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Martiri del ritorno del matriarcato

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La linea rossa, per quanto mi riguarda, è stata passata ieri, quando ho appreso che mio figlio, come i bambini di tutta Italia, a scuola ha osservato un minuto di silenzio per il caso di Giulia Cecchettin.

 

Lui, ovviamente, non ha capito bene di cosa si trattava. Ma è proprio così che deve andare. È così che funziona l’indottrinamento – specie nelle menti più giovani. Inserisci un’idea, per quanto non pienamente comprensibile, nella mente di qualcuno, con la forza della peer pressure, la pressione sociale della collettività. E non importa l’assimilazione, conta solo l’immissione del concetto. Il resto si vedrà dopo, il tempo per la coltivazione del seme ficcato dentro c’è tutto.

 

Quindi, i bambini a scuola sono obbligati (perché, hanno scelta?) a interessarsi di un fatto di un sanguinario fatto di cronaca, sposando poi una sua lettura precisa – il femminicidio… Nota bene: siamo ancora un pochino lontani dai tre gradi di giudizio previsti dalla legge, come dicono (dicevano) i garantisti di destra e sinistra. Di fatto, la magistratura tedesca ha firmato l’estradizione del sospetto poco fa.

 

Epperò, i bimbi devono contemplare la questione nel profondo, devono schierare il proprio essere riguardo la faccenda, il minuto di silenzio – il triste surrogato laico della preghiera (peraltro rivelatore: invece che connetterti al divino, di attacchi al niente) – serve proprio a questo.

 

Devo dedurne, quindi, che se a scuola perfino chi ha otto anni si deve occupare della cosa, essa è giocoforza un affare di Stato.

 

Parrebbe proprio così. Vale la pena, allora, guardare davvero lo scenario che ci si para innanzi, e nel profondo.

 

Innanzitutto, notate: la parola «femminicidio» – grande ottenimento dell’era delle pari opportunità, anzi impari: perché mai, si chiede qualche giurista rimasto tale – uccidere una donna dovrebbe essere meno grave di uccidere un uomo? – pian piano sta scemando. Si parla meno di femminicidio, stavolta, e si comincia ad usare, con voce tonante, un altro vocabolo fino a poco fa non usualissimo nella lingua comune: «patriarcato».

 

La parola campeggia ovunque. Manifestazioni con cori e striscioni sul patriarcato, tirate infinite nei talk show, lanci sui social dei politici, conferenze, programmi governativi.

 

A Padova si è vista una manifestazione a seguito della morte della ragazza di Saonara, si è visto un gonfalone chiarissimo: «Basta femminicidi e stupri! Violenza di genere: il problema è il patriarcato».

 

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A Firenze, stesse scritte, stessi concetti.

 

 

Lili Gruber definisce la premier Meloni «espressione della cultura patriarcale». Elly Schlein parla di «sradicare la tossica cultura patriarcale del possesso e del controllo sul corpo e sulla vita delle donne».

 

In TV mi è capitato vedere un sedicente scrittore (davvero, non sappiamo davvero che lavoro faccia, né ricordiamo come si chiamasse) che faceva, in stile rivoluzione culturale maoista, autocritica: davanti ad una serqua di volti televisivi femminili che annuivano, diceva, con avvilito accento meridionale, che sì, bisogna cambiare le cose, perché anche lui, una volta, era stato con una ragazza a cui voleva bene, ma ad un certo punto aveva pensato dentro di sé che il fatto che guadagnava più di lui – capita, se si dice che si lavora come «scrittori» – forse poteva inficiare il loro rapporto. Peccato gravissimo di patriarcato interiore, vero psicoreato confessato in pubblica piazza, e non si sa se davvero perdonato.

 

Ma mica c’è solo la sinistra: i ministri Sangiuliano, Valditara, Roccella – espressioni del primo partito di governo –presentano istantaneamente un nuovo protocollo per la prevenzione della violenza sulle donne, e la Roccella (eccerto) ne approfitta: « Tutte noi sappiamo che il patriarcato esiste, eccome se esiste (…) gli uomini devono essere protagonisti nel modificare la cultura patriarcale».

 

La stura l’ha data certamente la sorella minore della ragazza morta, quella che ha inquietato molto per la mise scelta per andare in TV: una felpa della rivista di skateboard Thrasher, dove però il logo è accompagnato da una bella stella a cinque punte rovesciata, quella in cui di solito iscrivono l’immagine della testa del caprone, l’iconografia satanica nota a tutti quanti. (Di nostro, abbiamo cercato di immaginarci il ragionamento intimo: viene Rete 4 a riprendermi, cosa mi metto? Ma certo, la felpa col pentacolo…)

 

La ragazza, e non solo lei, ha impressionato molti che l’anno trovata fuori dall’emotività che ci si aspetta per un lutto. Un caro amico mi ha chiamato, mi ha chiesto di essere confortato: riportarmi a terra, mi stanno venendo strani pensieri… Sono quelli che sono probabilmente venuti al consigliere regionale della Lega che ha postato sui social le sue perplessità, ottenendo la reazione di Luca Zaia (eccerto), che si dissocia. Si dissocia da che? Da una persona, pure votata dal popolo, che esprime il suo pensiero?

 

Non abbiamo pensieri da fare sui vestiti e gli umori televisivi della ragazza, né sulle altre foto non verificate che circolano sulle app di messaggistica.

 

Tuttavia, le sue parole sono chiarissime.

 

La ragazza aveva iniziato col ministro Salvini che riguardo al Turetta, si era permesso di scrivere su Twitter «se colpevole, nessuno sconto di pena e carcere a vita». «Ministro dei trasporti che dubita della colpevolezza di Turetta. Perché bianco, perché di “buona famiglia”. Anche questa è violenza, violenza di Stato». Poi rilanciava un tweet che richiamava il rifiuto della Lega (e l’opposizione di due dei suoi eurodeputati) riguardo alla risoluzione che sollecitava l’adesione dell’Unione Europea alla convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne.

 

Di lì è stata una discesa in abissi politici e filosofici.

 

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«I mostri non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro» ha scritto la ragazza sui social, ribadendo un pensiero raccontato alle telecamere. «La cultura dello stupro è ciò che legittima ogni comportamento che va a ledere la figura della donna, a partire dalle cose a cui talvolta non viene data importanza come il controllo, la possessività, il catcalling. Ogni uomo viene privilegiato da questa cultura. Viene spesso detto “non tutti gli uomini”. Tutti gli uomini no, ma sono sempre uomini».

 

L’intera specie maschile è sotto accusa. C’è quindi da attuare una ribellione contro lo status quo, una rivolta contro il patriarcato moderno.

