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«Quell’infernale fornace che è l’Occidente apostata del Nuovo Ordine Mondiale»: omelia di mons. Viganò

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Renovatio 21 pubblica questa omelia di monsignor Carlo Maria Viganò.

 

OMELIA

nella Domenica XX dopo Pentecoste

15 Ottobre 2023

 

Omnia quæ fecísti nobis, Dómine, in vero judício fecísti, 

quia peccávimus tibi, et mandátis tuis non obedívimus: 

sed da glóriam nómini tuo, 

et fac nobíscum secúndum multitúdinem 

misericórdiæ tuæ.

Dan 3, 31, 29 et 35

 

In tutto ciò che hai fatto, o Signore, hai agito con vera giustizia, perché noi peccammo contro di Te e non obbedimmo ai Tuoi comandamenti: ma Tu dà gloria al Tuo nome e agisci nei nostri riguardi secondo l’immensità della Tua misericordia.

 

Le parole dello splendido Introito di questa santa Messa, nella Domenica vigesima dopo Pentecoste, sono tratte dal Profeta Daniele. Esse si riferiscono ad un fatto storico: quando cioè il re Nabucodonosor convocò satrapi, prefetti, governatori, consiglieri, tesorieri, giudici, questori e tutte le alte autorità delle province per annunciare la costruzione di una statua d’oro a Babilonia.

 

Un banditore di Nabucodonosor annuncia: Popoli, nazioni e lingue, a voi è rivolto questo proclama: Quando voi udirete il suono del corno, del flauto, della cetra, dell’arpicordo, del salterio, della zampogna, e d’ogni specie di strumenti musicali, vi prostrerete e adorerete la statua d’oro, che il re Nabucodonosor ha fatto innalzare. Chiunque non si prostrerà alla statua, in quel medesimo istante sarà gettato in mezzo ad una fornace di fuoco ardente (Dan 3, 4-6).

 

Dinanzi all’obbedienza di tutti i popoli, nazioni e lingue, c’è però chi si conserva fedele al vero Dio, e viene denunciato al re: Ora, ci sono alcuni Giudei, ai quali hai affidato gli affari della provincia di Babilonia, cioè Sadràch, Mesàch e Abdènego, che non ti obbediscono, re: non servono i tuoi dèi e non adorano la statua d’oro che tu hai fatto innalzare (Dan 3, 12).

 

Nabucodonosor convoca i tre funzionari Ebrei e ordina loro, sotto pena di morte, di adorare l’idolo. Ed essi gli rispondono: Re, noi non abbiamo bisogno di darti alcuna risposta in proposito; sappi però che il nostro Dio, che serviamo, può liberarci dalla fornace con il fuoco acceso e dalla tua mano, o re. Ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dèi e non adoreremo la statua d’oro che tu hai eretto (Dan 3, 16-18).

 

Adirato per la loro risposta, il re li fa gettare in una fornace ardente, che però uccide con le sue fiamme i soldati che ve li avevano buttati. Sadràch, Mesàch e Abdènego, incolumi, passeggiavano in mezzo alle fiamme, lodavano Dio e benedicevano il Signore (Dan 3, 24).

 

Ritroviamo quasi le medesime parole nell’Epistola: Implemini Spiritu Sancto, loquentes vobismetipsis in psalmis, et hymnis, et canticis spiritualibus, cantantes, et psallentes in cordibus vestris Domino (Ef 5, 18-19). Siate ricolmi dello Spirito Santo, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore.

 

È a questo punto che Azaria intona la meravigliosa preghiera cui allude l’Introito. Vi esorto a rileggerla nel terzo capitolo del Libro di Daniele, dal verso 26 al verso 45. Dovrebbe essere la preghiera di ciascuno di noi, in questi giorni di ribellione e di tenebre. 

 

Anania inizia con atto di fede e di adorazione. 

 

Benedetto sei tu, Signore Dio dei nostri padri;

degno di lode e glorioso è il tuo nome per sempre.

Tu sei giusto in tutto ciò che hai fatto;

tutte le tue opere sono vere,

rette le tue vie e giusti tutti i tuoi giudizi.

 

Poi passa alla confessione delle proprie colpe e la consapevolezza della giusta punizione: 

 

Giusto è stato il tuo giudizio

per quanto hai fatto ricadere su di noi

e sulla città santa dei nostri padri, Gerusalemme.

