Economia
L’Indonesia comincia a sganciarsi dal dollaro. India e Bangladesh pure
Il governatore della Banca d’Indonesia Perry Warjiyo ha annunciato ieri, in una conferenza stampa dopo il consiglio di amministrazione, che Jakarta ha introdotto transazioni in valuta locale per regolare gli scambi transfrontalieri.
«L’Indonesia ha avviato la diversificazione dell’uso della valuta sotto forma di LCT [local currency trade, commercio di valuta locale]. La direzione è la stessa dei BRICS. In effetti, l’Indonesia è più concreta» ha dichiarato Warjiyp secondo SINDOnews.
L’Indonesia ha già concordato con Tailandia, Malesia, Cina e Giappone l’utilizzo di LCT. La Corea del Sud dovrebbe firmare un accordo di cooperazione con l’Indonesia all’inizio di maggio.
Nel frattempo, anche India e Bangladesh si stanno allontanando dall’uso del dollaro USA nel commercio bilaterale, secondo quanto riportato questa settimana dal sito web di notizie con sede in Bangladesh The Business Standard.
Secondo quanto riportato, i due Paesi hanno raggiunto un accordo che vedrà una parte delle transazioni commerciali effettuate nelle rispettive valute domestiche, la rupia e il taka. New Delhi e Dhaka avrebbero discusso tale importante passo per mesi.
Tuttavia, non hanno intenzione di abbandonare completamente il dollaro dal commercio, scrive la testata bengalese.
Si prevede che le esportazioni dal Bangladesh all’India, che ammontavano a circa 2 miliardi nel 2022 dollari, saranno completamente convertite in rupie e taka, mentre 2 miliardi di esportazioni indiane in Bangladesh (su circa 13,69 miliardi dell’anno fiscale precedente) sarà pagato in rupie. Il resto continuerà a essere pagato in dollari, afferma il Business Standard.
Per facilitare le transazioni, due delle banche del Bangladesh, Sonali Bank e Eastern Bank, apriranno conti con due finanziatori indiani, la State Bank of India (SBI) e ICICI Bank, e viceversa. Afzal Karim, CEO e amministratore delegato di Sonali Bank, ha dichiarato al notiziario che anche altre banche di entrambi i paesi si uniranno gradualmente al processo, osservando che il passaggio alle valute nazionali nel commercio bilaterale aiuterà ciascun paese a ridurre la pressione sulle proprie disponibilità in dollari USA.
Secondo il presidente della Camera di commercio e industria del Bangladesh-India, Abdul Matlub Ahmad, citato nell’articolo, ci sono ancora alcuni problemi procedurali nel passaggio dal dollaro USA alle valute nazionali nel commercio. Ha osservato, tuttavia, che le imprese chiedono da tempo alle banche centrali delle due nazioni di consentire il passaggio e accolgono con favore la decisione.
«Si stanno curando le fasi procedurali. Tuttavia, potrebbero essere necessari diversi mesi prima che le transazioni in taka e rupia inizino», ha aggiunto Matlub Ahmad.
All’inizio di questo mese, l’India ha presentato la sua nuova politica del commercio estero per il 2023, il cui fulcro si sta allontanando dal dollaro e aumentando l’uso della rupia nel commercio estero.
Il Paese ha anche recentemente concordato un passaggio ai meccanismi di pagamento in rupie per le importazioni di greggio iraniano e il commercio con la Malesia.
Nel complesso, l’India dispone attualmente di meccanismi di scambio di rupie con 18 paesi, inclusa la Russia.
Come riportato da Renovatio 21, l’India due mesi fa già aveva annunciato che avrebbe abbandonato il dollaro negli scambi con il vicino Sri Lanka.
A inizio anno la Banca Centrale Irachena ha annunciato che consentirà scambi con la Cina direttamente in yuan cinesi, senza passare dal dollaro, mentre il Ghana si è rivolto non alla moneta statunitense, ma all’oro per stabilizzare la propria valuta nazionale.
La de-dollarizzazione avanza mondiale prosegue inarrestabile, e non solo nei Paesi in via di sviluppo, ma anche in Cina, in Arabia Saudita, e, oramai da più di un anno, nelle Banche Centrali di Paesi come il Brasile e perfino Israele.
«Preparatevi ad un mondo di valute multipolari» era il titolo di un articolo del Financial Times che racconta i passi nella direzione della fine del dollaro, che oramai è un fenomeno innegabile e forse non reversibile.
