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Nucleare

È partita l’escalation verso la distruzione nucleare, ma pochi ne stanno parlando

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Le notizie arrivate questa settimana sono semplicemente spaventose, ma pochissime voci, nella politica e sui giornali, in Italia o nel resto dell’Occidente, sembrano essersi accorto di cosa sta succedendo: un’escalation verso la guerra atomica pare essere partita concretamente.

 

Di fatto la campagna contro il sistema di allerta precoce nucleare della Russia, che aveva colpito la settimana precedente la stazione «Lupi dello Zar» di Armavir con droni ucraini, sembra continuare. Lo riporta EIRN in una serie di articoli che dettagliano la situazione e le reazioni a livello internazionale.

 

A inizio settimana sono emerse notizie di un tentativo di attacco di droni contro un’altra stazione radar russa, questa nella regione di Orenburg, al confine con il Kazakistan, a circa 1.500 km a Est e a Nord della stazione di Armavir, che era stata danneggiata da un attacco di droni nella notte del 22 maggio.

 

Secondo topwar.ru, un sito di notizie militare filo-russo, un drone sarebbe caduto sul villaggio di Gorkovskoje, a circa 6 km a est della stazione radar.

 

Secondo Southfront.org, le immagini satellitari confermano l’assenza di danni all’installazione radar. L’Intelligence militare ucraina, la GUR, si sarebbe presa il merito di questo attacco a lungo raggio, che ha percorso una distanza record di 1.800 km, dicendo ai media ucraini attraverso una fonte anonima che era responsabile dell’attacco di Orenburg e dell’attacco di Armavir.

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Una fonte dell’Intelligence militare ha detto al Kyiv Independent che le conseguenze dell’attacco del 26 maggio devono ancora essere chiarite.

 

Secondo un articolo apparso sul Sunday Telegraph di Londra, lo sciopero di Armavir sta causando «allarme» in Occidente. Il Telegraph cita Mauro Gilli, ricercatore senior presso il Centro per gli studi sulla sicurezza dell’ETH di Zurigo, che ha affermato che l’attacco dei droni è stato un successo tattico perché costringerà la Russia a ridistribuire i sistemi di difesa aerea e ha anche messo a segno che nessun esercito russo il sito era intoccabile.

 

«Possiamo discutere sull’efficacia e sul merito, ma dal punto di vista strategico c’è una logica», ha affermato lo studioso.

 

Altri analisti occidentali, tuttavia, sono stati più titubanti e hanno affermato che l’Ucraina dovrebbe evitare di colpire le infrastrutture nucleari della Russia, continua il Telegraph. «Non è stata una decisione saggia da parte dell’Ucraina», ha dichiarato Hans Kristensen, direttore del Nuclear Information Project presso la Federation of American Scientists. «I bombardieri e i siti militari in generale sono diversi perché vengono utilizzati per attaccare l’Ucraina».

 

Thord Are Iversen, un analista militare norvegese, ha affermato che colpire una parte del sistema di allarme nucleare russo «non è stata una buona idea… soprattutto in tempi di tensione», perché «è nell’interesse di tutti che il sistema di allarme missilistico russo funzioni bene».

 

Tuttavia gli attacchi a questa componente dell’«ombrello nucleare» russo non si sono limitati al nuovo episodio di Orenburg.

 

Mercoledì mattina 29 maggio, c’è stato un secondo attacco di droni al sistema radar di allarme rapido di Armavir, nel territorio di Krasnodar in Russia. Lo ha dichiarato il governatore del territorio di Krasnodar, Veniamin Kondratyev, riportata oggi su Smotrim.ru, che è il sito della tv di stato russa.

 

Secondo quanto riferito, l’attacco non ha avuto successo, ma è seguito una settimana dopo l’attacco del 22 maggio ad Armavir che apparentemente ha prodotto alcuni danni al suo sistema radar critico.

 

Si tratta quindi della quarta provocazione di questo tipo contro la Russia segnalata da aprile: un sito radar avanzato a Kovylkino, nella Repubblica di Mordovia, è stato attaccato ad aprile; il 22 maggio è stato colpito il sistema Armavir; il 26 maggio è stato attaccato un altro sito radar a Orsk; e ora il sito di Armavir è stato nuovamente preso di mira il 29 maggio.

 

«I nostri militari questa mattina hanno fermato ancora una volta un tentativo del regime di Kiev di commettere un atto terroristico nel territorio di Krasnodar», ha scritto il governatore Kondratyev sul suo canale Telegram, spiegando che «le forze di difesa aerea hanno distrutto un UAV sopra Armavir».

 

Secondo le prime informazioni non ci sono state vittime né danni e gli specialisti stanno cercando il luogo in cui è caduto il drone.