Con verità e giustizia tu ci hai inflitto tutto questo a causa dei nostri peccati,

poiché noi abbiamo peccato, abbiamo agito da iniqui,

allontanandoci da te, abbiamo mancato in ogni modo.

Non abbiamo obbedito ai tuoi comandamenti,

non li abbiamo osservati, non abbiamo fatto

quanto ci avevi ordinato per il nostro bene.

 

Non abbiamo fatto quanto ci avevi ordinato per il nostro bene, riconosce Anania. E lo riconosciamo anche noi, popolo eletto della Nuova ed Eterna Alleanza, nuovo Israele, nuova Nazione santa. Contempliamo quanto è stato fatto ricadere su di noi e sulla città santa dei nostri padri, Roma. 

 

Ora quanto hai fatto ricadere su di noi,

tutto ciò che ci hai fatto, l’hai fatto con retto giudizio:

ci hai dato in potere dei nostri nemici, ingiusti, i peggiori fra gli empi,

e di un re iniquo, il più malvagio su tutta la terra.

 

Il leviatano globalista che ci tiene oggi schiavi è ben peggiore della schiavitù di Babilonia e del re Nabucodonosor, ma obbedisce al medesimo Principe di questo mondo che allora ispirava la costruzione di una statua d’oro da far adorare ai popoli, e che oggi erige gli idoli del Nuovo Ordine Mondiale, dell’ideologia woke, della follia gender, della Pachamama, della sinodalità e di tutti i feticci che il Salmista compendia in quattro icastiche parole: omnes dii gentium demonia, tutti gli dei pagani sono demoni (Sal 95, 5).

 

Perché adorando la natura o adorando se stessi, si adora sempre e comunque Satana, e chi adora Satana non può adorare Dio.

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Azaria sembra quasi appellarsi alla divina Maestà, al Dominus Deus Sabaoth, al Signore degli eserciti schierati in ordine di battaglia, perché assecondi le sue preghiere non guardando ai meriti inesistenti di chi le formula né alla moltitudine delle sue colpe, ma alla parola data ad Abramo e a Isacco, e tramite essi all’intero popolo eletto: 

 

Ora non osiamo aprire la bocca: 

disonore e disprezzo sono toccati ai tuoi servi, ai tuoi adoratori.

Non ci abbandonare fino in fondo,

per amore del tuo nome, non rompere la tua alleanza;

non ritirare da noi la tua misericordia, per amore di Abramo tuo amico,

di Isacco tuo servo, d’Israele tuo santo,

ai quali hai parlato, promettendo di moltiplicare 

la loro stirpe come le stelle del cielo, come la sabbia sulla spiaggia del mare.

 

E quanto si era moltiplicata la nostra stirpe, la stirpe di Cristo, nei secoli in cui Egli ha regnato sulle Nazioni e nella Chiesa! Quante conversioni, quante vocazioni, quanti figli nati alla Grazia e cresciuti nel timor di Dio e nell’osservanza dei Suoi Comandamenti!

 

E poi anche noi non abbiamo fatto quanto ci avevi ordinato per il nostro bene (Dan 3, 30). Ricordiamo anche noi con nostalgia la nostra Sion, seduti in lacrime lungo le rive del Tevere: Super flumina Babylonis illic sedimus, et flevimus: dum recordaremur tui, Sion (Ps 136, 1), come canteremo tra poco nell’Offertorio.

 

Viene poi la richiesta di aiuto, con un elenco di disgrazie e sciagure che sembra parlare della situazione in cui versa oggi la Santa Chiesa: 

 

Ora invece, Signore,

noi siamo diventati più piccoli di qualunque altra nazione,

ora siamo umiliati per tutta la terra a causa dei nostri peccati.

Ora non abbiamo più né principe, né capo, né profeta, né olocausto,

né sacrificio, né oblazione, né incenso, 

né luogo per presentarti le primizie e trovar misericordia.

 

Azaria parla di principe, capo e profeta: denuncia insomma la latitanza di un’autorità che dovrebbe esserci ma è come sospesa, tenuta in ostaggio o venduta ai nemici. Non menziona una totale assenza di fede nel popolo, ma la evidenzia nei capi: anche questo dovrebbe farci riflettere, perché è proprio nel tradimento dell’autorità che si consuma il peccato pubblico che tanto offende la divina Maestà.

