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Aborto a New York, la parola al medico

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​Dopo aver spiegato, in termini giuridici, attraverso un avvocato, ciò che veramente è successo nello Stato di New York con la legalizzazione dell’aborto al nono mese, Renovatio 21 intervista la Dr.ssa Martina Collotta, medico, esperta in materia bioetica, per offrire ai lettori la possibilità di comprendere cosa voglia dire, da un punto di vista non solo medico, ma anche e soprattutto etico e morale, un aborto al nono mese e, più in generale, cosa sia veramente un aborto.

Con la Dr.ssa Collotta ripercorriamo il tema dell’aborto passando dall’America fino all’Italia.

 

Dr.ssa Collotta, nello Stato di New York il Governatore Andrew MCuomo ha firmato un documento che permetterà l’aborto fino al nono mese. Partiamo da un dato importante: si tratta di una novità?

La legge precedente già permetteva l’aborto anche oltre la 24esima settimana (la settimana a cui corrisponde la viabilità del feto, ovvero la possibilità di vita autonoma fuori dal grembo materno), ma solo in caso di pericolo di vita della madre.

 

Questa nuova legge, invece, permette l’aborto anche in caso di minaccia alla salute della madre, non solo alla sua vita. Il concetto di salute, come anche la 194/78 italiana tristemente insegna, finisce con l’includere non solo problematiche fisiche, ma anche psicologiche, il più delle volte addotte come scuse per giustificare il ricorso all’aborto.

Il concetto di salute, come anche la 194/78 italiana tristemente insegna, finisce con l’includere non solo problematiche fisiche, ma anche psicologiche, il più delle volte addotte come scuse per giustificare il ricorso all’aborto.

 

Ad esempio, se la madre sostenesse che alla nascita del figlio le conseguirebbe un grave trauma psicologico per via delle difficoltà familiari o economiche in cui si verrebbe a trovare, questo sarebbe sufficiente per giustificare l’uccisione del bambino.

 

La novità sta in questo: l’introduzione di quel «salute della madre» che è, di fatto, una categoria non  oggettiva ed oggettivabile.

 

Il documento firmato da Cuomo fa, forse per la prima volta nella storia, un esplicito riferimento alla «salute riproduttiva». Si chiama, infatti, Reproductive Health Act.  Consiste in questo la gravità del riferimento alla salute della madre?

Il riferimento alla salute materna è duplice: uno riguarda il testo di legge e l’altro la scelta di includere nel titolo l’espressione «salute riproduttiva».

 

Come dicevo, nel caso del termine salute contenuto nel testo di legge, ci troviamo di fronte alla gravissima apertura alle più svariate scuse «mediche» per giustificare l’aborto, incluse ipotetiche e non attuali (da notare bene!) problematiche psicologiche. Quest’idea allargata di salute, nasce dalla definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che vuole che il termine non includa solo il benessere fisico, ma quello «totale» dell’uomo, dal benessere psicologico a quello sociale… Una definizione che, come molto di quanto l’ONU ci elargisce, dice tutto e non dice niente, ma che lascia spazio ad ogni possibile strumentalizzazione abortista.

Quest’idea allargata di salute, nasce dalla definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che vuole che il termine non includa solo il benessere fisico, ma quello «totale» dell’uomo, dal benessere psicologico a quello sociale… Una definizione che, come molto di quanto l’ONU ci elargisce, dice tutto e non dice niente, ma che lascia spazio ad ogni possibile strumentalizzazione

 

Il secondo riferimento, quello alla salute riproduttiva, a mio parere, smaschera ancora di più il misericordismo dei pro-choiche USA (e di tutto il mondo): l’aborto è salute per la donna, non permetterglielo è negarle il diritto alla salute, dunque, i pro-life sarebbero crudeli attivisti che metterebbero in pericolo la salute delle donne.

 

Ovviamente, delle conseguenze traumatiche, tanto a livello fisico quanto psicologico, di un aborto, non si fa cenno. È ironico anche il fatto che si parli di salute riproduttiva, in un documento che parla di aborto, di uccisione del frutto del concepimento e che, dunque, la riproduzione la ostacola, distruggendo la nuova vita che chiede di venire alla luce.

