per una quindicina d’anni, il Paese fu politicamente congelato; poi Washington organizzò una pseudo-rivoluzione e issò al potere le proprie marionette, in questo caso dei neonazisti (6).

 

Mosca reagì molto rapidamente per fare in modo che la Crimea proclamasse la propria indipendenza e venisse annessa alla Federazione di Russia, ma esitò con il Donbass. Da allora, passaporti russi vengono distribuiti agli abitanti della regione, per i quali Mosca è l’unica speranza.

 

Quando era senatore, il presidente Biden era noto per essere portavoce in senato delle soluzioni legislative studiate dal Pentagono. Diventato presidente, si è circondato di figure neoconservatrici

 

L’amministrazione Biden

Quando era senatore, il presidente Biden era noto per essere portavoce in senato delle soluzioni legislative studiate dal Pentagono. Diventato presidente, si è circondato di figure neoconservatrici.

 

Non lo ripeteremo mai abbastanza: i neoconservatori erano inizialmente militanti trotskisti reclutati dal presidente repubblicano Ronald Reagan. Da allora sono sempre stati al potere – salvo la parentesi del presidente jacksoniano Donald Trump – passando dal partito Repubblicano al partito Democratico e viceversa.

 

Durante la «rivoluzione colorata» del Maidan (2013-14), Biden, all’epoca vicepresidente, si schierò con i neonazisti, agenti della rete stay-behind della NATO (7). Diresse le operazioni con una delle assistenti del segretario di Stato, Victoria Nuland (il cui marito, Robert Kagan, è uno dei fondatori del Project for a New American Century, l’organo di raccolta fondi del repubblicano George W. Bush).

 

I neoconservatori erano inizialmente militanti trotskisti reclutati dal presidente repubblicano Ronald Reagan. Da allora sono sempre stati al potere – salvo la parentesi del presidente jacksoniano Donald Trump – passando dal partito Repubblicano al partito Democratico e viceversa

Il presidente Biden ha deciso di farne la vicaria del nuovo segretario di Stato. Durante la «rivoluzione», Nuland s’appoggiò all’allora ambasciatore a Kiev, Geoffrey Pyatt, oggi in servizio ad Atene.

 

Quanto al segretario di Stato del presidente Biden, Antony Blinken, è al tempo stesso giudice e parte in causa, essendo di origine ucraina da parte di madre. Benché allevato a Parigi dal secondo marito della madre (l’avvocato Samuel Pisar, consigliere del presidente Kennedy), Blinken aderisce alle idee neoconservatrici.

 

 

La preparazione dello scontro con la Russia

A metà marzo 2021, gli Stati Uniti hanno organizzato con i partner della NATO le manovre Defender-Europe 21, che si protrarranno fino a giugno. È la ripresa della mega-esercitazione Defender-Europe 20, ridimensionata e abbreviata a causa del COVID-19. Consiste in un gigantesco dispiegamento di uomini e mezzi per simulare uno scontro con la Russia. Le manovre sono accompagnate da un’esercitazione in Grecia di bombardieri nucleari, alla presenza del citato Geoffrey Pyatt.

 

A metà marzo 2021, gli Stati Uniti hanno organizzato con i partner della NATO le manovre Defender-Europe 21, che si protrarranno fino a giugno

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha pubblicato la nuova Strategia per la Sicurezza (8) il 25 marzo, tre settimane dopo che Biden aveva pubblicato quella degli Stati Uniti.

 

In risposta alla NATO, la Russia ha intrapreso manovre militari lungo la frontiera occidentale, compreso il confine con l’Ucraina, nonché inviato truppe supplementari in Crimea e perfino in Transnistria.

 

Il 1° aprile il segretario alla Difesa USA ha telefonato all’omologo ucraino per allertarlo sulla possibile intensificazione della tensione con la Russia (9). Il presidente Zelensky ha poi fatto una dichiarazione per assicurare che avrebbe sorvegliato le manovre russe suscettibili di essere provocazioni (10).

