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Economia

Chi sta ingrassando con la crisi del gas?

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Un vertice informale dei capi di Stato e di governo dell’UE si terrà il 7 ottobre a Praga, capitale della Repubblica Ceca che detiene ora la presidenza di turno del Consiglio dell’UE.

 

I capi di Stato di limitare il prezzo del gas in Europa e di riformare il meccanismo europeo che definisce il prezzo dell’elettricità, sulla base dei prezzi del gas. Poiché il 20% dell’elettricità in Europa è prodotta dal gas, e la speculazione sui mercati del gas – provocata prima dalla transizione energetica e poi aggravata dalle sanzioni contro la Russia – ha costretto i Paesi europei a cercare altri fornitori, ciò ha portato, non solo agli enormi aumenti dei prezzi del gas, ma anche dell’elettricità.

 

In alcune zone della Francia i prezzi hanno superato i 1.000 euro al MWh, un aumento enorme, che le amministrazioni locali e le aziende non possono permettersi, scrive EIRN.

 

Durante il vertice del 30 settembre, i capi di Stato e di governo dell’UE non hanno trovato un accordo, temendo che un tetto massimo ai prezzi nell’UE spingerà semplicemente i fornitori a cercare prezzi migliori altrove. Tuttavia, il problema è così urgente che la presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen ha annunciato ieri che la Commissione sosterrà un tetto «temporaneo» dei prezzi e riformerà i prezzi dei meccanismi energetici.

 

Ma chi sta facendo affari con il gas in questo momento?

 

Non posso incolpare Putin, ora che la Russia è stata cacciata dai mercati dell’UE, e i suoi gasdotti sono pure bombardati.

 

Quindi, ad ingrassare in questo momento sono i principali produttori mondiali di gas naturale, in particolare la Norvegia, cioè l’ottavo nella lista dei produttori, che ha sostituito la Russia come principale esportatore di gas naturale in Europa, e quindi gli Stati Uniti, secondi dopo la Russia, che dall’inizio della crisi ha raddoppiato le proprie esportazioni nel continenteeuropeo , secondo l’International Group of Liquefied Natural Gas Importers.

 

Inoltre, sono i principali trader di materie prime a livello mondiale che effettivamente fissano i prezzi del gas presso la Title Transfer Facility di Amsterdam (l’ormai famigerato TTF), un mercato giornaliero di trading e futures basati sul gas che è diventato il riferimento per i prezzi del GNL a livello internazionale.

 

Al TTF, tra le principali società di trading di materie prime, si trovano Glencore, Cargill, Arthur Daniels, Koch, Vitol, etc.

 

EIRN riporta che vi sarebbero «fonti che affermano che le società di trading e altri attori simili avevano accumulato complessivamente 30 miliardi».

 

Il sito Euractiv scrive  che «mentre gli Stati Uniti e la Norvegia raccolgono profitti senza precedenti dall’aumento dei prezzi dell’energia, i Paesi dell’UE si lamentano più forte e si preparano a inviare la Commissione Europea a negoziare un accordo migliore, volontariamente o meno».

 

Persino il bizzarro ministro verde dell’Economia tedesco Robert Habeck sta riconoscendo che alcuni «alleati» stanno beneficiando della catastrofe abbattutasi su gli altri Paesi partner.

 

«La crisi energetica europea ha fatto salire i prezzi dell’energia. Mentre la Russia, la causa della crisi, è stata uno dei maggiori beneficiari, gli alleati dell’UE, in primo luogo gli Stati Uniti e la Norvegia, stanno raccogliendo profitti eccezionali mentre colmano il divario lasciato dalla Russia (…) Alcuni paesi, anche quelli amichevoli, in alcuni casi stanno raggiungendo prezzi astronomici», ha dichiarato lo Habeck al quotidiano tedesco Neue Osnabrücker Zeitung.

 

Come riportato da Renovatio 21, le forniture alternative sbandierate dal vecchio governo italiano sono in realtà non in grado di soddisfare il buco creato dalla mancanza di gas russo, e anche in alcuni casi totalmente inaffidabili.

 

È stato riportato che il Qatar, nella persona del ministro di Stato per gli Affari Energetici Saad Sherida Al Kaabi ha specificato al ministro Di Maio volato nel Golfo col cappello in mano che Doha non è in grado di sostituire le risorse russe.

 

Ancora più grave l’accordo con l’Algeria, molto reclamizzato da Mario Draghi (che ad Algeri ha chiamato il Paese «Argentina»): mentre la Russia è stato per decenni e decenni un fornitore affidabili, l’Algeria avrebbe dimostrato di considerare il costo del gas variabile a piacimento, visto che ha aumentato il costo agli spagnoli a causa di dichiarazioni di sostegno di Madrid al Marocco, che con Algeri ha tensioni sempre più veementi al confine del Sahara occidentale.