 

«Ditelo a quell’amico che controlla la propria ragazza, ditelo a quel collega che fa catcalling alle passanti, rendetevi ostili a comportamenti del genere accettati dalla società, che non sono altro che il preludio del femminicidio – conclude la sorella di Giulia – Il femminicidio è un omicidio di Stato, perché lo Stato non ci tutela, perché non ci protegge. Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere».

 

Il discorso della ragazza ha quindi assunto un carattere politico, programmatico, dalle tinte incendiarie.

 

«Serve un’educazione sessuale e affettiva capillare, serve insegnare che l’amore non è possesso. Bisogna finanziare i centri antiviolenza e bisogna dare la possibilità di chiedere aiuto a chi ne ha bisogno. Per Giulia non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto».

 

Bruciare tutto. L’immagine non è sbagliata: bruciare il patriarcato significa, di fatto, rovesciare la società nella sua interezza, resettare il consorzio umano, demolendone le fondamenta. Quando parlano del patriarcato, femministe e quanti ne ripetono a pappagallo i concetti (come i gay organizzati, apparentemente…) intendono semplicemente la radicale disintegrazione del sistema sociale vigente.

 

O forse c’è dell’altro?

 

Ci sarebbe da considerare, cosa che mi pare pochi hanno fatto in queste ore, che il patriarcato ha un suo contrario esatto, ma il termine non ancora lo si è sentito proferire: il matriarcato. Già, per qualche ragione, chi parla di distruzione del patriarcato, non ha ancora iniziato a generare slogan sul ritorno del matriarcato.

 

Posso capirlo. Il matriarcato è un concetto potente, ma altrettanto oscuro. Chi se ne è occupato, leggendo qualche cosa sull’argomento, lo sa. Una finestra di Overton sulla reintroduzione, dopo millenni, del matriarcato nella società umana forse è partita, ma si muove molto, molto lentamente.

 

Fondamentalmente, gli studi sul matriarcato risalgono ad un ricco uomo di Basilea, Johann Jacob Bachofen (1815-1887). Giurista e filologo, fece per tutta la vita il giudice, perché si irritò quando, divenuto professore di diritto romano, si sparse la voce che era stato cooptato a causa della facoltosa famiglia (la sua e della moglie, la cui collezione di arte, tra Cranach e Memling, è ora uno dei principali tesori artistici museali dello Stato elvetico). In verità, l’uomo era un appassionato di antichità, e lo era in maniera irrefrenabile, al punto da accumulare un’erudizione spaventosa, rinforzata da molteplici viaggi di studio a Roma e in Grecia.

 

Le sue conoscenze sul mondo arcaico crebbero fino a portarlo a concepire una visione complessa, e in parte inedita, dell’evoluzione della società umana.

 

Secondo la sua visione storica, i primi sviluppi della storia umana seguono una successione di fasi in cui inizialmente prevale l’elemento materno, accompagnato da simbolismi legati alla terra e all’acqua, al diritto naturale, alla promiscuità sessuale e alla comunanza dei beni.

 

Successivamente, emerge l’elemento paterno con i suoi simbolismi celesti, il diritto positivo, la monogamia e la proprietà privata. Il passaggio tra queste fasi sarebbe avvenuto attraverso momenti di potere violento delle donne, manifestatosi prima come una ribellione alla supremazia fisica del maschio nei primi stadi della civiltà e successivamente come una degenerazione della fase classica del matriarcato, noto come «demetrico», da Demetra, la dea che presiedeva la natura, i raccolti e le messi. Quest’ultimo periodo è descritto da Bachofen come una «poesia della storia», ordinato secondo le leggi pacifiche ed equitative della madre terra. (Quando sentite parlare di Gaia, o della Pachamama, di fatto vi stanno cercando di infliggere la nostalgia di quell’arcaica età pagana).

 

La storia altro non è se non la dialettica di questi principi sociali, quello ctonio, lunare della donna, legato alla materia e alla terra, e quello solare, astratto dell’uomo, legato alla mente e al cielo. La spiegazione che si tende a dare è che la donna ha un rapporto viscerale con l’esistenza, perché genera fisicamente la prole, e subisce il processo ciclico temporale-materiale del mestruo. Secondo tale teoria, l’uomo invece ha con la prole un rapporto puramente ideale, basato su convenzioni e leggi.

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«Negli stadi più profondi e oscuri dell’esistenza umana l’amore tra la madre e il nato dal suo corpo rappresenta il punto luminoso della vita, il solo chiarore nella tenebra morale, la sola beatitudine nella profonda miseria» scrive Bachofen. «L’intima relazione del figlio con il padre e il sacrificio del figlio per il genitore implicano un grado molto più alto di sviluppo morale che l’amore materno, forza piena di mistero che penetra ugualmente tutte le creature terrestri. Essa appare più tardi, e più tardi rivela la sua forza».

 

«Nella cura per il frutto del proprio corpo, la donna impara prima dell’uomo a spingere la propria preoccupazione amorosa oltre i confini dell’io individuale, verso un altro essere (…) Il legame della madre col bambino poggia su un rapporto materiale, è accessibile alla percezione dei sensi e resta una verità di natura; all’opposto la paternità generatrice presenta in tutti i suoi elementi caratteristiche diversissime, priva di qualsiasi rapporto visibile con il bambino essa non può perdere mai del tutto, neppure nel vincolo matrimoniale, la sua natura del tutto puramente fittizia».

 

«La legge materna viene dal basso, origina dalla realtà più ctonia del mondo naturale; il Dio padre, invece, viene dall’alto e origina dall’idea di una natura/realtà celeste» scrive Bachofen.

 

Un tempo, agli albori del mondo, regnava la «Ginecocrazia», il puro governo della femmina. Bachofen sviluppò una concezione della storia divisa in quattro fasi.

 

Una prima fase, chiamata «Eterismo», dove il matriarcato non era ancora regolamentato, e il concetto di paternità del tutto sconosciuto. Nella fase eterica vigeva il sesso libero e l’assenza totale di proprietà privata. In quest’era, tuttavia, era già diffusa nell’umanità la concezione della Dea Madre.

 

Una seconda fase, chiamata «Amazzonismo», dove le donne avrebbero utilizzato vari strumenti, compresi quelli di natura militare, per continuare a sottomettere l’uomo anche se fisicamente di forza superiore: tale periodo è contenuto in vari miti come quello della donna guerriera, da Artemide e Pentesilea.

