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La Turchia invia 4mila mercenari siriani dell’Isis per combattere contro gli armeni (VIDEO)

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews.

 

 

 

La notizia è confermata da fonti di AsiaNews e dall’Osservatorio per i diritti umani in Siria. Ankara li ha ingaggiati per 1800 dollari al mese, per tre mesi. «E’ una guerra santa di musulmani contro cristiani». Premier armeno Nikol Pashinian: se non si ferma in tempo, la guerra in Caucaso rischia di destabilizzare la pace mondiale.

 

 

 

 

In un talk show si è parlato in modo critico dell’invio di mercenari siriani in Azerbaijan: essi vanno a combattere una guerra contro «i cristiani crociati» proprio mentre servono uomini per combattere Assad ad Idlib, trasformando i combattenti siriani anti-Assad in una fonte di mercenari transnazionali arruolati dalla Turchia

Fonti dell’opposizione armata siriana contattate da AsiaNews, affermano che la Turchia ha inviato 4mila mercenari siriani dell’ISIS da Afrin per combattere contro gli armeni del Nagorno Karabakh. Alcuni giorni fa convogli via terra hanno raggiunto la Turchia e poi via aerea l’Azerbaijan. L’ingaggio è per 1800 dollari Usa al mese, per la durata di tre mesi.

 

Un dirigente del gruppo terrorista siriano ha affermato: «Grazie ad Allah, dal 27 settembre fino alla fine del mese saranno trasferiti altri 1000 mercenari siriani in Azerbaijan».  Le fonti di AsiaNews hanno fornito anche una registrazione audio del nucleo operativo della Brigata del Sultano Murat (fazione armata dell’opposizione siriana, che arruola mercenari da inviare anche in Libia) nella quale si sente dire: «Volontari siriani sono destinati ad essere inviati in prima linea al confine armeno-azero… e combatteranno con gli azeri cioè con gli sciiti».

 

In un talk show dell’emittente dell’opposizione siriana «Orient», che trasmette dagli Emirati, si è parlato in modo critico dell’invio di mercenari siriani in Azerbaijan: essi vanno a combattere una guerra contro «i cristiani crociati» proprio mentre servono uomini per combattere Assad ad Idlib, trasformando i combattenti siriani anti-Assad in una fonte di mercenari transnazionali arruolati dalla Turchia.

 

Fra gli ospiti del talk show, vi era il colonello dell’Esercito siriano libero, Zia Hajj Obeid, residente in Turchia, che ha negato vi sia un invio di «volontari» siriani in Azerbaijan.  Il colonnello Zia è stato subito interrotto dal presentatore, che gli ha ricordato come all’inizio era stato negato anche l’invio di mercenari siriani in Libia. E invece, dopo la cattura di alcuni, non è stato più possibile negare. A tutt’oggi – ha detto – «sappiamo che ci sono 35mila mercenari siriani pro turchi in Libia».

 

«Questa non è una guerra fra Karabakh e Azerbaijan, o Armenia contro Azerbaijan. È una guerra diretta della Turchia, dei mercenari affianco ai 10 milioni di azeri, contro i 3 milioni di armeni» Arayik Arutyunian, Presidente della Repubblica del Karabakh

La notizia dell’invio di mercenari dell’ISIS in Azerbaijan è negata anche dal portavoce delle fazioni armate dell’opposizione ad Astana, Ayman Al Assemi, contattato da AsiaNews.

 

Un’altra fonte di Afrin, un combattente dell’opposizione di Jind al-Sham ha confermato ad AsiaNews di aver parlato con un collega azero che combatte in Siria, e di avergli chiesto perché andiamo a combattere in Azerbaijan, affianco agli sciiti, contro il Karabakh. Quest’ultimo gli ha risposto: «Perché fa parte del Jihad; è una guerra santa di musulmani contro cristiani».

 

Ma in un video, uno dei terroristi feriti, consiglia ai suoi colleghi di «non andare a combattere in Azerbaijan!» (v. video sotto). In un altro video, diffuso su Twitter, si vedono camion con militanti che gridano «Allah akhbar!» (v. qui). Fonti armene affermano che finora sono stati uccisi almeno 89 mercenari islamisti.

