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L’FPO incaricato di formare il governo a Vienna

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Il presidente austriaco Alexander Van der Bellen ha incaricato Herbert Kickl, leader del partito di Partito della Libertà d’Austria (FPO), la forza politica più popolare del Paese, di tenere colloqui di coalizione per formare un governo.

 

Lo sviluppo arriva dopo settimane di trattative tra il centrista Partito Popolare Austriaco (OVP) e il Partito Social Democratico Austriaco (SPO) che sono fallite. Il cancelliere Karl Nehammer, che guida l’OVP, ha ammesso il fallimento e ha annunciato le sue dimissioni, citando la necessità di una «transizione ordinata».

 

Come riportato da Renovatio 21, due mesi fa il Kickl aveva accusato il presidente Nehammer di ignorare la volontà popolare. Il cancelliere Nehammer, va ricordato, venne trovato positivo al COVID dopo essere stato trivaccinato: secondo quanto riportato dai giornali all’epoca, si sarebbe infettato ad un meeting per promuovere la vaccinazione obbligatoria, dove si presuppone fossero tutti sierati come lui. Negli stessi giorni aveva dichiarato che l’Austria avrebbe multato fino a 50 mila euro i media che violano le regole di censura UE.

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Van der Bellen ha dichiarato di aver incaricato Kickl di avviare discussioni con l’OVP. Sembrava anche esprimere preoccupazioni sul fatto che il paese potesse trovarsi di fronte alla possibilità di avere un leader di destra intransigente per la prima volta dalla seconda guerra mondiale.

 

«Non ho preso questa decisione alla leggera. Continuerò a fare in modo che i principi e le regole della nostra costituzione siano rispettati e sostenuti», ha affermato Van der Bellen.

 

«Kickl ha la fiducia di trovare soluzioni praticabili nel quadro dei negoziati governativi e vuole assumersi questa responsabilità», ha aggiunto.

 

L’FPO è emerso vittorioso nel voto di settembre, assicurandosi un decisivo 28,8%, con l’OVP e l’SPO che hanno ottenuto rispettivamente il 26,3% e il 21,1%. I centristi, tuttavia, hanno tentato di mettere da parte il partito di destra, tentando senza successo di formare un governo di coalizione.

 

All’epoca, Van der Bellen incaricò Nehammer di formare un governo che rispettasse le «fondamenta della nostra democrazia liberale».

 

Il crollo definitivo dei negoziati è stato preceduto dall’abbandono dei colloqui da parte di Neos, un partito liberale minore, venerdì. I centristi si sono incolpati a vicenda per il fallimento, con Nehammer che ha affermato che «forze distruttive» nello SPO avevano «preso il sopravvento» nei negoziati e li avevano fatti deragliare.

 

Il leader dell’SPO Andreas Babler, a sua volta, ha accusato l’OVP di aver portato il paese in una situazione in cui avrebbe avuto «un governo FPO-OVP con un cancelliere estremista di destra che metterà in pericolo la nostra democrazia in molti modi».

 

L’FPO aveva già formato governi di coalizione con i centristi in passato, ma è sempre stato un partner junior in tali situazioni. L’ultima coalizione tra il Partito Liberale e l’OVP è emersa nel 2018, ma il primo è finito per essere costretto a uscire dal governo l’anno successivo.

 

Sotto la guida di Kickl, il partito si è impegnato a implementare misure contro l’immigrazione come la «remigrazione di stranieri non invitati», idea oramai molto diffusa in ambito nordeuropeo ma ancora poco dibattuta, chissà perché, in Italia.

 

L’FPO è stato anche molto critico nei confronti della posizione di Vienna sul conflitto ucraino, opponendosi alle sanzioni dell’UE contro la Russia e promettendo di smettere di versare denaro nel forziere di guerra che il blocco ha utilizzato per procurarsi armamenti per Kiev.

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Insieme all’Irlanda e a Malta, l’Austria è uno dei pochi Paesi dell’Unione che non è membro della NATO.