Cina
La Cina supera il trilione di dollari di surplus commerciale
Per la prima volta, il surplus commerciale della Cina ha superato i mille miliardi di dollari nei primi 11 mesi del 2025. Mentre le esportazioni verso gli Stati Uniti sono diminuite di circa un terzo a causa dei dazi, le esportazioni verso Europa, Australia e Sud-est asiatico sono aumentate.
Gran parte di questa impennata è stata trainata dalla forte crescita dei beni high-tech, che ha superato del 5,4% l’aumento delle esportazioni complessive. Le esportazioni di automobili hanno registrato un boom, sostituendo Giappone e Germania in termini di quota di mercato. Le esportazioni di semiconduttori sono aumentate del 24,7% nello stesso periodo e le esportazioni di cantieristica navale sono aumentate del 26,8%.
Il canale all-news cinese CGTN ha pubblicato un articolo che attacca le narrative occidentali di «sovracapacità» o «dumping» come spiegazioni del boom delle esportazioni cinesi.
«Per i politici e i leader dell’industria occidentali, la questione non è come presentare la Cina come un rivale, ma come riconoscere le realtà strutturali che rappresenta. Comprendendo il surplus come parte del panorama economico globale, si apre l’opportunità di adattare le strategie, esplorare le complementarietà, promuovere la collaborazione e ricercare miglioramenti dell’efficienza che vadano a vantaggio di entrambe le parti».
Vari allarmi sulla tenuta dell’economia cinese erano stati lanciati negli ultimi anni.
Come riportato da Renovatio 21, la Cina, dopo la guerra dei dazi di Trump, è ancora impegnata in un conflitto con gli USA e i satelliti occidentali per i chip.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Economia
Hollywood al capolinea: Netflix vuole comprare Warner Bros
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Economia
L’ex proprietario di Pornhub vuole acquistare le attività del gigante petrolifero russo
Bernd Bergmair, l’ex proprietario di Pornhub, starebbe valutando l’acquisto delle attività internazionali del gigante petrolifero russo sanzionato Lukoil. Lo riporta l’agenzia Reuters, citando fonti riservate.
A ottobre, gli Stati Uniti hanno colpito Lukoil con sanzioni che hanno costretto la compagnia a dismettere le proprie partecipazioni estere, stimate in circa 22 miliardi di dollari. Lukoil aveva inizialmente accettato un’offerta del trader energetico Gunvor per l’intera controllata estera, ma l’operazione è saltata dopo che il Tesoro americano ha accusato Gunvor di legami con il Cremlino.
Secondo Reuters, Bergmair avrebbe già sondato il dipartimento del Tesoro statunitense per una possibile acquisizione. Interpellato tramite un legale, ha né confermato né smentito, limitandosi a dichiarare: «Lukoil International GmbH rappresenterebbe ovviamente un investimento eccellente; chiunque sarebbe fortunato a possedere asset del genere», senza precisare quali porzioni gli interessino o se abbia già contattato l’azienda. Un portavoce del Tesoro ha declinato ogni commento.
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Il finanziere austriaco è l’ex azionista di maggioranza di MindGeek, la casa madre di Pornhub, la cui identità è emersa solo nel 2021 dopo anni di strutture offshore. Il Bergmair ha ceduto la propria partecipazione nel 2023, quando la società è stata rilevata da un fondo canadese di private equity chiamato «Ethic Capital», nella cui compagine spicca un rabbino. Il patrimonio dell’uomo è stimato intorno a 1,4 miliardi di euro, investiti principalmente in immobili, terreni agricoli e altre operazioni private.
Il mese scorso, il Tesoro statunitense ha autorizzato le parti interessate a intavolare negoziati per gli asset esteri di Lukoil; l’approvazione è indispensabile poiché, senza licenza, ogni transazione resterebbe congelata. La finestra concessa scade il 13 dicembre.
Fonti giornalistiche indicano che diversi player, tra cui Exxon Mobil e Chevron, avrebbero manifestato interesse, ma Lukoil preferirebbe cedere il pacchetto in blocco, complicando le trattative per chi punta su singoli asset. L’azienda ha reso noto di essere in contatto con più potenziali acquirenti.
Mosca continua a condannare le sanzioni occidentali come «politiche e illegittime», avvertendo che finiranno per danneggiare chi le ha imposte». Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha definito il caso Lukoil la prova che le «restrizioni commerciali illegali» americane sono «inaccettabili e ledono il commercio globale».
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Immagine di Marco Verch via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
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