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Sport e Marzialistica

Ricordo di un vero maestro della Boxe italiana

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Renovatio 21 ripubblica su gentile concessione dell’autore l’ultima intervista al pugile ed allenatore di boxe Maurizio Zennoni (1958-2017). Si tratta probabilmente dell’ultima intervista concessa dall’uomo che già aveva accompagnato il campione del mondo dei pesi leggeri Giacobbe Fragomeni, che si trasferì nel parmense proprio per seguire Zennoni, che diceva «Sono un maestro, non un allenatore. Prima bisogna curare l’uomo e poi l’atleta». Il maestro si è spento nel novembre di sette anni fa dopo una lunga malattia. Questo articolo ha conservato negli anni un piccolo spaccato insuperabile del mondo della boxe – fatto di palestre, sudore, ed esseri umani, con le loro storie di dolore e dedizione, di gioia e sacrificio.

 

Uno spiazzo di confine, non saprei dire se in centro o in periferia, le macchine passano rapide e così anche il loro fruscio, mentre calano le luci sembra non esserci anima viva, invece basta guardarsi intorno per accorgersi che è tutto il contrario. Proprio stamattina ne parlava in radio Bernardo Bertolucci, i suoi primi ricordi sono qui, dalle parti dell’Ospedale di Parma, aveva sei anni e vide sua madre con un bambino in braccio: «È nato Giuseppe!».

 

I suoni di questo spiazzo non sono cambiati, negli anni Settanta ci hanno costruito il Palasport, una cattedrale in cemento armato che ospita le discipline più disparate. C’è anche la mia preferita ed è il motivo che mi porta qui, c’è un cartello rosso con scritto Boxe Parma 1933 e due bandiere sullo scivolo d’ingresso. Italia e Moldavia, perché nel pugilato non importa da dove vieni, ma come ti muovi sul ring.

 

Sposto il portone e sono in mezzo a una sessione di ripetute. La stanza è grande, con le colonne quadrate e una fila di sacchi ben allineati. Le pareti sono coperte di cimeli, non è decorazione ma storia, in questi giorni hanno appeso 25 cinture, sono i titoli vinti dagli allievi di Maurizio Zennoni, il maestro che sono venuto a trovare.

 

Sento la sua voce dall’ufficio e già m’immagino quanto sarà dura riprendere a boxare dopo un mese di vacanza e licenze d’ogni tipo. «Se non ti alleni tre volte a settimana, meglio lasciar perdere. Piuttosto vai a farti una bella passeggiata».

 

 

L’ufficio è un cumulo di trofei. Non faccio in tempo a sedermi e già Maurizio inizia a raccontare la sua vita. Una storia che inizia, come ogni pugile che si rispetti, dal primo giorno di boxe. L’arrivo in città da Corniglio, sull’Appennino Parmense, alla fine degli anni Sessanta. Era timido.

 

Cercava di dare un senso ai suoi quindici anni. Entrò in palestra per caso. «Ho guardato dentro e volevo scappare. Faceva un freddo cane, si allenavano con i maglioni di lana. Odino Baraldi mi vide e fece segno di entrare. Dopo tre mesi ero sul ring, a Sarzana». A quel tempo la palestra era sul fiume Parma, dove oggi c’è il Teatro Due, con l’arena estiva, la prosa, i concerti e tutto il resto. La storia di Maurizio comincia lì. Sotto c’era una mensa dei poveri e in quei giorni capì, con l’odore di cibo nell’aria, che per fare la boxe devi avere fame. Altrimenti non potrai mai farcela.

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Partito come superwelter, Zennoni ha finito la sua carriera nei mediomassimi, 72 incontri con buoni risultati, ma di quel passato parla in termini sbrigativi, come se non gli interessasse affatto. Lo osservo con attenzione solo stasera, eppure vengo qui da molti anni. Ha gli occhi rapidi di un furetto. Mi colpisce la sua umanità e l’idea che questo sport sia fatto per educare. Il pugilato è una scuola di vita. La riassume un vecchio manifesto all’ingresso della palestra che elenca i doveri del pugilatore, tutti da condividere, soprattutto l’ultimo: «Coltivare e propagandare sempre il Pugilato, Sport agonistico per eccellenza». Una lettera mancante ed è subito poesia.

