Cina
Arrestato magnate dei casinò: tratta di esseri umani all’ombra della «nuova via della seta»
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
She Zhijiang è stato arrestato in Thailandia ed è in attesa di essere estradato nella patria di origine. Lungo la «Belt and Road» prosperano i casinò online e i siti di frodi che utilizzano «personale» trafficato dalla Cina e dai Paesi del sud-est asiatico. A causa della politica «zero COVID» le bande criminali reclutano sempre più persone da Taiwan, che in assenza di rapporti diplomatici ha difficoltà a recuperare i propri cittadini.
She Zhijiang, un magnate dei casinò di origine cinese, è stato arrestato in Thailandia ed è in attesa di essere estradato in Cina.
La misura rientra tra quelle adottate dalle autorità per reprimere il gioco d’azzardo online, vietato in Cina, ma che negli ultimi anni ha prosperato in alcune aree del sud-est asiatico insieme ad altri loschi traffici.
Pechino sta cercando di mettere un freno alla criminalità lungo la «Via della Seta», perché danneggia i commerci e la reputazione cinese.
Nato nel 1982 nella provincia di Hunan, She Zhijiang ha ottenuto la cittadinanza cambogiana nel 2017. Ha creato reti di gioco d’azzardo in Cambogia, Myanmar e Filippine, di cui il progetto più importante è la Yatai New City, al confine tra Myanmar e Thailandia, sostenendo che facesse parte della Belt and Road Initiative.
Secondo le autorità, She controlla i trafficanti di esseri umani che reclutano con l’inganno individui che andranno a lavorare per siti di frodi online rendendoli schiavi moderni.
Queste attività illegali hanno colonizzato alcune aree più povere della regione dove i governi del sud-est asiatico hanno istituito zone economiche speciali per attrarre gli investimenti cinesi.
Nel 2016, per esempio, il governo cambogiano ha istituito una zona economica speciale nella città costiera di Sihanoukville, dove in realtà molti edifici sono rimasti incompiuti a causa del debito sulle proprietà immobiliari. Tuttavia negli ultimi anni sono sorti grattacieli circondati da alte mura e fili spinati anche in Laos e nelle aree del Myanmar controllate dalle milizie filo-cinesi come Myawaddy, al confine con la Thailandia.
Dopo il divieto al gioco d’azzardo imposto dalla Cina, le autorità cambogiane hanno rilasciato licenze per i casinò virtuali generando entrate per miliardi di dollari. Secondo le statistiche dell’autorità cambogiana per l’immigrazione, oltre 400mila cinesi hanno lasciato il Paese dopo che il gioco d’azzardo online è diventato illegale.
Quando le autorità cinesi si sono, però, rese conto che i casinò all’estero erano un canale di riciclaggio di denaro che causava il deflusso di capitali, l’amministrazione di Hun Sen, su pressione di Pechino, nel 2020 ha messo fuori legge il gioco d’azzardo. A quel punto alcune imprese si sono trasferite altrove, per esempio in Myanmar, mentre altre hanno deciso di riconvertire la loro attività in truffe digitali.
Gruppi criminali pubblicano annunci di reclutamento e i giovani, attirati da stipendi elevati, vengono rapiti e costretti a lavorare per siti web che truffano altre persone all’estero.
Gli edifici in cui vengono rinchiuse le persone trafficate vengono chiamati «parchi industriali digitali» e sono sorvegliati da militari e guardie di sicurezza. Una volta entrati i telefoni cellulari e i passaporti sono confiscati. Le persone possono abbandonare il complesso solo pagando un riscatto. Chi prova a scappare viene maltrattato fisicamente e le donne vengono usate come schiave sessuali.
Sono anche trapelate notizie di vittime vendute ad altre bande oppure inviate al «KK Industrial Park» di Myawaddy, in Myanmar, noto per il traffico illegale di organi.
La maggior parte delle persone che lavorano in questi «parchi industriali» provengono dalla Cina.
Secondo i media cinesi almeno 230mila cittadini coinvolti in truffe all’estero sono tornati in patria, ma l’annuncio non menziona se sia stato merito della cooperazione giudiziaria internazionale.