 

Il sito locale di Krasnodar 93.ru riporta inoltre che l’attacco più recente nel territorio di Krasnodar avrebbe avuto luogo nella notte tra il 26 e il 27 maggio. «C’è stato un tentativo di attacco con droni alle strutture di Gelendzhik. Tutti i droni sono stati fermati dalla difesa aerea». Gelendzhik si trova a Krasnodar, ma dista circa 300 km da Armavir e non ospita un impianto radar. 93.ru ha anche sottolineato il successo dell’attacco ad Armavir del 22 maggio, citando i precedenti commenti del senatore russo Dmitrij Rogozin che si è domandato se l’Ucraina stesse diventando una canaglia.

 

La Russia non ha confermato o smentito ufficialmente i quattro recenti attacchi di droni ai suoi sistemi radar di allarme rapido, che sono vitali per rilevare attacchi di missili balistici intercontinentali in arrivo, né tanto meno ha attribuito la responsabilità di tali attacchi.

 

Nel frattempo è in atto un vivace sforzo da parte dei media occidentali per rafforzare la «narrativa» secondo cui è stata solo l’Ucraina a prendere le decisioni e a eseguire gli attacchi – e non un comando centrale della NATO.

 

Tuttavia, il presidente russo Vladimir Putin ha chiarito, nelle sue risposte durante una conferenza stampa all’aeroporto di Tashkent il 28 maggio, quale sia il punto di vista della Russia sulla responsabilità complessiva della NATO per i diversi tipi di attacchi contro la Russia, indicando, con qualche dettaglio tecnico, che «le armi di precisione a lungo raggio non possono essere usate senza la ricognizione spaziale».

 

I droni utilizzati contro i siti radar non sono missili a lungo raggio, tuttavia Putin ha affrontato anche la questione degli obiettivi: «la selezione finale del bersaglio e quella che è nota come missione di lancio possono essere effettuate solo da specialisti altamente qualificati che si affidano a questi dati di ricognizione, dati di ricognizione tecnica (…) Anche il lancio di altri sistemi, come ATACMS, ad esempio, si basa su dati di ricognizione spaziale».

 

L’allusione è, quindi, piuttosto diretta.

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A Putin è stata anche posta una domanda sulle notizie del «dispiegamento di istruttori mercenari francesi, che possono essere definiti militari, sul territorio dell’Ucraina. Cosa ne pensa e fino a che punto può arrivare?»

 

«Per quanto riguarda il fatto che possano esserci mercenari in Ucraina, lo sappiamo bene, non c’è nulla di nuovo in questo» ha risposto il presidente della Federazione Russa. «Il fatto che i militari in Ucraina ora dicano che loro [i francesi] potrebbero venire è perché sono lì da molto tempo (…) Ci sono degli specialisti lì sotto le spoglie di mercenari. C’era una domanda sulle armi di precisione a lungo raggio. E chi controlla e mantiene queste armi? Naturalmente gli stessi istruttori travestiti da mercenari».

 

Anche qualche sparuta voce americana si sta rivoltando verso l’abisso atomico che può aprirsi con questa scellerata decisione.

 

In un’intervista con Sputnik pubblicata il 31 maggio, l’ex analista del Pentagono e tenente colonnello dell’aeronautica americana in pensione Karen Kwiatkowski ha avvertito che la Russia potrebbe vedere gli attacchi a lungo raggio dell’Ucraina all’interno della Russia come un precursore di un attacco nucleare della NATO.

 

«Il grosso problema è che i droni di Kiev hanno attaccato i sistemi di allarme rapido russi progettati come parte della loro difesa nucleare» ha detto il militare statunitense. «Non credo che li abbiano danneggiati, ma questo è stato fatto. Se contro questi obiettivi vengono usate armi americane, armi più pesanti, ciò non può fare a meno di essere visto dalla Russia come un precursore di un primo attacco: un primo attacco nucleare. Quando colpisci i radar di difesa nucleare di qualcuno, i suoi “occhi”, i suoi sistemi di difesa, nella normale strategia di guerra, stai preparando un campo di battaglia. Quindi non so se i consiglieri di Biden a Washington ne abbiano davvero la consapevolezza, perché non ci sono militari lassù che ne parlano con Biden, ma è una situazione molto pericolosa».

 

Biden, nel consentire all’Ucraina di usare le armi statunitensi negli attacchi contro la Russia, «sta rispondendo e seguendo un programma neoconservatore, che è un programma che vuole la guerra», ha affermato Kwiatkowski. Se la Russia percepisce gli attacchi a lungo raggio all’interno del suo territorio come un precursore di un primo attacco nucleare, «tutte le scommesse sono fuori dal tavolo» per quanto riguarda il presunto tentativo di mantenere il controllo sulla situazione in Ucraina.