 

Come riportato da Renovatio 21, il costo per l’Europa della rinunzia al gas russo potrebbe aggirarsi intorno ai 2 trilioni, un buco nero supermassivo creato dalla deindustrializzazione conseguente ai prezzi energetici.

 

Come ritiene questo sito, forse era proprio quello il fine di questo gioco.

 

 

 

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Economia

Amazon abbandona il sistema senza casse nei negozi: si è scoperto che la sua IA era alimentata da 1.000 lavoratori umani

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Il colosso dell’e-commerce Amazon starebbe rinunziando alla sua speciale tecnologia «Just Walk Out» che permetteva ai clienti di mettere la spesa nella borsa e lasciare il negozio senza dover fare la fila alla cassa. Lo riporta The Information, testata californiana che si occupa del business della grande tecnologia.

 

La tecnologia, disponibile solo nella metà dei negozi Amazon Fresh, utilizzava una serie di telecamere e sensori per tracciare ciò con cui gli acquirenti lasciavano il negozio. Tuttavia, secondo quanto si apprende, invece di chiudere il ciclo tecnologico con la pura automazione e l’intelligenza artificiale, l’azienda ha dovuto fare affidamento anche su un esercito di oltre 1.000 lavoratori in India, che fungevano da cassieri a distanza.

 

Di questo progetto denominato «Just Walk Out» – uno stratagemma di marketing per convincere più clienti a fare acquisti nei suoi negozi, minando attivamente il mercato del lavoro locale – forse non ne sentiremo la mancanza.

 

Nel 2018 Amazon ha iniziato a lanciare il suo sistema «Just Walk Out», che avrebbe dovuto rivoluzionare l’esperienza di vendita al dettaglio con l’intelligenza artificiale in tutto il mondo. Diverse altre società, tra cui Walmart, hanno seguito l’esempio annunciando negozi simili senza cassiere.

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Tuttavia più di cinque anni dopo, il sistema sembra essere diventato sempre più un peso. Stando sempre a quanto riportato da The Information, la tecnologia era troppo lenta e costosa da implementare, con i cassieri in outsourcing che avrebbero impiegato ore per inviare i dati in modo che i clienti potessero ricevere le loro ricevute.

 

Oltre a fare affidamento su manodopera a basso costo e in outsourcing e invece di pagare salari equi a livello locale, le critiche hanno anche messo in dubbio la pratica di Amazon di raccogliere una quantità gigantesca di dati sensibili, compreso il comportamento dei clienti in negozio, trasformando una rapida visita al negozio in un incubo per la privacy, scrive Futurism.

 

L’anno scorso, il gruppo di difesa dei consumatori Surveillance Technology Oversight Project, aveva intentato un’azione legale collettiva contro Amazon, accusando la società di non aver informato i clienti che stava vendendo segretamente dati a Starbucks a scopo di lucro.

 

Nonostante la spinta aggressiva nel mercato al dettaglio, l’impatto dei negozi di alimentari di Amazon negli Stati Uniti, è ancora notevolmente inferiore a quella dei suoi concorrenti quali Walmart, Costco e Kroger, come sottolinea Gizmodo.

 

Invece di «Just Walk Out», Amazon ora scommette su scanner e schermi incorporati nel carrello della spesa chiamato «Dash Carts». Resta da vedere se i «Dash Carts» si riveleranno meno invasivi dal punto di vista della privacy dei dati.

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Immagine di Sikander Iqbal via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

 

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Economia

FMI e Banca Mondiale si incontrano a Washington «all’ombra della guerra»

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I capi delle due più grandi istituzioni finanziarie mondialiste, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale si starebbero incontrando a Washington in queste ore per discutere il rischio sistemico che comporta la guerra in corso. Lo riporta il giornalista britannico Martin Wolf, che serve come principale commentatore economico del Financial Times.   L’articolo si intitola oscuramente «L’ombra della guerra si allunga sull’economia globale».   L’editorialista britannico afferma che «i politici stanno camminando sulle uova» per una serie di ragioni, incluso il fatto che «un quinto della fornitura mondiale di petrolio è passata attraverso lo Stretto di Hormuz, in fondo al Golfo, nel 2018. Questo è il punto di strozzatura della fornitura di energia globale».   «Una guerra tra Iran e Israele, che includa forse gli Stati Uniti, potrebbe essere devastante» avverte l’Economist. «I politici responsabili dell’economia mondiale riuniti a Washington questa settimana per le riunioni primaverili del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale sono spettatori: possono solo sperare che i saggi consigli prevalgano in Medio Oriente».