 

Nella terza fase, si ha il Matriarcato vero e proprio, considerabile come «l’età dell’oro del genere umano». Durante l’era del matriarcato, la preminenza sociale corrisponde alla sola madre, l’eredità è riservata alle figlie, per l’uomo vi è al massimo il riconoscimento di un ruolo speciale al fratello della madre. Qui la donna gode del pieno diritto di scegliere autonomamente i propri partner sessuali.

 

Nella sfera religiosa, si sostiene che nel matriarcato il potere sia stato assunto dalle divinità femminili, iniziando con una «dea della terra» come Gea. Il culto di questa divinità è considerato all’origine di tutte le religioni successive, con le sacerdotesse occupanti una posizione superiore.

 

Dal punto di vista economico, la società era altamente avanzata nell’ambito dell’agricoltura, un’attività svolta in collaborazione principalmente dalle donne. Gli uomini, d’altra parte, erano dedicati principalmente alla caccia, il che spesso li rendeva assenti e lontani dalla comunità.

 

Dal punto di vista politico, la società seguiva i principi di uguaglianza universale e libertà. Le donne assumevano il ruolo di capo dello stato, detenendo il potere, mentre alcuni compiti venivano successivamente delegati agli uomini.

 

Poi venne la rivolta degli uomini, che riuscirono a sovvertire il dominio matriarcale, come testimoniato nella battaglia tra le Amazzoni e il mondo degli eroi ellenici.

 

Tale transizione, secondo Bachofen, è avvenuta in conformità con le regole della cosmologia. La Grande Dea è divenuta il «mistero della religione ctonia» conservando il carattere che aveva durante la fase primordiale dell’eterismo e del matriarcato, in cui la Luna è apparsa come rappresentazione simbolica del principio femminile. Questo principio si connette poi al Sole, simbolo della mascolinità e della linea di discendenza maschile. Il Sole scaccia la luna; la civiltà umana si stabilisce e prospera sotto la sua luce, e non al chiarore dell’astro notturno.

 

La Grande Dea, quindi, non è morta: semplicemente, vive di notte, vive sotto la terra, pronta a tornare a reclamare l’universo.

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Il Mutterecht (parola in realtà mai usata direttamente dal Bachofen, che preferiva Frauenherrschaft) o «diritto materno», fu pubblicato nel 1861. In Italia ne esistono diverse edizioni, la maggior parte parziali, perché solo l’Einaudi se l’è sentita di stampare le più di 1200 pagine in due volumi, qualcosa che il traduttore Furio Jesi definì «opera dagli infiniti recessi», con «proporzioni ipertrofiche, maniacali, raggiunte da alcuni temi».

 

Le teorie di Bachofen, che tendevano a considerare i miti come fatti storici, o come rispecchiamenti letterali di dinamiche sociale reali, furono dapprima aborrite dagli studiosi dell’epoca, che tentarono di guardare al personaggio come al classico principiante con troppi mezzi, un po’ come, immaginiamo, cercarono di fare con Heinrich Schliemann e la sua pretesa di trovare per davvero i resti della città di Troia.

 

Più tardi invece il pensiero di Bachofen trovò pubblici, fra loro diversissimi, pronti ad ascoltare e ad agire politicamente l’idea del matriarcato. Il Mutterrecht affascinò il filosofo conservatore Ludwig Klages come lo scrittore esoterico-tradizionalista Julius Evola, considerato il maitre à penser del neofascismo italiano. Anche la sinistra si abbeverò al pensiero del matriarcato, il particolare lo studioso suicida Walter Benjamin e, decenni prima, il socio di Karl Marx, Friedrich Engels (che parlò di «schiavitù domestica della donna»). La prima ondata della psicanalisi (Freud, Jung soprattutto) si dimostrò interessata, così come la seconda (Wilhelm Reich, Eric Fromm e Erich Von Neumann, che studiò direttamente il tema della Grande Madre).

 

Non sorprende che ad interessarsi della teoria del matriarcato siano state le femministe. Se Bachofen è stato tradotto in inglese si deve allo sforzo, fatto a fine degli anni Sessanta, di gruppi femministi statunitensi. Si può andare perfino oltre: chi scrive decenni fa ha intravisto a Londra come le idee di Bachofen circolassero in circoli omosessuali di carattere para-esoterico, ossia di quelli che non dissimulano il loro disprezzo (cioè, la loro totale paura) della donna.

 

Una quantità di persone, di tutte le risme, sognano il ritorno della Dea. È un richiamo interiore, o forse, più concretamente è l’orizzonte che si pone loro innanzi nel momento in cui si innesta il desiderio della distruzione del mondo, la voglia di «bruciare tutto».

 

Chi vuole cambiare e riprogrammare il mondo, può realizzare che non si tratta di sovvertire, ma di invertire. Laddove è il Sole, far vincere la Luna. Laddove il giorno, la tenebra. Laddove l’idea, l’emozione. Laddove lo spirito, la materia. Laddove la legge, la natura. Laddove l’ordine, il caos. Laddove il diritto, la crudeltà.

 

Ecco, possiamo spiegarci i simboli ctoni che sono rimbalzati anche in questa storia: quando dicono che vogliono far finire il patriarcato, vogliono intendere, consapevoli o meno, il parricidio finale, ossia l’uccisione del padre in senso teologico – cioè, l’uccisione di Dio. Capite da dove vengono in pentacoli e i simboli satanici?

 

Un mondo libero dal padre, è un mondo sprotetto: pensate alle famiglie, magari a quelle in cui manca grandemente la figura paterna, e realizzate di cosa stiamo parlando. Una famiglia senza padre espone i figli ai predatori: bisogna essere tanto in malafede per non ammetterlo.

 

Allo stesso mondo, un universo privo di Dio padre, quali predatori vede avvicinarsi ai suoi figli? Ancora, rimbalzano nella mente le teste di caprone, le stelle a cinque punte – le stesse, sì, che si vedono in certe logge massoniche, le stesse delle bandiere dei Paesi comunisti, le stesse del drappo degli Stati Uniti, le stesse dei valori bollati e dei passaporti della Repubblica Italiana….

 

L’impulso al ritorno del matriarcato potrebbe quindi essere più radicato, più complesso, più antico del previsto. Non viene dagli slogan femminista buono per le ragazzine che vivono sui social, viene da un progetto cosmico e preternaturale.

 

È difficile: il matriarcato porta seco un blocco di materia oscura non ancora digeribile per tutti. Ma ci stanno lavorando, il culto, pare ci vogliano dire, ha ufficialmente già le sue martiri.