 

Sulla parete lunga, alcune foto in bianco e nero trasudano imprese e tecniche antiche, scomparse nella notte dei tempi. La palestra negli anni Trenta, un allenamento estivo tra i ciottoli del fiume e poi le immagini di un incontro al Teatro Reinach, quello bombardato durante la guerra e mai ricostruito, il ring era in mezzo alla platea, palchi e galleria erano pieni zeppi, a quei tempi agli incontri di pugilato si andava, c’era partecipazione, mica si passavano le serate sui social, c’era fame di vita, di sudore, di competizione.

 

Ci sono le foto della squadra degli anni Quaranta, i campioni erano Primo Fariselli, Odino Baraldi, Ugo Scaccaglia, sono nomi che hanno fatto la storia e poi c’è la foto di Marcello Padovani, peso leggero, baricentro basso e occhio rapido, aveva l’età di mio padre, un vero guerriero. Campione d’Italia nel 1950. È stato lui il primo maestro di Zennoni, quello che gli ha fatto capire che la forza di volontà serve anche fuori dal ring, altrimenti non diventerai mai un buon pugile. Tantomeno un bravo maestro.

 

«Avevo le mani deboli, mi sono rotto la destra e la sinistra un sacco di volte. Ho perso tre titoli italiani, tutti in finale, uno dopo l’altro. La mia carriera è finita presto. La mandibola era fragile, ma ho capito subito che non potevo stare lontano dalla boxe». Così, dopo quattordici fratture, Zennoni si è rifatto dalle delusioni del ring con una formidabile carriera da tecnico.

 

Alla Boxe Parma erano gli anni di Damiano Lauretta, Campione d’Italia nel 1980, peso mosca, gran tecnico e picchiatore. Velocissimo. In quel periodo, Maurizio è diventato una presenza fissa all’angolo e ha capito che il suo futuro sarebbe stato legato ai suoi allievi. È un elenco lunghissimo, a partire da Marino Notarnicola, mediomassimo degli anni Ottanta e Massimiliano Saiani, il primo capolavoro di Zennoni. Vinse il titolo italiano dopo nove tentativi, a Toscolano nel 2003, alla prima ripresa, mettendo al tappeto Leonardo Turchi al primo attacco.

 

«Leonardo ha grande rispetto per me. Quella sconfitta la ricorda ancora. Ne abbiamo parlato molte volte. Però di Turchi devo dirti una cosa importante: suo figlio Fabio è la vera promessa della nostra boxe. Il pugile su cui puntare».

 

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Se lo dice Maurizio Zennoni c’è da fidarsi, nella sua storia ci sono 25 titoli in diverse categorie, più tutte le difese, nove titoli italiani professionisti, cinque europei e il mondiale con Giacobbe Fragomeni. Ogni titolo è una storia, una vita, un mondo di sogni e fatiche. Ottavio Barone, superleggero e grande atleta, «davvero uno stakanovista, in qualche modo come Giacobbe». Christian Orsi, campione italiano dilettanti pesi medi e poi Antonio Di Feto, grande talento, irripetibile, e suo fratello Alfredo, meno forte ma con un grande carattere, 110 incontri da dilettante e 52 da professionista, compreso il titolo internazionale IBF con Giuseppe Truono, un capolavoro di psicologia sportiva.

 

 

I migliori maestri si vedono dalla capacità di risollevare un pugile sconfitto. È quella l’impresa più difficile. Sono tanti i campioni che hanno scelto Zennoni in momenti particolari della loro vita.

 

«Vedi quella foto? Stavo raddrizzando il naso a Paolo Vidoz nel bel mezzo di un incontro. Non gli ho lasciato nemmeno il tempo di reagire. In quei mesi sono andato ad allenarlo anche in Germania. Era sceso a 105 kg. Leggero e veloce. Abbiamo vinto il titolo europeo».

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Sulla parete lunga della palestra c’è un grande disegno con i profili di Maurizio e di Giacobbe Fragomeni. Si guardano negli occhi, come a darsi grinta l’un l’altro.