 

In risposta alla NATO, la Russia ha intrapreso manovre militari lungo la frontiera occidentale, compreso il confine con l’Ucraina, nonché inviato truppe supplementari in Crimea e perfino in Transnistria

Il 2 aprile il Regno Unito ha organizzato una riunione dei propri ministri della Difesa e degli Esteri con gli omologhi ucraini, sotto la responsabilità del ministro britannico Ben Wallace (11) (molto attivo durante il conflitto del Nagorno-Karabakh) (12).

 

Il 2 aprile il presidente Biden ha chiamato l’omologo ucraino per assicurargli il suo sostegno nel contrasto con la Russia. Secondo l’Atlantic Council, gli avrebbe annunciato la decisione di regalare all’Ucraina un centinaio di aerei da combattimento (F-5, F-16 e E-2C), attualmente dislocati nella base aerea di Davis-Monthan (13).

 

Il 4 aprile il presidente della Commissione delle Forze armate della Camera dei Rappresentanti, il democratico Adam Smith, ha negoziato con parlamentari ucraini importanti sovvenzioni all’esercito ucraino, in cambio dell’arruolamento contro il gasdotto Nord Stream 2 (14).

 

Il 5 aprile il presidente Zelensky si è recato in visita in Qatar, ufficialmente per implementare le relazioni commerciali. Il Qatar è il principale fornitore di armi agli jihadisti e, secondo nostre informazioni, con l’occasione è stata affrontata la questione di un eventuale finanziamento di combattenti. Faceva parte della spedizione il direttore generale della società di forniture militari Ukroboronprom, Yuri Gusev, che fornì armi a Daesh, su ordine del Qatar (15).

Avendo ricevuto carta bianca dal Qatar, la Turchia, Paese membro della NATO, ha immediatamente avviato il reclutamento di jihadisti internazionali in Siria per inviarli a combattere nel Donbass ucraino

 

Il 6 aprile la Lituania, che in passato protesse la parte occidentale dell’Ucraina all’epoca sotto la propria giurisdizione, si è informata sulla situazione militare (16).

 

Il 6 e 7 aprile 2021 il generale britannico sir Stuart Peach, presidente del Comitato militare della NATO, si è recato in Ucraina per definire le riforme necessarie per l’adesione alla NATO (17).

 

Il 9 aprile, conformemente alla Convenzione di Montreux, il Pentagono ha informato la Turchia dell’intenzione di far transitare navi da guerra negli stretti dei Dardanelli e del Bosforo.

 

Il 10 aprile il presidente turco Recep Tayyp Erdoğan ha ricevuto a Istanbul l’omologo ucraino Zelensky, nel quadro di regolari consultazioni fra le due nazioni (18).

 

Avendo ricevuto carta bianca dal Qatar, la Turchia, Paese membro della NATO, ha immediatamente avviato il reclutamento di jihadisti internazionali in Siria per inviarli a combattere nel Donbass ucraino. Sono stati inoltre inviati istruttori militari al porto ucraino di Mariupol, sede della Brigata Islamista Internazionale (19), creata dal presidente Erdoğan e dall’omologo ucraino dell’epoca, insieme ai tatari fedeli a Washington e opposti alla Russia.

Sono stati inoltre inviati istruttori militari al porto ucraino di Mariupol, sede della Brigata Islamista Internazionale, creata dal presidente Erdoğan e dall’omologo ucraino dell’epoca, insieme ai tatari fedeli a Washington e opposti alla Russia

 

La Federazione di Russia ha reagito in modo del tutto logico, ammassando truppe alla frontiera ucraina.

 

I partner dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) hanno interrogato la Russia sulle manovre, ricevendo solo risposte evasive. Il Documento di Vienna (1999) impegna i membri dell’OSCE a informarsi reciprocamente dei movimenti di truppe e di materiale bellico. Ma si sa che i russi non ragionano come gli Occidentali: non informano mai né la popolazione né i partner durante le operazioni, ma solo dopo che sono concluse.