 

Il mitologo Robert Graves (1895-1985), che tanto si dedicò al tema della Dea Madre, in una intervista con Malcolm Muggeridge profetizzò che il matriarcato sarebbe tornato entro il XX secolo. Potrebbe non aver sbagliato di molto.

 

La Grande Dea è pronta a ritornare. Per divorare il Sole, e tutti noi, per farci vivere una nuova era di tenebra.

 

Roberto Dal Bosco

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Immagine di Gm.mairo via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Sterminio e «matrice satanica del piano globalista»: Mons. Viganò invita a «guardare oltre» la farsa psicopandemica

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Monsignor Carlo Maria Viganò ha inviato un suo intervento al convegno «La morte negata», svoltosi il 10 Maggio 2024 presso l’Auditorium Gavirate (Varese).   «Uno degli effetti più immediati dell’infernale operazione manipolatoria psicopandemica è costituito dal rifiuto delle masse di riconoscere di essere state oggetto di una colossale frode» dice l’arcivescovo nel suo messaggio.   Sotto pretesto di impedire la diffusione di un virus, presentato come mortale e incurabile «si sono costretti miliardi di persone a subire l’inoculazione con un farmaco sperimentale che si sapeva essere inefficace per lo scopo dichiarato. E per fare ciò, le autorità preposte non hanno esitato a screditare le cure esistenti, che di quel siero genico avrebbero reso impossibile l’autorizzazione al commercio».

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«Il motivo di questo istintivo rifiuto delle masse di riconoscersi vittima di un vero e proprio crimine contro l’umanità non toglie però l’evidenza delle intenzioni degli autori di questo crimine. Queste intenzioni, dichiarate da decenni sulla base di una grottesca falsificazione della realtà, si concretizzano in un’azione sistematica volta a favorire la depopolazione del Pianeta mediante pandemie, carestie, guerre e scontri tra diverse fasce della popolazione, impoverimento delle classi più deboli e drastica riduzione di quei servizi pubblici – tra i quali la Sanità e la Previdenza sociale – che lo Stato dovrebbe garantire ai propri cittadini».       «Ma se una lobby di personaggi ricchissimi dichiara di voler ridurre la popolazione mondiale mediante vaccinazioni di massa che provochino sterilità, malattie e morte; e se queste vaccinazioni provocano effettivamente sterilità, malattie e morte in milioni di inoculati, credo dovremmo noi tutti – e rivolgo il mio appello agli illustri giuristi e intellettuali, oltre che ai medici e agli scienziati – alzare lo sguardo e non limitarci ad un’indagine che abbia come unico oggetto gli effetti avversi e mortali del siero sperimentale» dice il prelato.   «Se non inquadriamo la gestione della psicopandemia nel contesto più vasto del piano criminale che l’ha progettata, ci precludiamo la possibilità non solo di comprendere la premeditazione del crimine, ma anche di vedere su quali altri fronti siamo o saremo oggetto di nuovi attacchi, che però hanno in comune con questa l’obiettivo finale, ossia l’eliminazione fisica di miliardi di persone».   «Le falle del capillare sistema di censura che va instaurandosi in quasi tutti gli Stati occidentali – o meglio: di quelli che soggiacciono ai diktat dell’OMS e della cupola eversiva del World Economic Forum – hanno consentito a molti di noi di vedere dimostrato un dato incontestabile: questi sieri, prodotti da enti governativi usando virus geneticamente modificati con il Gain of Function e sottoposti al segreto militare, non solo non servono a curare la fantomatica malattia da COVID-19, ma inducono gravi effetti avversi e anche la morte; e questo non è dovuto soltanto alla nuova tecnologia mRNA con cui vengono prodotti, ma alla presenza di sostanze che non hanno alcuna attinenza con la dichiarata finalità di combattere il virus» dichiara Viganò.   Sostanze, sostiene monsignore, «che guarda caso sono oggetto di brevetti a dir poco inquietanti, depositati ben prima del lancio dell’operazione pandemica».

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«Premesso dunque che questi sieri non fanno quanto dichiarato in sede di approvazione da parte delle agenzie sanitarie, ma che al contrario si dimostrano efficacissimi nell’indurre patologie anche gravissime, nel provocare la morte e nel determinare la sterilizzazione degli inoculati, occorre compiere il passo successivo – che è quello maggiormente temuto dal Sistema che li ha imposti – e dunque denunciare il dolo e la premeditazione – la mens rea, direbbero gli esperti di diritto – di chi ha deliberatamente usato una falsa pandemia per sterminare la popolazione, coerentemente ad una visione folle e antiumana che considera l’umanità come il cancro del Pianeta».   «Ecco perché vi invito a compiere il passo successivo, in questa meritoria operazione di verità e di denuncia nella quale siete coraggiosamente impegnati».   «Non fate le domande sbagliate, perché ne avrete risposte sbagliate. Se partite dal presupposto che le Autorità sanitarie abbiano agito con scopi leciti e che gli errori commessi siano dovuti ad imperizia o alla pressione dell’emergenza; se date per scontato che i produttori del siero genico abbiano come finalità la cura delle malattie e non il più cinico profitto e la creazione di malati cronici, finite col falsificare la realtà e le conclusioni cui giungerete saranno necessariamente fuorvianti».   «Abbiate piuttosto un approccio forense, per così dire, in modo che appaia evidente la perfetta coerenza tra gli strumenti adottati e i risultati ottenuti, a prescindere dagli scopi dichiarati; sapendo che le vere motivazioni, proprio per la loro intrinseca volontà di nuocere, non potevano che essere dissimulate e negate. Chi mai ammetterebbe, prima di imporre fraudolentemente una terapia genica di massa, che l’obiettivo che intende raggiungere è far ammalare, uccidere o rendere sterile una vastissima fascia della popolazione mondiale?»   «Ma se questo è ciò che l’ideologia neomalthusiana si prefigge; se vi sono prove che dolosamente sono stati nascosti gli effetti avversi dei sieri; se nei differenti lotti sono presenti sostanze che non hanno alcuna giustificazione profilattica ma che al contrario inducono patologie e consentono manomissioni del DNA umano, le conclusioni logiche non possono non evidenziare la volontà criminale, e quindi la complicità colpevole di Istituzioni pubbliche, enti privati, addirittura dei vertici della Gerarchia cattolica, dei media (…) della intera classe medica (…) in un’operazione di sterminio di massa» dice ancora Monsignore.   «La domanda che ora dobbiamo porci – e che dobbiamo porre a chi pretende di governarci e di imporci norme e comportamenti che influiscono direttamente sulla nostra vita quotidiana e sulla nostra salute – non è perché i sieri siano stati imposti ancorché dimostratamente dannosi e mortali, ma per quale motivo nessun organo dello Stato – il cui fine ultimo è il bene comune, la salute e il benessere dei cittadini – abbia posto fine a questo crimine, ed anzi se ne sia reso complice giungendo a violare i diritti fondamentali e a calpestare la Costituzione» continua il prelato.   «Quis custodiet ipsos custodes? chiede Giovenale (Satire, VI, 48-49). Se un sistema di governo giunge a strutturarsi in modo tale che chi è costituito in autorità possa nuocere a coloro che devono obbedirgli; se forze non legittimate da alcun mandato politico o sociale riescono a manovrare interi governi e istituzioni sovranazionali con l’intento di appropriarsi del potere e di concentrare nelle proprie mani ogni strumento di controllo e ogni risorsa – finanza, salute, giustizia, trasporti, commercio, alimentazione, istruzione, informazione; se una cupola eversiva può vantarsi pubblicamente di avere premier, ministri e funzionari al proprio servizio, dobbiamo aprire gli occhi e denunciare il venir meno di quel patto sociale che sta alla base della convivenza civile e che legittima la delega dell’autorità da parte del popolo ai propri rappresentanti».