 

Kickl è noto per le sue posizioni durante la pandemia COVID-19, quando l’Austria subì uno dei lockdown più draconiani del continente, con arresti in stradamascherine sulle piste di sci, lotterie vaccinali e persino proposte di carcere per i non vaccinati. Il Kickl ha sostenuto l’uso dell’ivermectina e anche definito l’Organizzazione Mondiale della Sanità «uno strumento per far rispettare gli interessi di potere».

Come riportato da Renovatio 21, tre settimane fa è emerso che il politico è oggetto di indagine della magistratura, fenomeno che sta interessando i leader di destra di tanti Paesi.

 

Kickl è considerato uno stretto alleato del premier ungherese Vittorio Orban. L’FPO, il Fidesz di Orban e il partito di opposizione ceco ANO hanno formato un’alleanza al Parlamento europeo a giugno. Orban ha giurato che il gruppo, chiamato «Patrioti per l’Europa», «diventerà molto rapidamente la fazione più grande della destra europea».

 

Il presidente austriaco Van der Bellen fu protagonista di una scena altamente drammatica l’anno passato, quando il cane del presidente filo-occidentale Maya Sandu morse con ferocia la mano del presidente austriaco Alexander Van der Bellen.

 


Il vertice dello Stato austriaco, dopo aver detto sonoramente «ahi!» si presentò con sicumuera all’evento successivo con una mano vistosamente fasciata.

 

Dopo il dolore per la ferocia canina, al presidente viennese ora tocca anche quello cagionato da un governo di destra.

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Politica

Un po’ di chiarezza sulla questione dei balneari

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La polemica estiva riguardo le concessioni balneari si è ripresentata anche quest’anno, con l’aggiunta del caro-ombrellone che, a detta di alcuni, ha fatto sì che molti stabilimenti siamo rimasti semivuoti.    Occorre fare chiarezza su una questione annosa che fa parte, inderogabilmente, di una nostra irrinunciabile consuetudine: le vacanze estive al mare. La stampa ne parla tanto, ma troppo spesso lo fa in maniera non approfondita, lasciando al lettore pronunciarsi più slogan che argomenti in grado di far comprendere meglio cosa stia succedendo.   Il Codice della Navigazione nel 1942 ha sancito che chi garantisce di perseguire l’interesse pubblico e una proficua utilizzazione del bene demaniale, può averlo in concessione, e questo è il caso di chi ottiene l’autorizzazione per uno stabilimento balneare. Col tempo vi è stata necessità di regolamentare maggiormente il tutto e nel 1992 è stato definito il «diritto di insistenza», ossia che il titolare della concessione balneare viene preferito rispetto a un altro che vorrebbe subentrare, così da avere la propria concessione rinnovata automaticamente ogni sei anni.

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Così si è proseguito per oltre due decenni, fin quando l’Unione Europea ha «ha stabilito con la Direttiva Bolkestein (2006/123/CE) l’obiettivo di promuovere la parità di professionisti e imprese nell’accesso ai mercati. Dovrebbero essere indette quindi gare imparziali per assegnare le concessioni nuove oppure quelle in scadenza».   L’Italia ha però costantemente ignorato l’attuazione della direttiva, esponendosi anche al rischio di sanzioni economiche, e ha continuato a prorogare le concessioni attualmente in vigore. Ciò è avvenuto nonostante il Consiglio di Stato, già nel 2021, avesse stabilito l’impossibilità di estendere ulteriormente le concessioni oltre il 31 dicembre 2023. Per eludere l’applicazione della direttiva, il governo ha istituito un tavolo tecnico-consultivo incaricato di mappare le coste italiane, con l’obiettivo di dimostrare che tali risorse non sono scarse. Infatti, la direttiva si applica esclusivamente nei casi in cui vi sia una reale scarsità di risorse naturali.   Tra le questioni chiarite possiamo annoverare la natura delle concessioni demaniali ad uso turistico ricreativo: è oggi consolidata la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, secondo cui le concessioni balneari costituiscono autorizzazioni, e non diritti reali né meri contratti d’uso. Esse consentono l’esercizio di un’attività economica attraverso l’assegnazione temporanea e revocabile di un bene pubblico, come l’area demaniale marittima. Non si tratta di un semplice sfruttamento, ma di una forma autorizzatoria che implica, necessariamente, concorrenza per l’accesso.   Venendo invece alle questioni ancora oggi oggetto di dibattito normativo e giurisprudenziale, la prima, in ordine di importanza, riguarda la posizione del concessionario uscente, soprattutto nei casi in cui questi non si veda riassegnare l’area. Il nodo principale è quello dell’indennizzo dovuto per la perdita dell’azienda e per il valore residuo non ammortizzato degli investimenti effettuati.   Questo punto è al centro sia del dialogo in corso tra lo Stato italiano e la Commissione Europea, sia del più recente parere del Consiglio di Stato. C’è da stabilire, in caso di uscita del gestore dall’attività, una sorta di pagamento per l’attività avviata e l’eventuale compenso per tutto ciò che è stato costruito nello stabilimento, nel caso il futuro esercente entrante lo voglia mantenere anche in parte.