L’anno scorso Pechino aveva cercato di convincere i criminali a consegnarsi alla polizia bloccando i loro conti bancari e isolando le famiglie rimaste in Cina. Secondo il governo cinese in questo modo migliaia di sospettati hanno fatto ritorno dal Myanmar.
Di recente, a causa della politica «zero COVID», è sempre più difficile per le bande criminali reclutare «personale» dalla Cina continentale, per cui si sono rivolti a Taiwan e in misura minore alla Malaysia.
Secondo il ministero degli Esteri di Taiwan almeno 200 taiwanesi sono intrappolati in Cambogia o in Myanmar. Annunci online invitano la gente a recarsi in Cambogia dove con una commissione si possono guadagnare fino a 20mila dollari americani.
Le statistiche mostrano che effettivamente nella prima parte dell’anno c’è stato un numero di trasferimenti record da Taiwan alla Cambogia.
Tuttavia, in mancanza di legami diplomatici, a Taiwan risulta quasi impossibile recuperare le vittime del traffico di esseri umani.
Le autorità sono costrette a rivolgersi a importanti uomini d’affari taiwanesi o alla polizia cambogiana, ma spesso questa è collusa con le bande criminali. Le famiglie delle vittime si rivolgono anche alla mafia di Taiwan per pagare i riscatti.
La polizia taiwanese ha rafforzato il pattugliamento dell’aeroporto internazionale di Taoyuan, dove ci sono voli per la Cambogia, per convincere le potenziali vittime a non salire a bordo.
La Cambogia nega il traffico sistematico di esseri umani e ammette solo «controversie di lavoro», ma anche oggi è circolato online un video in cui 40 vietnamiti scappano da un casinò cambogiano e cercano di fare ritorno al loro Paese a nuoto.
40 Vietnamese men and women fled a casino in Cambodia on Thursday and tried to swim back to Vietnam’s An Giang province. One reportedly drowned. They said they were duped into working illegally Cambodia and got beaten. pic.twitter.com/Q9UHpVbaYh
— Nga Pham (@ngahpham) August 19, 2022
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Cina
Ancora un governo filo-cinese alle Isole Salomone: Pechino mantiene la presa sul Pacifico
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Il nuovo primo ministro dell’arcipelago sarà Jeremiah Manele, che ha già ricoperto l’incarico di ministro degli Esteri. Gli analisti si aspettano che, nonostante i legami con la Cina, addotti un approccio meno conflittuale. Ma la competizione resta aperta tra le nazioni del Pacifico, divise tra la fedeltà ai partner occidentali e gli accordi (soprattutto sulla sicurezza) con Pechino.
Il governo delle Isole Salomone resterà filo-cinese: i deputati designati dopo la tornata elettorale del 17 aprile hanno scelto come primo ministro Jeremiah Manele, che ha ricoperto l’incarico di ministro degli Esteri nel 2019, anno in cui le Isole Salomone, sotto la guida del precedente premier Manasseh Sogavare, hanno deciso di interrompere le relazioni diplomatiche con Taiwan per firmare, tre anni dopo, un trattato sulla sicurezza (i cui dettagli non sono stati resi pubblici) con la Cina, che continua così a mantenere una certa influenza nel Pacifico.
Sogarave la settimana scorsa aveva dichiarato che avrebbe rinunciato alla corsa a primo ministro a causa dei risultati deludenti del suo partito, e ha poi appoggiato la candidatura e la nomina di Manele, il quale ha già annunciato che manterrà stretti legami con Pechino. Ma gli analisti si aspettano che, a differenza del predecessore, Manele adotti un approccio meno conflittuale verso i partner occidentali, che guardano con preoccupazione alle relazioni tra la Cina e le nazioni insulari che costellano l’Oceano Pacifico.
Negli ultimi anni, infatti, Pechino ha rafforzato con diversi Paesi la cooperazione nell’ambito delle forze di polizia ed elargito fondi e investimenti per la costruzione di porti, strade e infrastrutture di telecomunicazione, in posti dove gli spostamenti e i contatti sono resi complicati dalla scarsità di risorse e dal progressivo aumento del livello dei mari dovuto al cambiamento climatico.