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«Da qui, inevitabilmente, dovrà scaturire la consapevolezza che la pandemia – così come l’emergenza climatica e tutte le altre pseudocatastrofi prospettate a scopo intimidatorio dalla medesima lobby – costituisce un tassello fondamentale nel quadro di un più vasto colpo di Stato globale cui occorre opporsi, che è imprescindibile denunciare e i cui responsabili – tanto ai vertici di queste organizzazioni eversive quanto nei Governi, nelle Istituzioni pubbliche e nella Chiesa Cattolica – andranno inesorabilmente processati e condannati per alto tradimento e per crimini contro l’umanità» sostiene il religioso.   «Ma per fare questo – dovrete darmene atto, dopo quattro anni – è indispensabile comprendere che questa lobby criminale agisce per il Male, serve il Male, persegue la morte non solo del corpo ma anche dell’anima di ciascuno di noi; che i suoi emissari sono servi di Satana, votati alla distruzione di tutto ciò che ricorda anche lontanamente l’opera perfetta della Creazione, che rimanda all’atto generoso e gratuito con cui il Creatore infonde la vita. Satana è omicida sin dal principio (Gv 8, 44) e chi lo serve non può che volere la morte, qualsiasi sia il mezzo con cui infliggerla».   «Fingere di aver a che fare con dei vili mercanti interessati solo al denaro e non vedere la matrice satanica del piano globalista costituisce un imperdonabile errore che nessuno di noi può compiere, se vogliamo davvero fermare la minaccia incombente sull’umanità intera» conclude monsignor Viganò.  

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Pensiero

Verso il liberalismo omotransumanista. Tucker Carlson intervista Dugin

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Il giornalista americano Tucker Carlson ha pubblicato una potente intervista con il filosofo russo Aleksandr Dugin. La conversazione è stata pubblicata lunedì sul sito Tucker Carlson Network e sul suo canale YouTube.

 

L’incontro è avvenuto durante in viaggio di Carlson a Mosca – città nella quale Dugin gli dà il benvenuto – per la notoria intervista che il californiano ha ottenuto con il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin.

 

Come riportato da Renovatio 21, Dugin in un editoriale aveva sottolineato l’intervista di Carlson a Putin come un evento epocale in grado di riunire due anime della società russa, sia quella tradizionalista che quella filo-occidentale. Durante il suo soggiorno a Mosca – dove secondo alcuni sarebbe pure scampato ad un attentato, cosa di cui non vuole parlare – Tucker ha voluto incontrare Dugin, perché, racconta, curioso delle sue idee.

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Nella sua introduzione, il giornalista statunitense – dopo aver detto di credere ai servizi segreti americani quando dicono che la figlia di Dugin, Darja Dugina, è stata uccisa dagli ucraini – racconta di essere interessato a sentire qualcuno i cui libri sono stati proibiti dall’amministrazione Biden: quando lavorava ancora a Fox, Carlson fece un servizio sull’improvvisa sparizione dei libri di Dugin da Amazon, fenomeno notato da Renovatio 21 due mesi prima.

 

Parlando con il filosofo, ha quindi deciso di filmare i discorsi. Secondo Alex Jones, Carlson avrebbe filmato molto materiale, di cui è uscito questo segmento editato.

 

La conversazione pubblicata, della durata di 20 minuti, è stata particolarmente ricca di spunti di pensiero.

 

 

Carlson chiede a Dugin cosa sta succedendo nei paesi di lingua inglese: «gli Stati Uniti, il Canada, la Gran Bretagna, la Nuova Zelanda, l’Australia hanno deciso all’improvviso di rivoltarsi contro se stessi con questo grande tumulto. E alcuni comportamenti sembrano molto autodistruttivi. Da dove pensa, come osservatore, che provenga questo?»

 

«Credo che tutto sia iniziato con l’individualismo» risponde Dugin. «L’individualismo era una comprensione sbagliata della natura umana, della natura dell’uomo. Quando si identifica l’individualismo con l’uomo, con la natura umana, si tagliano tutti i suoi rapporti con tutto il resto. Quindi si ha un’idea molto particolare del soggetto, del soggetto filosofico come individuo».

 

Qui Dugin offre una visione in linea con quella del tradizionalismo cattolico: «tutto è iniziato nel mondo anglosassone con la riforma protestante e prima ancora con il nominalismo: l’atteggiamento nominalista secondo cui non esistono idee, ma solo cose, solo cose individuali» spiega il filosofo.

 

«Quindi l’individuo, era la chiave ed è tuttora il concetto chiave che è stato posto al centro di un’ideologia liberale e del liberalismo poiché, nella mia lettura, è una sorta di processo storico e culturale, politico e filosofico di liberazione, dell’individuo, di qualsiasi tipo di identità collettiva, collettiva o che trascenda quella individuale».

 

«Tutto è iniziato con il rifiuto della Chiesa cattolica come identità collettiva, dell’impero, dell’impero occidentale come identità collettiva. Successivamente si è trattato di una rivolta contro uno Stato nazionalista come identità collettiva a favore di una società puramente civile. Dopo quella guerra, nel XX secolo ci fu la grande battaglia tra liberalismo, comunismo e fascismo. E il liberalismo ha vinto ancora una volta. E dopo la caduta dell’Unione Sovietica è rimasto solo il liberalismo».

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«Francis Fukuyama ha giustamente sottolineato che non esistono più ideologie all’infuori del liberalismo… il liberalismo, cioè la liberazione degli individui da ogni tipo di identità collettiva» spiega Dugin, citando il politologo noto negli anni Novanta per la nozione di «fine della Storia» a seguito del crollo del blocco sovietico.