 

Due giorni dopo, il G7 ha pubblicato una dichiarazione in cui manifestava preoccupazione per i movimenti della Russia, sorvolando però su quelli di NATO e Turchia. Si congratulava inoltre con l’Ucraina per l’autocontrollo e chiedeva alla Russia di «mettere fine alle provocazioni» (20).

 

Il 15 aprile il presidente Biden ha manifestato la propria visione del conflitto, espellendo dieci diplomatici russi. Ha adottato sanzioni contro la Russia, accusata non soltanto di aver truccato elezioni per far vincere il presidente Donald Trump, ma anche di aver offerto ricompense per l’assassinio di soldati USA in Afghanistan, nonché per aver attaccato i sistemi informatici federali attraverso un software di SolarWinds.

Il 13 aprile, in occasione della riunione dei ministri degli Esteri della NATO con la Commissione Ucraina/NATO, gli Stati Uniti hanno esposto il loro grande progetto. Tutti gli alleati – nessuno dei quali desideroso di morire affinché gli ucraini riescano a divorziare dalla Russia – sono stati invitati a recare sostegno a Kiev e a denunciare l’escalation della Russia (21). Il segretario di Stato Blinken si è a lungo intrattenuto con l’omologo ucraino, Dmytro Kouleba (22). Sembrava ci si stesse avviando inesorabilmente alla guerra.

 

Senonché la telefonata del presidente Biden all’omologo russo Putin ha improvvisamente disteso l’atmosfera. Gli ha proposto un incontro al vertice, benché, dopo averlo insultato, avesse sdegnosamente rifiutato la proposta di Putin di un dibattito pubblico (23). Dopo l’iniziativa di Biden, la guerra è apparsa evitabile.

 

Ciononostante, il 14 aprile Blinken ha convocato i principali alleati (Germania, Francia, Italia e Regno Unito) per mobilitarli (24).

 

Il 15 aprile il presidente Biden ha manifestato la propria visione del conflitto, espellendo dieci diplomatici russi (25). Ha adottato sanzioni contro la Russia, accusata non soltanto di aver truccato elezioni per far vincere il presidente Donald Trump, ma anche di aver offerto ricompense per l’assassinio di soldati USA in Afghanistan, nonché per aver attaccato i sistemi informatici federali attraverso un software di SolarWinds.

 

Com’era prevedibile, la Russia ha espulso un identico numero di diplomatici statunitensi. Ha inoltre teso una trappola a un diplomatico ucraino, fermandolo in flagrante reato di spionaggio: aveva ancora in mano documenti classificati segreto militare.

 

Proseguendo sulla propria strada, il presidente Zelensky ha incontrato gli omologhi francese e tedesco: il presidente Emmanuel Macron e la cancelliera Angela Merkel.

 

Alla fin fine, gli Stati Uniti e la Russia s’incontreranno e discuteranno: è prematuro morire per Kiev.

Pur deplorando l’escalation russa e riaffermando senza esitazioni il sostegno morale all’integrità territoriale dell’Ucraina, gli interlocutori sono stati evasivi sul prosieguo della vicenda.

 

Alla fin fine, gli Stati Uniti e la Russia s’incontreranno e discuteranno: è prematuro morire per Kiev.

 

 

Thierry Meyssan

 

 

NOTE

1) Destined for War: Can America and China Escape Thucydides’s Trap?, Graham Allison, Houghton Mifflin Harcourt (2017).

2) Interim National Security Guidance, White House, March 3, 2021. «La strategia di Sicurezza Nazionale del presidente Biden», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 6 aprile 2021.

3) Annual Threat Assessment of the US Intelligence Community, Director of National Intelligence, 9 aprile, 2021.

4) The Military Balance 2021, Institute for Strategic Studies, Routledge (2021).

5) «Déclaration du Sommet de l’Otan à Bucarest», NATO, 3 aprile 2008.