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Vero è che chi lascia, deve ridare agli enti pubblici il lembo di spiaggia avuto in concessione senza alcunché in più. In questo groviglio legislativo gli avvocati avranno il loro bel da fare. I tempi pare siano sempre più stringenti e occorre una soluzione, ma siamo in Italia e la burocrazia è talmente pachidermica che per trovare il bandolo dalla matassa che possa non scontentare nessuno, non sarà una missione facile.    Molti strillano alla più libera e democratica concorrenza per la partecipazione – anche in tempi brevi – ai bandi e la conseguente assegnazione in nome di una parità di diritti per tutti, ma non possiamo trascurare il fatto che, giocoforza, gli stabilimenti – a torto o a ragione – sono spesso tramandati di generazione in generazione e le famiglie che li gestiscono hanno a cuore il territorio, conoscono il mestiere, hanno l’accoglienza autoctona ed estirpare d’improvviso un’attività oramai consolidata nel tempo può avere ripercussioni non solo sui lavoratori, ma anche sulla clientela.    Poi c’è la questione prezzi, che pare siamo incrementati oltremodo. Ma sarà poi vero? Di sicuro nelle migliaia di chilometri di spiaggia che abbiamo in Italia non tutte sono uguali, non tutte raccolgono lo stesso target di clienti e non tutte offrono i medesimi servizi. Ciò detto, andrebbe fatta un’analisi territoriale specifica per capire se veramente in alcune zone c’è stata o meno un’impennata dei prezzi.   Guru dei social che in era pandemica usavano ricordare i vicini di casa perché facevano festa, non possono astenersi dal dire la loro, come riportato dal Corriere della Sera: «Cari amici gestori di stabilimenti balneari. Leggo che la stagione non sta andando bene bene. Secondo voi perché? Forse avete un po’ esagerato con i prezzi e la situazione economica del Paese spinge gli italiani a scegliere una spiaggia libera? Abbassate i prezzi e le cose, forse, andranno meglio. Capito come?». Grazie Alessandro Gassman che ci illumini con i tuoi tweet aizzando una vacua canea social altamente improduttiva ai fini pratici, ma ben congegnata per istigare risentimento tra comuni cittadini.   A chi scrive pare il solito pattern di «odio di classe orizzontale» con le varie categorie di lavoratori che ogni tanto vengono messe sotto la lente d’ingrandimento dei mass media per poi essere attaccate dai cittadini. È stato così per i tassinari, per i dipendenti pubblici, per gli artigiani e bottegai additati di non fare gli scontrini, per chi offre locazioni turistiche e affitti brevi, insomma ce n’è per tutti i gusti.   «L’odio» – passatemi il termine – dovrebbe essere invece verticale, verso lo Stato o meglio verso l’Unione Europea, che troppo spesso con le sue politiche distaccate dalla realtà partorisce leggi invasive che offendo e mettono in condizioni critiche chi cerca di fare impresa. Vero è che ogni componente in gioco dovrebbe avere un’etica per non vessare il cliente, questo comunque dobbiamo dircelo, e l’imprenditore non deve essere un «prenditore», ma offrire i servivi a un prezzo equo. Tutto si fa complesso dal momento in cui l’ex Belpaese non gode più di quel benessere del ventennio Ottanta-Novanta dove viaggiava col vento in poppa e la nostra cara vecchia lira godeva di un potere d’acquisto ragguardevole.