 

La notizia di invio di 4 mila mercenari siriani da parte della Turchia è stata confermata ieri anche dall’Osservatorio dei Diritti umani in Siria, con sede a Londra, di chiara ispirazione anti-Assad.

 

Anche il presidente della Repubblica del Karabakh, Arayik Arutyunian ha parlato di 4 mila mercenari integralisti arrivati dalla Siria e da altri Paesi nei giorni scorsi. «Questa non è una guerra fra Karabakh e Azerbaijan, o Armenia contro Azerbaijan. È una guerra diretta della Turchia, dei mercenari affianco ai 10 milioni di azeri, contro i 3 milioni di armeni».

 

 

«Questa è la nostra patria, altra non ne abbiamo, e vinceremo perché noi combattiamo per la nostra esistenza. Gli azeri e la Turchia combattono per espansionismo e per odio razziale anti-armeno»

Guerra «confessionale»

«E’ una guerra per l’esistenza – ha continuato Arutyiunian – una guerra in cui essi possono perdere; ma noi non possiamo permetterci questo lusso. Ogni sconfitta per noi significa la fine della nostra nazione. Questa è la nostra patria, altra non ne abbiamo, e vinceremo perché noi combattiamo per la nostra esistenza. Gli azeri e la Turchia combattono per espansionismo e per odio razziale anti-armeno».

 

Il ministero degli Esteri azero, nonostante immagini e video diffusi sui social dai gruppi integralisti armati. ha negato che ci siano mercenari siriani in Azerbaijan.

 

Ieri anche il Pakistan ha affermato essere a fianco dell’Azerbaijan contro l’Armenia ed il Karabakh. Il conflitto si allarga in modo pericoloso.

 

Il ministero degli Esteri azero, nonostante immagini e video diffusi sui social dai gruppi integralisti armati. ha negato che ci siano mercenari siriani in Azerbaijan

L’Armenia ritiene che quanto avviene oggi sia dovuto alla debole reazione della comunità internazionale alle aggressioni del 2016, quando nella cosiddetta «guerra dei 4 giorni», l’Azerbaijan sostenuto dalla Turchia, ha accolto combattenti dell’ISIS che hanno perpetrato orrori contro inermi civili armeni.

 

La Turchia partecipa in modo diretto, non solo con dichiarazioni ufficiali, ma anche militarmente a fianco dell’Azerbaijan: jet militari turchi della NATO sorvolano i cieli e bombardano i centri abitati.

 

I droni da attacco Bayrakdar sono guidati a distanza da esperti militari turchi presenti in Azerbaijan.

 

La cosiddetta «guerra dei 4 giorni», quando l’Azerbaijan sostenuto dalla Turchia, ha accolto combattenti dell’ISIS che hanno perpetrato orrori contro inermi civili armeni

Il Premier dell’Armenia Nikol Pashinian ha avvertito che se non si frena subito, la guerra in Caucaso rischia di destabilizzare non soltanto la regione, ma la pace mondiale.

 

Al presente si contano almeno 100 vittime civili armeni del Karabakh, oltre a distruzioni di case, scuole, ospedali, ponti e strade (foto 2 e 3). Gli azeri affermano di aver occupato di nuovo sei postazioni e villaggi armeni.

 

Secondo le fonti di AsiaNews, in Azerbaijan sarebbe arrivato anche il famigerato terrorista siriano Abu Amsha (originario delle tribù sunnite di Hamah), comandante della brigata Suleiman Shah, diventato famoso nelle battaglie in Libia.

La Turchia partecipa in modo diretto, non solo con dichiarazioni ufficiali, ma anche militarmente a fianco dell’Azerbaijan: jet militari turchi della NATO sorvolano i cieli e bombardano i centri abitati

 

I suoi uomini sono definiti «i peggiori killer mercenari», caratterizzati anche da un estremo odio nei confronti dei cristiani «infedeli».

 

 

 

Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione Asianews e le sue campagne.

In Azerbaijan sarebbe arrivato anche il famigerato terrorista siriano Abu Amsha, diventato famoso nelle battaglie in Libia

 

 

Immagine d’archivio della strage per esecuzione dei 21 cristiani copti in Libia perpetrata dall’ISIS nel 2015.