 

Da un punto di vista pratico e medico, con quale tecnica saranno uccisi questi bambini?

Questo non sembra essere chiarito nel dettaglio dal testo di legge, ma sappiamo che negli Stati Uniti (e non solo) le metodiche utilizzate nel caso di aborti oltre il termine di inizio di viabilità fetale, variano dall’iniezione letale in utero, all’aborto a nascita parziale.

 

Nel caso poi il feto sopravviva a quanto operato per tentare di ucciderlo nel grembo materno e, al parto indotto consegua la nascita di un feto vivo, non vengono a lui prestate né cure assistenziali (nemmeno il calore di una coperta) nè cure mediche, privandolo, di fatto, della possibilità di vivere, trattandosi di un prematuro. Il bambino viene dunque lasciato morire (di fame, di sete e di freddo!), configurando un vero e proprio infanticidio.

 

Nel caso poi il feto sopravviva a quanto operato per tentare di ucciderlo nel grembo materno e, al parto indotto consegua la nascita di un feto vivo, non vengono a lui prestate né cure assistenziali (nemmeno il calore di una coperta) nè cure mediche, privandolo, di fatto, della possibilità di vivere, trattandosi di un prematuro.

Un dato che rende bene l’idea di quanto in America si sia appena celebrata un’altra vittoria della necrocultura, è quello legato al fatto che non ci sarà più bisogno di un medico per praticare l’aborto, ma basterà un suo assistente, un infermiere e un’ostetrica. Questo la dice lunga sul disprezzo tracotante verso la vita umana, non crede?

Assolutamente sì. E non solo!  Questo rivela ancora di più l’ipocrisia nascosta dietro il solito pretesto che legalizzare l’aborto significhi salvare la vita di molte donne, tutelando la loro salute minacciata dagli aborti clandestini. Permettendo che a praticare l’aborto non sia un medico, ma un qualsiasi altro operatore sanitario, di fatto la qualità dell’assistenza professionale, cala. È inevitabile.

 

Ai non medici manca, professionalmente, la capacità di far fronte ad eventuali complicanze che potrebbero insorgere in seguito a quello che è un vero e proprio intervento chirurgico, tanto più invasivo, tanto più la gravidanza avanza.

 

La preoccupazione, dunque, si mostra essere non tanto quella di garantire alle donne un aborto in sicurezza (la ben nota scusa degli abortisti), quanto quella di aumentare il più possibile il numero di aborti, con buona pace della salute (!) delle donne.

 

Veniamo all’Italia: qualche bufalaro di turno ha detto che in America si è semplicemente legalizzato ciò che in Italia già era possibile con la L. 194/78. Le cose stanno veramente così?

No, in Italia la 194, nel caso di aborti oltre il limite in cui è possibile la vita autonoma del nascituro, tutela la vita dello stesso, ovvero il medico è tenuto a prestare tutte le cure che un nato prematuro necessita per garantirgli possibilità di vita. L’iniezione letale, ad esempio, non è certamente ammessa, così come il partial birth abortion.

 

Inoltre, come prima del Reproductive Health Act a New York, i casi in cui l’aborto può essere praticato ad un’età gestazionale così avanzata, sono limitati al grave pericolo per la vita della donna.

 

Il bambino viene dunque lasciato morire (di fame, di sete e di freddo!), configurando un vero e proprio infanticidio

Ci spieghi cosa è previsto, in Italia, dopo i 90 giorni di gravidanza. 

Possiamo individuare due periodi che vanno dal 90° giorno in poi, ricordando che, in pratica, prima del 90° giorno, la donna può abortire sempre e con qualsiasi pretesto.

 

Dal 90° giorno alla possibilità di vita autonoma del nascituro, si può abortire in caso di grave pericolo per la vita della donna, o di grave pericolo per la sua salute fisica o psichica determinata da accertati processi patologici. Se il caso del pericolo di vita è chiaro, per comprendere il caso del grave pericolo di salute, dobbiamo dire che questo, a differenza di quanto stabilisce la legge per i primi 90 giorni, deve essere di un’entità maggiore (il testo usa qui il termine grave) e accertato da medici competenti (non basta la parola della donna).