 

 

«Grande personaggio, atleta immenso, fin troppo buono, un vero puro. Giacobbe ha una forza di volontà che non ho visto in nessun altro. Dovevo dirgli: smettila di allenarti!». Allora mi tornano in mente tutte le storie della vita di Fragomeni e vorrei rileggere «C’era una volta il buio», il libro che racconta la sua vita, l’infanzia alla Stadera, i guai di famiglia, il padre che lo aveva portato a un passo dall’inferno, la sorella morta per overdose, i tatuaggi, la notte che sembrava non finire mai e poi la rinascita in palestra, la fatica e i grandi successi, l’oro a Minsk e poi le trentaquattro vittorie da professionista, fino al mondiale WBC nei massimi leggeri contro Rudolf Kraj.

 

 

Ricordo ancora la mia prima volta in questa palestra, otto anni fa, ero venuto a cercare Fragomeni e l’avevo trovato al sacco, si stava allenando come se non ci fosse un domani. Non avevo fatto in tempo a emozionarmi per quell’incontro, mi aveva messo subito a fare i piegamenti, come tutti gli altri, dopo mezz’ora ero distrutto e lui ancora a saltare e fare esercizi dopo che la mattina era stato a correre in montagna, aveva fatto dieci round col maestro e un’ora di corda. Non ho mai visto nulla del genere.

 

Tra le invenzioni di Zennoni, ci sono gli ultimi due campioni italiani dei pesi massimi, Matteo Modugno e Gianluca Mandras. Ricordo bene Matteo al suo arrivo in palestra, mi aveva raccontato del suo lavoro in una società del settore agroalimentare, i dubbi sul futuro e forse un nuovo lavoro. Era obeso e di certo non pensava di diventare un professionista.

 

«Pesava 164 kg ma aveva grandi qualità. Un massimo velocissimo, ha subito imparato a boxare. Mi ha dato grandi gioie, è venuto fuori dal nulla. Quando ha vinto il Campionato Italiano è stato fantastico. Se avesse più fame, potrebbe fare grandi cose». Pare che rientri tra qualche tempo, avrebbe superato un problema alla spalla, ora si sta allenando in Inghilterra, è stato anche con Wladimir Klitschko. Riuscirà a vincere l’Europeo? Sarebbe bello, soprattutto se accadesse ancora con Maurizio all’angolo.

 

Gianluca Mandras ha vinto lo stesso titolo nel 2016, quando Modugno era fermo per infortunio. Un altro pugile fortissimo, creato dal nulla. Taglia forte, grande potenziale e una storia che forse è ancora tutta da scrivere. Il tempo ce lo dirà.

 

Entra Stefano Failla, mediomassimo, promessa della Boxe Parma, che secondo Maurizio può diventare una realtà. Bel fisico, grande potenziale. Al solito, serve uno scatto di volontà e convinzione. La palestra quest’anno ha 9 pugili professionisti e 21 dilettanti. «Ma nessuna donna, noi vogliamo troppo bene alle donne…», una battuta che in realtà nasconde ammirazione per il pugilato italiano al femminile, che negli ultimi anni, in giro per il mondo, ha vinto più titoli di quello maschile.

 

Questione di impegno, perché nella boxe non esistono segreti se non «lavorare a tempo pieno. Tutti sappiamo insegnare, non è quello il punto. Conta tutto il resto. A un pugile devi voler bene come a un figlio. Per i miei ragazzi sono disponibile 24 ore al giorno, anche per le cazzate. Il pugile è un animale sensibile, devi saperlo prendere, devi aiutarlo a scegliere la strada giusta».

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Alcuni fanno trecento chilometri per venire ad allenarsi a Parma, come Rodolfo Benini da Villafranca, «pugile dal cazzotto proibito» e Leonardo Damian Bruzzese che arriva dalla Romagna. Vengono qui a trovare nuove certezze, sanno che su Maurizio e la sua squadra si può contare. «All’angolo non pensiamo mai ai fatti nostri. Siamo seri. Sappiamo leggere un match e non ci facciamo problemi ad interromperlo se necessario. Le grandi punizioni non servono a nulla».