 

 

 

 

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Arte

Quattro Stati UE boicotteranno l’Eurovision 2026 a causa della partecipazione di Israele

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Spagna, Irlanda, Slovenia e Paesi Bassi hanno annunciato il boicottaggio del prossimo Eurovision Song Contest in seguito alla conferma della partecipazione di Israele. All’inizio del 2025 diverse emittenti avevano chiesto all’Unione Europea di Radiodiffusione (EBU), organizzatrice dell’evento, di escludere Israele accusandolo di brogli nel voto e per il conflitto in corso a Gaza.

 

L’ultima tregua, mediata dagli Stati Uniti, avrebbe dovuto porre fine ai combattimenti e permettere l’arrivo di aiuti umanitari nell’enclave, ma da quando è entrata in vigore gli attacchi israeliani hanno causato 366 morti, secondo il ministero della Salute di Gaza.

 

Il tutto si inserisce in un anno di escalation iniziato con l’offensiva israeliana lanciata in risposta all’attacco di Hamas dell’ottobre 2023, che provocò 1.200 morti e il rapimento di 250 ostaggi. Da allora, secondo le autorità sanitarie locali, l’operazione militare israeliana ha ucciso oltre 70.000 palestinesi.

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Le decisioni di ritiro sono arrivate giovedì, subito dopo l’approvazione da parte dell’EBU di nuove regole di voto più rigide, varate in risposta alle accuse di diverse emittenti europee secondo cui l’edizione 2025 era stata manipolata a favore del concorrente israeliano.

 

Poche ore più tardi l’emittente olandese AVROTROS ha comunicato l’addio al concorso: «La violazione di valori universali come l’umanità, la libertà di stampa e l’interferenza politica registrata nella precedente edizione dell’Eurovision Song Contest ha oltrepassato un limite per noi».

 

L’emittente irlandese RTÉ ha giustificato la propria scelta con «la terribile perdita di vite umane a Gaza», la crisi umanitaria in corso e la repressione della libertà di stampa da parte di Israele, annunciando anche che non trasmetterà l’evento.

 

Anche la televisione pubblica slovena RTVSLO ha confermato il ritiro: «Non possiamo condividere il palco con il rappresentante di un Paese che ha causato il genocidio dei palestinesi a Gaza», ha dichiarato la direttrice Ksenija Horvat.

 

Successivamente è arrivata la decisione della spagnola RTVE, che insieme ad altre sette emittenti aveva chiesto un voto segreto sull’ammissione di Israele. Respinta la proposta dall’EBU, RTVE ha commentato: «Questa decisione accresce la nostra sfiducia nell’organizzazione del concorso e conferma la pressione politica che lo circonda».

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Per far fronte alle polemiche, gli organizzatori dell’Eurovision hanno introdotto nuove misure anti-interferenza: limiti al televoto del pubblico, regole più severe sulla promozione dei brani, rafforzamento della sicurezza e ripristino delle giurie nazionali già nelle semifinali.

 

Come riportato da Renovatio 21, due anni fa arrivò in finale all’Eurovisione una sedicente «strega» non binaria che dichiarò di aver come scopo il «far aderire tutti alla stregoneria».

 

Vi furono polemiche quattro anni fa quando la Romania accusò che l’organizzazione ha cambiato il voto per far vincere l’Ucraina.

 

Due anni fa un’altra vincitrice ucraina dell’Eurovision fu inserita nella lista dei ricercati di Mosca.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Russia ha lanciato un’«alternativa morale» all’Eurovision, che secondo il ministro degli Esteri di Mosca Sergej Lavrov sarà «senza perversioni».

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Immagine di David Jones via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Geopolitica

Putin: la Russia libererà tutto il Donbass

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La Russia espellerà le unità ucraine dal Donbass e completerà la riconquista dell’intera area, sia mediante operazioni armate sia attraverso canali negoziali, ha proclamato il presidente Vladimir Putin.   Le affermazioni sono state formulate in un colloquio concesso giovedì a India Today, alla vigilia della sua missione ufficiale nel Paese asiatico e due giorni dopo il faccia a faccia al Cremlino con l’emissario presidenziale statunitense Steve Witkoff, focalizzato su una bozza di pace americana per la crisi ucraina.   La variante preliminare del documento – un itinerario in 28 tappe, filtrato alla stampa la scorsa settimana – solleciterà Kiev a rinunciare alle porzioni del Donbass russo (Donetsk e Luhansk) ancora sotto il suo dominio, a desistere dalle velleità atlantiste e a circoscrivere l’organico delle proprie truppe: clausole rigettate da Kiev.   Putin ha nondimeno prospettato che l’esercito ucraino cederà a breve le postazioni residue nel Donbass. «Il nocciolo della questione è questo. O riconquisteremo quei territori con la forza delle armi, o le brigate ucraine si ritireranno e cesseranno il fuoco», ha dichiarato, dicendo che gli scontri rovinosi nella regione erano del tutto prevenibili.