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Solo per fare alcuni esempi, dal 2013 è attivo uno scambio di agenti di polizia con le isole Figi, dove nel 2021 è arrivato per la prima volta, presso l’ambasciata cinese, anche un ufficiale di collegamento. Lo scorso anno sono state inviate squadre di esperti a Vanuatu e Kiribati (un altro Paese che ha revocato il riconoscimento a Taiwan nel 2019), mentre l’assistenza alle Isole Salomone è stata rafforzata dopo le proteste che sono scoppiate nella capitale, Honiara, nel 2021 e molti temono che il patto sulla sicurezza firmato nel 2022 preveda il dispiegamento di forze militari cinesi sull’arcipelago.
Ancora: dopo le rivolte di gennaio in Papua Nuova Guinea, il ministro degli Esteri papuano, Justin Tkachenko, ha dichiarato che a settembre la Cina si era offerta di fornire attrezzature e tecnologie di sorveglianza, ma subito dopo si è sincerato di sottolineare che, in ogni caso, la Papua Nuova Guinea non «metterà a repentaglio o comprometterà le relazioni» con i partner occidentali.
Inoltre, la Cina ha proposto investimenti per rilanciare il settore del turismo a Palau e sulle Isole Marshall, due Paesi che, insieme alla Micronesia, sono legati a Washington tramite dei Patti di libera associazione (Compacts of Free Association, COFA), che permettono agli Stati Uniti di avere accesso agli apparati di difesa e di sicurezza delle nazioni del Pacifico in caso di attacco (ma non solo).
Secondo gli esperti, la Cina ha un doppio interesse a promuovere la cooperazione di polizia con questi Paesi: da una parte vi è la necessità pratica di proteggere la diaspora e gli investimenti cinesi, soprattutto nel caso di rivolte e disordini, che si sono dimostrati frequenti.
Dall’altra è evidente che si tratta di un’area dove Pechino si è inserita per avere maggiore influenza nella regione a scapito degli Stati Uniti. I funzionari di Washington hanno nuovamente espresso le loro preoccupazioni all’inizio dell’anno dopo la visita di alcuni agenti di polizia cinesi a Kiribati, dove temono che la Cina possa ricostruire una pista d’atterraggio militare, a meno di 4mila chilometri dalle Hawaii.
Alle piccole nazioni del Pacifico, però, la competizione geopolitica tra la Cina e gli alleati occidentali potrebbe non dispiacere affatto, perché fornisce un elemento in più su cui fare leva nei rapporti diplomatici e ottenere così maggiori aiuti e risorse. Nel 2022 il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, non era riuscito a convincere i leader del Pacifico a firmare due nuovi accordi di cooperazione e l’anno successivo, il primo ministro delle Figi, Sitiveni Rabuka, aveva affermato che avrebbe stracciato l’accordo di scambio di ufficiali di polizia con la Cina, ma ha poi ammorbidito i toni.
In questa competizione per l’influenza nel Pacifico, Pechino sostiene che gli Stati Uniti non siano un partner affidabile, cercando di contrastare quella che ritiene essere una visione anti-cinese proposta dai media occidentali. A gennaio di quest’anno, in seguito a una fuga di informazioni, è stato scoperto che tra i compiti di un diplomatico cinese di stanza presso l’ambasciata di Honiara c’era anche quello di influenzare la copertura mediatica locale sulle elezioni presidenziali a Taiwan.
Gli Stati occidentali, dal canto loro, hanno evidenziato lo stile autoritario della polizia e dei funzionari provenienti dalla Cina, dove i diritti umani spesso passano in secondo piano. Nel 2017, per esempio, la polizia delle Figi aveva arrestato 77 cittadini cinesi, poi estradati in collaborazione con le autorità locali.
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Immagine di Arthur Chapman via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.0 Generic
Cina
Cina, nel 2024 calano i profitti per il settore delle terre rare
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Cina
La Cina accusata di aver sequenziato il DNA tibetano e uiguro per rifornire il mercato dei trapianti di organi
Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.