 

«Questa è una guerra nucleare» ha sottolineato il militare USA. Se [i consiglieri di Biden] cercano di ingannare il sistema e dicono “oh, no, possiamo farlo e non avvierà l’uso della dottrina di difesa nucleare strategica da parte della Russia”, non so come spiegarlo. È scioccante e spaventoso», ha sottolineato Kwiatkowski.

 

«Penso che sia già chiaro che gli Stati Uniti stanno combattendo la Russia attraverso l’Ucraina. Se diventa nucleare, il mondo intero diventa un obiettivo legittimo».

 

Nel tardo pomeriggio del 29 maggio, Robert F. Kennedy, Jr. ha pubblicato il seguente commento su X: «L’escalation in Ucraina sta andando fuori controllo. L’Ucraina cerca di eliminare i sistemi di allerta precoce della Russia, aumentando il rischio di errori catastrofici».

 


«Mio zio [John Fitzgerald Kennedy, ndr] installò delle hotline alla Casa Bianca e nel complesso Kennedy a Hyannisport in modo da poter prendere il telefono e parlare direttamente con Krusciov per evitare guerre accidentali. Biden sta facendo il contrario. Non c’è modo di parlare con Putin e di distruggere il sistema di allarme rapido. Qual è il motivo, qual è la scusa per non parlare con Putin? È peggio di Breznev? Krusciov? [sic] Stalin?»

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Nei media occidentali sta lentamente crescendo la copertura degli attacchi dei droni ucraini sui radar oltre l’orizzonte della Russia, ma gran parte di essi mantiene la linea secondo cui l’Ucraina probabilmente lo ha fatto da sola. Ad esempio, Newsweek ha pubblicato un articolo del 28 maggio del suo corrispondente diplomatico David Brennan con il titolo «La mappa mostra i successi record dell’Ucraina sui siti di allarme nucleare russi». Nel pezzo si afferma che «la rete radar di allarme rapido dei missili balistici nucleari della Russia è emersa come un obiettivo chiave degli attacchi ucraini a lungo raggio, con tre strutture che sono state attaccate dai droni di Kiev negli ultimi due mesi». L’articolo, va notato, era stato scritto prima del quarto attacco avvenuto il 29 maggio.

 

La pubblicazione dell’articolo sul sito Newsweek è punteggiata da un video di un minuto, completo di musica drammatica e ad alta tensione, intitolato: «l’Ucraina potrebbe aver appena attraversato La linea rossa nucleare di Putin».

 

Un articolo dell’Asia Times del 29 maggio è stato più sobrio riguardo al pericolo di una guerra nucleare, riferendo che gli attacchi rappresentano «una significativa escalation che potrebbe innescare ritorsioni russe sui fornitori della NATO o addirittura una risposta nucleare da parte della Russia. Il nocciolo dell’angoscia russa nei confronti dell’Ucraina è che il Paese diventerebbe una base NATO per missili nucleari (…) Non è chiaro se l’attacco sia stato interamente su iniziativa dell’Ucraina o se siano stati coinvolti i partner NATO dell’Ucraina». L’articolo ammette che la distanza dal sito di Armavir «è ben oltre le capacità di sorveglianza dell’Ucraina».

 

Perfino qualche quotidiano mainstream è arrivato a sollevare qualche dubbio sull’opportunità di colpire il nervo atomico della superpotenza russa.

 

Sotto il titolo pubblicato il 29 maggio, «Gli USA preoccupati per gli attacchi dell’Ucraina alle stazioni radar nucleari russe», il Washington Post ha raccontato almeno in parte la storia delle implicazioni del fatto che l’Ucraina abbia preso di mira il sistema di allarme rapido della Russia. Il WaPo riporta che «Washington ha comunicato a Kiev che gli attacchi ai sistemi di allarme rapido russi potrebbero essere destabilizzanti». Ciò può essere visto alla stessa luce degli «avvertimenti» degli Stati Uniti a Israele affinché porti a termine il suo genocidio in modo più umano.

 

«Gli Stati Uniti temono che i recenti attacchi di droni ucraini contro i sistemi di allarme nucleare russo potrebbero pericolosamente turbare Mosca in un momento in cui l’amministrazione Biden sta valutando se eliminare le restrizioni per l’Ucraina nell’utilizzare armi fornite dagli Stati Uniti in attacchi transfrontalieri» scrive Ellen Nakashima, una delle principali reporter del Post su questioni strategiche.

