Alimentazione
Il governo irlandese vuole sterminare 200 mila mucche per il cambiamento climatico
I legislatori irlandesi stanno spingendo una proposta per uccidere quasi 200.000 mucche da latte per raggiungere i loro obiettivi sul cambiamento climatico. Il piano mira a eliminare 65.000 mucche all’anno in tre anni di modo da far diminuire le emissioni di gas serra negli allevamenti entro il 2030. Lo riporta la testata Irish Indipendent.
La riduzione della popolazione bovina è programmata quindi per impedire l’avanzata del cambiamento climatico, che, dicono gli esperti dell’ambiente, è causato in una certa porzione dai peti bovini, un tema dove Bill Gates sta investendo i suoi danari (oltre che nella carne sintetica che potrebbe sostituire quella di animale).
«Il governo ha fissato l’obiettivo di ridurre di un quarto le emissioni dell’agricoltura in Irlanda entro il 2030» scrive la testata agricola britannica Farmers Weekly. «Una proposta per raggiungere questo obiettivo è ridurre del 10% la mandria da latte nazionale, l’equivalente di rimuovere 65.000 mucche all’anno per tre anni».
Il dipartimento dell’Agricoltura irlandese ha quindi minimizzato la voce secondo cui si appronterebbe la strage di centinaia di migliaia di mucche per stare nei numeri climatici, sostenendo che si trattava semplicemente di un «documento di modellazione».
«È stato riferito ieri che le mucche dovrebbero essere “abbattute” a un costo di 600.000 euro per i contribuenti nei prossimi tre anni per raggiungere gli obiettivi di emissioni climatiche», ha riferito l’Irish Mirror. La testata Farming Indipendent, che ha pubblicato questi numeri, affermato di aver ottenuto tali cifre da un documento interno attraverso una richiesta di libertà di informazione.
Come sa il lettore di Renovatio 21, non si tratta di ipotesi astruse e complottismi: quanto accaduto nell’ultimo anno ai contadini olandesi lo dimostra pienamente.
Gli allevatori neerlandesi hanno protestato per mesi contro la politica di chiusura forzata degli allevamenti bovini (mentre nelle scuole del Paese avanzano menu a base di insetti…), con la polizia che è arrivata a sparare sui trattori, urtarli con le ruspe, mentre sono state filmate camionette delle forze dell’ordine portar via con la forza i manifestanti tramite agenti in borghese. La repressione della polizia olandese del movimento dei contadini segue quella contro chi protestava per le restrizioni pandemiche: abbiamo visto anche lì le forze dell’ordine sparare, picchiare e far sbranare i dimostranti con cani poliziotto.
Le proteste olandesi avevano avuto eco in tutto il mondo, arrivando a contagiare anche gli allevatori tedeschi.
È emerso in seguito che potrebbe esservi stata un’ingerenza della UE nella questione, con un eurocrate non eletto aveva consigliato al governo Rutte di portare avanti piani per attuare la chiusura delle fattorie in cambio di maggiore «flessibilità» dal blocco sui regolamenti europei.
Come noto, gli allevatori hanno formato un loro partito e vinto clamorosamente l’ultima tornata elettorale.
Il governo americano non è estraneo a questo progetto. Il plenipotenziario per il clima del presidente Biden, John Kerry, ha avvertito la scorsa settimana che gli agricoltori devono smettere di coltivare così tanto cibo per ridurre le emissioni di gas serra secondo il goal 2030 del «net zero».
In uno strano episodio di due mesi fa, un’esplosione ha distrutto un enorme allevamento in Texas, uccidendo 18 mila mucche.
Alimentazione
Un leader agricolo messicano assassinato in seguito allo sciopero nazionale
Bernardo Bravo Manríquez, presidente della principale associazione di agrumicoltori di Michoacán e membro del Fronte Nazionale per il Salvataggio della Campagna Messicana (FNRCM), il gruppo agricolo più attivo del Messico, è stato assassinato la mattina del 20 ottobre.
Bravo, alla guida degli Agrumicoltori della Valle di Apatzingán, aveva partecipato allo sciopero nazionale degli agricoltori del 14 ottobre, organizzato con successo dal FNRCM per sollecitare il governo a introdurre politiche a sostegno dell’agricoltura nazionale, minacciata da speculatori finanziari internazionali e dai loro cartelli.
Gli agrumicoltori avevano guadagnato l’attenzione nazionale gettando in strada circa due tonnellate di lime di alta qualità durante lo sciopero, permettendo alla gente di raccoglierli, per evidenziare che il prezzo pagato ai produttori per ogni chilo di lime è nettamente inferiore al costo di produzione.
Secondo Aristegui News, l’associazione di Bravo ha spiegato la partecipazione allo sciopero con la richiesta di istituire una banca per lo sviluppo agricolo con crediti agevolati e tassi bassi, per rilanciare le campagne. I coltivatori di lime hanno anche proposto concessioni idriche, protezione della filiera produttiva e prezzi equi.