 

Alcuni sono venuti alla Boxe Parma per reinventarsi dopo le difficoltà, per Zennoni è questa la gioia più grande. Gianluca Frezza, sconfitto duramente da dilettante, lo davano per spacciato, voleva smettere ma poi con Maurizio è diventato Campione d’Italia e ha difeso per sei volte il titolo, con i più forti della sua categoria. Anche Bruzzese aveva subito due knock-out, ma soprattutto aveva un maestro, che lo aveva riempito di sensi di colpa. «Io gli ho dato fiducia ed è tornato a vincere».

 

La promessa della Boxe Parma si chiama Constantin Pancrat, di origine moldava ma ora cittadino italiano. «Con gli altri potrei avere dei colpi di culo ma su Constantin punto tutto: sarà lui la nostra prossima rivelazione».

 

La vita di Maurizio Zennoni è tutta tra queste mura, anche l’intonaco trasuda il suo entusiasmo e mi stupisce quando un lottatore come lui, a un certo punto si ferma, mi guarda dritto negli occhi e pensa a un futuro lontano, «voglio che tutto questo continui, anche senza di me», come se la vita potesse mai sconfiggerlo.

 

Eppure è bello che Maurizio guardi al futuro, ai collaboratori, ai nuovi maestri, al modello organizzativo, all’organigramma dove c’è un ruolo per tutti, a Pasquale che intanto sul divano fa i conti, «è un bravo speaker, non perde tempo e va dritto al punto» e poi a un modello economico in cui tutto viene reinvestito in palestra.

 

«La mia più grande soddisfazione è quando un pugile, a fine carriera, invece di finire sotto un ponte si costruisce una vita, in palestra o nella società civile». Come Massimiliano Saiani, che ora ha un’azienda di vernici con tredici dipendenti a Podenzano, vicino Piacenza, e poi ovviamente il suo idolo, Nino Benvenuti, un riferimento assoluto, che qualche anno fa ha premiato Zennoni con il Guanto d’Oro. «Una grande soddisfazione, il premio più importante per un maestro di boxe. Averlo proprio dalle sue mani è stato davvero speciale».

 

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Maurizio ricorda, accoglie, suggerisce e continua a raccontare, tra una telefonata e un’altra, parla del campo estivo in montagna e di una prossima riunione, dovrebbe farsi entro l’anno, con almeno un titolo in palio. Arriva Adriano Guareschi, presidente della Boxe Parma da quindici anni, alter ego di Maurizio e fratello di vita.

 

Parliamo del futuro del pugilato, della Federazione, dei sogni, degli amici. Poi Maurizio si ferma e richiama un ragazzo che è passato senza salutare. «Il compito del maestro è educare, mica solo insegnare la boxe».

 

Quando sono alla Boxe Parma, a volte mi incanto a guardare Maurizio che batte le mani per segnare il tempo delle ripetute. Gli chiedo chi gli sarebbe piaciuto allenare. Risponde subito Roberto Duràn. «Manos de Piedra», nessun dubbio, «era pazzo, ma un vero guerriero» e pensa ad altre sfide impossibili che avrebbe voluto affrontare, come stare all’angolo di Mike Tyson, «un uomo così fuori dalle righe. Sarebbe stata una sfida difficile ma entusiasmante. Un cavallo tranquillo non vincerà mai un gran premio. Tyson era tutto l’opposto».

 

Poi mi lascia secco con una di quelle frasi che potrebbe scrivere Joyce Carol Oates: «Il ring è la cosa più sincera della vita». Se non ci sei portato, meglio evitare. Resto zitto a riflettere, guardando il soffitto, finché Maurizio mi riprende. «Allora, ti alleni o vuoi stare seduto tutto il tempo?»