 

«Erano rimaste solo due identità collettive da cui liberarsi: l’identità di genere perché è identità collettiva. Sei un uomo o una donna collettivamente (…) Quindi una liberazione dal genere. E questo ha portato ai transgender, alla comunità LGBT e a una nuova forma di individualismo sessuale. Quindi il sesso è qualcosa di facoltativo».

 

«Questa non era solo una deviazione del liberalismo. Erano elementi necessari per l’attuazione e il vincitore di questa ideologia liberale. E l’ultimo passo non ancora compiuto è la liberazione dall’identità umana. L’umanità è facoltativa. E ora stiamo scegliendo te in Occidente. Stai scegliendo il sesso che vuoi, come vuoi».

 

«L’ultimo passo in questo processo di liberalismo, nell’attuazione del liberalismo, significherà proprio l’umano come opzionale. Quindi puoi scegliere la tua identità individuale per essere umano, e per essere non umano. Questo ha un nome. Transumanesimo. Postumanesimo. Singolarità. Intelligenza artificiale».

 

«Klaus Schwab, Harari, dichiarano apertamente che il futuro dell’umanità è inevitabile. Arriviamo così alla storica stazione terminale: cinque secoli fa, siamo saliti su questo treno ed ora stiamo finalmente arrivando all’ultima stazione. Quindi questa è la mia lettura».

 

«Tutti gli elementi, tutte le fasi di questo, tagliano la tradizione con il passato. Quindi non sei più protestante. Sei un materialista ateo laico. Non hai più lo Stato nazionale che servì ai liberali per liberarsi dall’impero. Ora lo Stato nazionale diventa a sua volta un ostacolo. Ti stai liberando dallo Stato nazionale. Infine, la famiglia viene distrutta a favore di questo individualismo».

 

«E poi l’ultima cosa, il sesso, che è già quasi superato. Sesso facoltativo. E nella politica di genere c’è solo un passo per arrivare agli estremi di questo processo di liberazione, di liberalismo, cioè l’abbandono dell’identità umana come qualcosa di prescritto. Quindi essere liberi dall’essere umani, avere la possibilità di scegliere tra essere e non essere umani».

 

«Questa è l’agenda politica, l’agenda ideologica di domani. Ecco perché, come vedo il mondo anglosassone che mi ha chiesto» dice Dugin a Carlson. «Penso che sia solo avanguardia, perché è iniziato con gli anglosassoni, l’empirismo, il nominalismo, il protestantesimo. E ora siete in vantaggio con gli anglosassoni che sono più prosciugati dal liberalismo rispetto agli altri europei».

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Carlson procede con una domanda di approfondimento: «quindi le opzioni – per come le concepivo crescendo – erano l’individuo che può seguire la propria coscienza, dire quello che pensa, difendersi dallo Stato contro lo statalismo, il totalitarismo incarnato nel governo contro cui si lottava: il governo sovietico. E penso che la maggior parte degli americani la pensi in questo modo. Qual è la differenza?»

 

«Penso che il problema risieda in due definizioni di liberalismo» puntualizza Dugin. «C’è il vecchio liberalismo, il liberalismo classico. E nuovo liberalismo. Quindi il liberalismo classico era a favore della democrazia. Democrazia intesa come potere della maggioranza, del consenso, della libertà individuale. Ciò dovrebbe essere combinato in qualche modo con la libertà dell’altro».

 

«Ora siamo già completamente nella prossima stazione, nella fase successiva: il nuovo liberalismo. Ora non si tratta del governo della maggioranza, ma del governo delle minoranze. Non si tratta di libertà individuale, ma di wokismo. Quindi puoi essere così individualista da criticare non solo lo Stato, ma anche l’individuo, la vecchia concezione dell’individuo. Quindi ora hai bisogno di essere invitato a liberarti dall’individualità per andare oltre in quella direzione».

 

Dugin ricorda di averne parlato con Fukuyama in TV, «Come ha già detto in precedenza, la democrazia significa il governo della maggioranza. E ora si tratta del dominio delle minoranze contro la maggioranza, perché la maggioranza potrebbe scegliere Hitler o Putin. Quindi dobbiamo stare molto attenti con la maggioranza, e la maggioranza dovrebbe essere tenuta sotto controllo e le minoranze dovrebbero governare sulla maggioranza. Non è democrazia, è già totalitarismo».

 

«Ora non si tratta della difesa della libertà individuale, ma della prescrizione di essere woke, di essere moderni, di essere progressisti. Non è un tuo diritto essere o non essere progressista. È tuo dovere essere progressisti e seguire questo programma. Quindi sei libero di essere un liberale di sinistra. Non sei più abbastanza libero per essere un liberale di destra. Devi essere un liberale di sinistra. E questo è una sorta di dovere. È una prescrizione. Il liberalismo ha lottato nel corso della sua storia contro ogni tipo di prescrizione. E ora è diventato a sua volta totalitario, prescrittivo e non più libero com’era».

 

«E le crede che questo processo sia stato inevitabile? Sarebbe comunque successo?» domanda il Tucker.

 

«Percepisco qui una sorta di logica. Quindi un tipo di logica che non è solo un ritorno o una deviazione. Inizi con uno scopo: vuoi liberare l’individuo. Quando arrivi al punto in cui è possibile, viene realizzato. Quindi è necessario andare oltre. Da questo momento inizia la liberazione dalla vecchia comprensione dell’individuo in favore di concetti più progressisti. Non ci si poteva fermare qui. Questa è la mia visione».

 

«Quindi se dici “Oh, preferisco il vecchio liberalismo”, direbbero, i progressisti, direbbero, non si tratta del vecchio liberalismo, ma di fascismo: divieni il difensore del tradizionalismo, del conservatorismo, del fascismo. Quindi fermati qui. O divieni progressista liberale o sei finito, o ti cancelleremo. Questo è ciò che osserviamo».

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«E vedere i sedicenti liberali bandire il suo libro, che non è un manuale per fabbricare bombe o invadere l’Ucraina» dice Carlson. «Sai, queste sono opere filosofiche. Ti dice che non è, ovviamente, non è liberale in alcun senso. Mi chiedo però, quando si arriva al punto in cui l’individuo non riesce più a liberarsi da nulla, quando non è nemmeno più umano. Qual è il prossimo passo?»