Gli agricoltori hanno chiarito ai legislatori di non volere sussidi, ma misure per affrontare «le cause strutturali» della crisi che colpisce il settore, chiedendo «un solido quadro giuridico che ci protegga da speculazioni e abusi». L’articolo ha inoltre riportato che Bravo, come leader del settore, aveva denunciato estorsioni da parte di gruppi criminali organizzati e l’assenza di sicurezza per i coltivatori di lime.
A febbraio, Bravo aveva segnalato di aver ricevuto minacce, annunciando la chiusura degli uffici amministrativi della sua azienda. Nella dichiarazione rilasciata il giorno del suo assassinio, il FNRCM ha chiesto al governo di indagare sull’omicidio, ma ha anche criticato «l’indifferenza» del governo alle richieste di dialogo, che crea «condizioni di vulnerabilità per i produttori». La dichiarazione ha evidenziato l’esclusione, da parte del Segretario dell’Agricoltura Julio Berdegué, di due leader del FNRCM, Baltazar Valdez Armentía di Sinaloa e Yako Rodríguez di Chihuahua, da un incontro del 17 ottobre con i leader agricoli, nonostante l’approvazione del Ministero del Governo.
Il FNRCM ha avvertito che il governo dovrebbe collaborare con il movimento per «costruire un’alleanza con lo Stato per salvare le campagne e l’economia nazionale». Ha inoltre denunciato le pressioni del governo statunitense e delle sue entità, che cercano di «aggravare la polarizzazione sociale e l’ingovernabilità per giustificare interventi». In questo contesto, il governo non dovrebbe adottare «gesti divisivi e discriminatori contro i produttori nazionali», ha concluso il FNRCM.
È noto che i cartelli della droga abbiano anche interessi agricoli, soprattutto nel campo dell’avocado, frutto divenuto particolarmente popolare negli USA con le ultime generazioni per le sue proprietà nutritizie.
Alimentazione
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Alimentazione
Un terzo dei Paesi è afflitto da prezzi alimentari «anormalmente alti»: rischio di disordini sociali
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) lancia l’allarme: i prezzi dei prodotti alimentari restano eccezionalmente elevati in tutto il mondo, e in molti Paesi sono aumentati fino a cinque volte rispetto ai livelli medi del decennio scorso. Un’escalation che, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, rischia di alimentare nuovi disordini sociali, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo o politicamente instabili.
«Le condizioni attuali ricordano i periodi che hanno preceduto la Primavera Araba e la crisi alimentare del 2007-2008», si legge nel rapporto diffuso in questi giorni. E il messaggio è chiaro: le turbolenze globali, legate alla sicurezza alimentare, «sono tutt’altro che finite».
Un’analisi di BloombergNEF, basata sui dati FAO, evidenzia come il quadro sia il risultato di una combinazione di fattori: eventi meteorologici estremi, tensioni geopolitiche e politiche monetarie espansive. L’aumento dei prezzi di gasolio e benzina – spinti anche dai conflitti in corso e dalle restrizioni commerciali – ha fatto lievitare i costi di produzione e di trasporto dei beni agricoli.
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A questo si aggiunge il fattore monetario: l’eccessiva stampa di denaro da parte di molte economie avanzate ed emergenti durante e dopo la pandemia ha rappresentato, secondo gli analisti, il principale motore dell’inflazione globale.
Secondo la FAO, nel 2023 il 50% dei Paesi del Nord America e dell’Europa ha registrato prezzi alimentari «anormalmente elevati» rispetto alla media del periodo 2015-2019. L’organizzazione definisce «anormale» un livello di prezzo superiore di almeno una deviazione standard rispetto alla media storica per ciascuna merce e regione, spiega Bloomberg.
La tendenza, tuttavia, non riguarda solo l’Occidente: anche in Asia, Africa e America Latina l’impennata dei prezzi sta riducendo l’accesso ai beni di prima necessità, colpendo le fasce più vulnerabili della popolazione.
La FAO richiama nel suo rapporto due momenti emblematici della storia recente che mostrano il legame diretto tra caro-viveri e instabilità politica.
Un esempio è la cosiddetta «Primavera araba» (2010-2011): il forte aumento dei prezzi del grano e del pane, dovuto alla siccità e ai divieti di esportazione imposti dalla Russia, contribuì a scatenare proteste in Tunisia, Egitto, Libia e Siria. L’inflazione alimentare fu un fattore chiave, che si sommò al malcontento politico e sociale.
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Un ulteriore caso è quello della crisi alimentare del 2007-2008: in quel periodo, i picchi dei prezzi globali dei cereali provocarono rivolte in oltre 30 Paesi, tra cui Haiti, Bangladesh, Egitto e Mozambico, dove i beni di prima necessità divennero inaccessibili per ampie fasce della popolazione.
Gli analisti concordano sul fatto che quando «l’inflazione alimentare supera la crescita del reddito», si innesca una spirale pericolosa che può condurre a crisi sociali e politiche.
Con l’aumento dei costi dei beni di base e la perdita di potere d’acquisto, cresce la pressione sui governi, già provati da crisi energetiche, conflitti regionali e tensioni valutarie.
In breve, il mondo potrebbe trovarsi di fronte a «una nuova stagione di rivolte per il pane».
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