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L’articolo cita un anonimo «ufficiale USA» che afferma che questi siti non sono stati coinvolti nel sostegno alla guerra della Russia contro l’Ucraina. Ma sono luoghi sensibili, perché la Russia potrebbe percepire che le sue capacità deterrenti strategiche vengono prese di mira, il che potrebbe minare la capacità della Russia di mantenere la deterrenza nucleare contro gli Stati Uniti».

 

Il pezzo nomina inoltre Dmitri Alperovitch, fondatore di CrowdStrike, secondo cui «gli attacchi di Kiev alle infrastrutture di deterrenza nucleare russa hanno il potenziale per innescare una pericolosa escalation con l’Occidente. Alla fine dei conti, i siti di comando e controllo nucleare e di allarme rapido dovrebbero essere off-limits».

 

Il Washington Post riferisce che Blinken e altri funzionari, compresi funzionari della NATO, hanno consigliato a Biden di consentire all’Ucraina di utilizzare armi statunitensi per colpire obiettivi nel profondo della Russia, cosa che Biden sta “considerando”.

 

Il noto esperto di armi nucleari, il dottor Theodore Postol, valuta il grande pericolo del primo, e ora del secondo attacco ai radar di allerta precoce della Russia, prima ad Armavir e ora a Orsk.

 

Il suo messaggio, citato su Twitter da Mats Nilsson, include due grafici («Tempi di allarme rapido del radar russo» e «Tempo stimato necessario per effettuare operazioni di lancio di armi nucleari di base») riguardo al tempo potenzialmente ridotto a disposizione della Russia per decidere se reagire a una minaccia nucleare.

 


«Gli ucraini hanno ora attaccato un secondo radar strategico di allarme rapido nucleare russo critico a Orsk» avverte Postol. «Questo radar guarda verso l’Oceano Indiano e ha qualche sovrapposizione con i radar del radar già danneggiato di Armavir. I primi indicatori indicano che l’entità dei danni subiti dall’Orsk è probabilmente limitata, ma non si può escludere che il radar non funzioni per il momento a causa dell’attacco».

 

«Questa è una situazione molto seria. A differenza degli Stati Uniti, i russi non dispongono di sistemi di allarme satellitare spaziali in grado di rilevare attacchi di missili balistici a livello globale. Ciò significa che la copertura radar persa a causa degli attacchi a questi radar riduce notevolmente il tempo di preavviso contro gli attacchi a Mosca dal Mediterraneo e dall’Oceano Indiano».

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«I russi hanno un radar operativo a Mosca in grado di vedere le testate in arrivo, ma inizierebbero a vedere le testate sopra l’orizzonte solo poco prima dell’impatto» continua Postol. «Le mie stime (basate su analisi reali, non su stronzate) è che l’orario del radar mattutino è stato ridotto da circa 15-16 minuti a circa 10-11. Questo periodo di preavviso potrebbe molto probabilmente eliminare la possibilità di qualsiasi tempo di deliberazione da parte dei leader russi nel caso in cui si trovassero a dover decidere se lanciare o meno le forze nucleari strategiche russe in risposta a un attacco nucleare su Mosca. La leadership politica russa a Mosca non avrebbe quasi il tempo di valutare la situazione se credesse che sia in corso un possibile attacco da sud».

 

«L’estrema pressione temporale sulla leadership russa potrebbe quindi aumentare significativamente le possibilità di un catastrofico incidente nucleare. Il fatto che Blinken e la sua squadra di sicurezza nazionale abbiano dato il via libera al governo ucraino per attaccare siti russi fuori dall’Ucraina, significa che Blinken ha incautamente detto agli ucraini che possono impegnarsi in tali atti che avrebbero conseguenze potenzialmente catastrofiche per gli Stati Uniti e per l’intero pianeta».

 

«Se Blinken non è consapevole del pericolo rappresentato da questi attacchi, è così incompetente che dovrebbe essere rimosso insieme a tutta la sua squadra da qualsiasi posizione di autorità. Se lui è a conoscenza di questo pericolo, dovreste essere allontanati anche voi insieme a tutta la sua squadra di sicurezza nazionale. Ho una vasta esperienza personale con persone alla Casa Bianca che mi indica che è del tutto possibile che Blinken e il suo team non siano consapevoli dei pericoli che stanno consapevolmente permettendo che si verifichino».

 

«Non spenderò qui il tempo descrivendo le mie esperienze e osservazioni personali, ma posso farlo in qualsiasi momento e con qualsiasi preavviso. Non è da escludere che la Casa Bianca sia del tutto ignara del pericolo (…) Non sottolineerò mai abbastanza quanto sia spaventoso e pericoloso questo sviluppo, almeno per me, che penso possa vantare una conoscenza piuttosto dettagliata dei sistemi di attacco nucleare sia della Russia che degli Stati Uniti».