 

Mi cambio alla solita panca e comincio il riscaldamento, Maurizio arriva e mi guarda. Riprende la posizione. «Stringi i gomiti!». Ci vuole grande entusiasmo per mettersi a insegnare a uno come me. Sarà che non smetterei mai di ascoltarlo, anche nel bel mezzo della palestra. Chissà per quale motivo, comincia a raccontarmi di Vasyl’ Lomačenko, «anni fa ero all’angolo di un filippino durante le World Series. Lomačenko lo aveva atterrato subito. Mi ha fatto un cenno e ci siamo capiti. Ha tenuto in piedi il filippino per tutto il match, vincendo di misura, senza mai rischiare nulla. Devi essere l’eccellenza della boxe per decidere di portare l’avversario alla fine, senza bisogno di umiliarlo».

 

Ecco, per Maurizio il pugilato ha sempre a che fare con il sacrificio, con la gioia, con il futuro, mai con l’umiliazione.

 

Potremmo parlare di pugili fino a domattina ma forse è meglio che io mi alleni per davvero. Sono rimasti solo quaranta minuti. Prendo la corda, comincio a saltare e penso alla fatica di Giacobbe e di tutti gli altri che attorno a queste mura, seguendo l’esempio di Maurizio, sono diventati grandi pugili oppure, più semplicemente, degli uomini migliori perché hanno capito che attraverso il pugilato si possono superare, con il giusto spirito, i fatti buoni e brutti della vita.

 

Corrado Beldì

 

Articolo pubblicato su gentile concessione dell’autore, previamente apparso su Boxe Ring. Fotografie di Corrado Beldì.

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Sport e Marzialistica

La federazione olimpica di Judo consente agli atleti russi di competere sotto la propria bandiera

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La Federazione Internazionale di Judo (IJF) ha riammesso gli atleti russi a competere nei tornei internazionali sotto la propria bandiera nazionale, con inno e simboli, diventando così la prima federazione olimpica a revocare completamente le restrizioni imposte dopo l’inizio del conflitto in Ucraina nel 2022.   Atleti russi e bielorussi erano stati esclusi dalla quasi totalità delle manifestazioni sportive mondiali in seguito alle sanzioni adottate da decine di federazioni olimpiche, che avevano colpito centinaia di concorrenti. In un secondo momento, diverse discipline avevano riaperto la porta in forma molto limitata, consentendo la partecipazione solo a singoli atleti rigorosamente neutrali e senza riferimenti nazionali.   In un comunicato diffuso giovedì, l’IJF ha reso noto che il proprio Comitato Esecutivo ha deliberato il ritorno pieno della Russia a partire dal Grande Slam di Abu Dhabi 2025, con la possibilità di sfilare «sotto bandiera, inno e insegne nazionali». La decisione, si legge, «riconferma il carattere autenticamente globale della federazione» e «rafforza l’impegno verso una gestione equa, trasparente e fondata sui valori».   «Storicamente la Russia è una delle potenze mondiali del Judo e il suo ritorno completo arricchirà la competizione a ogni livello, nel pieno rispetto dei principi di fair play, inclusività e reciproco riguardo che animano l’IJF», ha aggiunto l’organismo.

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L’IJF ha poi ribadito che «lo sport deve restare neutrale, indipendente e svincolato da ogni condizionamento politico», sottolineando come il Judo promuova «amicizia, rispetto, solidarietà e pace».   Con questo passo l’IJF è la prima federazione olimpica a ripristinare integralmente bandiera e inno per gli atleti russi.   Le sanzioni sullo sport russo permangono in molti altri ambiti, seppur attenuate: nelle discipline estive la maggior parte delle federazioni accetta ora atleti neutrali ai campionati mondiali, mentre quasi tutti i principali organismi degli sport invernali mantengono il divieto assoluto. Di conseguenza, solo pochissimi russi si sono finora qualificati per le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026.   Le autorità sportive russe hanno più volte denunciato la «politicizzazione dello sport» da parte dei paesi occidentali e le pressioni esercitate sulle federazioni per escludere i propri atleti, ricordando che nel solo biennio 2022-2023 il Paese ha perso 186 eventi internazionali, tra cui 36 manifestazioni di primo piano.   La presidente del CIO, Kirsty Coventry, ha di recente invitato governi e organizzatori a garantire «pari accesso a tutti gli atleti qualificati» e a preservare lo sport come spazio neutrale, definendolo «un faro di speranza» e «un terreno comune privo di discriminazioni».   Come noto, il presidente russo Putin pratica il Judo sin da quando era piccolo. Ha ottenuto nella disciplina l’8° dan, uno dei gradi più alti, difficilmente assegnato nel mondo.   La passione del presidente della Federazione Russa per l’arte marziale sviluppata da Jigoro Kano è stata spessissimo messa in mostra, mentre non vi è ancora un ragionamento completo su come il Judo abbia influenzato la sua mentalità tattico-strategica nei conflitti – a scrivervi qualcosa si impegna Renovatio 21 per i prossimi mesi.    