 

E qui arriviamo al cuore dell’orazione, all’offerta di sé, in cui sono prefigurati il Sacrificio redentore di Cristo e la necessità che le membra del Suo Corpo Mistico, la Chiesa, Lo seguano sulla via della Croce:

 

Potessimo esser accolti con il cuore contrito e con lo spirito umiliato,

come olocausti di montoni e di tori, come migliaia di grassi agnelli!

Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te e ti sia gradito,

perché non c’è confusione per coloro che confidano in te.

 

Ma noi, a differenza del popolo ebraico, abbiamo Chi viene accolto dal Padre: et sic fiat sacrificium nostrum in conspectu tuo, ut placeat tibi, Domine Deus. Sono le parole che il sacerdote recita all’Offertorio, prima di invocare la discesa dello Spirito Santo sul sacrificium tuo sancto nomini præparatum.

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Nella Santa Messa, che ripete in forma incruenta il Sacrificio della Croce, noi abbiamo la certezza di essere ascoltati, perché a nostro nome è l’Uomo-Dio, il Sommo ed Eterno Sacerdote, il Mediatore tra Dio e gli uomini, Nostro Signore Gesù Cristo che si rivolge all’Eterno Padre. 

 

E proprio mentre Azaria si dice disposto a immolarsi, torna potente la professione di Fede: 

 

Ora ti seguiamo con tutto il cuore, ti temiamo e cerchiamo il tuo volto.

Fa’ con noi secondo la tua clemenza, trattaci secondo la tua benevolenza,

secondo la grandezza della tua misericordia.

 

Eco di questa preghiera è anche il Communio: Memento verbi tui servo tuo, Domine, in quo mihi spem dedisti: hæc me consolata est in humilitate mea (Ps 118, 49-50). Ricordati della tua parola detta al servo tuo, o Signore, nella quale mi hai dato speranza: essa è stata il mio conforto nella umiliazione.

 

Troppo spesso dimentichiamo che il Signore Dio è Padre Onnipotente. Eppure lo recitiamo nel primo articolo del Credo. È Padre: ci ama e vuole il nostro bene. È Onnipotente: questo Amore è infinito, al punto di dare la vita del proprio Figlio Unigenito per noi; questo Amore è così infinito da essere Dio Egli stesso, la Terza Persona della Santissima Trinità, lo Spirito Santo Paraclito.

 

Questo Amore che procede dal Padre e dal Figlio dispiega la potenza del suo braccio, disperde i superbi nei pensieri del loro cuore; rovescia i potenti dai troni, innalza gli umili. L’esultazione della Vergine nel cantico del Magnificat riprende la gioia incontenibile per una Giustizia che è veramente giusta perché divina; una Giustizia che ripristina l’ordine eterno e perfetto del κόσμος divino, infranto dal χάος di Satana. Una Giustizia che sa essere prodigiosa e miracolosa proprio perché sia inequivocabile che viene da Dio.

 

Ascoltiamo Azaria: 

 

Salvaci con i tuoi prodigi, da’ gloria, Signore, al tuo nome.

Siano invece confusi quanti fanno il male ai tuoi servi,

siano coperti di vergogna con tutta la loro potenza; 

e sia infranta la loro forza!

Sappiano che tu sei il Signore, il Dio unico e glorioso su tutta la terra.

 

Come ci fa notare San Gregorio Magno nelle lezioni del Mattutino di oggi, nel Vangelo di San Giovanni, il funzionario reale crede imperfettamente nella potenza taumaturgica di Cristo, a differenza del centurione (Mt 8, 5-13), la cui fede nella divinità di Cristo non chiede che Egli sia presente di persona per guarire il servo. Per questo il Signore lo rimprovera – Se non vedete segni e prodigi, voi non credete (Gv 4, 48) – pur concedendo al funzionario quel che chiede, perché creda davvero. Credono invece i tre fanciulli nella fornace, e crede addirittura il re babilonese, dinanzi ai segni e ai prodigi. 

 

E mentre i mantici degli aguzzini aumentavano le fiamme, l’angelo del Signore, che era sceso con Azaria e con i suoi compagni nella fornace, allontanò da loro la fiamma del fuoco e rese l’interno della fornace come un luogo dove soffiasse un vento pieno di rugiada. Così il fuoco non li toccò affatto, non fece loro alcun male, non diede loro alcuna molestia (Dan 3, 49-50). 