 

La questione degli attacchi nucleari della NATO sul territorio russo è stata sollevata da Vladimir Kulishov, primo vicedirettore del Servizio federale di sicurezza russo (FSB), che è anche a capo del Servizio di guardia di frontiera del Paese. Kulishov ha dichiarato all’agenzia di Stato russa RIA Novosti che «le operazioni di intelligence della NATO vicino al confine russo sono in aumento. Le forze dell’Alleanza stanno intensificando l’addestramento militare, in cui elaborano scenari militari contro la Federazione Russa, compresi attacchi nucleari sul nostro territorio».

 

Va ricordato che le condizioni alle quali la Russia potrebbe utilizzare armi nucleari sono enunciate nei «Principi fondamentali della politica statale della Federazione Russa sulla deterrenza nucleare», un ordine esecutivo firmato dal presidente Vladimir Putin il 2 giugno 2020 e in vigore ancora oggi.

 

La III sezione del documento, intitolata «Condizioni per il passaggio della Federazione Russa all’uso delle armi nucleari» elenca le seguenti condizioni al punto 19:

 

«A) arrivo di dati attendibili sul lancio di missili balistici contro il territorio della Federazione Russa e/o dei suoi alleati; B) uso di armi nucleari o altri tipi di armi di distruzione di massa da parte di un avversario contro la Federazione Russa e/o i suoi alleati; C) attacco da parte di un avversario contro siti governativi o militari critici della Federazione Russa, la cui interruzione comprometterebbe le azioni di risposta delle forze nucleari; D) aggressione contro la Federazione Russa con l’uso di armi convenzionali quando è in pericolo l’esistenza stessa dello Stato».

 

Gli attacchi alle stazioni radar strategiche russe potrebbero essere considerati rientranti nel punto C), poiché questi attacchi possono causare interruzioni «che minerebbero le azioni di risposta delle forze nucleari».

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Va rammentato, inoltre, come anche nei discorsi degli strateghi russi sia apparsa, negli scorsi mesi, l’idea di attaccare per primi utilizzando armi atomiche.

 

Come riportato da Renovatio 21, il noto esperto di relazioni internazionali russo Sergej Karaganov ha scritto interventi molto discussi dove ha parlato apertis verbis della revisione della strategia militare atomica di Mosca, arrivando a ipotizzare la nuclearizzazione di una città europea in risposta al sostegno della guerra ucraina.

 

Siamo arrivati al punto più prossimo allo sterminio atomico. Mai nella storia, nemmeno nei momenti più caldi della guerra fredda, eravamo giunti così vicino all’abisso pantoclastico, alla prospettiva della distruzione massiva dell’umanità.

 

Ora, se non vi è ancora una risposta tremenda da parte di Mosca è perché vi sono a novembre le elezioni che potrebbero, come preannunziato da uno dei due candidati, far finire la guerra in 24 ore.

 

Tuttavia, c’è da pensare come potranno mai le elezioni 2024 essere meno truccate di quelle del 2020, che servirono a piazzare alla Casa Bianca un burattino in demenza senile, probabilmente solo perché serviva per fare la guerra finale contro la Russia, come da desiderio profondo dei neocon, come da comandamento della cabala mondialista, che vede in Mosca l’ultimo pezzo di sovranità nazionale (e famigliare, tradizionale sessuale, etc.) che va liquidata per installare la tecnocrazia mondialista.

 

Qualora l’elezione di Trump dovesse fallire, ripetiamo che l’unica via di uscita, l’unica speranza per il pianeta, sarebbe lo scoppio di una Seconda Guerra Civile americana.

 

Se non sarà già troppo tardi per salvare gli esseri umani dal diluvio atomico, una pioggia di fuoco dopo la quale, ha detto Nostra Signora ad Akita, «i vivi invidieranno i morti».

 

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Nucleare

Parlamentare tedesco democristiano gay chiede l’accesso alle armi nucleari di Francia e Gran Bretagna

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La Germania dovrebbe avere accesso alle armi nucleari francesi e britanniche, ha affermato il parlamentare democristiano Jens Spahn. In cambio, Berlino potrebbe collaborare con Parigi e Londra per modernizzare i propri arsenali, ha dichiarato al quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung.   Lo Spahn, un gay dichiarato, che guida il gruppo parlamentare congiunto CDU/CSU e si ricorda per il pugno di ferro contro i non vaccinati durante la pandemia, si è distinto come un convinto sostenitore di un sistema di armi nucleari a livello UE.   «Noi… abbiamo bisogno di una capacità di deterrenza a livello europeo… insieme a francesi e britannici», ha affermato in un’intervista pubblicata sabato, sostenendo che le armi nucleari statunitensi in Europa non sono più sufficienti.