6) «Chi sono i nazisti nel governo ucraino?», di Thierry Meyssan, Traduzione Alessandro Lattanzio, Rete Voltaire, 4 marzo 2014.

7) Les Armées Secrètes de l’OTAN, Danièle Ganser, Ed. Demi-Lune (2003). Disponibile in episodi su Voltairenet.org, pubblicato in italiano con il titolo Gli eserciti segreti della NATO, Fazi Editore, 2005.

8) Decreto presidenziale 121/2021.

9) «Readout of Secretary of Defense Lloyd J. Austin III’s Call With Ukrainian Minister of Defence Andrii Taran», US Department of Defense, 2 aprile, 2021.

10) «Zelensky on Russian troops near border: Ukraine is ready for any provocations», Ukrinform, 2 aprile 2021.

11) «UK defense secretary initiates talks with Taran due to escalation in eastern Ukraine”, Ukrinform, 2 aprile 2021.

12) «Alto-Karabakh: la vittoria di Londra e Ankara, la disfatta di Soros e degli armeni», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 24 novembre 2020.

13) «U.S. Should Provide Lend-Lease Type of Aid Package for Ukraine to Help it Upgrade its Air Force – Atlantic Council», Defense Express, 7 aprile, 2021.

14) «Arakhamiya, Congressman Smith discuss expanding military support for Ukraine», Ukrinform, 5 marzo 2021.

15) «Ucraina e Qatar forniscono missili antierei allo Stato islamico», di Andrej Fomin, Traduzione Alessandro Lattanzio, Oriental Review (Russia) , Rete Voltaire, 23 novembre 2015.

16) «Ukrainian, Latvian defense ministers discuss security situation on Ukraine’s borders», Ukrinform, 7 aprile 2021.

17) «Visite du président du Comité militaire de l’OTAN en Ukraine», Otan, 6 aprile, 2021.

18) «La Turchia recluta jihadisti per mandarli in Ucraina», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 17 aprile 2021.

19) «L’Ukraine et la Turquie créent une Brigade internationale islamique contre la Russie», par Thierry Meyssan, Télévision nationale syrienne , Réseau Voltaire, 12 agosto 2015.

20) «Déclaration du G7 sur l’Ukraine», Réseau Voltaire, 12 aprile 2021.

21) «La Commission OTAN-Ukraine se penche sur l’état de la sécurité en Ukraine», Réseau Voltaire, 13 aprile 2021.

22) «Rencontre d’Antony Blinken et Dmytro Kouleba», Stati Uniti (Dipartimento di Stato) , Réseau Voltaire, 13 aprile  2021.

23)  «Conversation téléphonique entre Joe Biden et Vladimir Poutine», Stati Uniti (Casa Bianca), Réseau Voltaire, 13 aprile 2021.

[24] « Réunion des principaux alliés sur l’Ukraine », Stati Uniti (Dipartimento di Stato), Réseau Voltaire, 14 aprile 2021.

25) «Remarks on Russia», by Joseph R. Biden Jr., Voltaire Network, 15 aprile 2021.

 

 

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

Fonte: «Gli alleati dovranno morire per Kiev?», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 20 aprile 2021, 

 

 

 

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Geopolitica

Birmania, ancora scontri al confine, il ministro degli Esteri tailandese annulla la visita al confine

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Il primo ministro Sretta Thavisin ha rinunciato alla visita, ma ha annunciato la creazione di un comitato ad hoc per gestire la situazione. Nel fine settimana, infatti, si sono verificati ulteriori combattimenti lungo la frontiera tra Myanmar e Thailandia e migliaia di rifugiati continuano a spostarsi da una parte all’altra del confine. Per evitare una nuova umiliazione l’esercito birmano ha intensificato i bombardamenti.

 

Il primo ministro della Thailandia Sretta Thavisin questa mattina ha cancellato la visita che aveva in programma a Mae Sot, città al confine con il Myanmar, e ha invece mandato al suo posto il ministro degli Esteri e vicepremier Parnpree Bahidda Nukara.