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A questo punto Anania, Azaria e Misaele intonano il loro canto di lode, il Cantico dei Tre Fanciulli, che fa parte dell’Ufficio delle Lodi della Domenica. Quando recitiamo il Breviario – per chi vi è tenuto o lo fa per devozione – dovremmo pensare che quelle parole sulla bocca dei tre ragazzi – tres pueri – sono pronunciate tra le fiamme, dove essi rimangono illesi grazie alla loro Fede e – diciamolo, una buona volta – alla loro indisponibilità al dialogo, alla loro «rigidità», al loro «costruire muri».

 

Perché non è amare il prossimo lasciare che perda la sua anima per l’eternità; né è amare Dio sottrarGli quelle anime per le quali Egli ha versato il proprio Preziosissimo Sangue. 

 

Dovremmo anche noi ripetere più spesso la preghiera di Azaria, mentre un mondo ostile e una Gerarchia non meno nemica soffiano sulle braci di questa infernale fornace che è l’Occidente apostata del Nuovo Ordine Mondiale, perché la nostra sorte sia di monito per gli altri.

 

Videte quomodo caute ambuletis: non quasi insipientes, sed ut sapientes, redimentes tempus, quoniam dies mali sunt, ci ammonisce San Paolo nell’Epistola (Ef 5, 15-16): vigilate dunque attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini saggi; profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi. Profittando del tempo presente, ossia comprendendo che tutto ciò che avviene è permesso da Dio, e che quanto hai fatto ricadere su di noi, tutto ciò che ci hai fatto, l’hai fatto con retto giudizio – come recitano le parole dell’Introito – perché già da due secoli l’Autorità temporale e da sessant’anni quella spirituale si sono rese meritevoli dei castighi che vanno moltiplicandosi in questa fase cruciale per le sorti del mondo.

 

E noi con esse, dal momento che come cittadini e come Cattolici abbiamo tollerato, accettato e addirittura incoraggiato il progressivo tradimento di Dio e della Sua Legge da parte dei nostri governanti civili e religiosi. Ora non abbiamo più né principe, né capo, né profeta, né olocausto, né sacrificio, né oblazione, né incenso, né luogo per presentarti le primizie e trovare misericordia (Dan 3, 37-38).

 

Dinanzi alla prepotenza dell’idolatra Nabucodonosor, l’umile fermezza di Sadràch, Mesàch e Abdènego ci mostra la risposta di Dio: Sappiano che tu sei il Signore, il Dio unico e glorioso su tutta la terra (Dan 3, 45). Possiamo dunque sperare, per virtù di Speranza, che anche noi passeremo indenni attraverso questa fornace di vizi e di orrori in cui i nemici di Dio ci hanno gettato, se solo comprenderemo quali sono le nostre colpe – e le conosciamo bene – e quale la potenza, anzi: l’onnipotenza di Dio.

 

Ce lo ricorda il Postcommunio: Ut sacris, Domine, reddamur digni muneribus: fac nos, quæsumus, tuis semper obedire mandatis. O Signore, per renderci degni dei Tuoi sacri doni, fa’, Te ne preghiamo, che obbediamo sempre ai tuoi precetti.

 

E così sia. 

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

15 Ottobre 2023

Dominica XX post Pentecosten

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Solo due ordinazioni nelle diocesi di tutta l’ex DDR

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Quest’anno ci saranno solo due ordinazioni per le cinque diocesi dell’ex Germania dell’Est. Entrambi riguardano vocazioni tardive. Tre diocesi non avranno nuovi sacerdoti quest’anno.   Quest’anno verranno ordinati due sacerdoti in tutta l’ex Germania dell’Est. È quanto rivela la Catholic Information Agency (KNA). L’anno scorso sono stati ordinati tre sacerdoti, rispetto ai sette del 2020.   Da tempo in Germania si avverte il calo delle ordinazioni sacerdotali. Le ultime statistiche della Conferenza Episcopale Tedesca (DBK) mostrano un totale di 45 ordinazioni sacerdotali nelle 27 diocesi tedesche nel 2022. Ma la carenza è particolarmente evidente in quelle situate nel territorio dell’ex DDR.   Tra i due futuri ordinamenti, Martin Hohmann, 45 anni, originario dell’Assia, si è convertito dal protestantesimo al cattolicesimo all’età di 34 anni. L’altro futuro sacerdote, Harald Frank, 49 anni, sarà ordinato a Berlino. Quest’anno non ci sarà alcuna ordinazione sacerdotale nelle diocesi di Magdeburgo, Dresda-Meißen e Görlitz.   Le altre due diocesi situate nell’ex territorio della DDR, che riceveranno ciascuna un sacerdote, sono Berlino e Amburgo.