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Il parlamentare, ex ministro federale della Salute, ha affermato che il dibattito sulla questione «avrà luogo solo se la Germania lo porterà avanti». Ha suggerito che Londra e Parigi potrebbero mantenere il controllo maggiore sui loro arsenali nucleari, mentre Berlino potrebbe partecipare a un programma di modernizzazione.   A luglio, lo Spahn aveva parlato della necessità di «discutere dell’accesso tedesco o europeo agli arsenali nucleari di Francia e Gran Bretagna» alla luce di quella che ha definito la «minaccia» proveniente dalla Russia. Le nazioni prive di deterrenza nucleare «diventeranno pedine nella politica globale», ha sostenuto.   Il capo del blocco democristiano CDU/CSU al Bundestag, aveva inoltre sostenuto che le armi nucleari statunitensi basate in Germania non sono più sufficienti a scoraggiare la presunta minaccia russa.   Il direttore generale dell’AIEA, Rafael Grossi, ha avvertito che Berlino potrebbe sviluppare la propria bomba nucleare nel giro di pochi mesi, se lo desiderasse.   Le dichiarazioni di Spahn giungono in un momento in cui Berlino ha assunto una posizione più dura nei confronti della Russia sotto la guida del cancelliere Friedrich Merz, che ha promesso ulteriori 5 miliardi di euro in aiuti militari all’Ucraina dopo il suo insediamento a maggio.   Il mese scorso ha affermato il cancelliere democristiano che la Germania era «già in conflitto» con la Russia e ha accusato il presidente Vladimir Putin di «destabilizzare gran parte del nostro Paese».

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Come riportato da Renovatio 21, il Merz ha promesso, appena eletto, di escludere le armi atomiche, ma non è facile credergli. Credere ad un cancelliere tedesco, in una Germania che ripudia le centrali atomiche ma invoca le bombe atomiche, potrebbe essere difficilissimo.
A luglio il direttore generale dell’ente atomico ONU AIEA, Rafael Grossi, in un’intervista al quotidiano polacco Reczpospolita aveva dichiarato che la Germania potrebbe sviluppare le proprie armi nucleari entro pochi mesi.   Come riportato da Renovatio 21, l’eurodeputata SPD Katarina Barley aveva ipotizzato mesi fa il riarmo atomico dell’Europa – e quindi per una Germania rimilitarizzata, un concetto che si dice fosse uno dei motivi della creazione della NATO («Tenere l’Europa dentro, i russi fuori, i tedeschi sotto») e un vero incubo per lo statista italiano Giulio Andreotti («la Germania mi piace così tanto che ne voglio due»).  

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Immagine di Olaf Kosinsky via Wikimedia pubblicata su licenza CC BY-SA 3.0-de
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Cina

«Inarrestabile»: Xi svela la triade nucleare in una parata militare che sfida l’Occidente. A suo fianco Putin e Kim

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La grande parata militare del leader cinese Xi Jinping in piazza Tian’anmen, che ha segnato la fine della Seconda Guerra Mondiale e a cui hanno partecipato leader mondiali, in particolare i cosiddetti «paria» delle attuali relazioni internazionali, il presidente russo Vladimir Putin e il nordcoreano Kim Jong-un, non ha deluso le aspettative, anzi ha suscitato una rapida risposta da parte del presidente Trump.

 

Il leader cinese Xi Jinping ha dichiarato che l’ascesa della Cina è «inarrestabile» e ha mostrato oltre 10.000 soldati in marcia in perfetta sincronia insieme a centinaia di armi avanzate.

 

In particolare, Xi ha anche mostrato per la prima volta la forza nucleare terrestre, marittima e aerea dell’Esercito Popolare di Liberazione – una triade completa e letale.

 

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La parata è stata un’occasione per mostrare al mondo che la modernizzazione del più grande esercito permanente al mondo è in pieno svolgimento e per evidenziare i legami sempre più stretti – forse persino una «relazione speciale» – tra la Cina e le altre potenze nucleari, Russia e Corea del Nord.

 

Nel suo discorso inaugurale, Xi Jinping ha dichiarato: «L’umanità si trova nuovamente a un bivio, dovendo scegliere tra pace o guerra, dialogo o conflitto, cooperazione vantaggiosa per tutti o giochi a somma zero».

 

Riguardo alla triade nucleare completa, questa comprende il missile a lungo raggio lanciato da aerei JingLei-1, il missile intercontinentale lanciato da sottomarini JuLang-3, il missile balistico intercontinentale terrestre DongFeng-61 e una nuova variante del missile balistico intercontinentale terrestre DongFeng-31, come riportato da Xinhua News.