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Oggi la moneta unica, tanto amata dai burocrati di Bruxelles, insieme a un impoverimento del tessuto industriale nostrano e a un caro-vita fuori controllo, rende la nostra esistenza più incattivita nei confronti di chi ancora riesce a guadagnarsi qualche soldo in più della media a fine mese.   La villeggiatura, un cliché irrinunciabile che contraddistingue le nostre vite e ci fa godere di quel giusto e meritato riposo dopo mesi di lavoro, oggi non è più quel diritto che accomunava i cittadini di ogni censo.   Il cerchio si restringe e le classi meno abbienti sono costrette a ridurre sensibilmente i giorni di vacanza se non, nel peggiore dei casi, rinunciarvi proprio. Già nelle «estati pandemiche» dal 2020 al 2022, hanno provato a rovinarci le ferie estive con mascherine, distanziamenti, green pass e chi più ne ha più ne metta.   Domani Renovatio 21 pubblicherà un’intervista ad una balneare, che spiegherà cosa sta accadendo dal di dentro.   Francesco Rondolini

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Bolsonaro condannato per aver pianificato un colpo di Stato

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La Corte Suprema brasiliana ha condannato l’ex presidente Jair Bolsonaro per aver tentato di ribaltare le elezioni del 2022, condannando il politico a una pena decennale per aver guidato quella che i pubblici ministeri hanno definito una «cospirazione criminale».

 

Quattro giudici su cinque della Corte Suprema hanno ritenuto Bolsonaro colpevole di tutti e cinque i capi d’accusa a suo carico, condannandolo a 27 anni e tre mesi di carcere.

 

Le accuse includevano la pianificazione di un colpo di stato, la partecipazione a un’organizzazione criminale armata, il tentativo di abolire con la forza l’ordine democratico del Brasile, il danneggiamento di proprietà pubbliche protette e il compimento di atti violenti contro le istituzioni statali.

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Bolsonaro ha cercato di «annientare i pilastri essenziali dello stato di diritto democratico» e di ripristinare «la dittatura in Brasile», ha affermato il giudice della Corte Suprema Alexandre de Moraes annunciando il verdetto giovedì.

 

Secondo i pubblici ministeri, il piano golpista è iniziato nel 2021 con l’intento di erodere la fiducia del pubblico nel sistema elettorale brasiliano. Dopo la sconfitta di Bolsonaro nel 2022, i suoi sostenitori sono stati esortati a mobilitarsi nella capitale, Brasilia, dove hanno assaltato e vandalizzato i tre rami del governo nazionale l’8 gennaio 2023.

 

Bolsonaro e gli altri imputati hanno negato ogni illecito e gli avvocati della difesa potrebbero ancora presentare ricorso.

 

Il caso ha acuito le tensioni con gli Stati Uniti, dopo che il presidente Donald Trump l’ha definito una «caccia alle streghe» e ha imposto dazi doganali del 50% al Brasile. L’amministrazione Trump ha anche sanzionato il giudice Alexandre de Moraes per quelle che ha descritto come «gravi violazioni dei diritti umani» e ha annunciato restrizioni sui visti nei suoi confronti e di altri funzionari giudiziari.

 

Il presidente Luiz Inacio Lula da Silva ha condannato le tattiche di pressione di Trump, accusando Washington di aver «contribuito a organizzare un colpo di Stato» e giurando che il Brasile «non lo dimenticherà».

 

Bolsonaro era stato messo agli arresti domiciliari mesi fa.

 

Come riportato da Renovatio 21, due settimane fa gli Stati Uniti hanno revocato il visto al De Moraes.

 

In un recente post su Truth Social, il presidente Trump ha affermato che il Brasile «sta facendo una cosa terribile» a Bolsonaro, a cui è stato vietato di candidarsi a cariche politiche fino al 2030 e che dovrà affrontare un processo alla Corte Suprema per il suo ruolo in un tentato colpo di Stato per rovesciare l’elezione di Lula, cosa che lui nega strenuamente.