 

«Ciò è descritto nei film, nei film americani, nei film, in molti modi. Quindi penso che, sai, tutta la fantascienza, quasi tutta quella del XIX secolo, è stata realizzata nella realtà negli anni Venti. Quindi non c’è niente di più realistico della fantascienza. E se consideriamo Matrix o Terminator, abbiamo tantissime versioni del futuro più o meno coincidenti, il futuro con la situazione post-umana o umana opzionale o con l’Intelligenza Artificiale», replica Dugin.

 

«Hollywood ha realizzato molti, molti, molti film. Penso che rappresentino correttamente la realtà del prossimo futuro. Ad esempio, se consideriamo l’uomo, la natura umana, come una specie di animale razionale, allora con la nostra tecnologia si può produrli, così da poter creare animali razionali o combinarli o costruirli con l’Intelligenza Artificiale».

 

«È una specie di re del mondo. Direi che non solo può manipolare, ma creare realtà perché le realtà sono solo immagini, solo sensazioni, solo sentimenti. Quindi penso che il futurismo post-umanista sia non solo una sorta di descrizione realistica di un futuro molto possibile e probabile, ma anche una sorta di manifesto politico. Questo è un pio desiderio».

 

«Il fatto che i film non descrivono un brillante futuro tradizionale. Non conosco nessun film sul futuro e sull’Occidente che dipinga un ritorno alla vita tradizionale, alla prosperità, alle famiglie con molti figli… e tutto è abbastanza nell’ombra, abbastanza oscuro. Quindi, se sei abituato a dipingere tutto di nero soprattutto nel futuro, quindi questo futuro nero una volta arriva e penso che sia il fatto che non abbiamo altra scelta. O Matrix o Intelligenza Artificiale o qualcosa del genere o Terminator. Quindi la scelta è già fuori dai limiti dell’umanità. E questa non è solo fantasia, credo. Questo è una sorta di progetto politico. Ed è facile immaginarlo, poiché abbiamo visto i film, seguono più o meno da vicino questa agenda progressista, direi».

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Carlson procede con un’ultima domanda, chiedendo del fenomeno per cui «per oltre 70 anni un gruppo di persone in Occidente e negli Stati Uniti, liberali, hanno difeso efficacemente il sistema sovietico e lo stalinismo, e molti vi hanno partecipato personalmente spiando per Stalin, lo ha sostenuto nei nostri media» dice il giornalista. «Amavano Boris Eltsin perché era ubriaco. Ma nel 2000, la leadership di questo Paese è cambiata e la Russia è diventata il loro principale nemico. Quindi, dopo 80 anni e passa di difesa della Russia, si sono messi ad odiare la Russia. Che cosa è tutto questo? Perché il cambiamento?»

 

«Penso che, prima di tutto, Putin sia un leader tradizionale. Quando Putin salì al potere, fin dall’inizio, ha cominciato a sottrarre il nostro Paese, la Russia, all’influenza globale. Così ha iniziato a contraddire l’agenda progressista globale. E queste persone che sostenevano l’Unione Sovietica erano progressisti, che hanno avuto la sensazione di avere a che fare con qualcuno che non condivide l’agenda progressista e che ha tentato con successo di restaurare i valori tradizionali, la sovranità dello Stato, il cristianesimo, la famiglia tradizionale».

 

«Questo non era evidente fin dall’inizio, da fuori. Ma quando Putin ha insistito sempre di più su questa agenda tradizionale, direi, sulla particolarità e spiritualità della civiltà russa come un tipo speciale di regione del mondo che aveva e ha ora, pochissime somiglianze con i progressisti, gli ideali progressisti. Quindi penso che abbiano scoperto, abbiano identificato cosa esattamente è Putin. È una sorta di leader, un leader politico che difende i valori tradizionali».

 

Solo di recente, un anno fa, Putin ha emanato un decreto di difesa politica dei valori tradizionali. É stato un punto di svolta, direi. Ma gli osservatori del campo progressista in Occidente, penso che lo abbiano capito correttamente fin dall’inizio del suo governo. Quindi, questo odio non è solo casuale, qualcosa di casuale o uno stato d’animo. Non lo è… È metafisico».

 

«Quindi, se il tuo compito principale e il tuo obiettivo principale è distruggere i valori tradizionali, la famiglia tradizionale, gli stati tradizionali, le relazioni tradizionali, le credenze tradizionali e qualcuno con l’arma nucleare – questo non è l’argomento più piccolo, ma nemmeno il meno importante – può resistere e difendere i valori tradizionali che stai per abolire… Ecco, penso che ci sia qualche fondamento per questa russofobia e per l’odio per Putin. Quindi non è solo un caso. Non si tratta di un cambiamento irrazionale dal filosovietismo alla russofobia. È qualcosa di più profondo direi. Questa è la mia ipotesi».

 

Tanto, tanto materiale su cui riflettere.

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Immagine screenshot da Tucker Carlson Network

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Pensiero

Vi augurano buona festa del lavoro, ma ve lo vogliono togliere. Ed eliminare voi e la vostra discendenza

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Buona festa dei lavoratori! Ve lo ripetono da tutte le parti, del resto è una festa importantissima per la Repubblica: il Venerdì Santo, il giorno in cui Dio muore per l’umanità secondo quella che in teoria è la religione maggioritaria del Paese, si lavora. Il giorno dei morti, pure. Il Primo maggio, invece, no: vacanza.   Questo basterebbe a far comprendere qual è la vera religione che lo Stato italico vuole imporre alla sua popolazione – del resto, il suo libro sacro, la Costituzione, scrive al suo primo articolo che la Repubblica stessa è fondata sul lavoro – espressione incomprensibile, se non comprendendo la smania sovietica che avevano i comunisti e la sciocca acquiescenza dei democristiani che glielo hanno lasciato scrivere, accettando pure di lasciare fuori dalla Carta la parola «Dio».   Il dio della Costituzione, il dio della Repubblica è il lavoro?