 

La Cina ha potenziato il suo arsenale nucleare, svelando nuove capacità, tra cui missili balistici intercontinentali di ultima generazione come il DF-5C, il DF-61 e il JL-3, quest’ultimo lanciato da sottomarini.

 

Questo completa la triade nucleare cinese, con missili nucleari dispiegabili da aria, terra e mare, rafforzando la capacità di un secondo attacco. In particolare, il JL-3 può colpire il territorio continentale degli Stati Uniti, consentendo a Pechino di minacciare obiettivi strategici in un eventuale conflitto.

 

 

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I media statali cinesi hanno definito queste armi come il «jolly» strategico della Cina, evidenziandone il ruolo cruciale nella protezione della sovranità, della sicurezza e dell’orgoglio nazionale, nonché come elemento centrale della strategia di deterrenza del Paese.

 

Durante la parata sono stati mostrati sistemi laser per la difesa aerea, tra cui un grande laser che, secondo la televisione di stato, sarà utilizzato su navi da guerra, insieme a una versione terrestre. Sono stati presentati inoltre per la prima volta due grandi droni sottomarini, le cui immagini hanno rivelato dimensioni impressionanti rispetto ai soldati nelle vicinanze.

 

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L’arrivo di Kim Jong Un a Pechino ha rivelato la presenza di due membri della sua famiglia: la sorella Kim Yo-jong, una delle sue più fidate consigliere, e una giovane ragazza, presumibilmente la figlia Kim Ju Ae, la cui partecipazione ha suscitato speculazioni su una possibile futura successione.

 

Gli eventi di mercoledì hanno offerto l’inedita immagine di tre leader, definiti dalla stampa occidentale mainstream come «l’asse del rivolgimento», intenti a supervisionare l’esibizione di armamenti nucleari.

 

Il missile balistico intercontinentale DF-5C, composto da tre sezioni trasportate su tre veicoli, può portare fino a 12 testate nucleari e ha una portata di 13.000-20.000 km, sufficiente per colpire qualsiasi bersaglio globale.

 

Riguardo alle relazioni tra Stati Uniti e Cina, la tempistica di questi eventi è significativa, poiché la Casa Bianca ha recentemente annunciato che il presidente Trump potrebbe visitare la regione entro fine ottobre ed è disponibile a incontrare Xi Jinping. Tra i temi principali ci sono un possibile accordo sui dazi, la potenziale vendita di TikTok negli Stati Uniti e l’influenza di Pechino su Putin per quanto riguarda il futuro della guerra in Ucraina, in particolare la possibilità di un cessate il fuoco o di una risoluzione più ampia.

 

In un momento della parata cinese, Xi e Putin hanno discusso di come i trapianti di organi e altri progressi scientifici potrebbero permettere alle persone di vivere fino a 150 anni in questo secolo.

 

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«Pace attraverso la forza» sembra essere il messaggio di Xi in questa parata, per usare un’espressione che in realtà è usata da tempo dai leader americani. In piazza Tian’anmen, nel frattempo, sono sfilati missili ipersonici anti-nave, un chiaro messaggio in direzione di Taiwan, dove incrociano sempre, nelle cicliche provocazioni, portaerei e navi da guerra USA.

 


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Riguardo a Kim Jong Un, è evidente che si è fortemente allineato con la Russia nel conflitto in Ucraina, inviando oltre 10.000 soldati nordcoreani a sostegno dello sforzo bellico – con circa 2.000 di loro rimpatriati da cadaveri– evidenziando un’alleanza sempre più stretta tra Mosca e Pyongyang. Xi Jinping, invece, non si è impegnato a tal punto in questa alleanza e probabilmente non desidera farne parte.

Il presidente americano Donaldo J. Trump non ha potuto trattenersi dal commentare le immagini provocatorie.

 

«Vi prego di porgere i miei più cordiali saluti a Vladimir Putin e Kim Jong-un, mentre cospirate contro gli Stati Uniti d’America» ha scritto il presidente americano.