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È altresì noto che l’olimpionico Ezio Gamba (medaglia d’oro alle Olimpiadi di Mosca 1980) ha allenato in varie occasioni Putin, di cui si narra si stato anche allenatore a livello personale.   Il maestro Gamba ha ricoperto il ruolo di coordinatore tecnico della nazionale, e con un certo successo: sotto la guida dell’Italiano, nel 2012 i judoka russi alle Olimpiadi di Londra hanno vinto incredibilmente tre ori, un fatto ricordato spesso con orgoglio da Putin, che assistette alle finali di persona nella capitale britannica, scortato dall’allora premier David Cameron: immagini di un mondo di pace ora distrutte dall’inutile strage ucraina.   Il Gamba, che aveva ricevuto cittadinanza russa una diecina di anni fa, è tornato in Italia dopo aver lottato con una malattia, e si è candidato per la presidenza della FIJLKAM, l’ente CONI per il Judo, la lotta, il Karate e le arti marziali in generale, non venendo tuttavia eletto.  

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Sport e Marzialistica

93enne vince titolo di sollevamento pesi

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Un 93enne soprannominato «Nonno di Ferro», nativo di Uljanovsk (la città natale di Vladimiro Lenin), ha conquistato all’inizio di novembre uno dei più importanti tornei russi di sollevamento pesi.

 

Nikolaj Isakov si è aggiudicato il primo posto nella categoria over 90 alla 29ª Coppa Russa Open di sollevamento pesi, ha reso noto martedì l’amministrazione del governatore della regione. L’Isakov ha eseguito 26 kg nello strappo e 31 kg nello slancio, per un totale di 57 kg, precedendo il 94enne Vasilij Zubov. Alla gara hanno partecipato circa 140 atleti tra i 30 e i 94 anni, in rappresentanza di Russia e Bielorussia.

 

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L’Isakov pratica sport da oltre settant’anni: ha iniziato con la ginnastica, poi è passato all’acrobatica e dal 1957 si è dedicato esclusivamente al sollevamento pesi, diventando uno dei sollevatori senior più titolati del Paese.

 

A Uljanovsk, città che porta il nome di Lenin (nato Uljanov), residenti e tecnici lo indicano da decenni come esempio di disciplina e longevità sportiva. Continua ad allenarsi con regolarità e dichiara di voler sollevare pesi finché la salute glielo consentirà.

 

Il «Nonno di Ferro» vanta più di 30 titoli russi, europei e mondiali nella categoria veterani e oltre 40 medaglie in competizioni nazionali e internazionali. Nel 2019 si è laureato campione europeo ai Masters in Finlandia.

 

Negli ultimi anni la Russia ha fortemente potenziato i programmi sportivi per veterani, promuovendo la partecipazione degli anziani attraverso gare dedicate. La federazione di sollevamento pesi ha istituito divisioni di età fino ai 90 anni e oltre, mentre i ministeri regionali dello sport finanziano iniziative di allenamento per over 60 nell’ambito di una più ampia strategia nazionale per l’invecchiamento attivo.