 

Nei giorni scorsi era stata annunciata la creazione di «un comitato ad hoc per gestire la situazione derivante dai disordini in Myanmar», ha aggiunto il premier. «Sarà un meccanismo di monitoraggio e valutazione» che avrà come scopo quello di «analizzare la situazione complessiva» e «dare pareri e suggerimenti per gestire in modo efficace la situazione».

 

La Thailandia, dopo i ripetuti fallimenti da parte dell’ASEAN (Associazione delle nazioni del sud-est asiatico) di far rispettare l’accordo di pace in Myanmar, sta cercando di evitare che un esodo di rifugiati in fuga dalla guerra civile si riversi sui propri confini proponendosi come mediatore. «Il ruolo della Thailandia è quello di fare tutto il possibile per aiutare a risolvere il conflitto nel Paese vicino, e un ruolo simile è atteso anche dalla comunità internazionale», ha dichiarato ieri il segretario generale del primo ministro Prommin Lertsuridej.

 

Durante il fine settimana si sono verificati ulteriori scontri a Myawaddy (la città birmana dirimpettaia di Mae Sot), nello Stato Karen, tra le truppe dell’esercito golpista e le forze della resistenza, che hanno strappato il controllo della città ai soldati, grazie anche al cambio di bandiera della Border Guard Force, che, trasformatasi nell’Esercito di liberazione Karen (KLA), è passata a sostenere la resistenza e sta combattendo per la creazione di uno Stato Karen autonomo.

 

Giovedì scorso, l’Esercito di Liberazione Nazionale Karen (KNLA, una milizia etnica da non confondere con il KNA) aveva annunciato di aver intercettato l’ultimo gruppo di militari rimasto, il battaglione di fanteria 275. Alla notizia, l’esercito ha risposto con pesanti bombardamenti, lanciando l’Operazione Aung Zeya (dal nome del fondatore della dinastia Konbaung che regnò in Birmania nel XVIII secolo), nel tentativo di riconquistare Myawaddy ed evitare così un’altra umiliante sconfitta.

 

The Irrawaddy scrive che l’aviazione birmana ha sganciato nei pressi del Secondo ponte dell’amicizia (uno dei collegamenti tra Mae Sot e Myawaddy) circa 150 bombe, di cui almeno sette sono cadute vicino al confine thailandese dove sono di stanza le guardie di frontiera. Si tratta di una tattica a cui l’esercito birmano sta facendo ricorso sempre più frequentemente a causa delle sconfitte registrate sul campo a partire da ottobre, quando le milizie etniche e le Forze di Difesa del Popolo (PDF, che fanno capo al Governo di unità nazionale in esilio, composto dai deputati che appartenevano al precedente esecutivo, spodestato con il colpo di Stato militare) hanno lanciato un’offensiva congiunta. Una tattica realizzabile, però, solo grazie al continuo sostegno da parte della Russia. Fonti locali hanno infatti dichiarato che gli aerei e gli elicotteri «utilizzati per bombardare i villaggi e per consegnare rifornimenti e munizioni» a «circa 10 chilometri dal confine tra Thailandia e Myanmar» erano «tutti russi».

 

Bangkok è stata presa alla sprovvista dalla situazione. Sabato un proiettile vagante ha colpito il retro di una casa sulla parte thailandese del confine, senza ferire nessuno, ma l’episodio ha costretto il Paese a rafforzare le proprie difese di confine, aumentando i controlli su coloro che attraversano i due ponti che collegano Myawaddy e Mae Sot, al momento ancora aperti.