 

 

Trump ha anche sottolineato la sconfitta americana del Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale, che alla fine ha garantito una pace duratura alla Cina. No, Xi non ha elogiato gli Stati Uniti per questo, ma si è schierato orgogliosamente al fianco dei suoi alleati sanzionati dagli Stati Uniti…

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

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Nucleare

Taiwan alle urne sul nucleare (e la sua sicurezza energetica)

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Nel referendum del 23 agosto voluto dall’opposizione si chiede la riattivazione del reattore di Maanshan, l’ultimo del Paese spento a maggio dopo 40 anni di attività. Dopo Fukushima il fronte ambientalista ha ottenuto il progressivo azzeramento. Ma i timori di un blocco di Pechino all’approvvigionamento di gas naturale oggi stanno riaprendo la questione. Mentre la Cina ha ben 33 impianti in costruzione.   I cittadini di Taiwan si apprestano ad essere chiamati alle urne sabato 23 agosto per un referendum sul tema molto caldo dell’energia nucleare. Dal maggio scorso – allo scadere dei quarant’anni di attività – sull’isola è stato fermato anche l’ultimo reattore nucleare attivo, quello della centrale di Maanshan, realizzando così quella che da anni è stata una promessa del Democratic Progressive Party (DPP), il partito del presidente Lai Ching-te.   Proprio ad annullare questa scelta – prolungando di altri 20 anni la vita della centrale di Maanshan – mira la consultazione, che è stata promossa dal Taiwan People’s Party con il sostegno del Kuomintang, la principale forza di opposizione che oggi è anche quella politicamente più vicina a Pechino.

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Secondo la legge di Taiwan ogni proposta referendaria è da ritenere approvata solo se i «sì» vinceranno sui «no» raccogliendo almeno un quarto dei consensi degli avanti diritto al voto. In pratica occorrono almeno 5 milioni di voti favorevoli, un traguardo non impossibile considerando i voti raccolti dal Kuomintang e dal Taiwan People’s Party nelle elezioni del gennaio 2024.   Da quando imboccò la strada del nucleare negli anni Settanta, sono stati complessivamente tre le centrali operative a Taiwan: quella di Chinshan, situata nel distretto di Shimen a New Taipei, quella di Kuosheng, situata nel distretto di Wanli a New Taipei e – appunto – quella di Maanshan che si trova a Hengchun, nella contea di Pingtung. Nel 1985, quando tutti e tre gli impianti erano in funzione a pieno regime, l’energia nucleare rappresentava addirittura il 52,4% della produzione di elettricità dell’isola.   Col tempo – però – questa quota è diminuita, a causa della crescente opposizione al nucleare e di un cambio nella politica energetica a favore delle importazioni di gas naturale, oggi la maggiore fonte dell’isola. Già nel 2002, durante l’amministrazione del presidente Chen Shui-bian del DPP, era stato fissato l’obiettivo di creare una «patria senza nucleare». La spinta era poi ulteriormente cresciuta dopo il disastro del 2011 nella centrale giapponese di Fukushima: per questo nel 2014 – dopo massicce proteste da parte degli ambientalisti – fu abbandonato il progetto della costruzione di una quarta centrale, che sarebbe dovuta sorgere nel distretto di Gongliao.   Negli ultimi anni, poi, allo scadere dei quarant’anni dal loro avvio, tutte e tre le centrali di Taiwan hanno cessato l’attività: quella di Chinshan nel 2019, quella di Kuosheng nel 2022 e quella di Maanshan nel maggio scorso. Attualmente, dunque, nessuna quota di energia viene più prodotta sull’isola attraverso il nucleare.   Al di là del profilo ambientale – che vede ovunque nel mondo fronteggiarsi oggi quanti sottolineano i pericoli delle centrali con quanti ritengono sia la forma più «pulita» ed efficiente di produzione dell’energia – a Taiwan la questione nucleare ha anche una dimensione geopolitica. Anche nel fronte più ostile a Pechino sono in molti, infatti, a sottolineare che l’aumento della dipendenza dal gas naturale è un elemento di debolezza di Taipei, perché espone la sicurezza energetica dell’isola a gravi rischi nel caso di un blocco navale da parte delle forze armate cinesi.

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Per questo motivo lo stesso presidente Lai Ching-te – pur invitando a votare «no» al referendum sulla centrale di Maanshan – non esclude più a priori il ricorso all’energia atomica per uso civile, aprendo alla possibilità di costruire nuovi impianti più piccoli di nuova generazione. Eventualità questa fortemente contestata – invece – dal fronte ambientalista, tradizionalmente molto forte sull’isola e che invita a puntare maggiormente sulle energie rinnovabili, che attualmente generano solo l’11,6% dell’energia.   Va aggiunto anche che un reiterato «no» di Taiwan al nucleare rappresenterebbe un’ulteriore divaricazione rispetto alle scelte di Pechino: la Repubblica Popolare Cinese ha attualmente 58 reattori in attività che producono circa il 5% del suo fabbisogno energetico. Ma è il Paese che nel mondo sta costruendo il maggior numero di nuove centrali nucleari: sono ben 33 gli impianti in costruzione per un potenziale complessivo di ulteriori 35.355 Megawatt elettrici di capacità produttiva, che la porterebbero a un livello molto vicino a quello degli Stati Uniti.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Immagine di Sgroey via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International    
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