 

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Geopolitica

L’Ucraina aggiunge la stella russa del pattinaggio artistico alla kill list

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La stella russa del pattinaggio artistico Petr Gumennik è stata inserita nella «kill list» del sito ucraino Mirotvorets, sostenuto dallo Stato, che pubblica i dati personali di individui etichettati come «nemici» dell’Ucraina. Lo riporta la stampa russa.   Secondo un articolo del 9 novembre, Gumennik è accusato di «propaganda di guerra» e di «attacchi alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina», ed è considerato «complice» dei presunti «crimini» russi contro il Paese.   L’articolo mostrava foto di Gumennik accanto ad altre personalità pubbliche russe già presenti su Mirotvorets e citava suo padre, Oleg Gumennik, sacerdote della Chiesa ortodossa russa (ROC). Sotto il regime di Kiev, la chiesa ucraina affiliata alla ROC ha subito perquisizioni, arresti e divieti per presunti legami con il Cremlino.

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Gumennik non ha commentato la sua inclusione nella lista. A settembre ha conquistato la qualificazione per le Olimpiadi invernali di Milano 2026 e gareggerà come atleta neutrale a causa delle sanzioni imposte dall’Ucraina alla Russia.   Vladislav Dikidzhi, campione russo in carica del singolare maschile e possibile sostituto di Gumennik a Milano, è stato aggiunto al sito lo stesso giorno con accuse analoghe.   Commentando le inserzioni, la leggendaria allenatrice russa Tatyana Tarasova ha affermato che gli atleti sono probabilmente presi di mira per le loro prospettive olimpiche e ha condannato la pubblicazione dei loro dati personali come «una violazione di tutti i diritti umani».   «Non capisco perché il mondo intero, persino il Comitato Olimpico Internazionale, dia ascolto agli ucraini», ha detto. «Sport e politica sono due cose diverse».   Mirotvorets è stata definita una «lista delle uccisioni» dopo che diverse persone incluse sono state successivamente assassinate o sono morte in circostanze sospette. Ogni scheda include il campo «data di eliminazione» della persona presa di mira, subito sotto la data di nascita.   Il sito ha recentemente aggiunto numerose personalità russe e straniere accusate di legami con il governo russo o di diffondere opinioni filo-russe. All’inizio dell’anno sono stati inseriti il regista Woody Allen, l’attore hollywoodiano Mark Eydelshteyn e persino un gruppo di bambini russi, il più piccolo dei quali aveva solo tre anni.   Nel corso degli anni, sono stati inseriti nella lista nera politici e personaggi pubblici occidentali di alto profilo, tra cui il presidente croato Zoran Milanovic, il primo ministro ungherese Viktor Orban (che intercettazioni emerse sulla stampa americana mostrano essere un obiettivo del regime Zelens’kyj), il segretario di Stato statunitense in pensione Henry Kissinger e il Pink Floyd Roger Waters, nonché Al Bano e Toto Cotugno, nonché, per un breve periodo, Elon Musk.   Definite come liste di «traditori che devono rispondere dei loro crimini», tali liste online dei nemici dell’Ucraina, che comprende anche Al Bano, Toto Cutugno, Henry Kissinger, e anche il defunto Silvio Berlusconi. Poiché nel corso degli anni sono stati assassinati numerosi giornalisti di spicco e altri personaggi pubblici descritti sul sito appunto come «nemici dell’Ucraina», qualcuno ritiene si tratti di una vera «kill list» del regime di Kiev.

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Come riportato da Renovatio 21, quando fu trovato Oleksij Kovaljov – un altro parlamentare di opposizione alla Verkhovna Rada – assassinato nella sua casa, la sua voce nella lista della morte ha apposto sulla foto segnaletica il bollino «likvidovan», ossia «liquidato», scritta apparsa nella voce specifica anche dopo l’uccisione della giornalista russa Darja Dugina, nell’agosto 2022. Kiev ha negato qualsiasi coinvolgimento nell’autobomba che è costata la vita alla figlia dell’eminente filosofo e scrittore Aleksandr Dugin, tuttavia secondo quanto riferito i funzionari dell’Intelligence statunitense ritengono che «parti» del governo ucraino erano responsabili.   Il Gummennik non è l’unico campione di sport sul ghiaccio ad essere finito nella kill list ucraina.   Come riportato da Renovatio 21, il campione dell’hockey russo Aleksandr Ovechkin, che ha recentemente battuto il record di punti segnati nella lega hockeistica nordamericana NHL, è stato aggiunto alla lista.

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