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«Abbiamo ammonito l’Ucraina sin dal principio: “La popolazione non vi vuole, ha preso parte ai plebisciti [del 2022], ha optato per la sovranità; ritirate le vostre divisioni e non vi saranno ostilità”. Ma hanno preferito la guerra», ha argomentato Putin, chiosando che l’equivoco di Kiev si sta ora palesando in tutta la sua gravità.   Le truppe russe stanno progressivamente ricacciando le forze ucraine dal Donbass e da altre sacche da svariati mesi. Secondo Mosca, Kiev arranca sempre più nel compensare le perdite umane, malgrado le drastiche campagne di coscrizione.   Lunedì, l’apparato militare russo ha annunciato la cattura del centro nevralgico di Krasnoarmeysk (chiamata dagli ucraini Pokrovsk), baluardo nel Donetsk, con un contingente ucraino massiccio accerchiato nella circostanza.   In un ulteriore passo decisivo, la scorsa settimana Putin ha reso noto che le divisioni di Mosca hanno sfondato le linee ucraine nel settentrione di Zaporiggia e stanno ora aggirando le postazioni fortificate ucraine a meridione.  

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 
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Geopolitica

Putin e Witkoff concludono i colloqui di pace «costruttivi e sostanziali»

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I negoziati tra Russia e Stati Uniti sul conflitto in Ucraina si sono conclusi al Cremlino, dopo quasi cinque ore di colloqui tra il presidente russo Vladimir Putin e l’inviato statunitense Steve Witkoff.

 

Le discussioni si sono concentrate sugli elementi chiave di un quadro di pace sostenuto dagli Stati Uniti, che inizialmente ruotava attorno a una bozza di 28 punti trapelata ai media il mese scorso, lasciando i sostenitori dell’Europa occidentale di Volodymyr Zelens’kyj colti di sorpresa e messi da parte.

 

Secondo l’assistente presidenziale russo Yuri Ushakov, durante i colloqui al Cremlino la delegazione statunitense ha presentato altri quattro documenti riguardanti l’accordo di pace.

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Sono state discusse le questioni chiave relative al territorio, su cui Zelens’kyj ha messo in guardia nei suoi commenti ai media, le garanzie di sicurezza, le aspirazioni della NATO e le restrizioni all’esercito ucraino, tutte ampiamente segnalate da Mosca come fattori di rottura degli accordi, con Ushakov che ha risposto a una domanda sull’argomento facendo riferimento al “vasto potenziale” di cooperazione tra Russia e Stati Uniti.

 

Dall’inizio dell’ultima iniziativa di pace statunitense, la corruzione della cerchia ristretta di Zelens’kyj è stata smascherata, mentre le sue forze armate hanno subito ingenti perdite territoriali in prima linea. Il presunto documento di pace iniziale è stato anche oggetto di diversi cicli di colloqui e di molta diplomazia tramite megafono.

 

Prima dei colloqui di martedì a Mosca, Witkoff ha incontrato una delegazione ucraina – escluso l’ex collaboratore di Zelens’kyj, Andrey Yermak, che è stato licenziato – in Florida per quattro ore, un’esperienza che i funzionari hanno descritto come produttiva, ma che fonti dei media hanno definito «non facile», riferendosi ampiamente alla questione territoriale.

 

Sebbene Zelens’kyj abbia ufficialmente escluso qualsiasi concessione a Mosca, si prevedeva che i colloqui nella capitale russa si sarebbero concentrati sulle questioni territoriali, esacerbate dai molteplici insuccessi di Kiev in prima linea, tra le richieste massimaliste dell’UE e la diplomazia in corso degli Stati Uniti.

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