 

Tra gli «accertati processi patologici» rientrano anche le malformazioni del nascituro che, tuttavia, non rilevano in se stesse, ma solo in quanto in grado di causare una malattia psichica della madre.

 

Dal momento in cui sussiste possibilità di vita autonoma del nascituro (la 24esima settimana, anche se non mancano in letteratura casi di grandi prematuri, fino a 21 settimane, sopravvissuti nonostante gravi disabilità), l’aborto è limitato ai casi di grave pericolo per la vita della donna e, come detto, la vita del feto deve essere salvaguardata (parto indotto).

 

Questo, però, potrebbe portare qualche sprovveduto a pensare che in Italia si stia meglio che a New York per il principio del «male minore». Vuole ricordarci la criminalità di questa legge?

Non possiamo certamente parlare di male minore dato che l’oggetto dell’aberrante azione dell’aborto è sempre quello dell’uccisione di un essere umano innocente e indifeso, e sappiamo che non vi è differenza tra la persona dell’embrione, la persona del feto al 90°giorno, la persona del feto al nono mese di gravidanza e la persona del bambino prima e dell’adulto poi.

 

Si tratta sempre e comunque di omicidio. Non possiamo invocare il male minore, quando di male morale si parla.

 

 «Il bambino viene afferrato con il forcipe per una gamba ed estratto parzialmente attraverso il canale vaginale. La parte superiore del torace e la testa rimangono ancora all’interno del corpo della madre, quando viene praticato un foro nel cranio del bambino e, attraverso una pompa aspirante, ne viene risucchiato il contenuto».

So che è qualcosa di straziante, ma le chiedo di descriverci in cosa consiste l’aborto a nascita parziale.

Mi limito a descrivere la tecnica in linea generale, perché ogni commento è superfluo. Il bambino viene afferrato con il forcipe per una gamba ed estratto parzialmente attraverso il canale vaginale. La parte superiore del torace e la testa rimangono ancora all’interno del corpo della madre, quando viene praticato un foro nel cranio del bambino e, attraverso una pompa aspirante, ne viene risucchiato il contenuto.

 

Al termine viene estratta anche questa parte del corpo del bambino a cui di fatto è stato risucchiato il cervello, se mi permettete la franchezza.

 

Non viene effettuata anestesia alcuna al bimbo, che, anzi, spesso si dimena durante la procedura.

 

Una questione un po’ fumosa è quella che riguarda il cosiddetto «aborto a nascita parziale». Qualcuno si chiede se con questo atto appena emanato a New York sia ora possibile compierlo. Pensa sia possibile?

Di fatto, la legge USA ha vietato l’aborto a nascita parziale con il partial-birth abortion ban act, ma, come ci è facile capire in analogia all’operato della magistratura italiana, facendo ricorsi e appelli alle corti locali, l’aborto a nascita parziale viene praticato e resta impunito in alcuni casi (e Stati). Le giustificazioni addotte includono quanta parte del corpo del feto è stata estratta dal corpo della madre (se sopra o sotto l’ombelico), tanto per renderci conto dell’ipocrisia dei giudici…

Embrione, feto e feto a termine sono sempre e comunque persona, in perfetta continuità temporale, senza alcun cambio sostanziale

 

Cosa accadrà, nello specifico, a New York, è al momento difficile a dirsi. Certamente, la legge passata con Cuomo, non farà che fornire qualche scusa in più per giustificare un’eventuale pratica del partial-birth abortion.

 

L’aborto è stato reso in un certo senso invisibile. Forse che questo lo abbia fatto completamente digerire e, quindi, abbia depotenziato la percezione della gravità della barbarie? 

Purtroppo l’introduzione dell’aborto chimico con la pillola del giorno dopo e dei 5 giorni dopo ha contribuito a rendere l’aborto, soprattutto quello che precoce, in un certo senso sì: invisibile.

 

Tristemente la mentalità liberale contribuisce a indebolire sempre di più la capacità di riconoscere l’embrione come persona e dunque la percezione della gravità di un atto uccisivo nei suoi confronti.

 

Quanto accaduto a NY può risvegliare qualche coscienza secondo lei?