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La Chiesa nell’ex Germania dell’Est

La Chiesa nel territorio dell’ex DDR comprende cinque diocesi: l’arcidiocesi di Amburgo con 121 parrocchie e circa 400.000 fedeli; l’arcidiocesi di Berlino con 94 parrocchie e anch’essa circa 400mila fedeli; la diocesi di Dresda-Meißen con 97 parrocchie e circa 140.000 battezzati; la diocesi di Magdeburgo comprende 44 parrocchie e conta 78.000 battezzati: infine la diocesi di Görlitz conta solo 17 parrocchie e 30.000 fedeli.   Tuttavia, i cittadini dell’ex Repubblica Democratica Tedesca sono apparentemente i meno religiosi del mondo. In un sondaggio del 2012, realizzato in 30 paesi di cultura cristiana, e pubblicato su Die Welt : il 59% dei tedeschi degli ex länder orientali afferma di non aver mai creduto in Dio, contro il 9,2% della Germania occidentale.   Dopo 40 anni di dittatura comunista, il 72,6% degli intervistati di età compresa tra i 38 ei 47 anni dichiara di essere ateo da sempre. Ma il 71,6% dichiara di non aver mai creduto in Dio tra i giovani sotto i 28 anni, che erano ancora bambini, o non ancora nati al momento della caduta del Muro.   I giovani tedeschi dell’ex DDR sono quindi increduli quanto i loro anziani. La scomparsa della Germania comunista non ha quindi causato il declino dell’ateismo. «Se la Germania dell’Est oggi è un paese di missione, allora la parola cristiana non si scontra principalmente con le altre religioni, ma con un ambiente religioso stabile», spiega il professore di teologia Eberhard Tiefensee a Die Welt.   Il passato comunista dei territori della Germania orientale non è senza dubbio l’unica spiegazione di questo tasso record di ateismo. La secolarizzazione che seguì all’eresia protestante e soprattutto al Kulturkampf, aveva già prodotto perdite che sotto il giogo marxista non fecero altro che aggravarsi.  

La situazione di emergenza riconosciuta da mons. Bätzing

Mons. Georg Bätzing, presidente della Conferenza episcopale tedesca, ha dichiarato a Leben jezt, commento riportato da katholisch.de: «Viviamo in un Paese di missione quando vediamo che meno della metà dei cittadini tedeschi appartiene ancora a denominazioni cristiane».   Il vescovo di Limburgo, però, sembra ancora convinto che l’unica via d’uscita da questa situazione sia attraverso il Cammino sinodale o un approccio simile…   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Il conservatorismo è davvero «suicida»: per una volta, mons. Viganò dà ragione a Bergoglio

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L’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha replicato alle dichiarazioni di papa Francesco recentemente raccolte da una TV americana, dove il pontefice ha accusato i vescovi conservatori di avere un «atteggiamento suicida».

 

Monsignor Viganò risponde al Bergoglio dicendo, che, per una volta, è d’accordo con lui.

 

«L’avete sentito: “un conservatore è qualcuno che si aggrappa a qualcosa e non vuole vedere oltre. È un atteggiamento suicida… chiudersi in una scatola dogmatica”» dice l’arcivescovo in un post su X, accompagnato da un video.

 


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«Per una volta Bergoglio ha perfettamente ragione: il conservatorismo vuole “conservare” le apparenze esteriori della Tradizione, senza la sostanza dottrinale che la rende viva. Il conservatorismo è l’atteggiamento di coloro che criticano gli eccessi della chiesa sinodale ma si guardano bene dal metterne in discussione le cause, che sono da ricercare nel Vaticano II».

 

Monsignor Viganò quindi attacca quanti, definendosi «conservatori», hanno accettato il Concilio Vaticano II e lo stravolgimento del rito della Santa Messa e gli orrori conseguenti.