 

La polizia thai ha anche arrestato 15 birmani e due thailandesi che stavano cercando di fuggire in Malaysia in cerca di migliori opportunità di lavoro. Il gruppo ha raccontato di aver valicato il confine a Mae Sot grazie all’aiuto di intermediari. Viaggi di questo tipo rischiano di diventare sempre più frequenti con l’esacerbarsi della violenza in Myanmar, sostengono gli esperti, i quali si aspettano un prosieguo dei combattimenti, almeno finché non comincerà la stagione delle piogge, che ogni anno pone un freno agli scontri.

 

Ma la Thailandia ha anche inviato aiuti in Myanmar (sebbene tramite enti gestiti dai generali) e attivato una risposta umanitaria a Mae Sot. Il Governo di unità nazionale in esilio ha ringraziato Bangkok per aver fornito riparo e assistenza ai rifugiati, prevedendo tuttavia ulteriori sfollamenti. Almeno 3mila persone – perlopiù anziani e bambini – hanno varcato il confine solo nel fine settimana, ha dichiarato due giorni fa il ministro degli Esteri Parnpree Bahidda Nukara, ma circa 2mila sono tornati a Myawaddy lunedì.

 

Il mese scorso Parnpree aveva annunciato che il Paese avrebbe potuto ospitare fino a 10mila rifugiati birmani a Mae Sot e dintorni.

 

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Geopolitica

L’Iran minaccia ancora una volta di spazzare via Israele

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Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha minacciato Israele di annientamento se tentasse di attaccare nuovamente l’Iran.   Raisi è arrivato in Pakistan lunedì per una visita di tre giorni. Martedì ha parlato delle recenti tensioni tra Teheran e Gerusalemme Ovest in un evento nel Punjab.   «Se il regime sionista commette ancora una volta un errore e attacca la terra sacra dell’Iran, la situazione sarà diversa, e non è chiaro se rimarrà qualcosa di questo regime», ha detto Raisi all’agenzia di stampa statale IRNA.   Israele non ha mai riconosciuto ufficialmente un attacco aereo del 1° aprile sul consolato iraniano a Damasco, in Siria, che ha ucciso sette alti ufficiali della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC). Teheran ha tuttavia reagito il 13 aprile, lanciando decine di droni e missili contro diversi obiettivi in ​​Israele.   L’Iran si è scrollato di dosso una serie di esplosioni segnalate vicino alla città di Isfahan lo scorso venerdì, che si diceva fossero una risposta da parte di Israele. Lo Stato degli ebrei non ha riconosciuto l’attacco denunciato, pur criticando un ministro del governo che ne ha parlato a sproposito. Teheran ha scelto di ignorarlo piuttosto che attuare la rapida e severa rappresaglia promessa.   La Repubblica Islamica ha promesso in più occasioni di spazzare via, distruggere o annientare il «regime sionista», espressione con cui spesso chiama Israele.

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Martedì, parlando a Lahore, il Raisi ha promesso di continuare a «sostenere onorevolmente la resistenza palestinese», denunciando gli Stati Uniti e l’Occidente collettivo come «i più grandi violatori dei diritti umani», sottolineando il loro sostegno al «genocidio» israeliano a Gaza.   Nel suo viaggio diplomatico il Raisi ha promesso di incrementare il commercio iraniano con il Pakistan portandolo a 10 miliardi di dollari all’anno. Le relazioni tra i due vicini sono difficili da gennaio, quando Iran e Pakistan hanno scambiato attacchi aerei e droni mirati a “campi terroristici” nei rispettivi territori.   Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni Teheran ha dichiarato pubblicamente di sapere dove sono nascoste le atomiche israeliane. Nelle scorse settimane lo Stato Ebraico aveva dichiarato di essere pronto ad attaccare i siti nucleari iraniani.   Negli ultimi mesi l’Iran ha accusato Israele di aver fatto saltare i suoi gasdotti. Hacker legati ad Israele avrebbero rivendicato un ulteriore attacco informatico al sistema di distribuzione delle benzine in Iran.   Sei mesi fa l’Iran ha arrestato e giustiziato tre sospetti agenti del Mossad. All’ONU il ministro degli Esteri iraniano aveva dichiaato che gli USA «non saranno risparmiati» in caso di escalation.   Come riportato da Renovatio 21, anche da Israele a novembre 2023 erano partite minacce secondo le quali l’Iran potrebbe essere «cancellato dalla faccia della terra».