Me lo auguro, ma temo che il valore che viene attribuito alla vita intrauterina da coloro che sostengono l’aborto, non sia molto diverso nel caso di un embrione o di un feto a termine. Chi non riconosce nel concepito una nuova ed unica vita, una persona umana, faticherà a riconoscerlo in un bambino non ancora venuto alla luce.

 

Il rischio, allo stesso tempo, è quello che qualcuno si scandalizzi troppo per quanto decretato in America: non crede però che per chi vuole difendere la Vita, la questione cambi in realtà di poco? Non è che si rischia di pensare che a nove mesi sia più grave che a 5 giorni dal concepimento?Per chi riconosce e difende la vita umana dal momento del concepimento, non cambia nulla infatti. Embrione, feto e feto a termine sono sempre e comunque persona, in perfetta continuità temporale, senza alcun cambio sostanziale. Così come, all’opposto, embrione, feto e feto a termine, non meritano tutela alcuna, ma possono essere uccisi, nell’opinione di chi l’aborto lo difende e promuove.

 

Non è un limite spostato a cambiare le coscienze, anzi, credo che atti come questo dovrebbero solo aiutarci a riconoscere l’ipocrisia nascosta in ogni altra legge che permette l’aborto, non importa quando e con quali «motivazioni» (ma chiamiamole scuse, perché, alla fine, non sono altro che pretesti).

I radicali-dem palesi e radicali-dem occulti nostalgici della DC confondono la libertà con la licenza e credono di poter legittimare l’illecito morale con la liceità legale

 

Detta fra noi: i democratici americani di oggi, sono i democristiani italiani di ieri (e, purtroppo, ancora presenti)?

Certamente democratici e democristiani sembrano condividere ambiguità di linguaggio (pensiamo al termine salute) e ipocrisia (con la solita sfruttata equivalenza «aborto legalizzato=salute della donna»). Tra i democratici americani, tuttavia, troviamo anche le frange più liberali tra quelle liberali e che si dichiarano manifestatamente tali (la nostra sinistra radicale).

 

Resta il fatto che tutte le categorie (radicali-dem palesi e radicali-dem occulti nostalgici della DC) confondono la libertà con la licenza e credono di poter legittimare l’illecito morale con la liceità legale.

 

Cristiano Lugli

 

 

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Bioetica

Medici britannici lasciano morire il bambino prematuro perché pensano che la madre abbia mentito sulla sua età

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Un bambino prematuro nato a 22 settimane è morto dopo che i medici in Gran Bretagna si sono rifiutati di somministrargli un trattamento salvavita. Lo riporta LifeSite.

 

Mojeri Adeleye è nato prematuro alla 22ª settimana, dopo che la madre aveva subito la rottura prematura delle membrane. Durante l’emergenza, la mamma e il bambino sono stati trasferiti in un altro ospedale, dove la data di gestazione è stata scritta in modo errato, etichettando Mojeri come se avesse meno di 22 settimane di gestazione.

 

Le linee guida raccomandano l’assistenza medica solo per i neonati prematuri nati dopo la 22a settimana di gestazione. Sebbene la madre di Mojeri avesse informato il personale medico dell’errore, questi non le hanno creduto e hanno lasciato che il bambino morisse.

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Secondo il rapporto del medico legale, la madre di Mojeri era stata visitata per gran parte della gravidanza presso l’ospedale locale ma a seguito di complicazioni, la donna è stata trasferita in un altro ospedale.

 

Tuttavia, è stato commesso un errore nelle note di riferimento e la madre di Mojeri è stata registrata come a meno di 22 settimane di gestazione. Le linee guida nazionali raccomandano che il trattamento salvavita venga fornito solo ai prematuri nati a 22 settimane di gestazione o dopo, e sebbene la madre di Mojeri abbia ripetutamente cercato di comunicare al personale la corretta età gestazionale, non le hanno creduto.

 

Quando la madre è entrata in travaglio, il personale si è rifiutato di fornire a Mojeri qualsiasi assistenza salvavita. Era, infatti, da poco più di 22 settimane di gestazione, come aveva insistito la madre. Poiché i medici non hanno fatto nulla, Mojeri è morto.