 

«Il conservatorismo è davvero un “comportamento suicida” perché crea una “scatola dogmatica” artificiale, fatta di Novus Ordo ad orientem con casule romane e canti gregoriani e anche di Vetus Ordo; fatta di citazioni selezionate di alcuni documenti conciliari, accidentalmente non contrastanti con il Magistero cattolico di sempre; fatta dell’apoteosi di Giovanni Paolo II e il rimpianto di Benedetto XVI, a cui tutti abbiamo voluto bene».

 

«Ma la Tradizione non è conservatorismo; la Tradizione non è una “scatola dogmatica” perché attinge all’acqua limpida e pura della divina sorgente, traendo dalla Grazia e dalla fedeltà al Vangelo e al Depositum Fidei la linfa vitale che la rende capace di guardare al futuro senza rinnegare il passato» dichiara Viganò.

 

«La Tradizione si sviluppa come un atleta, che passa dall’infanzia all’adolescenza e all’età adulta rimanendo sempre lo stesso e sviluppando il proprio corpo armoniosamente, in modo da poter affrontare le nuove sfide e vincerle. Semper idem, sempre la stessa».

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Bergoglio dice che i vescovi conservatori hanno un «comportamento suicida»

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Papa Francesco ha descritto i vescovi «conservatori» come aventi un «atteggiamento suicida» perché chiusi «dentro una scatola dogmatica».   Le dichiarazioni sono state fatte durante un’intervista con Norah O’Donnell, giornalista del famoso programma americano di giornalismo di inchiesta 60 Minutes.   «Un conservatore è qualcuno che si aggrappa a qualcosa e non vuole vedere oltre», ha detto Francesco rispondendo a una domanda sui «vescovi conservatori negli Stati Uniti» che l’intervistatrice della TV statunitense CBS ha descritto come contrari agli «sforzi di Francesco di rivisitare insegnamenti e tradizioni».   «È un atteggiamento suicida perché un conto è tenere conto della Tradizione e considerare le situazioni del passato, un’altra è chiudersi in una scatola dogmatica», ha dichiarato papa Francesco, parlando in lingua spagnuola.  

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I suoi commenti facevano parte di un’intervista di un’ora con la O’Donnell della CBS realizzata alla fine di aprile, di cui solo una piccola parte era stata pubblicata. Ora sarà trasmessa per intero alla TV americana questa domenica e lunedì.   In un precedente spezzone dell’intervista fatto uscire, il Bergoglio – di fatto non nuovo all’insulto verso chi percepisce come altro da sé – denigrava i critici della tesi del cambiamento climatico definendoli «sciocchi».   «Ci sono persone che sono sciocche, e sciocche anche se mostri loro delle ricerche; non ci credono», aveva dichiarato l’argentino. «Perché? Perché non capiscono la situazione o per il loro interesse, ma il cambiamento climatico esiste».   Come scrive LifeSite, da tempo Francesco sembra esprimere malcontento nei confronti dei cattolici americani, spesso utilizzando la sua descrizione di «rigido» quando si riferisce a loro.   Alcuni episcopati statunitensi si sono distinti nel difendere elementi dell’insegnamento cattolico, spesso in apparente contrapposizione alla posizione di Francesco – compresi uomini come l’arcivescovo di San Francisco Salvatore Cordileone (che ha negato la comunione all’abortista Nancy Pelosi, divieto poi di fatto annullato dal Pontefice) e soprattutto come il vescovo Joseph Strickland e il cardinale Raymond Burke.   Come noto, è possibile dire che sia Strickland che Burke sono stati puniti: il primo è stato incredibilmente rimosso dalla sua diocesi di Tyler, in Texas, il secondo ha perso l’assistenza sanitaria vaticana ed è costretto a pagare l’affitto del suo appartamento in via della Conciliazione.   Il Burke era stato insultato da Bergoglio anche quando era stato male, con allusione alle sue posizioni sui vaccini – posizioni che Renovatio 21 conosce bene, avendo organizzando proprio con il cardinale Burke un convegno su vaccini e linee cellulari da feto abortito a Roma nel 2019.   La soluzione, forse, è quella offerta dal presidente argentino Milei, che nel tempo aveva chiamato Bergoglio «imbecille», «rappresentante del maligno», e di lì a peggio: tre mesi fa, in Vaticano, Francesco ha abbracciato tra grandi sorrisi il Milei, come niente fosse.   Che per entrare nelle simpatie del papa bisogni sintonizzarsi con il suo mondo di contumelie continue?

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