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Geopolitica

Fosse comuni negli ospedali di Gaza

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Il capo dei diritti delle Nazioni Unite Volker Turk ha dichiarato martedì di essere «inorridito» dalla distruzione delle strutture mediche di Nasser e Al-Shifa a Gaza da parte delle truppe israeliane e dalle notizie di fosse comuni scopertevi.

 

Le autorità palestinesi hanno riferito di aver trovato decine di corpi in fosse comuni presso l’ospedale Nasser di Khan Younis questa settimana, dopo che era stato abbandonato dall’IDF. Sono stati segnalati corpi anche nel sito di Al-Shifa a seguito di un’operazione delle forze speciali israeliane.

 

Secondo il servizio di emergenza civile di Gaza gestito da Hamas, citato dall’agenzia Reuters, finora sono stati trovati un totale di 310 corpi in una fossa comune presso l’ospedale Nasser, la principale struttura sanitaria nel sud di Gaza. Secondo quanto riferito, altre due fosse comuni sarebbero state identificate ma non ancora scavate.

 

«Sentiamo il bisogno di lanciare l’allarme perché chiaramente sono stati scoperti più corpi», ha detto Turk, rivolgendosi a un briefing delle Nazioni Unite tramite un portavoce.

 

«Alcuni di loro avevano le mani legate, il che ovviamente indica gravi violazioni del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale, e queste devono essere sottoposte a ulteriori indagini”, ha affermato il responsabile dei diritti umani delle Nazioni Unite.

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L’ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha detto che sta lavorando per corroborare i rapporti dei funzionari palestinesi, sostenendo che alcuni dei corpi erano sepolti sotto cumuli di rifiuti e includevano donne e anziani.

 

Israele afferma di essere stato costretto a combattere all’interno degli ospedali perché i militanti di Hamas usano le strutture come basi, un’affermazione che il personale medico e lo stesso gruppo militante negano. Il governo dello Stato Ebraico ha riferito che le sue forze hanno ucciso circa 200 militanti ad Al-Shifa e hanno evitato di danneggiare i civili.

 

Turk ha anche criticato gli attacchi israeliani su Gaza degli ultimi giorni, che secondo lui hanno ucciso soprattutto donne e bambini.

 

Il dirigente onusiano ha messo ancora una volta in guardia Israele da un’incursione su vasta scala nella città di Rafah, nel sud di Gaza, dove circa 1,4 milioni di sfollati palestinesi hanno cercato rifugio dall’inizio del conflitto Hamas-Israele. L’offensiva potrebbe portare a «ulteriori crimini atroci», ha avvertito il Turk.

 

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sostiene che Israele non può raggiungere il suo obiettivo di «vittoria totale» senza lanciare un’offensiva su Rafah.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Turko ha dichiarato il 18 marzo che «la portata delle continue restrizioni poste da Israele all’ingresso di aiuti a Gaza, insieme al modo in cui continua a condurre le ostilità, possono equivalere all’uso della fame come metodo di guerra, che è un crimine di guerra».

 

Il portavoce di Türk, Jeremy Laurence, ha sottolineato che «Israele, in quanto potenza occupante, ha l’obbligo di garantire la fornitura di cibo e assistenza medica alla popolazione in misura adeguata ai suoi bisogni e di facilitare il lavoro delle organizzazioni umanitarie per fornire tale assistenza».

 

Un mese fa l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani aveva affermato che gli insediamenti illegali di Israele in Cisgiordania sono aumentati a livelli record e rischiano di eliminare ogni possibilità pratica di uno Stato palestinese.

 

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Immagine di IDF Spokeperson’s Unit via Wikimedia pubblicata su licenza Pubblico Dominio CC0.

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