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«Se il disastro fosse davvero evitato, come potrebbe essere l’economia mondiale?» si chiede la pubblicazione britannica.   Come riportato da Renovatio 21, lo scorso dicembre il FMI pubblicò un rapporto i cui dati suggerivano come il dollaro stesse perdendo il suo dominio sull’economia mondiale.   Durante le usuali incontri primaverili tra FMI e Banca Mondiale dell’anno passato si era discusso, invece, delle valute digitali di Stato – le famigerate CBDC.   Il progetto di una CBDC globale, una valuta digitale sintetica globale controllata dalle banche centrali, ha lunga storia. Nel 2019, prima di pandemia, dedollarizzazionesuperinflazione e crash bancari che stiamo vedendo, l’allora governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney ne aveva parlato all’annuale incontro dei banchieri centrali di Jackson Hole, nel Wyoming nel 2019.   Come riportato da Renovatio 21, l’euro digitale sembra in piattaforma di lancio, e la presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde sembra aver ammesso che sarà usato per la sorveglianza dei cittadini.

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Immagine di World Bank Photo Collection via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic
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Economia

La Bank of America lancia un allarme sul petrolio a 130 dollari

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Una guerra totale tra Israele e Iran potrebbe far salire i prezzi del petrolio di 30-40 dollari al barile, hanno detto ai clienti gli esperti della Bank of America in una nota di ricerca vista dall’emittente statunitense CNBC.

 

Teheran e Gerusalemme Ovest si scambiano minacce da quando l’Iran ha condotto il suo primo attacco militare diretto contro lo Stato Ebraico lo scorso fine settimana, in rappresaglia per un sospetto attacco aereo israeliano sulla missione diplomatica iraniana in Siria all’inizio di questo mese.

 

Se le ostilità si trasformassero in un conflitto prolungato che colpisse le infrastrutture energetiche e interrompesse le forniture di greggio iraniano, il prezzo del Brent di riferimento globale potrebbe aumentare «sostanzialmente» a 130 dollari nel secondo trimestre di quest’anno, ha affermato martedì una nota di ricerca della Bank of America, secondo cui CNBC, aggiungendo che il petrolio greggio statunitense potrebbe salire a 123 dollari.

 

Secondo quanto riferito, lo scenario presuppone che la produzione petrolifera iraniana diminuisca fino a 1,5 milioni di barili al giorno (BPD). Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), l’Iran, membro fondatore dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC), produce circa 3,2 milioni di barili di petrolio al giorno.

 

L’anno scorso Teheran si è classificata come la seconda maggiore fonte di crescita dell’offerta al mondo dopo gli Stati Uniti.

 

Se un conflitto portasse a sconvolgimenti al di fuori dell’Iran, come ad esempio la perdita del mercato di 2 milioni di barili al giorno o più, i prezzi potrebbero aumentare di 50 dollari al barile, secondo la nota. Il Brent alla fine si attesterà intorno ai 100 dollari nel 2025, mentre il benchmark statunitense West Texas Intermediate (WTI) scenderà a 93 dollari, secondo le previsioni.

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Il prezzo del greggio Brent è salito a oltre 91 dollari al barile all’inizio di questo mese dopo che Teheran ha minacciato ritorsioni contro Israele. Tuttavia, come ha sottolineato il team di economia globale della banca, nei giorni successivi allo sciopero di ritorsione i prezzi del petrolio greggio sono crollati a causa «delle limitate vittime e dei danni» che ha causato.

 

Gli analisti hanno avvertito che la reazione del mercato «potrebbe non riflettere le implicazioni economiche e geopolitiche a medio termine» del primo attacco militare diretto dell’Iran contro Israele.

 

Se una guerra fosse limitata alle due nazioni, la Bank of America vedrebbe un impatto minimo sulla crescita economica degli Stati Uniti e sulla politica monetaria della Federal Reserve. Una guerra regionale generale, tuttavia, potrebbe avere un impatto sostanziale sugli Stati Uniti, secondo l’istituzione.

 

I futures del Brent venivano scambiati a 86,6 dollari al barile alle 11:29 GMT sull’Intercontinental Exchange (ICE). I futures WTI venivano scambiati a 82 dollari al barile a New York, scrive RT.

 

Come riportato da Renovatio 21, i prezzi del petrolio sono stati scossi anche dagli attacchi ucraini alle infrastrutture petrolifere russe, una politica bellica rivendicata dal ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba nella richiesta di fornire ulteriori armi a Kiev. La spinta al prezzo del petrolio data dagli attacchi dei droni ucraini su raffinerie russe è stata evidente quattro settimane fa, con il costo dell’oro nero salito a 86 dollari dopo un episodio.

 

Il petrolio è particolarmente sensibile alle questioni geopolitiche: nelle ultime ore, quando si erano sparse le voci di un imminente attacco iraniano ad Israele, il prezzo del greggio era schizzato sopra i 90 dollari al barile. La tensione nel Golfo di Aden, con gli Houthi che attaccano perfino le petroliere russe, contribuisce al caos sui mercati, con Goldman Sachs che ritiene che i prezzi potrebbero perfino raddoppiare. Dopo i forti aumenti registrati nel terzo trimestre 2023, Fitch Rating ha comunicato che il petrolio potrebbe toccare i 120 dollari.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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