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La divinizzazione politica di un concetto astratto, di un’attività umana, non solo l’indice della volontà di laicizzazione dello Stato. Poggia, essenzialmente, nel rigetto di avere per la cosa pubblica il fondamento del Cristianesimo.   Non è un caso che la festa del dio-lavoro avvenga l’indomani della notte di Valpurga, ritenuta nei secoli un momento di vertice dell’ attività del male sulla Terra – in genere, su Renovatio 21, facciamo ogni anno un articolo sull’argomento, annotando gli eventi concomitanti. La realtà è che la festa del Primo maggio è un tentativo di inculturazione, o meglio, di reintroduzione di usanze pagane – in particolare la festa celtica chiamata Beltane, di cui parla anche J.G. Frazer nel suo studio su magia e religione dell’antichità europea Il ramo d’oro.   La prima menzione di Beltane è nella letteratura irlandese antica dell’Irlanda gaelica. Secondo i testi altomedievali Sanas Cormaic (scritto da Cormac mac Cuilennáin) e Tochmarc Emire, Beltane si teneva il 1° maggio e segnava l’inizio dell’estate. I testi dicono che, per proteggere il bestiame dalle malattie, i druidi accendevano due fuochi «con grandi incantesimi» e guidavano il bestiame in mezzo a loro.   La vulgata progressista del Primo maggio, nata nel secondo Ottocento, si attacca quindi a questo sostrato antico, non cristiano, alla guisa di come ha fatto la Chiesa con alcune festività nel corso dell’anno.   Quindi: un nuovo dio, una nuova religione. Ma il problema è che neanche i suoi stessi sacerdoti ci credono. I loro discorsi – i loro incantesimi – sono inganni, sempre più infami, sempre più ridicoli.   Abbiamo sentito ieri il segretario generale CGIL Maurizio Landini dichiarare che «il governo Meloni difende il fossile e nega il cambiamento climatico, come si può pensare di cambiare modello di produzione?». Lo ha detto ad un evento dell’«Alleanza Clima Lavoro», di cui apprendiamo l’esistenza. Stendiamo un velo pietoso sull’attacco ai combustibili fossili, che fossili non sono (no, il petrolio non è succo di dinosauro!), che dimostra un allineamento con i gruppi ecofascisti più estremi e grotteschi visti negli ultimi anni – e pagati da chi, possiamo intuirlo.   Quindi: prima il «clima», poi i lavoratori. L’intero sistema industriale va cambiato per favorire l’ambiente, non l’uomo che lavora: conosciamo questa solfa, ora condita automaticamente dal terrorismo climatico. Si tratta di un’idea che avanza da tanto tempo, e si chiama deindustrializzazione.   Come abbiamo ripetuto tante volte su questo sito, la deindustrializzazione altro non è che deumanizzazione. Cioè, riduzione non dei lavoratori, ma della quantità stessa di esseri umani che camminano sul pianeta. Ciò era chiaramente esposto nelle opere di Aurelio Peccei e compagni oligarchi, quando l’élite – la stessa che stava dietro al Club di Roma, Club Bilderberg, WWF, etc. – cominciò a lavorare decisamente alla riduzione della popolazione.   Non è possibile diminuire il numero di esseri umani sul pianeta se si continua a produrre. Perché l’industria – il lavoro – dà cibo, e il cibo dà la vita, e la vita si moltiplica. La filiera dell’essere deve essere interrotta, molto prima. Niente industria, niente lavoro, niente vita. Niente persone. Niente umanità. Ora potete capire da dove vengono la povertà e la fame, che sembrano di ritorno anche nel Primo Mondo.   In alcuni testi risalenti a più di mezzo secolo fa, la cosa era messa nera su bianco: avrebbero creato deliberatamente un concetto prima sconosciuto, quello di inquinamento, per avere uno strumento di controllo del comportamento di popoli e Nazioni. Se ci pensate, anche questa è una scopiazzatura del cattolicesimo: non il peccato, ma l’impronta carbonica. Non il peccato originale, ma l’essere umano in sé, alla cui nascita c’è già un debito ecologico personale importante. Non la Santa Trinità, non l’Incarnazione, ma Gaia, dea terrifica che si fa pianeta.   Non ci sorprende, ma nondimeno continua a riempirci di orrore, vedere che chi è pagato per difendere i lavoratori è in realtà alleato delle forze che ne vogliono l’eliminazione. Lo aveva capito, con decenni di anticipo, il filosofo marxista Gianni Collu, che nel libro Apocalisse e rivoluzione notava che il paradigma non era più quello rivoluzionario della crescita operaia, cioè industriale, ma quello di una contrazione dell’intera società produttiva.   In pratica, Collu aveva compreso che stava venendo innestato, specie presso partiti, sindacati, intellettuali di sinistra, l’odio per l’uomo – in una parola, era stata avviata la Necrocultura. Non per niente il filosofo cominciò a scoprire, e rivelare, l’interesse crescente che molti circoli goscisti cominciavano a sentire verso un tema divenuto tabù nei millenni cristiani, cioè il sacrificio umano.

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Ora, guardate celebrare il vostro lavoro da chi è inserito, con stipendio, nel disegno per togliervelo – ed eliminare la vostra esistenza e la vostra discendenza. Non dobbiamo ricordare qui gli sforzi, fatti anche in sede europea, che i sindacati hanno fatto per il feticidio.   Nessuno dei vostri lavori è al riparo dal disegno mortale che avanza: se vi hanno detto che imparando a programmare avreste avuto sempre lavoro, provatelo a ripetere alle migliaia di licenziati alla IBM, come in tantissimi altri colossi tecnologici, sostituiti dall’Intelligenza Artificiale.   Nessuno è al sicuro: i grafici, cosa pensano di fare davanti alla presenza di incredibili programmi text-to-image, dove digiti cosa vuoi vedere e ti viene servito in un’immagine perfetta?   Attori, registi, produttori cinetelevisivi, cosa potranno di fronte ai software come Sora di ChatGPT, che promette di generare sequenze video a partire da semplici richieste? Sappiamo che l’ultimo sciopero ad Hollywood verteva su questo, e che già operano società di computer grafica talmente ultrarealista da aver disintermediato regioni immense della filiera.   Domani, cioè già oggi, tocca agli insegnanti. Ai bancari. Ai lavoratori dei fast food. A qualsiasi lavoratore. Alla realtà stessa.   Tuttavia, notatelo, nessun sindacato parla di fermare l’Intelligenza Artificiale. Vi parlano di cambiamento climatico, combustibili fossili, etc.   Lo fanno dopo aver assistito all’assassinio, con il green pass e l’obbligo al vaccino genico, dell’articolo 1 del loro libro sacro, il dogma primigenio della loro religione: ve lo abbiamo detto, non ci credono nemmeno loro.   E quindi, se anche quest’anno un boss sindacale, dinanzi al milione di ebeti ammassati per il concertone del Primo maggio, dovesse d’improvviso farsi scappare di nuovo l’espressione «Nuovo Ordine Mondiale», beh, sappiamo bene di cosa si tratta.   Non c’entrano le ricorrenze druidiche primaverili, qui siamo altrove nel calendario, in un’altra festa importante: sotto sotto, negli auguri ai bravi lavoratori, vi stanno dicendo che arriva il Natale. E che voi siete i tacchini.   Buon lavoro.   Roberto Dal Bosco

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