Una commissione del Congresso degli Stati Uniti ha ascoltato testimonianze scioccanti sul presunto prelievo forzato di organi da parte di uiguri e praticanti del Falun Gong in Cina.
Il presidente della Commissione esecutiva del Congresso sulla Cina (CECC), il deputato Chris Smith, studia la questione da anni. È fermamente convinto che la Cina stia permettendo orribili violazioni dei diritti umani.
«Il prelievo forzato di organi su scala industriale in Cina è un’atrocità senza eguali nella sua malvagità: bisogna tornare agli orribili crimini commessi nel 20° secolo da Hitler, Stalin, Mao o Pol Pot per trovare atrocità sistemiche comparabili», ha affermato nella sua introduzione all’udienza del 21 marzo. «Il numero delle persone giustiziate o dei loro organi – alcuni anche prima che siano cerebralmente morti – è sconcertante».
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Tra i testimoni davanti al CECC c’era la dottoressa Maya Mitalipova, direttrice del Laboratorio di cellule staminali umane presso il Whitehead Institute for Biomedical Research del Massachusetts Institute of Technology. È una uigura nata in Kazakistan.
Le sue accuse sono state sorprendenti. Ha detto che il governo cinese ha costruito il più grande database del DNA del mondo con l’aiuto della tecnologia americana.
Il DNA delle popolazioni indigene del Tibet e dello Xinjiang, dove vive la maggior parte dei 15 milioni di uiguri e di altri popoli turchi della Cina, è stato sequenziato. Ha stimato che il sequenziamento del DNA di 15 milioni di persone costerebbe 1 o 2 miliardi di dollari. Perché il governo dovrebbe farlo?
La sua risposta agghiacciante è che il governo cinese utilizza il database per selezionare i donatori di organi.
«Quando un paziente richiede un organo in Cina, i dati sequenziati del suo DNA verranno “confrontati” con i milioni presenti nel database del DNA archiviato nei computer. Entro pochi minuti verrà trovata una corrispondenza perfetta. Se un potenziale donatore di organi non è in prigione o in un campo, le autorità cinesi possono facilmente trovare un motivo per trattenere una persona compatibile e ucciderla su richiesta per i suoi organi».
«Questo è il motivo principale per cui il governo cinese ha investito miliardi di dollari nel sequenziamento del DNA dell’intera popolazione dello Xinjiang e del Tibet. Perché in cambio guadagnerà esponenzialmente molti più miliardi di dollari all’anno».
Ethan Gutmann, un esperto di espianti di organi, ha anche testimoniato che adulti uiguri giovani e sani vengono prelevati da campi di internamento di massa e uccisi per i loro organi.
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Gutmann, l’autore di The Slaughter, un libro sul prelievo forzato di organi, indaga da anni sul prelievo forzato di organi in Cina. Inizialmente, ha detto, venivano usati gli aderenti al movimento vietato del Falun Gong. Tuttavia, intorno al 2017 la Cina ha iniziato a procurarsi organi da uiguri e altri musulmani nello Xinjiang per pazienti provenienti dal Medio Oriente. «Supponendo che i turisti degli organi dello Stato del Golfo preferiscano i donatori musulmani che non mangiano carne di maiale, [la Cina] ha cercato di sfruttare il passaggio dalle fonti del Falun Gong a quelle uigure».
Un’altra testimone davanti al CECC è stata Anne Zimmerman, presidente del comitato per le questioni bioetiche della New York City Bar Association. Ha affermato che gli esperti di bioetica hanno una responsabilità speciale nel garantire che le istituzioni non collaborino al prelievo di organi.
Liu Pengyu, portavoce dell’ambasciata cinese a Washington, ha dichiarato a Radio Free Asia che la Cina è governata da leggi e che «la vendita di organi umani e i trapianti illegali sono severamente vietati». «I diritti umani delle persone di tutti i gruppi etnici nello Xinjiang sono stati completamente protetti», ha detto. «Le affermazioni che avete menzionato non reggono e non significano altro che sensazionalismo artificiale».
Michael Cook
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