 

Il medico legale ha scritto nel rapporto: «Nel corso dell’inchiesta, le prove hanno rivelato elementi che destano preoccupazione. A mio parere, sussiste il rischio che si verifichino decessi in futuro, se non si interviene».

 

«Date le circostanze, è mio dovere legale riferirvi. Le questioni di interesse sono le seguenti: La mancanza di considerazione nei confronti della conoscenza da parte della madre di Mojeri della propria gravidanza e della data prevista del parto per Mojeri; La mancanza di discussione con i genitori di Mojeri sulle possibili misure da adottare in caso di parto prematuro prima della 22ª settimana».

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Le linee guida della British Association of Perinatal Medicine (BAPM) del 2019 raccomandavano che, se i bambini nascevano vivi a 22 settimane, venissero fornite cure «focalizzate sulla sopravvivenza»; in precedenza, le linee guida affermavano che i bambini nati prima delle 23 settimane non dovevano essere rianimati.

 

Dopo l’attuazione di queste linee guida, il numero di bambini prematuri sopravvissuti alla 22ª settimana è triplicato. Prima di allora, i bambini prematuri considerati «troppo piccoli» venivano semplicemente lasciati morire.

 

Si stima che il 60-70% dei neonati possa sopravvivere alla nascita prematura a 24 settimane di gestazione. Tuttavia, fino al 71% dei neonati prematuri, anche quelli nati prima delle 24 settimane, può sopravvivere se riceve cure attive anziché solo cure palliative. E sempre più spesso, i bambini sopravvivono anche a 21 settimane, scrive Lifesite, che ricorda: «non tutti i bambini sopravvivranno alla prematurità estrema, ma meritano almeno di avere una possibilità».

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L’amministrazione Trump condanna la «persecuzione della preghiera silenziosa» fuori dagli abortifici britannici

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Il Dipartimento di Stato americano sta mettendo in guardia Londra per aver violato la libertà di parola dei cittadini inglesi pro-life, definendolo un affronto ai «valori condivisi» tra le due nazioni.   Il Telegraph ha riferito che il Dipartimento di Stato ha rilasciato una dichiarazione accusando uno dei suoi più stretti alleati geopolitici di «violazione palese del diritto fondamentale alla libertà di parola», citando specificamente «molti casi di buffer zone [zona cuscinetto, ndr] nel Regno Unito, nonché altri atti di censura in tutta Europa».   «La persecuzione della preghiera silenziosa da parte del Regno Unito rappresenta non solo una grave violazione del diritto fondamentale alla libertà di parola e alla libertà religiosa, ma anche un preoccupante allontanamento dai valori condivisi che dovrebbero fondare le relazioni tra Stati Uniti e Regno Unito», ha affermato un portavoce. «È di buon senso che restare in silenzio e offrire una conversazione consensuale non costituisca un danno».   Il rimprovero si riferisce all’istituzione nel Regno Unito di zone «bolla» o «cuscinetto» attorno alle strutture per l’aborto, apparentemente per proteggere le persone che vi entrano o ne escono da «molestie, abusi e intimidazioni». In pratica, tuttavia, hanno portato a multe salate contro attivisti pro-life pacifici.