 

Come riportato da Renovatio 21, il giudice supremo De Moraes è da sempre considerato acerrimo nemico dell’ex presidente Jair Bolsonaro, che lo ha accusato di ingerenze in manifestazioni oceaniche plurime. Ad alcuni sostenitori di Bolsonaro, va ricordato, sono stati congelati i conti bancari, mentre ad altri è stata imposta una vera e propria «rieducazione».

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Come riportato da Renovatio 21, di recente con De Moraes si era scontrato anche Elone Musk, quando il giudice supremo aveva ordinato il blocco dei conti finanziari di Starlink nel Paese, nel contesto di una faida in corso sulla piattaforma di social media X riguardante la libertà di parola: l’establishment brasiliano chiedeva la censura di determinate voci politiche, cosa che Musk si era rifiutato di fare.

 

Musk aveva reagito in modo duro nei suoi post sui social, tornando a paragonare De Moraes – di cui ha chiesto le dimissioni o la messa in stato di accusa – a Darth Vader e a Lord Voldemort, e pubblicando un’immagine generata artificialmente del giudice supremo in galera.

 

L’imprenditore sudafricano è arrivato a dire che il vero potere in Brasile è nelle mani di De Moraes, definito tiranno travestito da giudice, mentre il presidente Lula è solo il suo cane da salotto. «Alexandre de Moraes è un dittatore malvagio che fa cosplay come giudice» dichiarato il Musk.

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Orban dice che l’UE potrebbe andare al «collasso» e chiede accordi con Mosca

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L’UE è sull’orlo del collasso e non sopravvivrà oltre il prossimo decennio senza una «revisione strutturale fondamentale» e un distacco dal conflitto ucraino, ha avvertito il primo ministro ungherese Viktor Orban.   Intervenendo domenica al picnic civico annuale a Kotcse, Orban ha affermato che l’UE non è riuscita a realizzare la sua ambizione fondante di diventare una potenza globale e non è in grado di gestire le sfide attuali a causa dell’assenza di una politica fiscale comune. Ha descritto l’Unione come entrata in una fase di «disintegrazione caotica e costosa» e ha avvertito che il bilancio UE 2028-2035 «potrebbe essere l’ultimo se non cambia nulla».   «L’UE è attualmente sull’orlo del collasso ed è entrata in uno stato di frammentazione. E se continua così… passerà alla storia come il deprimente risultato finale di un esperimento un tempo nobile», ha dichiarato Orban, proponendo di trasformare l’UE in «cerchi concentrici».

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L’anello esterno includerebbe i paesi che cooperano in materia di sicurezza militare ed energetica, il secondo cerchio comprenderebbe i membri del mercato comune, il terzo quelli che condividono una moneta, mentre il più interno includerebbe i membri che cercano un allineamento politico più profondo. Secondo Orbán, questo amplierebbe la cooperazione senza limitare lo sviluppo.   «Ciò significa che siamo sulla stessa macchina, abbiamo un cambio, ma vogliamo muoverci a ritmi diversi… Se riusciamo a passare a questo sistema, la grande idea della cooperazione europea… potrebbe sopravvivere», ha affermato.   Orban ha accusato Brusselle di fare eccessivo affidamento sul debito comune e di usare il conflitto in Ucraina come pretesto per proseguire con questa politica. Finché durerà il conflitto, l’UE rimarrà una «anatra zoppa», dipendente dagli Stati Uniti per la sicurezza e incapace di agire in modo indipendente in ambito economico, ha affermato.   Il premier magiaro ha anche suggerito che, invece di «fare lobbying a Washington», l’UE dovrebbe «andare a Mosca» per perseguire un accordo di sicurezza con la Russia, seguito da un accordo economico.   Il primo ministro di Budapest non è il solo a nutrire queste preoccupazioni. Gli analisti del Fondo Monetario Internazionale e di altre istituzioni hanno lanciato l’allarme: l’UE rischia la stagnazione e persino il collasso a causa di sfide strutturali, crescita debole, scarsi investimenti, elevati costi energetici e tensioni geopolitiche.

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