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All’inizio di quest’anno, la scienziata in pensione Livia Tossici-Bolt è stata dichiarata colpevole e condannata a pagare 20.000 sterline (23.200 euro) per aver esposto un cartello con la scritta «qui per parlare, se vuoi» a 150 metri dal centro aborti BPAS di Bournemouth, riporta LifeSiteNews. Rose Docherty, una nonna scozzese di 75 anni, è stata arrestata in circostanze simili, ma le accuse sono state ritirate tra le proteste internazionali.   Un portavoce del governo britannico ha risposto con una breve dichiarazione: «la libertà di parola è fondamentale per la democrazia, anche qui nel Regno Unito, e siamo orgogliosi di sostenere le libertà garantendo al contempo la sicurezza dei cittadini».   A maggio, l’amministrazione Trump ha inviato una delegazione del Dipartimento di Stato in Inghilterra per indagare sulla situazione della libertà di parola, incontrando anche Tossici-Bolt, Docherty e altre vittime simili, e per riferire sulle loro conclusioni per «affermare l’importanza della libertà di espressione nel Regno Unito e in tutta Europa».   Resta da vedere come ciascuna delle due nazioni darà seguito allo scambio. Le relazioni tra gli Stati Uniti e le nazioni europee, incluso il Regno Unito, sono attualmente tese su più fronti, tra cui la campagna del presidente Donald Trump per la revisione degli accordi commerciali internazionali e la difficoltà delle nazioni occidentali a concordare una strategia unitaria in risposta all’invasione russa dell’Ucraina.   Come riportato da Renovatio 21, nel suo storico intervento di accusa alla decadenza tirannica europea dato alla Conferenze di Sicurezza di Monaco 6 mesi fa, il vicepresidente statunitense JD Vance aveva definito «follie» gli arresti dei pro-life britannici che pregavano in silenzio.   La psicopolizia britannica è arrivata a condannare per aver pregato con il pensiero almeno due persone: il veterano dell’esercito britannico Adam Smith-Connor, 51 anni, che ha ottenuto la scarcerazione condizionale per due anni (vale a dire che è in libertà vigilata per due anni) e gli è stato ordinato di pagare le spese legali pari a 9 mila sterline (circa 10 mila euro) dal giudice distrettuale presso il tribunale di Poole, nel Dorset: lo Smith-Connor era stato arrestato nei pressi dell’attività di aborto di Bournemouth del British Pregnancy Advisory il 14 novembre 2022, dopo aver pregato in silenzio per suo figlio Jacob, abortito 22 anni fa; Isabel Vaughan-Spruce, un’altra cittadina britannica che è stata arrestata per preghiera silenziosa, che ha ricevuto due mesi fa 13 mila sterline (circa 15 mila euro) di danni e delle scuse dalla polizia.

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L’aborto ha spazzato via il 28% della generazione Z. E molto, molto di più

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Statistiche ampiamente condivise in rete questa settimana riportano che circa il 28% della Generazione Z (i nati tra il 1997 e il 2012) negli USA è stata abortita nel grembo materno. Lo scrive LifeSite.

 

Secondo le stime del Guttmacher Institute (il braccio di ricerca e sviluppo del grande abortificio multinazionale Planned Parenthood) sul numero di aborti eseguiti ogni anno negli Stati Uniti dal 1997 al 2011, gli anni di nascita della Generazione Z, circa 19,5 milioni di esseri umani concepiti in quella generazione, sono stati soppressi attraverso l’aborto. Attualmente si stima che negli Stati Uniti ci siano 69,3 milioni di membri della Generazione Z.

 

I dati più recenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) indicano che il tasso di aborti tra i bambini della Generazione Z negli Stati Uniti corrisponde quasi alla percentuale stimata di bambini non ancora nati uccisi dall’aborto in tutto il mondo: il 29%, ovvero tre gravidanze su 10.

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Le statistiche di Inghilterra e Galles mostrano tassi di aborto molto simili. «la percentuale di concepimenti che hanno portato all’aborto è stata del 29,7%; si tratta di un aumento rispetto al 26,5% del 2021 e della percentuale più alta mai registrata», ha rilevato un rapporto dell’Office of National Statistics (ONS) basato sui dati del 2022.

 

Ricordiamo anche che queste statistiche risultano calcolabili pure per realtà apparentemente distanti come il Giappone, con dati nel periodo post-bellico che indicavano l’aborto di circa un terzo dei concepiti, con casi allucinanti di infanticidi – che oggi la Finestra di Overton vuole che chiamiamo «aborti post-natali» – come quello di Miyuki Ishikawa, detta «Oni-sanba», ostetrica che avrebbe ucciso almeno 86 bambini (qualcuno parla di una cifra doppia) affidatile negli anni dell’immediato dopoguerra.

 

Non si tratta di numeri sconosciuti anche all’Italia, dove per anni le nascite sono state attorno alla cifra di 500 mila, con le interruzioni di gravidanza sopra i 100.000, con un calo sensibile nell’ultimo decennio, in linea tuttavia con il calo delle nascite, specie dopo la pandemia.

 

Anche in Italia, dunque, abbiamo avuto una percentuale di generazioni spazzate via sopra il 20%, in pratica una piccola guerra condotta contro il Paese stesso, ma legalizzata e pagata dal contribuente – o una serie di bombe atomiche, i cui effetti si misurano in megadeath («megamorte», un milione di individui sterminati).

 

Come scritto anni fa da Renovatio 21, negli anni l’Italia dell’aborto ha subito una devastazione umana molto superiore a quella di Hiroshima e Nagasaki, con almeno 6-7 megadeath di danno alla popolazione. E parliamo solo delle cifre ufficiali, che non includono gli embrioni distrutti dalle provette, che sono già in numero maggiore di quelli trucidati dall’interruzione volontaria di gravidanza.

 

Se non volete pensarlo in percentuale, pensatelo così: 6 milioni di persone uccise, sono perfettamente pensabili come un attacco atomico che cancella tutto il Triveneto, o la Sicilia e la Calabria assieme, o l’Emilia-Romagna con l’Umbria e le Marche, o tutto il Lazio e zone limitrofe, o due terzi della Lombardia.

 

Come avevamo scritto oramai più di 10 anni fa: «Per quanto possa sembrare allucinante, dobbiamo guardare in faccia la realtà: l’Italia è una rovina post-atomica. E neppure lo sa».

 

Le cifre divenute virali questa settimana non includono mai – perché è un calcolo che i pro-life, specie italiani, non hanno l’intelligenza di fare – quello che qualcuno chiama il ghost number. Proviamo a pensare le cifre americane: e 6.392.900 femmine abortite tra il 1973 e il 1982 avrebbero oggi 25-40 anni, e quindi con alta probabilità almeno un figlio di media (chi due, chi cinque, chi zero). Otteniamo così la cifra di 54.853.850 persone spazzate via dall’anagrafe, sottratte alla società.

 

Un danno di quasi 55 megadeath: come se il temuto showdown nucleare con la Russia, fosse avvenuto – e senza che i sovietici sparassero un solo colpo. Basandosi sulle attuali statistiche demografiche americane, è possibile calcolare che tra questi 55 milioni vi potrebbero essere stati 7 giudici della Corte Suprema, 31 premi Nobel, 6000 atleti professionisti, 11.010 suore, 1.102.403 insegnanti, 553.821 camionisti, 224.518 camerieri, 336.939 spazzini, 134.028 contadini, 109.984 poliziotti, 39.447 pompieri, 17.221 barbieri.

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Soprattutto, e questo deve essere meditato profondamente dalle femministe, in questo immane turbine di morte sono state disintegrate 27.426.925 donne. Le quali sono, senza dubbio alcuno, il bene più prezioso che esista sulla Terra: ogni cellula uovo che la donna ovulerà in tutta la sua vita, è già formata dal feto a poche settimane dal concepimento. La prima cellula del nostro corpo – l’ovocita – già esisteva dentro nostra madre quando era un feto, venti, trenta, quaranta anni prima che venissimo alla luce. Un’autentica, insondabile meraviglia: la vita contenuta dentro la vita.

 

L’aborto interrompe questa catena superiore. Come diceva un detto ebraico: chi uccide un uomo uccide l’umanità; ammazzi qualcuno e rovini per sempre le generazioni che seguiranno. Peggio di un fallout radioattivo, l’aborto reca un danno aberrante, che si accumula distruggendo il futuro – i figli, i figli dei nostri figli – su una scala che non possiamo immaginare.

 

Chi non crede a queste romanticherie scientifiche e umanistiche, pensi ai soldi: i 55 megadeath causati dall’aborto in USA rappresentano 55 milioni di lavoratori e consumatori americani che non pagano le tasse e non partecipano al mercato nazionale. Dal PIL, è possibile calcolare che l’aborto abbia causato all’economia americana un danno di 37 trilioni e 600 miliardi di dollari.

 

L’abisso di cui stiamo parlando non vi è stata ancora nessuna rappresentazione adeguata alla sua immensità apocalittica. Né la polemologia (la disciplina che nel Novecento si è dedicata allo studio della guerra), né la psicologia, né la sociologia, né la filosofia paiono comprendere questo Inferno per intero.

 

No, non è solo un terzo della Generazione Z ad essere stato cancellato dall’aborto. È molto, molto di più.

 

Roberto Dal Bosco

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